PEPOLI, Carlo
PEPOLI, Carlo (Maria Antonio Amos Nicolò Gasparre). – Nacque a Bologna il 22 luglio 1796 dal conte Ricciardo (Rizzardo) e da Cecilia Cavalca.
Nato pochi giorni dopo l’ingresso in città delle truppe francesi, Carlo fu l’unico figlio maschio della sua famiglia, che discendeva da un’antica casata patrizia con possedimenti in provincia di Ferrara, la cui presenza a Bologna era testimoniata fin dagli inizi del XIV secolo, al tempo in cui Taddeo Pepoli tenne la signoria della futura capitale delle Legazioni pontificie. Pepoli ebbe due sorelle maggiori, Anna (Nina, 1783-1844) maritata Sampieri Bugami, insigne scrittrice, e Teresa (1794 - ?) coniugata Mariotti.
Molto presto, sotto la guida di padre Romualdo Cartusiani e di padre Filippo Schiassi, Pepoli si appassionò alla storia e alla letteratura, alla musica e alle arti; studiò poi il greco e l’ebraico con Giuseppe Gaspare Mezzofanti, futuro cardinale e direttore della Biblioteca vaticana, matematica con Giambattista Magistrini e botanica con Giuseppe Bertoloni. Conclusi gli studi, venne nominato dottore collegiato presso l’Università di Bologna. Fu inoltre impegnato presso l’Accademia di belle arti e l’amministrazione comunale di Bologna, dove assunse incarichi nella magistratura e nella direzione carceraria della città. Durante tutto il secondo decennio dell’Ottocento, Pepoli dette spesso lettura delle sue poesie all’Accademia Felsinea, di cui divenne vicepresidente. I suoi primi componimenti erano vicini allo stile classico di Dante, Petrarca e Tasso, mentre più tardi adottò uno stile romantico più moderno; fra il 1827 e il 1828 pubblicò almeno otto volumetti di poesie, alcuni dei quali furono raccolti in copie rilegate che Pepoli distribuì ad amici e conoscenti stranieri. Nell’arco di una vita scrisse centinaia di epigrafi celebrative per artisti, compositori e personaggi della vita pubblica, che periodicamente pubblicò come Centurie delle Iscrizioni. Presto Pepoli si scontrò con i censori papali della città natale; in un volume pubblicato nel 1828 i censori cancellarono un lungo passaggio che faceva riferimento all’insurrezione greca contro il dominio ottomano. Il lunedì di Pasqua del 1826 l’Accademia Felsinea accolse Giacomo Leopardi con la sua lettura di un canto dedicato a Pepoli (Canti, XIX, Al conte C. P.), il quale rispose qualche mese più tardi con una poesia in memoria di Livia Strocchi, figlia del rinomato classicista e poeta Dionigi Strocchi.
La corrispondenza tra Leopardi e Pepoli testimonia l’amicizia e la stima reciproca, sebbene in alcune lettere dirette ad altri destinatari Leopardi manifesti un apprezzamento più tiepido dell’arte di Pepoli. I due poeti ebbero molti amici in comune, tra cui l’influente letterato liberale Pietro Giordani. Anni dopo Pepoli e la sorella Anna presero le distanze da Leopardi: l’esaltazione del pessimismo, che nel poeta eclissava l’espressione del sentimento patriottico, era inconciliabile con la ferma fiducia di Pepoli nel progresso del genere umano.
