ORSI, Carlo Tomaso Severino
ORSI, Carlo Tomaso Severino. – Nacque a Como il 14 settembre 1876 da Romeo, professore di musica al Conservatorio di Milano e primo clarinetto alla Scala di Milano, e da Maria Johanna Vinzentia Raschi, nata a Olmütz in Moravia (ora Olomouc, Repubblica Ceca).
Nel 1881 il padre aveva brevettato un clarinetto a doppia tonalità insieme al milanese Paolo Maino. Alla morte di questo, nel 1894, il figlio Paolo Cesare e Romeo Orsi diedero vita alla società ‘Maino e Orsi’, divenuta nel 1906 la ‘Prof. Romeo Orsi’ che si collocò tra i primi produttori di strumenti musicali in Italia. Nell’aprile 1896 gli Orsi presero ufficialmente la residenza a Milano, dove di fatto risiedevano da tempo.
La famiglia, che poteva vantare ascendenze nella piccola aristocrazia dell’impero Asburgico, apparteneva dunque alla borghesia dei commerci e delle professioni, uno status in netto contrasto con il ritratto al vetriolo con cui Mario Alberti (1930, p. 458) descrisse Orsi come il «figlio di un povero fabbricante di ocarine». Romeo era invece una figura di spicco delle istituzioni musicali milanesi dell’epoca, luoghi fisici e relazionali, nei quali cultura e socialità, impresa e affari si intrecciavano favorendo carriere professionali e imprenditoriali.
Alla fine del 1896, dopo aver compiuto studi commerciali, Orsi fu assunto al Credito Italiano come ragioniere. Nonostante la modesta qualifica iniziale, nel corso di un decennio ascese ai vertici della direzione della sede di Milano, divenendone condirettore nel 1907 e direttore l’anno seguente. Il rapido passaggio di grado, tra il 1907 e il 1908, dovette essere dettato dalla positiva valutazione delle sue capacità quali erano emerse nei mesi della severa crisi dei mercati.
La carriera di Orsi fu propiziata dalla rapida crescita operativa e organizzativa dell’istituto, allora impegnato ad adattare il modello tedesco di banca mista alle specifiche condizioni del mercato italiano sotto l’accorta guida di Enrico Rava e Federico Ettore Balzarotti. L’assunzione di maggiori responsabilità da parte di Orsi coincise con la riorganizzazione delle direzioni dell’istituto e con l’accentramento delle funzioni sino allora condivise tra la sede di Milano e quella di Genova.
Nel luglio 1910 il matrimonio con la figlia di Balzarotti, Maria, gli permise di consolidare la carriera e di accrescere le probabilità di approdo ai vertici.
Maria, da cui Orsi ebbe due figlie, Carla nel 1911 e Federica nel 1913, morì vittima della influenza cosiddetta spagnola nel 1920, perdendo il bimbo che portava in grembo.
Nel 1915, un anno dopo che il suocero, in seguito alla scomparsa di Rava, era approdato al ruolo di amministratore delegato unico, fu nominato direttore centrale. Dal 1916 con l’ingegner Alberto Lodolo fece parte del gruppo di direttori di provata fiducia a cui Balzarotti, diradando la presenza negli uffici milanesi, affidò la direzione ordinaria. Lodolo e Orsi furono designati consiglieri delegati nell’aprile 1920.
Durante la crisi postbellica la sintonia tra il Credito Italiano e la Banca d’Italia registrò segni di affievolimento. Nella corrispondenza privata con Orsi, Balzarotti espresse giudizi critici circa le scelte compiute dal direttore generale della Banca Bonaldo Stringher, incline – a suo dire – a rifinanziare con eccessiva generosità le banche che concentravano i rischi in pochi grandi gruppi industriali. Forse anche per la diversità di vedute con Stringher, nel luglio 1921 Balzarotti si dimise dalla carica di amministratore delegato, diventando però presidente con l’appoggio di Giovanni Battista Pirelli. Tra il 1923 e il 1924, seguendo la stessa linea di Balzarotti, Lodolo e Orsi opposero una certa resistenza alle sollecitazioni di Stringher e delle autorità di governo affinché il Credito Italiano finanziasse con larghezza le imprese affidate.
