BERARDI, Carlo Sebastiano
Nacque a Oneglia il 26 agosto 1719 da Carlo Antonio, tesoriere regio della provincia, che lo avviò alla carriera ecclesiastica. Compì gli studi letterari e filosofici nel collegio degli scolopi in Oneglia; passò quindi a studiare teologia nel collegio della medesima Congregazione in Savona. Conclusi gli studi teologici con la discussione pubblica della dissertazione di laurea - "cum ommum audientium plausu, atque admiratione" (Arcasio) - nel 1739, ricevette gli ordini sacri dopo qualche anno (probabilmente nel 1743).
Attratto dagli studi giuridici, il B. si iscrisse alla facoltà di diritto dell'università di Torino, dove completò e ampliò la sua già notevole preparazione scientifica e conseguì, nel 1745, la laurea in giurisprudenza. Aggregato nello stesso anno al Collegio dei giureconsulti della Regia.
Università, venne chiamato, quattro anni dopo, a succedere al civilista G. F. Arcasio nella carica di prefetto degli studi di giurisprudenza nella Reale Accademia dei Nobili.
Nel 1750, appena trentenne, il B. pubblicò un "manifesto" con un suo programma di revisione del Decreto di Graziano e due anni dopo fu già in grado di stampare a Torino il primo tomo dell'opera veramente monumentale Gratiani canones genuini ab apocryphis discreti, corrupti ad emendatiorum codd. fidem exacti., difficiliores commoda interpretatione illustrati, che ebbe un immediato successo e riscosse il plauso della stampa dell'epoca.
Il sec. XVI aveva visto una fioritura di opere di critica e di emendamento del testo dei Decreto (Chappuis, Quintius, de Mouchy), culminata nei famosi dialoghi De emendatione Gratiani dell'Augustinus (Antonio Augustin) e nell'edizione ufficiale dei Correctores Romani (1587), che avevano soprattutto inirato a restituire i canoni secondo le fonti originali. Ma, nonostante il divieto contenuto nel breve di Gregorio XIII di approvazione dell'edizione romana, i canonisti non avevano esitato a porre in evidenza ulteriori mende del testo del Decreto sfuggite ai correttori romani. Per primo lo stesso Augustinus, poi Stefano Baluze, Gherardo Mastricht e Vari Espen.
Ciò nonostante, il testo grazianeo rimaneva ancora in gran parte bisognevole di approfondita revisione. A quest'opera - riallacciandosi a quella dell'Augustinus - si accinge il B. proponendosi un duplice scopo - effettiva critica testuale ed esegesi dei testi - e partendo dal presupposto che il Decreto non era "novus canonum codex sive nova collectio", ma un "tractatus quidam amplissimus, more scholastico elaboratus, in quo disciplina ecclesiastica universa digeratur, penderetur, conquisitis canonibus demonstraretur, ubi canones canonibus adversari viderentur, isti componerentur, atque, si Deo piaceret, illustrarentur... Qui opus Gratiani cum opere Petri Lombardi conferre velit, intelliget, idem fere propositum utrique fuisse, nisi quod Lombardus Theologis, Gratianus canonum cultoribus praeluxisse videatur" (Instit. iuris eccles., I, pp. 131 s.).
Il B. premette, inoltre, una "in universum opus praefatio", ottima, trattazione sulle collezioni canoniche precedenti il Decreto, suGraziano, sul tempo e luogo di composizione ecc., che il Galland ripubblicò nella sua De vetustis canonum collectionibus dissertationum sylloge (Venezia 1778 e, poi, Magonza 1790) con il titolo De variis sacrorum canonum collectionibus ante Gratianum.
Di particolare rilievo è la sistematica dell'opera berardiana fondata su criteri nuovi che tenevano conto della necessità di un maggior rigore specie sotto l'aspetto della critica storico-giuridica, senza preoccuparsi di seguire, com'era uso, lo schema del Decreto, ma operando una suddivisione delle fonti dal punto di vista della loro gerarchia. La prima parte dell'opera tratta, infatti, dei capitoli di Graziano desunti dai canoni conciliari; la seconda, in due tomi, di quelli presi dalle decretali dei pontefici, la terza dei capitoli tratti dai Padri della Chiesa, dagli scrittori ecclesiastici e da altre fonti. L'ultimo volume dell'opera contiene un accuratissimo indice di tutti i canoni del Decreto indicati con le parole iniziali ed elencati secondo l'ordine del Decreto, con l'indicazione, accanto ad ognuno di essi, della parte e della pagina dell'opera in cui il canone era analizzato, vagliato e discusso.
