PIO, Carlo
PIO, Carlo. – Nacque a Ferrara nell’aprile 1622 da Ascanio (1586-1649) di Enea, discendente dall’antico casato feudale dei signori di Carpi e Sassuolo, e dalla nobildonna romana Eleonora di Asdrubale Mattei, marchese di Giove, vedova di Ferrante Bentivoglio di Castel Gualtieri.
Si recò a Roma ancora adolescente, su invito dello zio paterno Carlo Emanuele (1585-1641), cardinale decano del S. Collegio, che intendeva indirizzarlo alla tonsura. Attratto piuttosto dalla carriera delle armi, in cui si erano particolarmente distinti i suoi avi, fece ritorno a Ferrara e divenne capitano delle corazze pontificie (1641). Dopo essere caduto prigioniero delle milizie toscane, in seguito alla battaglia di Mongiovino (1643), durante la prima guerra di Castro (1641-44), intraprese gli studi giuridici, in cui si addottorò nel 1649. In ottemperanza alle ultime volontà di Carlo Emanuele, massimo artefice della rinascita finanziaria e politica del casato, decise infine di seguirne le orme e di fare ritorno a Roma, dove divenne chierico (1650) e quindi tesoriere generale della Camera apostolica (1652).
L’anno seguente acquistò il castello di Tresigallo, a conferma dell’intensità del suo legame con il Ferrarese. Elevato alla porpora durante il pontificato di Innocenzo X, ricevette il titolo di S. Maria in Domnica (1654) e fu legato a Urbino (1654). Dopo la morte del padre (1649) resse di fatto la primogenitura, cui aveva rinunciato per prendere i voti (come già lo zio Carlo Emanuele), e in questa veste fu impegnato in primo luogo a tutelare i crediti vantati dai Pio nei confronti degli Este di Modena, quale indennizzo per la perdita del feudo di Sassuolo (1599). Incapaci di far fronte agli impegni originariamente assunti (1609) per mancanza di liquidità, questi ultimi li avevano rinegoziati tramite la cessione ai Pio delle entrate connesse a San Felice sul Panaro (1647). Pio investì tali ricavi e parte della rilevante eredità dello zio cardinale nell’acquisto del principato laziale di San Gregorio da Sassola e Casape (1655), appartenuto ai Barberini (1632-55), a beneficio dei fratellastri. In tal modo Luigi (1634-65) e Giberto (1639-76), nati dalle seconde nozze di Ascanio con Beatrice di Enzo Bentivoglio (1627), uomini d’arme lungamente vissuti alla corte dell’imperatore Leopoldo I, divennero rispettivamente primo e secondo titolare del maggiorascato Pio e delle nuove prerogative principesche guadagnate da Carlo. In seguito alla pestilenza del 1656, quest’ultimo si adoperò inoltre per ripopolare il piccolo abitato di San Gregorio, e a tal fine fece erigere il convento di S. Maria Nuova e il significativo ampliamento barocco cui è tuttora legato il suo nome (borgo Pio). Si coronava in tal modo, anche sul piano simbolico, lo sforzo tenacemente perseguito dallo zio Carlo Emanuele: ossia il riacquisto di un titolo feudale al quale legare il blasone e il prestigio del casato, ancorati ormai a un orizzonte non più provinciale ma pienamente romano.
Al pari dei suoi fratelli, anche Carlo non poté tuttavia direttamente occuparsi del principato. Nominato vescovo della natia Ferrara (1655), diocesi da anni vacante, vi fece ritorno e sulle orme dei suoi predecessori (Lorenzo Magalotti, 1628-37, e Francesco Machiavelli, 1638-53) improntò il suo governo al pieno rispetto dei dettami tridentini (visita pastorale del 1656, rinnovate iniziative assistenziali). Fu inoltre promotore delle lettere e delle arti. Nel 1662, anno in cui divenne protettore dell’Impero, siglò con gli Este di Modena un nuovo lodo relativo all’annosa lite di Sassuolo, reclamando ancora, in nome e per conto dei suoi fratelli e della loro discendenza, il mancato saldo dell’indennizzo pattuito.
Di salute malferma, rinunciò quindi alla diocesi ferrarese e fece ritorno a Roma (1663), dove ottenne nuove e laute prebende (di S. Eustachio nel 1664, di S. Prisca nel 1667, di S. Crisogono nel 1675). A partire dal 1667, si impegnò nel completo rifacimento del palazzo di piazza del Biscione, acquistato nel 1652 da Pietro Giordano Orsini, duca di Bracciano, per 39.000 scudi, e ne affidò il progetto a Camillo Arcucci (successore di Borromini nel vicino cantiere del convento degli oratoriani). Sacrificò a tal fine la grande proprietà alle pendici del colle Esquilino ereditata dallo zio Carlo Emanuele, alienandola in favore del conservatorio delle zitelle mendicanti (1660).
