SADA, Carlo
– Nacque a Bellagio (Como) il 14 maggio 1809 (De Amicis, 1879, s.p.), avviandosi presto agli studi artistici presso l’Accademia delle belle arti di Brera dove, a partire dal 1822, iniziò a seguire i corsi di architettura tenuti da Carlo Amati (1776-1852). Ebbe maestri anche Luigi Sabatelli (1772-1850) per la prospettiva, Domenico Moglia (1780-1862), e Ferdinando Albertolli (1781-1844) per l’ornato architettonico.
Presso l’Accademia si aggiudicò premi nei concorsi di architettura nel 1827 e 1830 ma, soprattutto, assorbì l’impostazione del tardo neoclassicismo, che aveva in Carlo Amati e negli Albertolli gli artefici di una robusta normazione mediante l’abbondante produzione di opere teoriche – la traduzione del De Architettura di Vitruvio di Amati è del 1830 – che da una parte irrigidivano e cristallizzavano le possibilità compositive rivolte al mondo antico, dall’altra le rendevano acquisite e dunque superabili e commisurabili alle esigenze degli Stati moderni che si andavano configurando dopo la Restaurazione. In quegli anni l’Accademia di Brera formava infatti tecnici-artisti in grado di rispondere alle richieste di amministrazioni in cerca di rinnovate identità formali – nel segno della continuità con l’Ancient Régime – e a quelle di privati che pretendevano di connotare rifacimenti e nuove costruzioni con caratteri di riconoscibilità a seconda della loro provenienza: vecchie e nuove aristocrazie, anche finanziarie, ambienti novatori o conservatori. Fu il percorso compiuto da Sada, che ancora negli anni conclusivi dei suoi studi, iniziò un alunnato presso lo studio del bolognese Pelagio Palagi, allora impegnato nel progetto di palazzo Arese a Milano (1830 circa) e nei lunghi lavori per la villa Traversi a Desio (dal 1817), occasioni di confronto con richieste aggiornate e stringenti che aprivano la progettazione anche a linguaggi non classici. Sempre allora Sada si cimentò con il primo progetto d’autore: il rifacimento, in chiave classicista, del palazzo e della villa Bolsesio (ora Mina-Bolzesi) a Cremona (1828-30 circa).
L’incontro con Palagi segnò la vera accelerazione nella carriera di Sada: il maestro lo portò con sé in occasione dell’incarico ricevuto da Carlo Alberto di Savoia per il progetto di riplasmazione della residenza dei Savoia-Carignano a Racconigi (1832), incarico che gli valse a Torino un ruolo di progettista e didatta fortemente integrato nelle politiche edilizie e negli orientamenti artistici del sovrano piemontese. A sua volta Sada mise a frutto le collaborazioni con Palagi nei cantieri per le tenute di Pollenzo (1835-37) e Racconigi (1844-48), intessendo rapporti personali e professionali che ne fecero uno dei progettisti più attivi nel Regno di Sardegna.
Del 1837 è il progetto per la Società del tiro a segno a Torino, nel generale quadro di utilizzo dell’area intorno al castello del Valentino e al fiume Po come parco pubblico urbano che sarebbe stato pianificato solo negli anni Sessanta.
La vicinanza di Sada a Palagi, recepito dai committenti più come raffinato decoratore che come architetto, gli fruttò poi l’incarico di rinnovo del decoro del teatro Carignano (1838-45), sala all’italiana costruita nel terzo quarto del Settecento su progetto di Benedetto Alfieri, andata parzialmente distrutta in un incendio nel 1786 e rapidamente ricostruita nelle parti mancanti dagli architetti Ferroggio già alla fine dello stesso anno. Ai successivi lavori di adeguamento ai nuovi usi – anche borghesi – avviati con la Restaurazione, si aggiungeva la necessità di un aggiornamento figurativo, per il quale Sada applicò gli insegnamenti della scuola di ornato di Brera. Affiancato da Francesco Gonin, Luigi Vacca, Giuseppe Bogliani e Giuseppe Gaggini, tutti artisti attivi nella rinnovata Accademia Albertina, Sada profuse tutto il repertorio delle decorazioni classiciste: rosette e foglie di acanto inquadrate in lacunari, fregi geometrici a rincorrere e a motivi vegetali, oltre a figure mitologiche legate al teatro, riprese anche nella pittura del plafone, Il trionfo di Bacco, dovuto a Francesco Gonin.
Il 1841 rappresentò un anno di svolta sia per le mansioni sia per le commesse: Sada fu nominato architetto della Real Casa di Savoia per i palazzi regi, e incaricato dall’amministrazione cittadina del progetto di ampliamento del cimitero Monumentale di Torino, già ultimato nel 1829 secondo le indicazioni di Gaetano Lombardi (1793-1868).