Pepoli propugnò il governo costituzionale negli Stati pontifici e fu una figura centrale nella rivoluzione del 1831; insieme ad altri sette dignitari locali fece parte della Commissione provvisoria, creata dal prolegato di Bologna monsignor Nicola Paracciani Clarelli il 4 febbraio 1831 per aiutare il governo papale a tenere sotto controllo i crescenti disordini civili nella provincia. Il giorno successivo il prolegato fuggì da Bologna e la Commissione si costituì in governo provvisorio, che guidò la provincia fino al 3 marzo; l’8 febbraio Pepoli firmò la dichiarazione che aboliva il potere temporale dei papi. Fu delegato del governo a Fano e presiedette il comitato militare con il grado di colonello; ebbe un ruolo fondamentale nel coordinare le operazioni militari e nel trasformare le province secessioniste dello Stato pontificio in Province Unite Italiane. Il 15 marzo Pepoli fu nominato prefetto di Pesaro e Urbino, due centri chiave del nuovo Stato. Sotto il comando del generale Giuseppe Sercognani, le truppe di Pepoli avanzarono a sud verso Otricoli in Umbria, a una settantina di chilometri da Roma, ma, in contrasto con l’opinione dell’Assemblea parlamentare e del generale Sercognani stesso, Pepoli si oppose all’idea di puntare alla conquista della capitale pontificia. Il 21 marzo 1831 le truppe austriache occuparono la Romagna, restaurando il potere papale. Dopo alcuni giorni di resistenza, il governo provvisorio e il comando militare si spostarono in direzione di Ancona, dove si arresero dietro promessa di un’amnistia papale. Insieme a novantotto funzionari del governo, Pepoli si preparò ad andare in esilio, ma la loro nave cadde nelle mani degli austriaci; considerati prigionieri di guerra, furono deportati nel Lombardo-Veneto. Detenuti dapprima nel forte di S. Andrea nella laguna di Venezia e poi nelle carceri cittadine di S. Severo, furono sottoposti alle dure condizioni dell’internamento militare austriaco. Pepoli contrasse una grave infezione agli occhi, che lo avrebbe poi afflitto per molti anni. Attirando l’attenzione del corpo diplomatico a Roma, diversi ministri fecero pressione sul governo pontificio informandolo che la situazione dei prigionieri violava il diritto internazionale. Dopo diversi mesi e un lungo viaggio in mare, i prigionieri furono mandati in esilio a Tolone. Pepoli continuò il viaggio fino a Marsiglia, dove collaborò brevemente al periodico di Giuseppe Mazzini Il Tribuno. Stabilitosi a Parigi, frequentò il salotto della principessa Cristina Trivulzio di Belgiojoso, che riuniva una cerchia di eminenti personalità della cultura europea, fra cui Frédéric Chopin, Dumas padre, Heinrich Heine, Victor Hugo, Alexander von Humboldt e George Sand. Tra i molti esuli italiani che frequentavano il salotto Belgiojoso vi erano Giuseppe Ferrari, Guglielmo Pepe, Alessandro Poerio e Vincenzo Gioberti, il quale nel Primato avrebbe fatto riferimento a Pepoli come a un poeta in esilio, «uno dei più cari e onorandi a chiunque ama le gentili lettere nobilitate dalla bontà dell’animo e dal decoro della vita» (Del primato morale e civile degli italiani, II, Bruxelles 1843, p. 528). È probabile che lì Pepoli abbia incontrato per la prima volta Vincenzo Bellini. Durante un breve soggiorno a Ginevra nel 1833 pubblicò un volume di saggi e un altro di poesie, da cui riprese poi alcuni estratti nel libretto ch’egli scrisse per l’opera seria di Bellini I puritani (1835).
Sul finire della primavera del 1835 Pepoli si recò a Londra, dove era noto appunto come il poeta dell’opera di Bellini, recentemente andata in scena con grande successo nella capitale britannica. Divenne intimo amico di Thomas e Jane Welsh Carlyle e nel 1839 sposò la ricca Elizabeth Fergus di Kirkcaldy in Scozia, un’amica di vecchia data di Jane Welsh Carlyle, che aveva legami parentali con l’Italia.
Fergus aveva fatto ottimi studi ed era lei stessa scrittrice; nel 1856 pubblicò a Firenze la traduzione italiana della Geografia fisica dell’eminente scienziata scozzese Mary Somerville. Suo fratello John Fergus fu deputato al Parlamento per i collegi di Fife e di Kirkcaldy.
Pepoli e Fergus presero dimora a Kensington in una casa denominata Felsina cottage in riferimento alle origini etrusche di Bologna. Nei primi tempi Pepoli tenne corsi privati di arte e storia italiane a Brighton e a Londra. Le sue lezioni sulla musica presso la Marylebone literary and scientific institution ebbero vasta eco, e la nota rivista The musical world (VIII (1838), 119, p. 137) ne tessé l’elogio. Nel marzo (1838) Pepoli succedette ad Antonio Panizzi sulla cattedra di letteratura italiana dello University College di Londra con il sostegno di numerose illustri personalità, fra cui il duca di Sutherland e John Stuart Mill. Nella sua lettera al College Council, Mill riferì di aver chiesto un parere a Mazzini, il quale si era espresso in termini altamente lusinghieri circa il talento letterario del candidato. Pepoli mantenne l’incarico accademico fino al 1846; gli successe un altro esule italiano di spicco, Antonio Gallenga.
Nel 1847, poco dopo l’elezione di papa Pio IX e la concessione di un’amnistia per i rivoluzionari, Pepoli tornò a Bologna, diventando componente e vicepresidente del nuovo Consiglio dei deputati a Roma. Durante la guerra contro l’Austria prestò servizio come commissario con poteri civili e militari e ispettore generale dello Stato pontificio. Sotto il comando del generale Giovanni Durando prese parte per un breve periodo alla campagna veneziana dell’esercito papale. All’inizio del 1849 fu inviato in missione segreta a Londra, nel tentativo di assicurare il sostegno britannico al regime costituzionale del papa contro le crescenti pressioni repubblicane.