Forte del suo accresciuto peso politico, continuò frattanto a spendersi per la continuità e l’elevazione del casato, poste nuovamente in bilico dalla morte senza eredi di Luigi (1665). Si adoperò pertanto in favore delle nozze tra Giberto e Juana de Moura Corte Real y Moncada (1668), figlia di Francisco, grande di Spagna, marchese di Castel Rodrigo e duca di Nocera. Da questa unione nacque Francesco (1672-1723), ancora fanciullo alla morte di Giberto (1676). In suo nome Pio, divenuto camerlengo del S. Collegio (1671) e prefetto della congregazione del Buon Governo, tornò custode dei diritti di primogenitura e del principato di San Gregorio. Lo coadiuvò in questa veste Enea, il più giovane dei suoi fratellastri, l’unico che lo seguì a Roma (dove divenne uditore di Rota). Nel 1681 Pio ottenne inoltre la titolarità di S. Maria in Trastevere e poco dopo venne creato cardinale vescovo della diocesi sabina (1683).
Morì a Roma nel febbraio 1689 e fu sepolto nella chiesa del Gesù, accanto allo zio Carlo Emanuele.
Nominò suo erede universale il nipote Francesco, cui trasmise un ottimo patrimonio, unitamente a preziose collezioni di arte e antichità. La figura di Pio è infatti anche legata alla memoria di una quadreria e di una biblioteca celebri già presso i contemporanei, menzionate nelle principali guide di Roma, ammirate anche da Cristina di Svezia, che visitò palazzo Pio in occasione dei numerosi concerti di cui esso fu scenario.
Pio trasferì a Roma il primo nucleo delle raccolte del palazzo ferrarese di via degli Angeli, costituito dal padre e dallo zio cardinale (entro cui si segnalavano dipinti di Francesco Francia, Dosso Dossi, Ippolito Scarsella, detto Scarsellino, e Iacopo Bassano), lo unificò alle opere di cui si erano frattanto arricchite le dimore romane di quest’ultimo (il palazzo di piazza de’ Fornari, la dimora suburbana dei Pantani esquilini) e lo implementò con significativi acquisti, anche frutto dell’intenso interscambio sociale e politico tessuto dai Pio con i maggiori esponenti del collezionismo romano (Mattei di Giove, Barberini, Del Monte, Pamphili, Ludovisi, Chigi). La quadreria di Carlo, fiore all’occhiello delle collezioni Pio, giunse così ad annoverare opere di Guercino, Veronese, Caravaggio (la Buona ventura, già appartenuta al cardinale Francesco Maria Del Monte, e il San Giovanni Battista), Rubens (Romolo e Remo), Domenichino (la Sibilla Cumana), Reni, Correggio, Tiziano, Tintoretto, Giorgione. Dipinti in massima parte confluiti nella Pinacoteca capitolina per volontà di Benedetto XIV (1740-58); acquisizione che riguardò anche numerosi manoscritti della libreria Pio, per lo più concernenti materie politiche, oggi parte dei fondi dell’Archivio segreto Vaticano (Fondo Pio).
Fonti e Bibl.: Città del Vaticano, Archivio segreto Vaticano, Fondo Pio, 28.
G.P. Bellori, Nota delli musei, librerie, gallerie et ornamenti di statue, e pitture nelle case e ne’ giardini di Roma, Roma 1664, ed. a cura di E. Zocca, Roma 1976), pp. 100 s.; L. Barotti, Serie de’ vescovi e arcivescovi di Ferrara, Ferrara 1781, pp. 128-130; L. Ughi, Dizionario storico degli uomini illustri ferraresi nella pietà, nelle arti e nelle scienze, II, Ferrara 1804, pp. 113 s.; C. Botta, Storia d’Italia continuata da quella del Guicciardini sino al 1789, XX, Milano 1835, p. 676; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, XXIII, Venezia 1843, p. 181; F. Pasini Frassoni, Dizionario storico-araldico dell’antico ducato di Ferrara, Bologna 1914, pp. 433 s.; P. Litta, Famiglie celebri italiane, II, Torino-Milano 1939, tavv. 1-7; L. Montalto, Un mecenate in Roma barocca, Firenze 1955, pp. 312, 534; P.G. Baroni, Un cardinale del Seicento, Bologna 1969, pp. 20-22; S. Guarino, La Pinacoteca Capitolina dall’acquisto dei quadri Sacchetti e Pio di Savoia all’arrivo della Santa Petronilla del Guercino, in Guercino e le collezioni capitoline, a cura di S. Guarino - P. Masini - M.A. Tittoni, Roma 1991, pp. 43-47; Quadri rinomatissimi. Il collezionismo dei Pio di Savoia, a cura di J. Bentini, Modena 1994, passim; A. Cremona, Il palazzo di Eurialo Silvestri ad Templum Pacis, in Ricerche di storia dell’arte, XCVII (2009-10), pp. 17-34; C. Vicentini, La collezione di Ascanio Pio di Savoia fra Ferrara e Roma, in Paragone, XLII (2011), s. 3, 95 (731), pp. 67-80.