La pubblicazione dell'opera e la larga fama acquistata valsero al B. la cattedra di diritto canonico nell'università di Torino - già coperta da A. Chionio, esonerato dall'insegnamento per le sue dottrine troppo regaliste - alla quale venne chiamato, il 26 sett. 1754, da Carlo Emanuele III, che volle anche nominarlo consultore regio "de rebus ad canonum scientiam pertinentibus". Nei tre anni successivi il B. attese alla preparazione degli ultimi tre volumi dei Gratiani canones - essi apparvero, infatti, in Torino rispettivamente nel 1754, nel 1755 e nel 1757 - e allo svolgimento della sua attività di professore e delle sue funzioni di consigliere reale per gli affari ecclesiastici.
L'esplicazione di queste ultime funzioni consisteva anche nella stesura di varie "scritture" in cui il B. formulava il proprio parere su singoli casi pratici che gli venivano sottoposti, illuminando il sovrano "sui principi che avrebbero dovuto informarne, in linea di rigoroso diritto, le decisioni e sulla estensione e sui limiti entro i quali potevano esercitarsi i suoi poteri in materia ecclesiastica, senza uscire da quella che egli riteneva la più stretta ortodossia cattolica" (Bertola, Di un'opera inedita di C. S. B., p. 450; si veda un esempio di tali pareri in Archivio di Stato di Torino, Materie Ecclesiastiche, Categ. 10: Immunità e giurisdizione, mazzo IV, n. 30).
È in relazione alle medesime funzioni di consigliere reale che il B. compose nel 1764 - forse ampliando, su richiesta del duca di Savoia, un precedente più breve scritto sull'argomento - l'operetta Idea del governo ecclesiastico, dedicata al duca di Savoia (il futuro Vittorio Amedeo III), di natura riservata e destinata a rimanere segreta, in quanto doveva "giovare" in special modo a quei "giureconsulti... che sono chiamati a consiglio da chi governa la repubblica in grado supremo e sovrano", cui è permesso di trascendere "i confini posti dalle leggi positive e dalle popolari costumanze" e che devono "essere dominati dalle massime fundamentali del governo, dalla filosofia generale, da tutta la saviezza, ad altro non tendendo che a quanto può essere vantaggioso alla società; perché a loro appartiene anche di proporre la abolizione delle leggi stesse, quando queste cessino di essere utili e provvide" (pp. 251 s.). L'opera, che era rimasta inedita e di cui si aveva notizia soltanto attraverso alcuni generici cenni del Nuytz e del Sauli d'Igliano, venne segnalata nel 1914 dallo Jernolo - che ne trascrisse anche alcuni brani - ed è stata solo di recente pubblicata da A. Bertola e da L. Firpo.
Il B., resosi conto che era "nata una nuova confusione di idee: or di leggi e di consuetudini contrarie; or di diritto canonico e di curia romana; or di leggi fundamentali immutabili e leggi provvidenziali più adatte ai tempi che alle cose, prendendo facilmente le leggi per consuetudini, le consuetudini per leggi, gli stabilimenti della Curia di Roma per canoni della Chiesa, le leggi previdenziali per fundamentali e viceversa, il tutto con sommo pregiudizio del bene pubblico", ed allo scopo di "evitare una sì crassa maniera di consultare, decidere ed agire", aveva ritenuto opportuno "stabilire e dichiarare. come principi generali, alcune proposizioni, le quali puonno dare conveniente luce alla facoltà che professa ed attribuire con giuste idee il suo peso ad ogni punto a cui mira la legale canonica giurisprudenza", persuaso di poter in tal modo "evitare facilmente molti pericoli ne' quali frequentemente s'inciampa" (pp. 74, 75).