Pepoli tornò in Italia dopo un altro decennio, poco prima dell’annessione delle Legazioni pontificie al Piemonte nel 1859, ed entrò a far parte dell’Assemblea costituente delle Romagne. Agli amici londinesi scrisse con grande entusiasmo della trasformazione politica e sociale in atto nel centro Italia. Nel 1860 riassunse l’incarico presso l’Università e prestò consigli all’amministrazione provinciale. Nonostante le sue condizioni di salute peggiorassero, prese parte attiva nella realizzazione di un sistema scolastico nazionale e nella ristrutturazione dell’Università di Bologna. Nella votazione per la Camera sabauda nel 1860 (VII legislatura) fu eletto nei collegi di Finale e di Castel S. Pietro, optando infine per Finale. Nella prima votazione per il Parlamento italiano nel 1861 (VIII legislatura) fu eletto a Mirandola. Dal 1862 al 1866 fu sindaco di Bologna. Nel novembre 1862 fu nominato al Senato, dove divenne membro della commissione per la verifica dei titoli dei nuovi senatori (4 maggio 1872 - 3 ottobre 1876). In quegli anni curò la ristampa di molte delle sue precedenti raccolte di versi e pubblicò un’acclamata traduzione in dialetto bolognese del Vangelo secondo Matteo.
Il pensiero politico di Pepoli fu sempre rivolto all’instaurazione di un governo costituzionale e delle libertà civili, nella tradizione dei carbonari. Memore dell’eredità classica e culturale della penisola, parlò spesso dell’Italia come di «una sola famiglia» (L’archivio dei governi provvisori..., 1956, p. 270), ma riconobbe nondimeno la necessità di tener conto delle sue diverse tradizioni politiche. Nel 1831 egli considerava i contatti con gli altri Stati italiani come rapporti con l’estero, sostenendo il principio del non intervento; soltanto le province che si erano affrancate dal governo pontificio sarebbero entrate a far parte delle forze politiche e militari delle Province Unite. Se nel 1831 aveva firmato il decreto sulla decadenza del potere pontificio a Bologna, nel 1848 si batté per un governo costituzionale sotto la guida del papa. La sua dichiarazione più esplicita a favore della rinascita politica dell’Italia la troviamo in poesie come La corona dei morti per l’Italia, Il fido bersagliere e Canzone di guerra, tutte incluse nelle Prose e versi (Londra 1836). La visione patriottica che dell’Italia ebbe Pepoli non contrastava con le sue convinzioni cosmopolite; durante la campagna militare del 1831, in una lettera del 23 febbraio spiegò al governo provvisorio di Bologna come la liberazione delle Legazioni pontificie fosse di fatto un progetto internazionale: «Viva li Bolognesi, Viva il Suo Governo, Viva la libertà. Io vidi di molti commossi allo spettacolo che presentavasi agli occhi nostri nella marcia di giovani italiani, greci, belgi, che unitamente sotto il vessillo cosmopolita della Libertà, correvano (non badando all’agiatezza abbandonata della casa loro e della loro vita) anelanti di combattere colle strade faticose, colle tempeste del cielo che loro piombavano adosso tra molta pioggia, e cogli uomini che, schiavi dell’oro, sono nemici della Libertà!» (L’archivio dei governi provvisori..., 1956, p. 276). Nella sua prolusione londinese del 1839, Pepoli parlò di fraternizing spirit of the age, which tends to unite the whole world into one family, of which the several nations shall be individuals («lo spirito fraternizzante del tempo, che tende a unire il mondo intero in una sola famiglia, di cui le varie nazioni sono i membri», Sulla lingua e la letteratura d’Italia, 1838, p. 7)].
Dopo il ritorno in Italia, Pepoli si legò alla Destra storica vicina al conte di Cavour e al suo esponente principale a Bologna, Marco Minghetti. Seppure avesse brevemente collaborato con Mazzini, dal 1848 si trovò in contrasto con i repubblicani. In una lettera del 1860 all’archeologo e diplomatico londinese sir Austen Henry Layard dichiarò il proprio disprezzo per i repubblicani locali, sebbene ormai suoi principali avversari politici fossero i legittimisti clericali dell’ex Stato pontificio, che cercavano di indebolire il nuovo Stato nazionale.
