Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La ricerca di Carlo Scarpa è segnata da molteplici attività: designer di oggetti in vetro a Murano dagli anni Venti agli anni Quaranta, autore di architetture e allestimenti per la Biennale di Venezia dal dopoguerra agli anni Settanta, ideatore di percorsi museografici per alcuni significativi contesti italiani, e infine progettista di edifici pubblici e privati. Esperienze diverse, ma generate da un’unica e radicata quanto straordinaria cultura artistica, umanistica, tecnica, vero fondamento del suo operare.
Venezia, la formazione
Carlo Alberto Scarpa nasce a Venezia il 2 giugno 1906. Nel 1908 la famiglia si trasferisce a Vicenza, ma dopo la scomparsa della madre nel 1919, il giovane Carlo ritorna nella città lagunare. Nel medesimo anno si iscrive alla Reale Accademia di Belle Arti di Venezia conseguendo, nel 1926, il diploma di professore di disegno architettonico. Questo periodo si rivela cruciale per la sua formazione: all’Accademia, Scarpa inizia a sviluppare un interesse per le arti figurative e la loro interazione con l’architettura, acquisendo le basi di una cultura storica elevata in breve tempo a fondamento della propria metodologia progettuale. Inoltre, il legame con artisti, studiosi, architetti stabilito alla scuola veneziana lo introduce in un milieu culturale che avrà un ruolo decisivo per l’avvio della sua carriera professionale.
Appena diplomato, Scarpa incomincia a lavorare come assistente di Guido Cirilli presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia. La collaborazione con lo IUAV, destinata a protrarsi fino al 1977, ha un valore sostanziale anche per la messa a punto del suo linguaggio architettonico. L’ambiente accademico della “Scuola di Venezia” – in particolare durante la gestione di Giuseppe Samonà – si rivela ricchissimo di stimoli per l’architetto, sia in termini progettuali che di metodi educativi. Nella sua ricerca, infatti, l’architettura deve rispondere anche a una ineludibile funzione educativa, incrementando, in ragione della sua stessa conformazione, la cultura e la sensibilità del fruitore.
A queste attività, Scarpa affianca fin dalla metà degli anni Venti la collaborazione con due importanti ditte vetrarie di Murano: la Maestri Vetrai Muranesi Cappellin (dal 1926 al 1931) e in seguito la Venini (dal 1932 al 1947). Nell’arco di circa 20 anni, la sua indagine intorno alle potenzialità espressive del vetro giunge a dei vertici di qualità, sia artistica che tecnica, eccezionali.
Allestimenti: al servizio di altri artisti
Durante gli anni Trenta, Scarpa studia numerosi allestimenti di interni per ambienti pubblici e privati a Venezia. Ne è un esempio l’elegante arredo commissionatogli dall’antiquario Ferruccio Asta nel 1931, ora distrutto, da lui progettato con l’amico pittore Mario Deluigi. Tra le opere di architettura, invece, va ricordata la prima ristrutturazione della sede universitaria di Ca’ Foscari (1936-1937), pionieristica e cristallina riflessione su l’Armée du Salut a Parigi di Le Corbusier, in un momento in cui il linguaggio del maestro svizzero è al centro dei suoi interessi.
Il lavoro nel corso degli anni Quaranta subisce ovviamente un rallentamento a causa della seconda guerra mondiale, ma già nel 1945 Scarpa riceve un incarico di rilievo: il riordino delle Gallerie dell’Accademia a Venezia, concluso nel 1959, primo di una lunga serie di allestimenti museali compiuti dall’architetto.
Anche le edizioni della Biennale di Venezia, sospese per sei anni, tornano a essere allestite ai Giardini a partire dal 1948. E proprio la prima mostra post bellica, XXIV edizione, segna l’avvio di una collaborazione tra Scarpa e la Biennale destinata a esaurirsi soltanto nel 1972.
Su commissione dell’ente veneziano, l’architetto realizza allestimenti e nuove strutture per le sedi dei Giardini e del Lido, ottenendo un ragguardevole riscontro professionale. Inoltre, l’appartenenza all’ambiente gravitante intorno alla Biennale gli offre l’opportunità di conoscere i maestri dell’architettura internazionale invitati in Laguna a progettare nuovi padiglioni o a esporre la propria opera: Donald Hoffmann, Wright, Aalto, Kahn e molti altri. Quanto i suddetti incontri siano ricchi di conseguenze per Scarpa emerge appieno nei progetti da lui elaborati in quegli anni. E altrettanto importante, in tal senso, si rivela la frequentazione di artisti, collezionisti, studiosi. Tra questi, Bruno Zevi (1918-2000), chiamato allo IUAV nel 1948; le sue idee espresse in testi come Verso un’architettura organica (1945) e Poetica dell’architettura neoplastica (1953) dimostrano analogie stringenti con gli interessi coltivati da Scarpa durante l’arco della sua carriera: da un lato la ricerca dei protagonisti di De Stijl – Mondrian, van Doesburg, Rietveld – dall’altro l’architettura di Frank Lloyd Wright, definite le “due anime” dell’architetto.