L'Idea del governo ecclesiastico è divisa in due parti, articolate la prima in dieci e la seconda in quattordici proposizioni, formulate in maniera tale da puntualizzare brevemente ma con precisione la tesi che l'autore si propone di dimostrare sui singoli punti. La prima parte (pp. 77-153) è dedicata al "governo ecclesiastico", cioè agli "stabilimenti della Chiesa col rapporto vicendevole a sé medesimi", e sviluppa con ampiezza la teoria delle fonti del diritto canonico specialmente dall'angolo visuale della rispettiva prevalenza ed obbligatorietà. La seconda parte (pp. 155-252) è invece dedicata agli "stabilimenti della Chiesa nel rapporto al civile regolamento" e costituisce una precisa esposizione delle potestà, prerogative e doveri del sovrano circa sacra e della politica da tenere nei confronti della suprema autorità della Chiesa.
Di particolare interesse il contenuto della trattazione che riflette le singolari doti dell'"ingegno acuto e penetrante" del B., "nemico di ogni conformismo, che non si limita mai a ripetere pedissequamente il già detto, sia pure in materie o su questioni già ai suoi tempi ritrite e dibattute a fondo, ma trova sempre qualcosa di nuovo da osservare, affrontandole da capo, con argomentazioni personali, spesso ricche di intuizioni inattese e brillanti" (Bertola, Introduzione, pp. 37, 38).
Pregevole anche la struttura dell'operetta imperniata essenzialmente sulla distinzione tra "disciplina fondamentale", basata in ogni sua parte sopra principi invariabili, "tolti i quali la religione verrebbe a cadere" (p. 198), e, quindi, norme tendenti a perpetuità, e "disciplina provvidenziale", basata su norme che "cangiati i tempi, presi in considerazione altri luoghi, altre persone e altre circostanze risultano pienamente modificabili" (pp. 141 e 198).
Spetta, di conseguenza, al principe cattolico "accettare e difendere la disciplina canonica quando è fondamentale" (p. 98) e sostenere e accettare le leggi ecclesiastiche provvidenziali solo quando siano riconosciute "opportune e salutari alle esigenze e circostanze dei propri Stati" (p. 200); il principe deve, inoltre, proteggere non la Curia romana e le sue massime, ma i canoni e la Chiesa e, quindi, opporsi ai provvedimenti della Curia romana se questa "proceda ad attentati a pregiudizio dei sudditi di lui" (p. 167) e deve adoperarsi per la "conservazione e difesa della generale disciplina de' canoni contro gli attentati della Curia di Roma" (p. 157). Poiché, infatti, con il lungo esercizio della potestà temporale la Sede romana ha certamente acquistato diritti di corte simili alle corti degli altri principi secolari, "nulladimeno ragion vuole ed esige Iddio" che prevalga "al sistema di Curia il sistema della Chiesa" (p. 113). A questo fine, perciò, dovranno essere in particolare dirette le attenzioni del buon principe, il quale non deve dimenticare che il "governo civile non è in tutto e in ogni parte meramente umano, ma ha molto del divino, perché le regole della società anche vengono da Dio" (p. 250).
Risultato dell'attività di insegnante e di studioso del B. furono i Commentaria in ius ecclesiasticum universum, apparsi a Torino nel 1766, in quattro volumi, che i Taurinensis Athenaei et Universae rei literariae moderatores segnalavano, fino dalla prima edizione, pubblicamente, sottolineandone i numerosi pregi e, in particolare, l'acume dei giudizi, la validità delle argomentazioni, la fondatezza e la serietà delle affermazioni.
L'opera venne subito adottata come testo per gli studenti, ma ebbe anche grande diffusione sì da essere "giornalmente" adoperata dai "magistrati civili sulla decisione delle cause di materia ecclesiastica e beneficiaria" (Pira, p. 117), poiché, se era nata nella scuola e per la scuola principalmente, era però indirizzata anche alla vita pratica áel diritto in quanto con essa il B. aveva inteso offrire ai lettori un'illustrazione chiara, sicura e, per quanto possibile, completa della vasta materia.
Egli stesso, nella prefazione dell'opera, espone i motivi che lo avevano indotto a scriverla, affermando di aver maturato il disegno dei Commentaria già durante la preparazione dei Gratiani canones, ma di essersi deciso a pubblicarli soltanto dopo circa dodici anni di insegnamento in seguito all'insistenza dei colleghi e, in particolare, dell'Arcasio.