L’ampliamento, alle spalle del recinto quadrato originario, si configura come un grande spazio rettangolare completato da tre emicicli a definire una sorta di abside giustapposta allo spazio più antico, il tutto circondato da portici ad accogliere tombe e cappelle. La scansione di quella che è stata definita un’opera «squisitamente neoclassica» (Cavallari-Murat, 1982, p. 622), con l’utilizzo dell’ordine dorico-greco (senza base e a colonne scanalate), permette molteplici variazioni – di dimensioni, di struttura (colonne accoppiate con archi), di funzioni in termini di stoà o pronai – e dunque, con minimo dispendio, di conferire la dignità, pur nella mestizia del luogo, allo spazio per le sepolture, in una logica di modularità replicabile.
Fu quello il decennio di attività più intensa, che vide Sada impegnato in una progettazione minuta per la casa regnante, nella riplasmazione di una parte di isolato del centro cittadino per ricavarvi una residenza per sé e la moglie Matilde Viale (in contrada degli Argentieri 10, attuale via S. Tommaso, 1845-46), sposata in quegli anni e che gli diede un figlio, Carlo Sada jr. (1849-1924), anch’egli architetto attivo soprattutto nell’Italia del Sud, e nella pratica dei concorsi di architettura, conquistando due tra i più importanti incarichi della sua carriera. Nel 1843, nel complessivo intervento dell’amministrazione torinese per la pianificazione e costruzione del Borgo Nuovo – l’area che era risultata nello spazio compreso tra il sedime della cinta muraria demolita all’inizio del secolo per decreto napoleonico e il fiume –, oggetto di forti pressioni da parte del nascente immobiliarismo, venne bandito un concorso per la progettazione di una nuova chiesa (S. Massimo) cui avrebbe fatto capo l’intero borgo. Il progetto di Sada, firmato insieme a Giuseppe Leoni (1803-63), giovane architetto ticinese ben introdotto nelle dinamiche dello sfruttamento immobiliare dell’area, gestito da gruppi professionali e familiari provenienti dalla regione dei laghi, risultò vincitore, nonostante venissero richieste diverse variazioni dalla commissione valutatrice.
Il risultato, «un palazzo tra i palazzi» (Cavallari-Murat, 1982, p. 630), perché perfettamente allineato nel reticolo viario del nuovo borgo pianificato, è una chiesa a croce latina molto allungata, quasi ad aula, con i bracci del transetto posti al centro della navata e il presbiterio speculare al volume dell’ingresso.
In corrispondenza dell’incrocio è posta una cupola innestata sull’estradosso della volta a botte di copertura e con alto tamburo abbracciato da una sequenza di colonne, di altezza equivalente alla calotta semisferica. La conformazione complessiva dell’articolazione interna costituisce una variazione del modello delle chiese ad aula ipostile con copertura a botte, di provenienza francese (il modello più noto è il Saint-Philippe-du-Roule a Parigi, di Jean-François Chalgrin, 1767), elaborato e applicato in più occasioni fin dagli anni Trenta, anche se in modo molto più ortodosso, da Giuseppe Talucchi (1782-1863), il vero volano del linguaggio classicista in Piemonte. Il collocamento della cupola in posizione arretrata rispetto al filo della facciata, che dallo slargo prospiciente la chiesa non è visibile, denota l’attenzione di Sada a evitare alcuni dei difetti condannati dai più scrupolosi osservatori del canone classico, ad esempio Francesco Milizia (i Principi di architettura civile sono del 1785), come il controsenso strutturale che deriverebbe dal posizionamento di una cupola in corrispondenza di un frontone; il frontone allude infatti a un tetto a falde che non tollera il peso della cupola. In tal modo la facciata sulla strada, caratterizzata da un semplice pronao tetrastilo il cui intercolumnio definisce anche le dimensioni delle porzioni laterali e dell’invaso, appare priva dell’importante sovrastruttura, che illumina invece potentemente la navata interna ed è visibile solo da posizioni scorciate o sopraelevate, in modo da connotare l’edificio sacro rispetto all’omogeneo tessuto urbano circostante. La scelta dell’ordine corinzio, inoltre, rimarca lo scrupolo di stabilire un legame tra l’ornato architettonico e la dedicazione religiosa. Dedicata al primo vescovo di Torino, pur non essendo una cattedrale, la chiesa merita infatti l’ordine più elaborato e regale.
