TARLARINI, Carlo
– Nacque a Milano il 10 gennaio 1864. Con il padre, Paolo, «dottore in legge», la madre, Florinda Brotschi, e il fratello Giuseppe, anch’egli nato a Milano (il 24 luglio 1866), appartenne a una famiglia della media borghesia milanese da tempo presente in città.
Fu avviato agli studi superiori nel ginnasio-liceo Cesare Beccaria. Frequentò con successo il prestigioso istituto milanese e proseguì gli studi al Politecnico di Milano, dove si laureò, nel 1886, in ingegneria industriale. Conseguito il titolo, venne assunto da un’industria meccanica come vicedirettore. Vi rimase fino al 1891, quando fu chiamato dalla Società in accomandita semplice per la stamperia e la colorazione dei tessuti E. De Angeli e C., fondata, appunto, da Ernesto De Angeli nel 1875. Questo passaggio, favorito dalle qualità personali, dalla specializzazione conseguita al Politecnico, dalle conoscenze di chimica richieste da ciò che la stamperia produceva e dall’esperienza di lavoro maturata come dirigente d’azienda, fu per Tarlarini una grande occasione. Infatti, lavorare in un’impresa tra le più innovative di quegli anni gli consentì di entrare a far parte della nuova classe dirigente italiana rappresentata dai grandi protagonisti dell’industrializzazione del Paese, come De Angeli, Giuseppe Colombo, Eugenio Cantoni, Giovanni Battista Pirelli e molti altri. L’anno dopo l’assunzione rafforzò la sua posizione professionale entrando nella famiglia De Angeli attraverso il matrimonio con Amalia, una delle tre sorelle viventi di Ernesto. Questo costituì la base del successo come imprenditore, ma anche come membro di istituzioni pubbliche politico-amministrative come la Camera di commercio di Milano, di cui fu vicepresidente negli anni Venti.
Nel settore privato occupò posizioni apicali nelle aziende di De Angeli e del successore Giuseppe Frua, seguendo una progressione davvero rilevante. Infatti, se nel 1913 fu indicato consigliere di amministrazione di due società, nel 1927 le funzioni direttive esercitate in imprese appartenenti a diversi settori produttivi erano diventate sedici, di cui quattro presidenze e una vicepresidenza.
Per quanto attiene alle funzioni di rilevanza pubblica, fu consigliere e presidente dell’Associazione fra gli industriali d’Italia per prevenire gli infortuni del lavoro, un ente privato di stampo mutualistico che, fondato nel 1894, fu trasformato nel 1926 in ente pubblico con il nome di Associazione nazionale per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Nelle intenzioni dei fondatori, e quindi anche di Tarlarini, la prima Associazione era nata per svolgere una funzione complementare alla copertura assicurativa affidata, in quegli anni, alla Cassa nazionale per l’assicurazione degli infortuni sul lavoro che Luigi Luzzatti aveva contribuito a creare. Nel 1922 Tarlarini fu eletto presidente dell’Associazione originaria e conservò la carica nel nuovo organismo sino al 1932.
La continuità delle funzioni nel passaggio dal privato al pubblico fu una scelta che contrastava con i suoi convincimenti di un tempo, quando, seguendo gli orientamenti di De Angeli, si era schierato tra gli oppositori dell’intervento pubblico nelle assicurazioni perché riteneva lo Stato incapace di garantire una buona gestione delle imprese del settore, a motivo delle speciali competenze richieste, specie in materia di finanza aziendale.
Nel 1907, alla morte di De Angeli, gli fu affidato il ruolo di ‘penna guida’ dell’Industria, la rivista fondata nel 1886 da De Angeli, Giovanni Battista Pirelli, Edoardo Amman e altri a sostegno dello sviluppo industriale.