Di peculiare rilievo non solo la generale impostazione dell'opera e la metodologia della trattazione, ma, in particolar modo, la suddivisione sistematica della materia, assolutamente antitradizionale e precorritrice di "quell'indirizzo di rinnovamento che doveva affermarsi in tempi più recenti in opere classiche, come lo Ius Decretalium del Wernz, e portare infine all'adozione di una nuova divisione nello stesso codice di diritto canonico del 1917" (Castellano, p. 319). Infatti i Commentaria non seguono la tradizionale divisione in cinque libri (iudex, iudicium, clerus, connubia, crimen), ma sono impostati sull'elaborazione di quattro trattazioni, "primo quideni obtutu singulares, revera tamen continentes, si non universani undecumque exhibitani ecclesiasticam disciplinam, utiliores sane, praestantiores, ac praecipuae eiusdein disciplinae partes" (Praefatio, p. XL), e, quindi, sono divisi in quattro tomi o tractationes, che comprendono un preambolo e una conclusione, e sono ripartiti in dissertazioni divise. a loro volta, in capitoli o questioni o osservazioni.
La prima parte tratta delle principali dignità e uffici della Chiesa e comprende, in cinque dissertazioni divise in trenta capitoli, la materia del primo e del secondo libro delle Decretali;la seconda parte tratta dei benefici ecclesiastici, in sei dissertazioni, un'appendice e trentacinque capitoli, e comprende gran parte del terzo libro delle Decretali;la terza parte tratta del diritto matrimoniale e corrisponde al quarto libro delle Decretali: è divisa in sette dissertazioni e trentaquattro capitoli; l'ultima parte è, infine, dedicata al diritto penale, corrisponde al quinto libro delle Decretali ed è divisa in due parti: la prima relativa ai delitti in genere ed in specie; la seconda ai modi con cui la Chiesa punisce i rei, suddivise, a loro volta, in nove dissertazioni in quarantadue capitoli. L'unica lacuna è, in effetti, costituita dalla mancata trattazione dei processi contenziosi non matrimoniali.
Ancora in connessione con la sua attività di docente il B. preparò un corso istituzionale in due volumi che venne. però, pubblicato postumo nel 1769 - a cura del suo successore nella cattedra di diritto canonico dell'ateneo torinese, I. M. Baudisson - con il titolo Institutiones.
Le Institutiones sono divise in due parti: Prolegomena, in ventiquattro capitoli di carattere introduttivo sui principi fondamentali della disciplina e sulle collezioni canoniche, con una breve storia delle fonti; e Summa iuris ecclesiastici Dogmata, in cinque libri, suddivisi in cinquantotto titoli ed una conclusione, in cui vengono sommariamente delineati i vari istituti. Com'è palese, la divisione adottata dal B. si avvicina a quella che per primo aveva adoperato il Lancellotti nelle sue istituzioni (1563).
Il 31 ag. 1768, appena cinquantenne, il B. si spegneva, durante il viaggio di ritorno da Oneglia a Torino, in Mondovì, quasi improvvisamente, non si è sicuri se in seguito ad una ricaduta di una grave malattia che lo aveva colpito un anno prima - e da cui aveva appunto cercato di ristabilirsi giovandosi del mite clima del paese natale - o a causa di un nuovo male. Secondo voci raccolte dal Pira, invece, "il brutto verme dell'altrui invidia che aveva rotto la guerra alla sua dottrina" avrebbe "attentato a, suoi giorni con lento veleno" (p. 118).
La sopravvivenza dell'opera dei B. è mostrata dalle numerose ristampe e dai compendi postumi che vennero fatti delle sue varie opere: il lavoro di critica grazianea ebbe due ristampe in Venezia nel 1777 e nel 1783, e nella stessa città venne pubblicato nel 1778 un Compendium commentariorum C. S. Berardi presbyteri Uneliensis in canones Gratiani. I Commentaria ebbero due edizioni a Venezia nel 1778 e nel 1789, ed una pubblicata a Loreto-Milano nel 1846-47. La parte dei commentari De sponsalibus et matrimonio venne ristampata a parte dal Baudisson nel 1764 in Torino, e nella stessa città venne almeno altre due volte ristampata nel sec. XIX (s.d.). Le Institutiones, infine, vennero ripubblicate come premesse all'edizione veneziana dei 1778 dello Ius canonicum Universum del Reiffenstuel. La prefazione degli editori all'edizione ottocentesca del De sponsalibus et matrimonio, in secondo luogo, conferma l'autorità ed il valore didattico e scientifico dell'opera berardiana anche nel secolo successivo alla sua morte.