L’altro episodio che vide Sada vincitore di un concorso pubblico lo colloca in ambito civile in Liguria, dove nel 1843 la Municipalità di Savona, ancora secondo l’esempio – e verosimilmente le direttive – della capitale, avviò una revisione dell’impianto urbano e degli edifici per l’assistenza, richiedendo il progetto di un edificio (ospedale di S. Paolo) situato in un’area esterna al tracciato delle fortificazioni, ma che potesse sufficientemente beneficiare della ventilazione proveniente dal mare. Il bando di concorso era articolato e presentava come acquisiti i principi di adeguamento degli edifici a destinazione sanitaria alle nuove impostazioni della scienza medica, adeguamenti avviati in Piemonte l’indomani della Restaurazione, ancora da Talucchi, con l’ospedale cronicario di S. Luigi (1818) e quello ‘dei Pazzerelli’ (1824).
Il progetto di Sada riprende il sistema di distribuzione delle corsie – ben distinte a seconda delle funzioni – intorno a corti con affacci a portici al piano terreno, convergenti sulla cappella centrale, secondo l’impianto panottico. Successive variazioni richieste dall’amministrazione rallentarono i lavori, ma una presa di posizione della Casa reale ne determinò l’avvio, secondo il progetto originale, nel 1846.
La grande area rettangolare, che ricopre anche il ruolo di orientare, insieme alla ferrovia, le direttrici per l’ampliamento urbano, si presenta come il risultato di un rigoroso sistema di organizzazione planimetrica, affacciato sulla città (su piazza Giulio II, corso Italia e corso Mazzini), ma allo stesso tempo isolato da essa. I fronti urbani vengono articolati secondo i modi del classicismo civile, meditati e perfezionati nei cenacoli e negli atelier romani tra la fine del secolo precedente e gli anni Venti del XIX, alla ricerca di un linguaggio adatto ai nuovi principi dell’Illuminismo – laico ed egualitario – e alle nuove funzioni – guidate dall’approccio scientifico – richieste dalle comunità dei cittadini. La combinazione tra il sistema puntiforme, greco, e quello murario, romano, composti mediante assi di simmetria e gerarchie chiare, comporta la quasi totale rinuncia all’ornato architettonico. I fronti dell’ospedale S. Paolo sono articolati secondo una semplice partitura delle aperture, ampie e salubri, in un paramento murario a intonaco a fasce e lievi articolazioni in termini di aggetti e arretramenti, che conducono la vista e la circolazione agli ingressi per il pubblico. Solo in queste porzioni – come peraltro negli esempi torinesi e negli altri capoluoghi sabaudi – si verifica l’uso del sistema degli ordini, spesso solo accennati, nella combinazione tra pronao, attico e finestra termale, ancora in una rigida ortodossia classicista.
Negli stessi anni, a partire da 1844, Sada fu chiamato, dopo anni di collaborazioni, a intervenire in prima persona con il progetto per la serra nel parco di Racconigi, a completare la Margheria a firma di Palagi.
In totale contrasto con quanto s’era visto finora, la serra si dipana come un perfetto esempio di neogotico: una lunga sequenza di arcate a sesto acuto sul fronte di 110 metri, capitelli, pinnacoli e fioroni polilobati all’imposta della copertura, e un delicato intreccio archiacuto nei serramenti delle grandi pareti vetrate. Si tratta dell’ennesimo esempio di revival gotico che fu diretta emanazione di Carlo Alberto, il quale in quegli anni aveva ormai perfezionato, con l’aiuto di storici, ricercatori e scienziati coinvolti nel suo progetto per una monarchia liberale (lo Statuto è del 1848), l’immagine di un romantico cavaliere che guardava a un medioevo umanista attivo nei più avanzati campi della sperimentazione scientifica, soprattutto in ambito agricolo.
Il legame di Sada con le politiche carloalbertine è comprovato dalla partecipazione all’organizzazione militare (fu capitano della Milizia nazionale dal 1848) nell’avvio degli scontri con il Lombardo-Veneto.
Nello stesso anno, in coerenza con il più alto ruolo cui gli Stati sardi aspiravano, Sada fu chiamato a riplasmare gli spazi pubblici di palazzo Carignano, in particolar modo per il Parlamento subalpino, dove intervenne fino al 1860 per la rifunzionalizzazione degli ambienti della Camera dei deputati e dei locali di servizio.
Ancora un esempio di applicazione di linguaggi classici è nella villa Thaon di Revel a Cimena (1846), il cui committente, il conte Ottavio, fu ministro delle Finanze nel 1848, oltre che componente di una delle famiglie più in vista degli Stati sabaudi, e patrono di Sada per la nomina ad architetto del Regno.
L’impianto a L converge su un giardino formale ed è focalizzato sul corpo principale a due piani su alto basamento di evidente ispirazione palladiana, a due ordini ionici sovrapposti ad accogliere un portico e un loggiato, culminanti in un timpano. L’allure delle ville venete, sicuramente filtrata e rafforzata dalla passione anglofila propria dei nobili subalpini, fa della villa un angolo di campagna inglese, insieme al parco pittoresco dovuto allo specialista Marcellino Roda (1814-92) e agli interni alla Adam.
