PISANI DOSSI, Carlo
PISANI DOSSI, Carlo. – Nacque a Pavia il 7 maggio 1780 dal nobile Gelasio Vincenzo e da Maria Rosalia dei baroni de Hölly von Niedermensdorff.
I Pisani Dossi erano un’antica famiglia di giureconsulti originaria di Alessandria, il cui status aristocratico era stato riconosciuto dal tribunale araldico della Lombardia austriaca pochi anni prima, nel 1771. Alla fine del Seicento, Lodovica Sozzi, vedova di Ottavio Pisani, aveva sposato Domenico Dossi, che lasciò in eredità al figliastro Lorenzo Pisani sia il suo cognome sia il suo patrimonio.
Non ancora ventenne, Pisani Dossi inneggiò agli ideali della Rivoluzione francese «quand se portava in coo el barettin ross come i galantommen de galera», come ricordato in un irriverente bozzetto biografico dal nipote Alberto Carlo, noto come Carlo Dossi, importante figura di scrittore, politico e diplomatico del secondo Ottocento.
Colonnello ai tempi del napoleonico Regno d’Italia, comandante in capo della guardia d’onore di Pavia, con la Restaurazione Carlo Pisani Dossi divenne guardia nobile austriaca e cavaliere dell’Ordine mauriziano. «Ingegno rozzo, arrogante, prodigo. Bevitore d’intere vendemmie […]. Fu tra i primi a ballare intorno all’albero della libertà a Pavia; tra i primi a caracollare intorno a Napoleone Imperatore, e poi a Francesco I» (Dossi, 1955, nota 2871).
Ricco possidente fondiario, con terre in Lomellina e nell’Oltrepò pavese, nel 1821 prese parte al tentativo insurrezionale di Genova, e a Voghera fu tra i protagonisti del moto rivoluzionario piemontese ispirato alla costituzione di Cadice del 1812. Con Costantino Mantovani, avo dell’omonimo deputato repubblicano, fu accusato di alto tradimento per aver cospirato a favore della causa liberale, attirando proseliti, e nel 1823 fu condannato a morte in contumacia dal tribunale di Milano. Tra i principali capi d’imputazione vi era l’appartenenza ai Federati, l’associazione segreta nata dalla concentrazione e dal coordinamento delle sette piemontesi e lombarde, che ebbe parte attiva negli eventi del 1821. Al riguardo, fu in contatto, fra gli altri, con il conte Federico Confalonieri, che pare fosse rimasto nei suoi confronti alquanto passivo.
In quello stesso 1821 fuggì all’estero, passando dall’Inghilterra alla Francia, alla Svizzera, sempre ricercato dalla polizia. Fuori confine, a stretto contatto con gli ambienti dell’emigrazione politica, convertì le iniziali inclinazioni repubblicane al costituzionalismo monarchico e nel 1831 fu tra i fautori della mancata spedizione in Savoia. A capo della setta cospirativa degli Indipendenti, società d’ispirazione carbonara diffusa in Savoia e in Piemonte e organizzata come i Federati del 1821, nel 1832 partecipò a Locarno e a Cadenazzo a riunioni segrete promosse da varie organizzazioni di esuli, al fine di proporre un’azione più coordinata e incisiva. Passò poi su posizioni vagamente mazziniane, sempre però rigettate da Mazzini stesso, esprimendo in ogni momento «un fervore d’iniziativa e una decisa volontà di autonomia» rispetto al capo, che a quest’ultimo «d[ava] ombra» (Ferretti, 1948, p. 158). Nell’autunno del 1832 propose un congresso a Bellinzona nel tentativo di fondere gli Indipendenti con la Giovine Italia, idea subito respinta da Mazzini, che riteneva il gruppo di Pisani Dossi fatto null’altro che da «gente incapace» (Passamonti, 1930, p. 358). Nell’agosto del 1833, in un congresso a Ginevra palesò l’intenzione d’intraprendere una nuova spedizione in Savoia, cosa che avvenne l’anno successivo grazie al suo cospicuo finanziamento: a lui furono girate le cambiali rilasciate da Cristina di Belgioioso a Tolone quale proprio personale contributo, e nella sua casa di Carouge, presso Ginevra, si rifugiarono i superstiti dopo il fallimento anche di questa seconda impresa.
Per l’occasione, pare si fosse inteso con i bonapartisti allo scopo di raccogliere mezzi, e anzi, stando sempre alla testimonianza del nipote, «Napoleone non ancora 3° gli donò un anello d’oro con su scritto honneur, fidelité, patrie (vacue promesse) dicendogli, che quando avrebbe rivendicato il suo trono, avrebbe ricompensato lui o qualunque della sua famiglia che gli si fosse presentato con detto anello. Beauharnais gli avea donato il suo sigillo di acciaio» (Dossi, 1955, nota 2871). Capace di atti assai generosi, provvide gli esuli connazionali «di scarpe – come [Giuseppe] Arconati [Visconti] li provvedeva di giubbe – altri di calzoni» (ibid., nota 1897).
Nel 1840 ottenne l’amnistia e tornò a Pavia «mezzo tedesco» (ibid., nota 2871). Nel 1848 – come raccontato ancora da Carlo Dossi nello sforzo incessante di mettere in luce la stravaganza del nonno – vestiti a Balsamo (l’attuale Cinisello Balsamo, in provincia di Milano) «quaranta villanelli da soldatini, con aste di latta a banderuole tricolori, si spassava a far lor fare l’esercizio – stando egli seduto sotto un gran padiglione a colonne d’oro e tende rosse, coi leoni pur d’oro» (ibid.).