Quanto al suo carattere, il Pira lo disse "affabile, piacevole, manieroso, di facile accesso, molto sensibile di cuore ed integerrimo", affermando che "le sue virtù gli avevano procurato una stima particolare presso il Sovrano" e dichiarando che "potente intercessore per altri, nulla mai implorò per sé". Più di una volta, anzi, avrebbe rinunciato all'episcopato solendo dire che "l'episcopato era un buon impiego, ma che bisognava valutarne l'irreprensibilità del ministero" (Pira, p. 118).
L'Arcasio conferma e suffraga questi giudizi, ricordando, tra l'altro, come gli sarebbe stato assai facile fare notevoli guadagni, ma come, invece, spessissimo non solo rifiutasse qualsiasi pagamento per amicizia o per l'indigenza dei clienti, ma arrivasse anche a dar loro del suo ed avesse sempre rifiutato le ricche rendite di insigni benefici che gli erano stati offerti, e mettendo in luce la sua probità ed estrema capacità nell'attività professionale.
Quanto alla posizione del B. nella prospettiva degli studi grazianei va rilevato che a lui si ricollega l'attività scientifica posteriore e che anzi oggi, riesaminando il valore dell'edizione del Friedberg, la sua opera "va rivalutata per il valore che essa presenta per l'interpretazione e il commento del Decreto stesso e delle idee in esso affermate attraverso le variazioni dei testi" (Bertola, Introduzione, p. 22). I suoi Commentaria, inoltre, costituirono una delle opere anteriori al Codex cui sirifecero i codificatori.
Per quanto concerne, infine, il suo atteggiamento nel panorama politico del sec. XVIII esso va, anzitutto, messo in relazione con il carattere opportunistico e pragmatistico dell'assolutismo riformatore subalpino, puntiglioso nel sostenere le proprie rivendicazioni temporali ed allo stesso tempo ossequiente nelle materie considerate spirituali. L'Idea del governo ecclesiastico, sostanzialmente scritto polemico, permette ora di meglio individuare lo spirito anti-ultramontano e anticuriale dei suo autore e di confermarne l'inserimento nella tradizione regalista - che nel Piemonte assumeva un particolare carattere di "mezzo" tra i principi dei gallicanesimo e le pretese della corte di Roma -, pur se non si possa non convenire con chi lo ha ravvicinato al Bossuet "essenzialmente per la concezione religiosa del potere del monarca..., a cui si accompagna anche un sentimento di devozione alla Chiesa Romana, ...che distingue il giurisdizionalismo di questi ecclesiastici, vescovo e sacerdote di provata pietà, dalle altre correnti giurisdizionaliste, analoghe nelle manifestazioni e apparentemente almeno affermanti i medesimi postulati, ma di ispirazione illuminista e volterriana" (Bertola, Di un'opera inedita di C. S. B., pp. 450 s.). Da essa, tuttavia, non sembra si possano ricavare le modalità di certe posizioni del B. in questioni giuridiche intimamente connesse con questioni teologiche, come ad esempio il carattere dell'infallibilità da concedere o negare alla Chiesa ed al papa, le prerogative del primato che non sembra egli critichi o neghi, a differenza, in ciò, dal suo allievo Spanzotti, forse perché il B. comprendeva che, abbassando i diritti della primazia, avrebbe, di riflesso, attentato agli stessi diritti del trono.