Oltre a questi modelli, è riconoscibile nell’indagine scarpiana una reiterata attenzione per le arti visuali, in particolare quelle a matrice astratta, intese come fonti generatrici di progetto. Due esempi. Scarpa modella l’allestimento della retrospettiva Paul Klee alla XXIV Biennale del 1948 ispirandosi alla struttura compositiva del quadro del maestro svizzero Geöffnet, ivi esposto. Un’operazione analoga sottende al progetto per il Padiglione del Libro ai Giardini, ora distrutto, commissionatogli da Carlo Cardazzo nel 1950. In questo edificio, se la costruzione dello spazio appare essenzialmente debitrice della lezione di Wright, ugualmente sostanziale sembra essere il confronto con la composizione di alcuni quadri di Klee e di Kandinskij. Trasformando lo spazio bidimensionale della pittura in quello tridimensionale dell’architettura, Scarpa sembra dimostrare l’esistenza di una radice spaziale comune a tutte le arti e perciò esprimibile nei diversi linguaggi.
Nel 1951, in occasione della mostra Frank Lloyd Wright: Sixty Years of Living Architecture allestita a Firenze, Scarpa ha modo di conoscere personalmente il maestro americano. Questo evento segna l’avvio di un confronto concreto con l’opera di Wright – che negli anni Trenta lo aveva travolto “come un’onda” – ora puntualmente analizzata a fini progettuali. Ne dà testimonianza l’ipotesi per Villa Zoppas a Conegliano Veneto, redatta nel 1953, nella quale il flusso di pensieri progettuali restituito da oltre duecento disegni autografi svela l’ansia creativa suscitata in Scarpa dall’incontro con il maestro di Taliesin.
Nello stesso anno gli viene affidato l’ordinamento della mostra Antonello da Messina e la pittura del Quattrocento in Sicilia, a Messina. Questo lavoro esemplare crea le condizioni per commissionare a Scarpa anche la sistemazione di Palazzo Abatellis a Palermo, sede della Galleria Nazionale di Sicilia, compiuta nel 1953-1954, per la quale egli riceverà nel 1962 il premio IN-ARCH.
Durante il medesimo lasso temporale, avvia il riordino delle sezioni storiche del Museo Correr, a cui seguirà quello della Quadreria nel 1957-1960, ed elabora il progetto per il padiglione del Venezuela ai Giardini della Biennale. Completata nel 1956, quest’ultima costruzione si articola in due sale espositive fisse e una componibile mediante pannelli, attualmente perduti come molti altri dei suoi elementi originari.
Al 1955-1956 risale la sistemazione dell’aula magna di Ca’ Foscari, compiuta riutilizzando materiali provenienti dall’allestimento degli anni Trenta, per la quale Scarpa inventa un’imponente transenna lignea densa di reminiscenze wrightiane.
Segue l’ampliamento della Gipsoteca di Antonio Canova a Possagno, realizzato nel 1955-1957. Vero capolavoro di esattezza, in esso lo spazio architettonico nasce dal calibrato legame tra le sculture, usate esattamente come se fossero piani verticali e orizzontali, rese pulsanti di vita mediante la calcolata incidenza della luce proveniente da finestre di diversa forma e dimensione. In questo, come in ogni altro lavoro scarpiano, lo spazio è modellato a scala umana, tenendo cioè come misura compositiva fondamentale l’altezza dell’occhio del fruitore che lo attraversa.
Architetture
Alle commissioni pubbliche, Scarpa accompagna alcuni incarichi privati. Tra questi, la villa dell’avvocato Luciano Veritti a Udine, edificata nel 1955-1961, la cui composizione è organizzata da un sistema di pilastri a sezione triangolare che forano i solai dei diversi piani. Tale soluzione rivela alcuni aspetti dell’indagine condotta dal maestro veneziano, a partire dagli anni Cinquanta, intorno all’ossatura strutturale dell’edificio.
Tornato nella città lagunare, Scarpa si occupa della sistemazione del negozio Olivetti in Piazza San Marco, “biglietto da visita” della società di Adriano Olivetti, realizzato tra il 1957 e il 1958.