Fu abilissimo negli affari, tant’è che, dopo aver dissipato il patrimonio paterno, seppe ricomporlo e raddoppiarlo, arrivando a possedere «case e fondi per più di 2 milioni» (ibid.) di lire milanesi.
Sposato dal 1806 con Luigia Milesi, sorella di Bianca, patriota, pittrice e letterata, fu in famiglia «dispoticissimo».
«La ricevuta del modico sussidio mensile da lui accordato a’ suoi figli dovea esser redatta così: “Dichiaro io sottoscritto di aver ricevuto dall’Ill.mo mio S.r padre Cav. D.n Carlo la somma di milanesi lire tante (dico L...) da lui accordatami per atto di sua spontanea generosità e di cui mi professo e mi professerò eternamente riconoscente. – Obb.mo Um.mo figlio Tal dei tali” – E guai se uno dei figli, parlando di qualche oggetto di casa dicesse mio! – Un dì, Zio Gaetano, uscì a dire “mia moglie...” – “come tua?” – fece con ira Don Carlo, ma poi, ravvedendosi “Ah! questa te la lassi!” – E così, il nostro democraticone dell’albero della libertà, era aristocraticissimo» (ibid.).
Libertino, in lite perenne con la moglie, manifestò in pubblico grande liberalità.
Morì a Milano il 28 gennaio 1852.
Ebbe sei figli, fra i quali: Gaetano, Giuseppe, Elena, Angioletta (1810-1844), sposatasi con il nobile avvocato Antonio Massa, sindaco di Zenevredo, nel Pavese, e deputato al primo Parlamento del Regno di Sardegna nel 1848.
Fonti e Bibl.: Corbetta (Milano), Archivio privato della famiglia Pisani Dossi; A. Sandonà, Contributo alla storia dei processi del Ventuno e dello Spielberg. Dagli atti officiali segreti degli archivi di Stato di Vienna e dal carteggio dell’imperatore Francesco I co’ suoi ministri e col presidente del Senato Lombardo-Veneto del Tribunale supremo di giustizia, 1821-1838, Torino-Milano-Roma 1911, pp. 106 s.; A. Neri, Una lettera di Bianca Milesi Mojon, Genova 1915, p. 10; I costituti di Federico Confalonieri, a cura di F. Salata, Bologna 1940, I, pp. 122, 126, 129 (con ulteriori indicazioni di carattere bibliografico e archivistico); II, pp. 48, 69, 152, 162; I costituti di Federico Confalonieri, a cura di A. Giussani, IV, Roma 1956, pp. 34 s., 62, 89, 118, 183, 187.
R. Soriga, Voghera e la rivoluzione piemontese del 1821, in Bollettino della Società pavese di storia patria, XXI (1921), 1-2, pp. 79-88; Id., Pavia e i moti del 1821, in La Lombardia nel Risorgimento italiano, XIII (1928), 14, pp. 49-68; Id. La prima spedizione di Savoia e il cavaliere C. P. D. (24-25 febbraio 1831), ibid., XIV (1929), 16, pp. 57-68; V. Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, V, Milano 1932, pp. 396 s.; C. Dossi, Note azzurre, a cura di D. Isella, Milano-Napoli 1955, ad ind. (in partic. nota 2871); G. Martinola, Gli esuli italiani nel Ticino, I, 1791-1847, Lugano 1980, pp. 53, 176-190; C. Dossi, Autodiàgnosi quotidiana, a cura di L. Barile, Milano 1984, ad ind.; F. Della Peruta, Luigi Tinelli e la Giovine Italia 1831-1833, in I Tinelli. Storia di una famiglia (secoli XVI-XX), a cura di M. Cavallera, Milano 2003, pp. 54 s.; C. Agliati, P. D., C., in Dizionario storico della Svizzera, IX, Locarno-Basel 2010, ad vocem (disponibile anche on-line: http:// www.hls-dhs-dss.ch/index.php, 22 giugno 2015). Svariati cenni sull’attività cospirativa di Carlo Pisani Dossi si trovano anche nei seguenti studi: C. Cantù, Della indipendenza italiana. Cronistoria, II, Torino 1873, pp. 203, 205, 210, 213; G. La Cecilia, Memorie storico-politiche dal 1820 al 1876, I, Roma 1876, pp. 171 s.; P.P. Trompeo, Nell’Italia romantica sulle orme di Stendhal, Roma 1924, pp. 130, 140 s.; R. Rampoldi, Pavia nel Risorgimento nazionale. Note cronologiche, Pavia 1927, pp. 8, 45, 191, 205, 258; E. Passamonti, Nuova luce sui processi del 1833 in Piemonte, Firenze 1930, passim; Elenchi di compromessi o sospettati politici. 1820-1822, a cura di A. Alberti, Roma 1936, p. 86; G. Ferretti, Esuli del Risorgimento in Svizzera, Bologna 1948, p. 158; A. Saitta, Filippo Buonarroti. Contributi alla storia della sua vita e del suo pensiero, I, Roma 1950, pp. 230 s.; M. Leenders, Ongenode gasten. Van traditioneel asielrecht naar immigratiebeleid, 1815-1938, Utrecht 1973, pp. 75, 78-80; Federico Confalonieri aristocratico progressista, a cura di G. Rumi, Milano-Roma-Bari 1987, pp. 111, 122, 149; G. Talamo, Società segrete e gruppi politici liberali e democratici sino al 1848, in Storia di Torino, a cura di U. Levra, VI, La città nel Risorgimento, 1798-1864, Torino 2000, p. 485; A. Arisi Rota, Il processo alla Giovine Italia in Lombardia (1833-1835), Milano 2003, pp. 25-57.