Pepoli morì a Bologna il 7 dicembre 1881.
La sua sepoltura, ornata da un busto scolpito da Diego Sarti, si trova nella Certosa di Bologna.
Oggi il suo nome, citato negli studi su Bellini e su Leopardi, occupa un posto tutto sommato marginale nella storia del Risorgimento, poiché viene trascurata la mole di materiale d’archivio relativo al ruolo di primo piano ch’egli ebbe nel 1831, nel 1848 e dopo l’Unità d’Italia. Gli studiosi si concentrano per lo più sull’autore del libretto dell’ultima opera di Bellini I puritani, basata sul «drame historique mêlé de chant» Têtes rondes et Cavaliers (1833) di Jacques-Arsène-François-Polycarpe Ancelot e Joseph-Xavier Boniface Saintine, andato in scena a Parigi il 24 gennaio 1835.
Pepoli modificò profondamente la struttura drammatica, concentrando la vicenda sulla relazione fra i protagonisti, a scapito del contesto storico. L’opera era stata commissionata dal Théâtre royal italien, presso cui due suoi concittadini di nascita o d’adozione avevano avuto ruoli influenti: Carlo Severini, régisseur-général-caissier del teatro, e Gioacchino Rossini, directeur de musique.
Anche se il loro carteggio attesta un’affettuosa amicizia, Bellini ebbe a dolersi dell’inesperienza di Pepoli nella stesura di un libretto; nondimeno la versione finale del libretto fu il frutto di una stretta collaborazione fra il poeta e il compositore, e I puritani riscossero un grande successo anche grazie ai famosi cantanti Giulia Grisi (Elvira), Giovanni Battista Rubini (Arturo), Antonio Tamburini (Riccardo) e Luigi Lablache (Giorgio), poi celebrati come ‘il quartetto dei Puritani’. Nella prima stagione l’opera fu data diciotto volte; la compagnia si trasferì poi a Londra nel maggio 1835, dove Michele Costa concertò l’opera al King’s Theatre, riscuotendo di nuovo un enorme successo di pubblico e di critica. La rapidissima pubblicazione delle riduzioni per pianoforte e degli estratti accrebbe ulteriormente la reputazione di Pepoli come poeta. Bellini e Pepoli produssero una diversa versione dell’opera per un allestimento a Napoli con Maria Malibran e Gilbert Duprez, ma a causa di un’epidemia di colera la partitura arrivò in ritardo; il che offrì al teatro, che versava in angustie finanziarie, un pretesto per rescindere il contratto.
Se Bellini era sostanzialmente apolitico, per Pepoli la scrittura di un melodramma sulla guerra civile inglese a così pochi anni dalle rivolte d’Italia costituì un aspetto importante della sua identità di poeta italiano in esilio: Arturo, nel cantare al terz’atto il destino dell’«esiliato pellegrin», intonava quasi alla lettera un componimento anteriore di Pepoli (della Seta, 2014, pp. 347 s.). Il coro Inno di guerra, che Pepoli voleva dapprima collocare nella prima parte dell’opera, venne inserito alla fine del second’atto, come cabaletta nel duetto dei due bassi; il passaggio, uno dei più famosi duetti nella storia del bel canto, ha per incipit il verso più spesso citato del poeta («Suoni la tromba, e intrepido»). Nella sua lezione inaugurale a Londra Pepoli sottolineò gli intendimenti politici sottesi al suo libretto e descrisse se stesso e Bellini come vittime di censori maligni. I versi di Pepoli In morte di Bellini furono a loro volta uno dei primi contributi alla creazione del mito belliniano, giacché cercavano di leggere l’opera di Bellini in chiave patriottica; in realtà, i riferimenti politici erano, nella migliore delle ipotesi, marginali rispetto all‘assunto dell’opera nel suo complesso. Se i pregi poetici del libretto erano limitati, alcune ricercatezze formali nella versificazione offrirono a Bellini spunti propizi all’invenzione stilistico-musicale. Pepoli aveva una salda conoscenza della storia dell’opera, fin dalle origini seicentesche. Nel suo «discorso accademico» Del dramma musicale indirizzato nel 1830 agli studenti del liceo musicale di Bologna egli si mostrò critico nei confronti di una tradizione in cui la musica non contribuiva più alla costruzione del senso drammatico dell’opera; nello spiegare come la musica possa infiammare la passione politica, Pepoli citò la Marsigliese quale esempio di una composizione che aveva suscitato ‘un grido di libertà’ in un intero continente. Il suo appello a favore di una moderna estetica operistica presentava analogie sorprendenti con la Filosofia della musica di Mazzini; entrambi i lavori furono pubblicati nel 1836, ma Pepoli aveva scritto il suo discorso sei anni prima di pubblicarlo. In seguito il pezzo apparve in diverse ristampe delle Prose e versi.
