RAMPINI, Carlo
RAMPINI, Carlo. – Nacque a Caresana Vercellese il 25 ottobre 1891 da Pietro e Rosa Crivelli, entrambi nati nel 1865 e originari della Lomellina.
La famiglia si sosteneva con la fabbricazione di mattoni in una fornace a Pezzana, nel basso Vercellese, e coltivava il riso sugli stessi terreni che, sbancati dello strato di terra rossa utile ai mattoni, venivano adibiti a risaie. Carlo crebbe facendo il contadino assieme ai quattro fratelli, tutti footballeurs per divertimento: Giuseppe (Rampini I, il maggiore, nato nel 1889), Luigi (Rampini III, 1894), Cesare Alessandro (Rampini IV, 1896) e Pio (Rampini V, 1901). Aveva anche una sorella, Piera, nata nel 1908, mentre un quarto fratello, Pietro, morì prematuramente all’età di tre anni nel 1915.
Nel 1903, il dodicenne Rampini assistette alla fondazione della sezione football dell’Unione sportiva vercellese, costituita da Marcello Bertinetti, capitano e centravanti, argento nella sciabola a squadre ai Giochi olimpici di Londra del 1908, da Ettore Berra, poi grande giornalista sportivo, e da Giuseppe Milano. La leggenda attribuisce proprio a Rampini l’adozione delle bianche casacche della Pro Vercelli, abbinate ai classici calzoncini neri. La società, infatti, aveva comperato una muta di maglie a sottili strisce bianconere, che dopo i primi lavaggi subito stinsero; a quel punto, Carlo propose: «Tutti abbiamo a casa una camicia bianca: giochiamo con quella!».
Piccolo di statura e dai tratti somatici vagamente orientali (un’altra leggenda, che ancora circola insistente nella famiglia Rampini, afferma che la bisnonna materna avesse qualcosa in comune con quei gruppi di cinesi che si erano interessati alla coltura del baco da seta nella Lomellina), Carlo giocava nel ruolo di interno sinistro. Veloce ed estremamente agile, dopo gli allenamenti tornava nella sua cascina saltando un paracarro dopo l’altro. Abile nei dribbling, i suoi tiri, potenti e difficili da intercettare, erano effettuati preferibilmente con il piede mancino, spesso dalla distanza, e costituivano una delle armi migliori a disposizione della Pro Vercelli. Di lui si ricorda una media di realizzazione invero straordinaria, anche per quei tempi pionieristici: 109 reti in 99 presenze.
Questa messe copiosa era il frutto di uno speciale accordo che il presidente e mecenate del Club, Luigi Bozino, aveva stretto con il giocatore: una scatola di sigari pregiati per ogni pallone entrato nella porta avversaria. Ma Rampini rivendeva i sigari di nascosto e passava il ricavato al compagno di squadra Luigi Corna, che ne aveva bisogno per pagare le medicine al fratellino Carlin, malato di asma. Per questo motivo, gli avversari della Pro, disturbati dalla prolificità eccessiva del contadino-cannoniere, accusarono il vercellese di «leso dilettantismo».
Giocando già dall’età di 16 anni nelle file della squadra maggiore della Pro Vercelli, Carlo, che nelle cronache coeve era diventato Rampini I (Rampini II, infatti, era divenuto il fratello minore Cesare Alessandro, detto Sandro), si aggiudicò cinque campionati nazionali dal 1908 al 1913. Che non furono sei di fila perché nel 1910, allorché i piemontesi finirono a pari punti in classifica con l’Internazionale Football Club di Milano, la partita di spareggio, fissata a Vercelli il 24 aprile, vide scendere in campo la formazione junior della Pro dal momento che diversi fra i titolari, quello stesso giorno, erano impegnati in un torneo militare. Fu giusto Rampini II a capitanare la squadretta di minorenni, e si presentò, sfrontato, al capitano interista, il terribile Virgilio Fossati, regalandogli al momento del sorteggio una lavagnetta e un gessetto: «Per segnare tutti i gol che ci farete!». In effetti, la bizzarra tenzone si concluse 10 a 3 per i nerazzurri, tra i cachinni del pubblico e le mille polemiche a seguire.