In particolare, doveva occuparsi della situazione della nuova economia in formazione e per questo negli anni 1911-17 scrisse più di centosettanta articoli che collocò, non a caso, in una sezione posta in apertura di ogni fascicolo denominata Parte economica. Note e appunti. Infatti, Tarlarini intendeva ‘insegnare’ ai lettori – specie se imprenditori – l’assoluta necessità di superare la dimensione ‘tecnica’ per dare spazio alla trattazione di problemi economici e sociali. Il fatto poi che discutesse le questioni dal punto di vista degli industriali non incise sulla qualità degli scritti, che fu sempre buona. Ne sono esempio gli articoli in risposta a Luigi Einaudi e ad Antonio De Viti De Marco, con i quali non esitò a polemizzare. E lo fece non sul piano dottrinale – impraticabile considerato l’incommensurabile distacco in termini di scienza economica –, ma sul terreno ben più comprensibile, convincente e dominabile degli effetti prodotti dall’applicazione delle teorie libero-scambiste a una realtà ancora debole come l’economia industriale italiana di quegli anni.
Il tema delle politiche doganali fu tra quelli più trattati. Ma furono molti anche gli argomenti di carattere generale, come il commento ai risultati del censimento industriale del 1911, le analisi della situazione economica e sociale del Paese negli anni della Grande Guerra, le osservazioni sulla finanza pubblica e sulla tassazione in primo luogo, le considerazioni sui trasporti terrestri e marittimi, le preoccupate riflessioni sui conflitti di lavoro.
Verso la fine del primo decennio del nuovo secolo accettò la sfida della politica presentandosi alle elezioni comunali suppletive, tenutesi a Milano nel 1908, come candidato del gruppo moderato dei «costituzionali». Il 14 giugno di quell’anno entrò in Consiglio e nel 1909 il sindaco Bassano Gabba gli affidò l’importante assessorato dei Pubblici servizi, che resse sino al 1911. Partecipò alle elezioni comunali del 22 gennaio con grande successo: si piazzò al quarto posto su 80 eletti, con 16.950 voti, mentre il primo in graduatoria, il socialista Edoardo Bonardi, e i due ‘costituzionalisti’, Giovanni Celoria e Angelo Menozzi, ottennero rispettivamente 18.469, 17.030 e 16.959 voti. Alle elezioni del giugno del 1914 non fu eletto, ma quella fu la tornata elettorale dalla quale uscirono vincitori i socialisti di Emilio Caldara.
La direzione dell’Industria e gli articoli della Parte economica, la partecipazione ai lavori di una commissione per il rinnovo della tariffa doganale e di importanti trattati di commercio, la persistente funzione di rappresentanza degli interessi industriali costituirono, probabilmente, le ragioni della sua inclusione nel gruppo delle 636 persone che formarono la ‘Commissione pel dopoguerra’, la ‘Commissionissima’. Fece parte della sezione industriale e, da quel che si sa, partecipò attivamente ai lavori di quel robusto organismo occupandosi, con Giorgio Mylius ed Ercole Varzi, dell’industria cotoniera, notoriamente una delle più solide componenti dell’apparato industriale del Paese.
Fu tra i fondatori del Comitato tecnico-scientifico per lo sviluppo e l’incremento dell’industria italiana, un organismo pensato e proposto da Pietro Giacosa, professore nel Politecnico di Torino, e realizzato nel 1916 con il sostegno della Società italiana per lo sviluppo delle scienze. Nel Comitato, presieduto da Giuseppe Colombo, fu membro del consiglio di presidenza a fianco di alcuni autorevoli personaggi come Cesare Saldini, Giovanni Battista Pirelli, Pietro Giacosa, Giuseppe Belluzzo. Quando quest’ultimo divenne ministro, Tarlarini fu incluso nel Consiglio superiore dell’economia nazionale.