A questi motivi di frizione si sommava la diffidenza di Orsi e Balzarotti verso i provvedimenti di rafforzamento dei poteri di vigilanza che in sede di governo si volevano assegnare alla Banca d’Italia, in contrasto con l’idea che il sistema bancario fosse in grado di regolarsi da sé o al più, in particolari circostanze, con l’intervento dell’istituto di emissione, in un quadro di minima regolamentazione degli intermediari.
Nel 1926 Orsi divenne amministratore delegato unico dell’istituto e, confermando la sostanziale autonomia di giudizio già rivendicata dal suocero, accolse con freddezza la scelta di rivalutare la lira a ‘quota novanta’, una misura in linea di principio obbligata dopo il ritorno alla convertibilità della sterlina deciso dalla Banca d’Inghilterra nell’aprile 1925, ma avvertita, correttamente, come un fattore di potenziale indebolimento della competitività delle imprese e, quindi, di deterioramento dei debiti contratti con le banche nella precedente fase di alta inflazione. La deflazione imposta dalla politica monetaria restrittiva di ‘quota novanta’, preceduta dai provvedimenti del ministro delle Finanze Alberto De Stefani sui mercati di borsa, produsse severi effetti che Orsi, come amministratore delegato, si trovò a fronteggiare.
Dal 1927 le maggiori banche miste furono indotte, con frequenza e in misura crescente, a consolidare i debiti delle imprese affidate mediante assunzione di partecipazioni azionarie dirette. Il Credito Italiano tese a contenere quanto più possibile l’assunzione di responsabilità nella gestione delle proprie partecipazioni industriali, senza peraltro adeguare le strutture organizzative alle esigenze tecniche implicite nella crescita delle partecipazioni azionarie. Tale impostazione della politica degli impieghi fu largamente condivisa dalla maggior parte dei direttori centrali dell’istituto. Ciò malgrado, il Credito Italiano, i cui azionisti di maggioranza erano sollecitati dalle autorità centrali, aumentò le partecipazioni industriali, con effetto negativo sull’equilibrio dei bilanci. In tali circostanze, a differenza della Banca Commerciale (Comit), il Credito non creò una struttura specifica per seguire le partecipazioni industriali, limitandosi ad assegnare a un ufficio di staff, denominato Affari finanziari, il compito di monitorare le imprese partecipate. La decisione di non ridefinire le strutture interne, più che segno d’incapacità del management a definire un profilo organizzativo adeguato alle nuove circostanze, era funzionale a contenere le pressioni esterne, esercitate da alcuni azionisti e dagli ambienti governativi, affinché l’istituto si trasformasse compiutamente, secondo la formula di Pasquale Saraceno, in una ‘banca holding’.
La strategia di contenimento delle pressioni esterne e il parallelo sviluppo dei servizi di collocamento di obbligazioni attraverso la propria rete di sportelli, innalzando l’efficienza gestionale, appaiono in contrasto con le dure accuse che nel novembre 1930 Mario Alberti, ex direttore centrale del Credito, mosse in un lungo articolo pubblicato su La vita italiana, criticando aspramente lo stile di Orsi, ribattezzato ironicamente Bru-bru, i suoi rapporti con la clientela e gli azionisti di maggioranza dell’istituto (i Pirelli e Carlo Feltrinelli, in particolare), e il suo presunto «funambolismo affaristico». Alla feroce polemica di Alberti, il quale aveva condiviso sino alla fine del 1929 le politiche e le scelte della banca insieme agli altri tre direttori centrali (Mino Brughera, Arrigo Stoffel e Gustavo Alberti), seguì la sua estromissione dalla direzione dell’istituto, motivata con la sua intenzione di competere con Orsi per la posizione di vertice in una fase di ridefinizione degli equilibri interni. Lo scandalo prodotto dall’articolo di Alberti, suscitando l’ostracismo delle autorità di governo, ne decretò l’allontanamento dalla vita pubblica, mentre Orsi entrò in una fase estremamente delicata della propria carriera dovendo partecipare, insieme a Carlo Feltrinelli e Alberto Pirelli, alle trattative per il sostegno prima e il salvataggio pubblico poi delle banche miste, qual era il Credito Italiano.