Sempre nel 1958, su incarico di Licisco Magagnato, il maestro veneziano allestisce la mostra Da Altichiero a Pisanello al museo veronese di Castelvecchio. Questo evento fornisce l’occasione per affidargli il riordino totale della struttura, sia i termini museografici che di sistemazione architettonica, compiuto in tre momenti (1958-1964; 1967-1969; 1974). Ridefinita la geometria delle parti componenti il castello, Scarpa ne studia il sistema di accessi e di percorsi in relazione all’allestimento delle opere. Per legare tra loro i vari corpi egli appronta una serie di nodi: il principale si rivela essere l’area espositiva destinata alla statua di Cangrande, la cui presenza vitale sorprende il visitatore nel passaggio dall’ala della Reggia, l’antica residenza dei Della Scala, alla galleria superiore.
Durante gli anni Sessanta il linguaggio di Scarpa inizia a mutare, forse anche a seguito di profondi cambiamenti sociali che lasciano un’impronta ugualmente indelebile sulle arti. Se gli allestimenti rimangono un campo di libera sperimentazione, la sua architettura, invece, comincia a indugiare ripetutamente in quelle figure ricorrenti – doppio cerchio, modanature a gradini, dettagli sovrabbondanti –, destinate a diventare una sorta di cliché con cui identificare il lavoro scarpiano. Contemporaneamente si moltiplicano i riconoscimenti ufficiali alla sua opera, anche attraverso una serie di mostre personali organizzate a Vicenza, Londra, Parigi, Madrid.
Tra gli incarichi di questi anni, vanno ricordati gli allestimenti delle mostre Frank Lloyd Wright alla XII Triennale di Milano del 1960, Il senso del colore e il dominio delle acque per l’esposizione “Italia ’61” di Torino, e soprattutto la sistemazione della Fondazione Querini Stampalia a Venezia, commissionatagli da Giuseppe Mazzariol e compiuta nel 1961-1963. All’interno dell’involucro originale del palazzo, Scarpa inserisce una nuova struttura che ridefinisce la composizione, i percorsi e il ruolo degli ambienti, mentre trasforma il cortile in una sorta di hortus conclusus articolato da piani a diversa quota, oltre che da percorsi d’acqua, piccole fontane, elementi scultorei.
Nel 1967 l’architetto visita per la prima volta il Giappone, la cui tradizione culturale e artistica lo aveva affascinato fin dagli anni Trenta; nello stesso anno compie un viaggio in America, dove ha modo di conoscere personalmente Louis Kahn. A questi anni risalgono alcuni magistrali allestimenti di mostre: La Poesia a Montreal e Arturo Martini a Treviso nel 1967, Linee della ricerca contemporanea: dall’Informale alle nuove strutture alla XXXIV Biennale del 1968, e infine Florentine frescoes a Londra e I disegni di Erich Mendelsohn a Berkeley nel 1969.
La fine del decennio segna anche l’affidamento a Scarpa di un’opera destinata a diventare la più conosciuta dell’architetto. A seguito della scomparsa di Giuseppe Brion, alla fine del 1968, la moglie Onorina incarica il maestro veneziano di progettarne la tomba – poi inserita in un complesso monumentale nel cimitero di San Vito di Altivole, presso Asolo. L’opera, della quale egli si occuperà fino alla morte, si compone di diversi elementi – i propilei, le tombe dei coniugi Brion sotto dell’Arcosolio, il padiglione della meditazione, la tomba dei congiunti, la cappella – connessi tra loro da rispondenze compositive, visuali, simboliche. Come una sorta di testamento, la tomba Brion racconta in sintesi l’articolata indagine progettuale condotta in molti anni di lavoro da Scarpa.
Negli anni Settanta l’architetto si occupa della progettazione di alcune abitazioni private. Nel 1971, su commissione dell’amico Aldo Businaro, sistema la Villa Palazzetto a Monselice, dotandola di un’aia composta da un sistema di piani inclinati, che si offre come una sorta di enorme scultura. La stessa impostazione morfologica informa il tetto-terrazza della villa dell’avvocato Carlo Ottolenghi a Bardolino, iniziata nel 1974; l’edificio, addossato a una collina, è articolato intorno a una serie di grosse colonne a rochi di materiali differenti. A partire dal 1973 ha luogo il progetto di ampliamento della sede scaligera della Banca Popolare di Verona, nel quale la ricerca scarpiana insiste sulla relazione tra la fronte e il contesto urbano in cui si inserisce.
Carlo Scarpa muore a Sendai, in Giappone, il 28 novembre 1978, a seguito di un incidente; quasi tutte le opere iniziate negli ultimi anni vengono completate da suoi collaboratori.