PASCALE, Carlo
PASCALE, Carlo. – Nacque a Cuneo il 19 marzo 1547 da Bartolomeo di Antonio e Caterina Fieschi, di origine ferrarese. Il cognome è registrato in italiano anche nelle varianti Pascal, Paschale, Pasquale o Pascali; nei paesi francofoni, dove Carlo si stabilì da giovane, fu Charles Paschal o Pascal.
I Pascale erano una famiglia decurionale de platea di Cuneo, confermata nell’elenco del 1516 e in quello di Carlo II di Savoia nel 1535: così, in occasione delle riforme del Consiglio comunale, la città sanciva le appartenenze al patriziato. I Pascale, originari di Cavaglià, vantavano una discendenza dal martire Pietro Pascale, un inquisitore francescano ucciso in Delfinato dai catari nel 1321. Nel tempo avrebbero consolidato il proprio status gentilizio: furono tra i nobili chiamati al consegnamento d’arme del 12 agosto 1580. Alla fine del Seicento sarebbero entrati nella feudalità piemontese. Nel 1729 Carlo Francesco Pascale avrebbe acquisito il titolo di conte di Ilonza, oggi in Francia, nella regione della Provenza-Alpi-Costa Azzurra. Un altro ramo della famiglia avrebbe acquisito la baronia di Nucetto.
Durante l’ascesa sociale dei Pascale nel Cinquecento, tuttavia, il prestigio della famiglia fu compromesso dalle vicende dello zio di Carlo, Gian Luigi, suo primo tutore e mentore. Egli aveva abbracciato la dottrina riformata e si era stabilito a Ginevra dal 1551-52. Negli stessi anni, altri cuneesi di simpatie eterodosse come i Piccardo partirono per le città svizzere. Gli esuli avevano ricevuto l’implicito benestare del Comune, ostile alle repressioni del duca di Savoia che, con l’editto del 29 novembre 1551, aveva ordinato al governatore di arrestare tutti i sospetti di eresia. All’arrivo in Svizzera, Gian Luigi si era affermato come editore, finanziando un’edizione franco-italiana del Nuovo Testamento e curando testi di Cornelio Donzellino e Pierre Viret.
Gian Luigi accolse il nipote a Ginevra per curarne la formazione. Non è noto il vero motivo per cui Bartolomeo – che si dichiarava cattolico fervente – avesse deciso di inviare il figlio presso il fratello Gian Luigi, eterodosso conclamato. Il soggiorno ginevrino non fu dunque, per Pascale, di segno neutro. È noto quanto lo zio, «homme des livres» e stimato predicatore, contasse sulla sua educazione. Lo aveva affidato, infatti, alla tutela di uno dei personaggi più famosi e stimati tra gli esuli italiani: Galeazzo Caracciolo, un tempo marchese di Vico, centro di una vasta rete intellettuale riformata. Quando Gian Luigi decise di lasciare Ginevra su richiesta dei valdesi di Calabria – che lamentavano una drammatica mancanza di ministri – pregò il nipote di considerare Caracciolo come un padre: non perché, disse, non si fidasse del proprio fratello, Bartolomeo, ma perché voleva che venisse istruito a credere nel vero Vangelo.
Dopo l’arresto e numerosi trasferimenti, Gian Luigi fu bruciato vivo a Roma nel 1560 con l’accusa di eresia. Questa morte e le ripercussioni sulla reputazione del padre Bartolomeo non furono forse estranee alla decisione di Pascale di rientrare in Italia. Tornò in Piemonte con dei compagni di dottrina – Gian Battista Ceva e il milanese Girolamo de Ferrari, alias Maurizio – per seguire la vocazione missionaria dello zio. Le notizie su questi anni piemontesi provengono dalle indagini del nunzio Vincenzo Lauro, corrispondente del cardinale Michele Bonelli e di Scipione Rebiba, membro del S. Uffizio, e dai rapporti che egli riceveva dall’allora rettore del collegio gesuita di Torino, Diego Acosta. Si raccontava come Pascale si fosse infiltrato nel collegio torinese, nei panni di uno studente, portando a compimento con successo la conversione di alcuni giovani compagni. I suoi sodali, Ceva e De Ferrari, non erano meno pericolosi; il secondo mirava a convertire la classe dirigente, nelle vesti di maestro di casa dei figli di Filippo di Savoia-Racconigi. L’attività di questi predicatori filoginevrini cessò quando, scriveva Vincenzo Lauro, Ceva si fece convincere insieme con Pascale a ritornare alla fede cattolica. L’abiura dei due, pronunziata davanti al nunzio, è datata 31 agosto 1569. Tuttavia, nel 1570, Pascale avrebbe dedicato al consigliere di Elisabetta I, William Cecil, i De morte Christi dialogi decem, rimasti manoscritti.
Trasferitosi in Francia nel biennio successivo, per continuare gli studi a Parigi, Pascale dimostrò notevoli capacità di adattamento. Nel 1571 era correttore presso il grande stampatore di Anversa Christophe Plantin, che si apprestava a editare la sua Bibbia poliglotta: con lui, Pascale sarebbe stato in contatto gli anni successivi per conto di Emanuele Filiberto, duca di Savoia. I rapporti con i Savoia rimasero buoni per decenni: in morte della duchessa Margherita, Pascale scrisse un elogio funebre (Harangve sur la mort de tres-vertueuse Princesse, Marguerite de Valois, Parisiis, Jean Poupy, 1574). Sono di questi primi anni francesi altri scritti celebrativi e traduzioni di non molto valore. In questo periodo entrò in contatto con l’ambiente politique e con intellettuali neostoici e latitudinari, come Guy Le Fèvre de La Boderie, Giovanni Scaligero, Giusto Lipsio e Jacques Auguste de Thou.