Dopo le convenzioni tra l’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI) e le ex banche miste (Comit, Credit e Banco di Roma) del marzo 1934, Orsi, riconoscendo che si chiudeva un ciclo dell’ attività, chiese di essere «sollevato dall’assorbente funzione» di amministratore delegato (Credito Italiano, Verbali del Comitato esecutivo, 30 marzo 1934). In segno di apprezzamento del suo operato da parte dei vertici dell’IRI, fu nominato vicepresidente del Credito, carica che mantenne sino all’aprile 1954.
Dalla fine degli anni Trenta, Orsi fissò la sua residenza a Formia, nel cui ruolo degli agricoltori figurava, per gestire direttamente le proprie proprietà fondiarie. Nel 1944, dopo la liberazione di Roma, tornò ad assumere un ruolo attivo, assumendo il mandato di commissario straordinario del Credito Italiano per il territorio liberato, per il quale gli furono attribuiti i poteri di presidente del consiglio e del comitato esecutivo dell’istituto. Orsi svolse l’incarico dalla capitale, dove si era nel frattempo stabilito con la seconda moglie, Anna Fontana, sino all’insediamento del nuovo consiglio di amministrazione nel luglio 1945. Nella seconda metà degli anni Quaranta fu chiamato a far parte della commissione per la riforma dello statuto dell’IRI e, nel 1953, assunse la presidenza del Mediocredito Centrale.
Nell’aprile 1954 rassegnò le dimissioni dalla vicepresidenza del Credito Italiano e dal consiglio della partecipata Banque Italo-Belge. Cavaliere di Gran Croce, fu tra i promotori dell’Istituto di cultura bancaria.
Morì a Roma il 13 novembre 1962.
Fonti e bibl.: Comune di Como, Servizi Demografici, Certificato storico della famiglia C. O.; Olomouc/Olmütz, Archiv, Registri, 6207, nn. 2737 e 2758; Ibid., Geburtsmatrik der röm.-kath. Pfarrei Olmütz - St. Mauritz, Kirchenbuchnummer 5596, c. 131, 22 nov. 1857; Olmütz Hausnummer 445; Milano, Arch. storico Unicredit, fondo Credito Italiano, Verbali del Comitato esecutivo e Verbali del Consiglio di amministrazione, ad annos; ibid., Carte Brunetti, Studi e ricerche, ff. 11 e 17; ibid., Direzione Centrale, Segreteria Alta Direzione, consiglieri di amministrazione cessati, f. 39, C. O.; M. Alberti, Tipi di Cagliostro. Le mistificazioni dell’«homo oeconomicus», in La vita italiana, XVIII (1930), 212, pp. 449-462; E. d’A[lbergo], C. O., in Rivista Bancaria, 1963, n. 1-2, pp. 99-102; E. Cianci, Nascita dello Stato imprenditore in Italia, Milano 1977, pp. 24, 32, 37; La Banca d’Italia e il sistema bancario 1919-1936, a cura di G. Guarino - G. Toniolo, Roma-Bari 1993, pp. 258-262; A. Confalonieri, Banche miste e grande industria in Italia, 1914-1933, Milano 1994, passim; D. Ferrari, Una fonte per lo studio della banca mista: i fiduciari del Credito Italiano 1895-1918, inArchivi e imprese, VII (1996), 14, pp. 391 s.; Storia del Mediocredito Centrale, a cura di P. Peluffo, Roma-Bari 1997, passim; E. Hoeprich, The Clarinet, New Haven 2008, p. 289; T. Sisa Sanseverino, C. O.: invidie e verità, in Rivista di storia finanziaria, 2006, n. 16, pp. 69-130; G. Nardozzi - G. Piluso, Il sistema finanziario e la borsa, Roma-Bari 2010, passim; L. Segreto, I Feltrinelli. Storia di una dinastia imprenditoriale (1854-1942), Milano 2011, pp. 321-323, 326.