I giocatori vercellesi, in un’epoca in cui il football, nel Regno d’Italia, era un loisir poco conosciuto e assolutamente dilettantistico, sovente organizzavano le loro trasferte partendo in gruppo in bicicletta dalla piazza principale. Lungo la strada, le volte che si andava verso sud, a Genova o ad Alessandria, raccoglievano i fratelli Carlo e Sandro Rampini, dai quali, poi, ci si aspettava qualcosa di più in combattimento, per via che avevano risparmiato energie pedalando di meno. Lo stile delle ‘bianche casacche’ era caratteristicamente sbrigativo, ricco di estro e iniziative. Si basava sul fiato e sulla solidità degli atleti, molti dei quali venivano dal tradizionale gioco del pallone elastico, che sviluppava i muscoli del torso e delle braccia. Rampini I era uno dei punti di forza, unitamente al capitano Giuseppe Milano, centrosostegno energico e carismatico, e ai due mediani Guido Ara e Pietro Leone. Insieme con questi suoi compagni, e con altri elementi parimenti valenti e orgogliosi, Rampini fece il suo ingresso nelle file della Nazionale, poco dopo che questa venne costituita nel 1910, e debuttò il 1° giugno 1911 all’Arena di Milano, in un match perso 1-0 con l’Ungheria.
Giocò quindi altre sette partite, mettendo a segno tre reti, tutte, a detta del segretario della Federazione italiana giuoco calcio (FIGC) Vittorio Pozzo, degne di nota in quanto a tecnica. La prima la realizzò alla Francia, a Parigi il 9 aprile 1911; le altre due sempre ai francesi, a Torino, il 17 marzo 1912. In un’occasione, il 1° maggio 1913 allo stadio nazionale, edificato per celebrare il cinquantenario dell’Unità d’Italia, avversari i rossi del Belgio, la compagine azzurra venne formata da nove elementi della Pro – nati per di più nella provincia di Vercelli – su undici, rimanendo foresti soltanto il milanista Renzo De Vecchi e il doriano Attilio Fresia. L’Italia vinse 1-0 e il pubblico, per metà composto da vercellesi in gita nel capoluogo della Regione, sciamando dallo stadio commentò che la Pro Vercelli, il team di football di una cittadina di 30.000 abitanti, aveva battuto la nazione del Belgio.
Quella contro il Belgio fu l’ultima volta in maglia azzurra per Rampini I, che nel 1915 si ritirò dalle scene agonistiche. Conclusa la Grande Guerra, con il fratello Sandro si recò in Brasile, a lavorare in una fazenda di parenti emigrati, da dove fece ritorno nel 1920. Unitosi in matrimonio con Dorina Bussi, ebbe nel giugno del 1921 il primo figlio Ezio, seguito nel 1925 dal secondogenito Piero. Durante il ventennio fascista Rampini, che pure possedeva un diploma di geometra, si dedicò al mestiere di agricoltore. Nel secondo dopoguerra militò nelle file del Partito socialista italiano, ricoprendo incarichi politici di natura minore e in ambito locale.
Morì a Vercelli il 28 marzo 1968.
Fonti e Bibl.: E. Berra, Gli undici vercellesi, in La grande storia del calcio italiano, f. 1 (20 dicembre 1964), pp. 17-21; S. Robutti, Pro Vercelli. Storia del calcio vercellese dalle origini ai giorni nostri, Biella 1974, pp. 12-48; G. Brera, Storia critica del calcio italiano, Milano 1975, pp. 36-39; A. Fasano, La Nazionale 68 anni di storia, Torino 1978, pp. 13-21; V. Console, Il calcio locale piemontese e la Nazionale italiana, in Azzurri 1990. Storia bibliografica emerografica iconografica della Nazionale italiana di calcio e del calcio a Torino, Roma 1990, pp. 83-92; C. R., in Dizionario del calcio, a cura della redazione della Gazzetta dello sport, Milano 1990, p. 147; A. Papa - G. Panico, Storia sociale del calcio in Italia. Dai club dei pionieri alla nazione sportiva (1887-1945) , Bologna 1993, pp. 66 s.; M.F. Zacconi, A.S.D. ginnastica Pro Vercelli 1892, in Lancillotto e Nausica, XXV (2003), 3, pp. 62-69.