In questa veste, e davanti a questo organo, il 5 febbraio 1926 svolse una relazione sul tema dell’organizzazione scientifica del lavoro, che era problema aperto specie per un Paese con ambizioni anche industriali. La relazione riconfermò le sue idee circa la centralità delle conoscenze scientifiche nell’agire economico. Nel caso in questione, si trattò di una riflessione sulle dottrine nate tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento negli Stati Uniti e, in particolare, sulle posizioni di Frederick Taylor e della sua scuola. Come sempre, dopo avere sinteticamente ricostruito le origini del taylorismo e giudicato positivamente le sue applicazioni, criticò fortemente lo stato dell’organizzazione delle «officine italiane», proponendo al Consiglio un programma di aggiornamento culturale finalizzato al rinnovamento dell’assetto delle unità produttive per elevare la competitività delle imprese sui mercati internazionali.
Nell’estate del 1926 fu nominato commissario straordinario della Camera di commercio di Milano con l’incarico di preparare la trasformazione di quelle istituzioni in Consigli provinciali dell’economia corporativa, come prevedeva il nuovo ordine economico fissato dalla Carta del lavoro.
Questo fu l’ultimo impegno pubblico significativo affidatogli. Pochi anni più tardi, dopo molti mesi di sofferenze, morì a Milano il 17 luglio 1932, lasciando di sé il ricordo di un «uomo operoso e studioso».
Opere. Gli scritti di Tarlarini sono quasi tutti quelli pubblicati sull’Industria negli anni 1911-1917 che, per il loro numero, non è pensabile elencare in questa sede. Sono però note anche tre relazioni stampate negli anni Venti: Per una organizzazione scientifica del lavoro, in Atti del Consiglio superiore dell’Economia nazionale. Sezioni II e IV, seduta del 5 febbraio 1926, Roma 1926; L’amministrazione del commissario straordinario dal 1° luglio 1926 al 30 novembre 1927, Milano 1927; I concordati di lavoro nell’industria cotoniera italiana: 1. Gli accordi che precedettero i concordati nazionali cotonieri. 2. I concordati regionali in vigore a tutto il dicembre 1927, con introduzione del presidente ing. Carlo Tarlarini, Milano 1928.
Fonti e Bibl.: Non esiste alcun archivio che raccolga le carte di Carlo Tarlarini anche perché, dopo la sua morte e quella della moglie Amalia, avvenuta nel 1936, la famiglia si estinse, ma testimonianza della sua attività è contenuta negli archivi dei numerosi enti di cui fece parte. Attività esemplari di uomini nostri, in La Rivista illustrata del Popolo d’Italia, V (1927), aprile, pp. 69 s.; Corriere della Sera, 18 luglio 1932; Il Sole, 18-19 luglio 1932, rubrica Cronaca cittadina; F. Massarelli, Carlo Tarlarini, in Securitas. Rassegna della sicurezza e dell’igiene nel lavoro, XIX (1932), 7, pp. 250-252; Gr. Uff. Ing. Carlo Tarlarini, in Bollettino semestrale del Comitato regionale lombardo della Società nazionale per la storia del Risorgimento italiano, XVIII (1933), gennaio, pp. 83 s.; A. Coppadoro, Carlo Tarlarini, in La chimica italiana, Padova 2008, pp. 135 s.
A.M. Falchero, La ‘Commissionissima’. Gli industriali e il primo dopoguerra, Milano 1991, pp. 89-121, 432-437; A. Cova, L’industria lombarda tra le due guerre. Il sistema produttivo e le sue dinamiche: congiuntura e struttura, in Storia dell’industria lombarda, III, Sviluppo e consolidamento di un’economia industriale. Dalla prima alla seconda guerra mondiale, a cura di S. Zaninelli, Milano 1992, pp. 3-34; Bibliografia dei periodici economici lombardi 1815-1914, a cura di F. Della Peruta - E. Cantarella, I, Milano 2005, p. 650; M. Minesso, Giuseppe Belluzzo. Tecnico e politico nella storia d’Italia 1876-1952, Milano 2012, pp. 62 s., 279 s.