PALLAVICINO, Carlo
PALLAVICINO (Pallavicini), Carlo. – Nacque intorno al 1427, probabilmente a Monticelli d’Ongina, sestogenito di Rolando e di Caterina Scotti. Al di là di ipotesi non confermate su studi giuridici e teologici a Bologna e a Parigi, non si sa quasi nulla sulle sue vicende biografiche precedenti al 1453, quando è menzionato nel testamento di Rolando con il titolo di protonotario apostolico. Nelle divisioni ereditarie predisposte dal padre, Carlo, incluso tra i figli «obbedienti», fu designato erede pro indiviso della maggior parte del dominio assieme ai fratelli Gian Ludovico, Pallavicino e Gian Francesco; il successivo lodo ducale del 1458 gli assegnò in feudo Monticelli d’Ongina.
Nel 1456 Callisto III, su proposta di Francesco Sforza, lo designò alla cattedra vescovile di Lodi, dove Carlo succedette ad Antonio Bernieri, di famiglia parmense politicamente ed economicamente legata ai Pallavicino del ramo di Busseto. L’episcopato più che quarantennale del Pallavicino si caratterizzò per una marcata attenzione al decoro della chiesa lodigiana, con interventi in campo artistico e culturale talora connotati da un fasto quasi principesco. Il suo operato non si distinse invece per incisività dell’iniziativa pastorale, che risulta sbiadita soprattutto nel confronto con il predecessore Antonio Bernieri, convinto assertore dei principî conciliaristi. Nel governo della sua diocesi, Carlo, che risiedeva in prevalenza a Monticelli, si limitò in genere ad assecondare le iniziative del ceto dirigente locale: così per la concentrazione dei numerosi enti assistenziali lodigiani, a partire dal 1459 riuniti su progetto del Consiglio cittadino nell’ospedale del S. Spirito della carità e successivamente fusi nel nuovo ospedale Maggiore; nonché per la fondazione del tempio della Beata Vergine dell’Incoronata (1488), sorto sul luogo ove in precedenza aveva sede un postribolo. In linea di massima, Carlo si mostrò tiepido verso le iniziative di riforma del clero regolare, e anche lo stabilirsi in città e nella diocesi di nuovi ordini religiosi fu dovuto a iniziative del clero e del laicato lodigiani. Di alto livello fu il suo patronato artistico: ne sono testimonianza la protezione accordata al musicista Franchino Gaffurio, la commissione di preziosi codici miniati (tra i quali è d’obbligo ricordare la serie dei corali per la cattedrale), l’ampliamento del palazzo vescovile, la donazione di libri alla biblioteca capitolare e soprattutto il lascito alla Chiesa di Lodi del cosiddetto «Tesoro di San Bassiano», del valore di trentamila ducati. Un efficace esempio dell’alta concezione del proprio ruolo di presule è l’ingente spesa sostenuta nel 1495 per acquistare un grosso carico di frumento siciliano, che fece distribuire alla popolazione duramente colpita da una carestia.
Coerentemente alle consuetudini aristocratiche dell’epoca, la condizione di chierico e di vescovo non gli impedì di esercitare una funzione di rilievo nelle vicende del lignaggio, dove la sua posizione di forza emerge in particolare nei rapporti con i fratelli che erano stati penalizzati dal testamento di Rolando. Gian Manfredo, in serie difficoltà con il pagamento dei censi alla Camera ducale, chiese l’aiuto finanziario di Carlo, che si fece però dare in garanzia il castello di Costamezzana. Uberto, ridotto in povertà, dovette addirittura cercare ospitalità permanente a Monticelli con la famiglia, ma il fratello non lo aiutò gratis et amore, pretendendo in cambio la cessione dei feudi di Tabiano e di Castellina di Soragna e ostacolando in seguito i tentativi di Uberto di sottrarsi alla sua tutela. Carlo dedicò particolare cura al proprio feudo, dove nella cappella della rocca commissionò un ciclo di affreschi dedicato al patrono di Lodi s. Bassiano; si adoperò inoltre per l’erezione in collegiata della chiesa di S. Lorenzo, da lui dotata di un cospicuo patrimonio fondiario. Il suo testamento, nel quale nominò eredi universali il fratello Gian Francesco e i figli di Gian Ludovico e Pallavicino, rimarcava la gerarchizzazione interna al casato promossa a suo tempo da Rolando, e fu oggetto di disputa fra i parenti. Morì nel 1497 a Monticelli d’Ongina, dove fu sepolto nella collegiata di S. Lorenzo.
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