POERIO, Carlo
Patriota e uomo politico, fratello del precedente, nato a Napoli il 13 ottobre 1803, morto a Firenze il 28 aprile 1867. Adolescente, seguì il padre nell'esilio in Toscana, in Francia, in Inghilterra, e tornato a Napoli (1833), esercitò l'avvocatura all'ombra dell'autorità paterna, compiendo a un tempo larghi studî di storia del diritto, specialmente internazionale, e delle costituzioni politiche. Di sentimenti schiettamente liberali, il P. fin d'allora si dimostrò avverso a moti in senso repubblicano e mazziniano; ma la sua personalità era troppo in vista, anche per tradizioni di famiglia, perché il governo borbonico non lo ritenesse se non del tutto complice, almeno favorevola a mene cospiratorie; e quando nel 1837 in Abruzzo, nel 1844 e 1847 in Calabria, avvennero moti insurrezionali, la polizia lo trasse in arresto, sospettandone la partecipazione, pure rimettendolo poco dopo in libertà. Nel gennaio del 1848, in casa del P., considerato ormai il capo del partito liberale napoletano, convenivano i più autorevoli rappresentanti del partito stesso, per discutere intorno alla forma da dare a memoriali e programmi da presentare al sovrano, in vista di una costituzione che si riteneva imminente; e quando questa, per consiglio del P. al sovrano, che lo incaricò di stenderne il programma, fu concessa, e si formò un ministero liberale, il P. vi ebbe dapprima la carica di direttore di polizia, poi il portafoglio dell'Istruzione. In quel ministero ebbe parte preponderante. Alla vigilia del giuramento, quando il re passava in rivista la guardia nazionale, propose, per incarico dei ministri, che le bandiere fossero fregiate del tricolore; e propose pure la formazione di una lega italiana, redigendo infine, il 6 marzo, il decreto riguardante le concessioni da fare ai Siciliani compatibilmente col principio dell'unità del regno. Si dimise dopo i fatti del 15 maggio, ai quali non fu partecipe e che anzi deprecò; e sedette nella nuova camera eletta il 10 luglio, rimanendo in buone relazioni con Ferdinando II, dal quale, sedata l'insurrezione calabrese del giugno precedente, da lui condannata, ottenne che la pena di morte di due che vi avevano preso parte (Giacomo Longo e Mariano Delli Franci) non fosse eseguita. Nell'ottobre del 1848 declinò l'offerta fattagli dal Gioberti di aderire al Congresso federativo che si teneva in Torino, ritenendolo pericoloso "nella condizione d'Italia d'allora" e fu assiduo alle sedute della Camera, che fu sciolta il 12 marzo 1849. Tornata la reazione nel regno di Napoli, su di lui s'appuntarono le persecuzioni della polizia, che lo considerava il più pericoloso rappresentante del liberalismo napoletano. Arrestato il 17 luglio 1849 su denuncia di due impunitarî, che lo dichiararono ascritto alla setta dell'Unità Italiana, con sentenza del 1° febbraio 1851, in seguito a processo nel quale il P. si contenne con coraggio e dignità, fu condannato a 24 anni di ferri, che in parte trascorse nei bagni penali di Montefusco e di Montesarchio. Liberato il 15 gennaio 1859, con i sessantasei condannati politici destinati ad essere deportati in America e che invece riuscirono a scendere a Cork, in Irlanda, egli andò a Londra, e subito dopo la dichiarazione di guerra all'Austria si recò a Torino, dove, in un colloquio che ebbe col conte di Cavour insieme con lo Scialoja, si dichiarò contrario a una eventuale alleanza del Piemonte con Napoli. Eletto deputato al Parlamento subalpino per la VII legislatura, sedette alla Camera per tutta la X. Liberato il Napoletano, il P. rifiutò l'offerta di un portafoglio fattagli dal Cavour; e visse gli ultimi anni di vita afflitto da malattia contratta nella sua lunga relegazione.
Bibl.: S. Baldacchini, Della vita, de' tempi di C. P., Napoli 1867; A. U. Del Giudice, I fratelli P., Torino 1899; B. Croce, Una famiglia di patriotti, Bari 1919; G. Paladino, Il processo per la setta l'"Unità Italiana" e la reazione borbonica dopo il 1848, Firenze 1928; A. Monaco, I galeotti politici dopo il Quarantotto, Roma 1932.