Ai suoi tempi, probabilmente, dovette passare come un moderato se l'abate G. M. Bentivoglio, tipico esponente dell'anticurialismo giansenizzante del Piemonte, poteva scrivere al Ducoudray, il 21 dic. 1766, che il B. - di cui erano allora apparsi i primi due volumi dei Commentaria e che godeva della protezione del ministro della guerra, conte Bogino, e della stima del re, di cui era consigliere e consulente canonistico - passava per essere un oppositore delle "maximes" della corte di Roma e che a questa fama doveva la sua carriera e la sua influenza, ma che i due primi volumi dell'opera erano però "si remplis de mauvaises principes sur ce sujet qu'il est étonnant que le Roy ait permis qu'il le lui dédiat et que le Magistrat de la Réforme... lui ait donné une attestation des plus fortes qu'il a rnis à la téte de l'ouvrage". Il Bentivoglio temeva, infatti, che i principi sostenuti dal B. coperti dalla fama da lui goduta avrebbero potuto fare molto male e si augurava che qualcuno degli autori che si occupavano della materia combattesse direttamente e specificamente tali principi che, d'altro canto, non contentavano neppure i partigiani della Curia romana, ed osservava: "c'est ce qui arrive à ces politiques" (Parigi, Bibl. del Seminario di St.-Sulpice, Correspondance Ducoudray, IV, f. 309).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Torino, Università degli Studi, Acta Athenaei, mazzo 17 c., anni 1755-1783, Pr. Cal. sett. 1768; Materie ecclesiastiche, Categ. 10: Immunità e giurisdizione, mazzo IV, n. 30; Parigi, Bibl. del Seminario di St.-Sulpice, Correspondance Ducoudray, t. IV, E 309; G. F. Arcasio, Oratio in funere, in C. S. Berardi, Institutiones iuris ecclesiastici, Augustae Taur. s.d. (ma 1769), I, pp. XIX-XXXII; G. M. Pira, Storia della città e dei principato di Oneglia...,II, Genova 1847, pp. 116 ss.; D. Carutti, Storia del regno di Vittorio Amedeo II, Torino 1856, pp. 386 ss.; T. Vallauri, Storia dell'Università degli Studi del Piemonte, Torino 1875; T. Chiuso, La Chiesa in Piemonte dal 1797 ai nostri giorni, Torino 1887; E. L. Richter, De emendatoribus Gratiani dissertatio historico-critica, I, Lipsiae 1835; G. Phillips, Du droit ecclés. dans ses sources, Paris 1852, pp. 92-140; Em. Friedberg, Decretum Magistri Gratiani, Prolegomena, in Corpus iuris canonici, I, Lipsiae 1879, pp. LXXIX-XCII; J. F. von Schulte, Die Geschichte der Quellen und Literatur des canonischen Rechts, Stuttgart 1880, III, 1, p. 524; H. Hurter, Nomenclator literarius, Oeniponte 1886, III, pp. 152-153; F. X. Wernz, Ius Decretalium, I, Romae 1905, p. 426; D. Prümmer, Mon. iuris canonici, Freiburg i. Br. 1947, p. XXIV; A. Van Hove, Commentarium lovaniense C.I.C., I, 1, Prolegomena, Mechliniae-Romae 1945, p. 549; A. C. Jemolo, Chiesa e Stato negli scrittori politici italiani del Seicento e del Settecento, Torino 1914, pp. 3, 161, 206, 229, 235; M. Gorino, G. V. Spanzotti. Contributo alla storia dei giansenismo Piemontese, Chieri 1931, pp. 78, 85. 93; G. Castellano, C. S. B. storico e commentatore dei diritto canonico, in Angelicum, XXV (1948), pp. 300 ss.; G. Le Bras, Vue sur les problèmes posés autour du Décret de Gratien, in Apollinaris, XXI (1948), pp. 113-115; A. Bertola, La moderna critica grazianea e l'opera di C. S. B., in Diritto eccles., LXI (1952), pp. 473-496; Id., Di un'opera inedita di C. S. B. sul governo della Chiesa e dello Stato, in Atti d. Acc. delle Scienze di Torino, XCI, 2 (1956-57), pp. 420-468; C. S. Berardi, Idea del governo ecclesiastico, introduzione (pp. 5-39) a cura di A. Bertola, testo critico e note di L. Firpo (pp. 41-67), Torino 1963; P. Stella, Giurisdizionalismo e giansenismo all'Univ. di Torino nel sec. XVIII, Torino 1958; Encicl. cattolica, Lexicon für Theologie und Kirche, The Catholic Encyclopaedia, sub voce.