Poco più tardi, entrò nelle grazie del magistrato, diplomatico e poeta Guy de Faur de Pibrac. Costui, ambasciatore straordinario in Polonia durante il breve regno francese di Enrico d’Anjou, lo raccomandò nel 1574-75 per succedergli. Il successo della missione polacca (1575-76), che prevedeva il recupero di mobili preziosi, determinò per Pascale il conseguimento del titolo di cavaliere del re. Quando Pibrac morì, Pascale ne scrisse una biografia encomiastica, Vidi Fabricii Pibrachii vita (Parisiis, apud Robertum Colombellum, 1584), che proponeva exempla moderni per il buon diplomatico. Così come il suo precedente commento a Tacito (C. Cornelii Taciti equitis Romani ab excessu divi Augusti Annalium libri quatuor priores, et in hos observationes Caroli Paschalij Cuneatis..., Parisiis apud Robertum Colombellum, 1581), testo fondante del «tacitismo marginale», proponeva la storia antica come chiave di comprensione della politica coeva. In futuro avrebbe scritto sul tema altri due trattati: il manuale Legatus ( Rouen, apud Raphaël du Petit Val, 1598), molto criticato, e la storia della propria esperienza nei Grigioni, la Legatio Rhaetica (Parisiis, apud P. Chevalier, 1620).
La Vita Pibrachii servì all’autore a commendarsi a un altro potente, Pierre Forget, signore di Fresnes, che, ex segretario dei Navarra, gli assicurò i favori di Enrico IV di Borbone. Nel 1588 Pascale fu naturalizzato francese: il titolo di «vicomte de la Queute, la Barre, Dargny et Cornehotte» (terre vicine ad Abbeville), gli consentì un vantaggioso matrimonio con Marguerite Manessier, nobile locale e vedova di Charles de Lavernot, di cui avrebbe adottato il figlio, Philippe-Paschal de Lavernot. Nel 1589 Pascale divenne ambasciatore straordinario in Inghilterra. Nel 1592 fu nominato avvocato generale del Parlamento di Rouen, perché Enrico IV voleva rimpolpare la nobiltà di toga per riconquistare una città ancora fedele alla Lega cattolica, che non riconosceva l’autorità regia. Pascale non restò molto nella Rouen: il re ne richiese i servigi in altre province ribelli, la Linguadoca, la Provenza e il Delfinato.
In questi anni scrisse un trattato sullo stile laconico, De optimo genere elocutionis (Parisiis, apud Robertum Colombellum, 1595), una raccolta di Christianae praeces (Caen, Cadomi, ex typographia Iacobi le Bas, 1592) di indirizzo marcatamente irenico e una Censura animi ingrati (Parisiis, apud Robertum Colombellum, 1601). Fu ricompensato con la carica di consigliere di Stato e, nel 1604, nominato ambasciatore residente a Chur, nei Grigioni, per spiare le transazioni tra i nemici della Francia, i mercenari svizzeri. L’ambasciata durò dieci anni: nel frattempo Pascale compose il trattato antiquario Coronae (Parisiis, ex officina Plantiniana, 1610) e il libello moralistico Virtutes et Vitia (Parisiis, Eustache Foucault, 1615).
Pascale morì nella sua terra di Queute, presso la cittadina di Abbeville, il 25 dicembre 1625 e fu sepolto nella chiesa di Saint-Vulfran.
Fonti e Bibl.: Hatfield, Hatfield House Archives, CP.298/7: Caroli Paschali De morte Christi dialogi decem. Ad Gulielmum Siciliam virum amplissimum atque ornatissimum (prima del 25 febbraio 1571); CP.121/82 (lettera a destinatario sconosciuto 13-23 luglio 1607); G. Naudé, Bibliographia politica, Parigi 1646, p. 54; I.J. De Jésus-Maria, Histoire ecclésiastique de la ville d’Abbeville, 1646, pp. 511-513; J.-F. Niceron, Mémoires pour servir à l’histoire des hommes illustres, XVII, Parigi 1732, pp. 238-244; F.-C. Louandre, Biographie d’Abbeville et ses environs, Abbeville 1829, pp. 357-359; A. Momigliano, Contributo alla storia degli studi classici, I, Roma 1955, pp. 49-54; C. Vivanti, Lotta politica e pace religiosa in Francia tra Cinque e Seicento, Torino 1963, pp. 114, 360; L. Voet, The golden compasses: a history and evaluation of the printing and publishing activities of the Officina Plantiniana at Antwerp, I, Amsterdam-Londra 1969, pp. 91-100; R. Albanese - S. Coates, Araldica cuneese, Cuneo 1996, pp. 5-15, 17-62; P. Bianchi, Dall’erezione in città alla seconda Reggenza (1559-1684), in P. Bianchi - A. Merlotti, Cuneo in età moderna. Città e Stato nel Piemonte d’antico regime, Milano 2002, pp. 44-46, 227 s.; K. MacDonald, Biography in Early Modern France, 1540-1630: forms and functions, Londra 2007, pp. 27-44; J.-F. Gilmont, La rédaction et la circulation des lettres de Gianluigi Pascale (1559-1560), in Valdesi nel Mediterraneo tra Medioevo e età moderna, a cura di A. Tortora, Roma 2009, pp. 145-185.