Bellini mise in musica anche i Quattro Sonetti di Pepoli, uno solo dei quali si è conservato (La ricordanza, datata aprile 1834 e dedicata al conte Anatolio Demidoff). Il talento artistico di Pepoli fu assai apprezzato dai compositori negli anni Trenta dell’Ottocento; un volume di poesie pubblicato a Londra nel 1836 conteneva una lista di musicisti che avevano intonato i suoi versi; tra di essi, insieme a figure meno note, erano Michele Costa, Vincenzo Gabussi, Saverio Mercadante e Ferdinando Paer.
Le liriche da camera di Pepoli più conosciute furono quelle che Gioacchino Rossini scelse per le sue Soirées musicales (Parigi 1835), comprendenti alcune poesie più volte ristampate, come Li Marinari e La danza. Molte di queste liriche furono poi arrangiate per diversi organici vocali e corali ed ebbero numerose riedizioni. Pubblicate e tradotte in tutta Europa, esse rappresentarono un aspetto importante del diffuso successo riscosso dalla poesia di Pepoli. In riconoscimento del suo contributo alla vita musicale, nel 1837 venne nominato membro dell’Accademia di Santa Cecilia a Roma.
Pepoli stilò poi il libretto Giovanna Gray per Nicola Vaccai. Per alcuni aspetti simile ai Puritani, la «tragedia lirica» si fondava su una vicenda storica in voga in età romantica, l’esecuzione per alto tradimento della diciottenne Jane Grey, la ‘regina dei nove giorni’. L’opera fu data per la prima volta al Teatro alla Scala nel 1836 (protagonista Maria Malibran); lo stile di Vaccai non corrispondeva più alle aspettative del pubblico e della critica, ma il cast e la sede della ‘prima’ testimoniavano la reputazione goduta da Pepoli nell’ambiente teatrale. L’anno successivo produsse il libretto per il Malek Adel del compositore napoletano e direttore del King’s Theatre di Londra, Michele Costa. L’opera fu data per la prima volta nel 1837 al Théâtre Italien di Parigi. Il nucleo del cast fu di nuovo il cosiddetto ‘quartetto dei Puritani’.
Basato su un popolare romanzo di Sophie Cottin, Mathilde et Malek-Adel (1805), l’argomento ben si addiceva al gusto orientalista allora in voga in Europa, ma testimoniava nel contempo il cosmopolitismo umanitario di Pepoli. La potente azione drammatica, ambientata nella terza crociata, vedeva il fratello del sultano Saladino e il re di Cipro disputarsi l’amore di Matilde, sorella del re inglese Riccardo Cuor di Leone. Benché il libretto di Pepoli non fosse esente da difetti, i critici imputarono al modesto talento del compositore l’insuccesso dell’opera, fracassosa e povera di ispirazione melodica. Il libretto di Pepoli fu riutilizzato nel 1853 per una «tragedia lyrica» da Ventura Sánchez a Lisbona. Pur essendo un poeta assai richiesto, Pepoli ebbe a scontrarsi con la logica economica dell’industria teatrale londinese: in quanto autore di Malek Adel egli riteneva di detenere il diritto esclusivo di pubblicazione del suo libretto, e quando il direttore del teatro Pierre-François Laporte stampò e smerciò il suo lavoro, Pepoli rivendicò i propri diritti e riuscì a ottenere l’emanazione di un ordine inibitorio. Tuttavia, Laporte si appellò, Pepoli perse la causa, e si vide addebitare 70 sterline inglesi di spese legali (Morning Post, 10 luglio; The musical world, VI (1837), 71, p. 96).
Le liriche da camera su versi di Pepoli sono state ristampate fino ai primi decenni del Novecento; quelle di Rossini, tuttora in repertorio, sono disponibili in numerose registrazioni discografiche.
Opere. Prose e versi, Ginevra 1833; Prose e versi, I-II, Londra 1836; Sulla lingua e la letteratura d’Italia. Una lezione inaugurale, tenuta presso lo University College di Londra il 6 novembre 1838, Londra 1838; Prose e poesie, I-II, Bologna 1880; Ricordanze biografiche. Corrispondenze epistolari, Bologna 1881; Quattro Centurie delle Iscrizioni Italiane di C. P., Bologna 1881; Edizione critica delle opere di V. Bellini, X, I Puritani, opera seria in tre atti di C. P., a cura di F. della Seta, Milano 2013.
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