Ancora in linea con gli interventi di quegli anni è il ‘restauro’ della certosa di Casotto (1847-61), grande complesso vittoniano che Carlo Alberto decise di adibire a tenuta di caccia. Come in altri casi di interventi in edifici monumentali barocchi, in primis Racconigi, che conosceva bene, Sada avviò puntuali ricuciture di regolarizzazione e riplasmazione degli interni, riservando a questi ultimi il partito classicista, mentre per l’esterno non pretese di correggere gli ‘abusi’ del linguaggio barocco.
Il decennio successivo vide interventi di taglio urbano, il disegno della piazza Maria Teresa al Borgo Nuovo (1850), una delle più raffinate e ambite collocazioni della città in via di ampliamento, ancora in chiave classicista e senza grande attenzione ai processi di rendita immobiliare; la casa per l’avvocato Baricalla ancora su piazza Maria Teresa (1852); e il rifacimento dell’invaso del teatro di Alessandria (1852-54), dove Sada riprese elementi del lavoro al teatro torinese, incluso il sodalizio con Gonin per la realizzazione del plafone. Nel decennio successivo partecipò al concorso per la nuova sede del Senato del Regno (1860), ma senza successo, e, su incarico della municipalità, stilò un progetto, nuovamente senza risultati, per l’ingrandimento e la decorazione del ponte in pietra sul Po (1860), una delle poche tracce lasciate dalla dominazione francese, che pensò di decorare con gruppi scultorei in modo da trasformarlo in ponte monumentale, più consono alla nuova veste di città capitale.
Progressivamente ritiratosi dalla vita della capitale e trasferitosi in Liguria, vi realizzò ancora un paio di interventi, la villa Lomellini-Bixio e la cappella per la villa Rostan a Multedo (1870).
Morì nel 1873 a Milano, verosimilmente presso il figlio Carlo jr.
Fonti e Bibl.: Documenti su Sada sono nei fondi dell’Archivio del Comune di Savona; Archivio di Stato di Alessandria, Raccolta Valizone, Atti e contratti; Archivio di Stato di Savona, Serie IV, Miscellanea; Archivio di Stato di Torino: Miscellanee di registri e carte sciolte, Ordinati, Tipi e Disegni, Collezione Simeom, Camerale Piemonte, Azienda Savoia Carignano, Progetti Edilizi, Casa di Sua Maestà, Azienda Real Casa.
F. De Amicis, Parole dette da Francesco Deamicis quando il 15 maggio 1879 scoprivasi nel camposanto di Torino il monumento scolpito da Giulio Monteverde alla memoria del cavaliere architetto C. S., Torino 1879; Pelagio Palagi artista e collezionista (catal.), Bologna 1976; F. Bianchi et al., Civiltà neoclassica nella provincia di Como. Allievi ed ex allievi di origine comasca ai concorsi dell’Imperial regia Accademia di belle arti di Brera in Milano, in Arte lombarda, n.s., 1980, n. 56-57, pp. 185-201; A. Cavallari-Murat, Prova neoclassica di S., in Id. Come carena viva. Scritti sparsi, V, Pratica e estetica nella critica architettonica, Torino 1982, pp. 618-636; Ville Sabaude, a cura di C. Roggero Bardelli - V. Defabiani - M.G. Vinardi, Milano 1990; E. Dellapiana, Giuseppe Talucchi architetto. La cultura del classicismo civile negli Stati Sardi restaurati, Torino 1999; Ead., Il mito del medioevo, in Storia dell’architettura italiana, VII, 2, L’Ottocento, a cura di A. Restucci, Milano 2005, pp. 400-421; A. Dameri, Tradizione e sperimentazione eclettica. Architettura e città nei progetti di C. S. architetto negli Stati Sardi, in L’architettura nella storia. Scritti in onore di Alfonso Gambardella, II, a cura di G. Cantone - L. Marcucci - E. Manzo, Milano 2007, pp. 656-662; Contro il Barocco. Apprendistato a Roma e pratica dell’architettura civile in Italia 1780-1820, a cura di A. Cipriani - G.P. Consoli - S. Pasquali, Roma 2007; S. Aletto, C. S. architetto (1809-1873). Progetti e realizzazioni tra Piemonte e Liguria, tesi di laurea, Politecnico di Torino, 2a Facoltà di architettura, relatore A. Dameri, 2009; E. Dellapiana, L’ampliamento di Palazzo Carignano a Torino, in Architettare l’Unità. Architettura e istituzioni nelle città della nuova Italia (catal., Roma), a cura di F. Mangone - M.G. Tamperi, Pozzuoli 2011, pp. 101-110.