VAGNUCCI, Carlo
– Nacque a Cortona nel 1614 dal nobile Giovanni Battista e da Angiola Mancini.
Ricevette il sacramento del battesimo il 22 dicembre. Il 24 ottobre 1631 entrò tra i cappuccini toscani, assumendo il nome di Serafino da Cortona, dopo una giovinezza caratterizzata, secondo i cronisti dell’Ordine, da buona istruzione, austerità di vita e assistenza agli infermi. Completò gli studi fino all’ordinazione sacerdotale e al grado di predicatore. A trentatré anni si aggregò alla seconda spedizione nella Missio antiqua nel regno del Congo, partita da Cadice il 15 ottobre 1647 e arrivata a Pinda, alla foce dello Zaire, il 9 marzo 1648.
Recatosi, insieme con gli altri missionari, nella capitale San Salvador, ottenne una lettera del re Garcia II che lo autorizzò a propagare il cristianesimo ordinando ai capi villaggio di proteggerlo. La sua prima destinazione fu Soyo, dove andò con Giovanni Maria da Pavia e fra Francesco da Licodia. Il 29 giugno, predicando in un villaggio su un’isola dello Zaire, rischiò di essere ucciso da ribelli. In novembre Salvador Correia de Sà Bonavides, che aveva appena riconquistato al Portogallo la città di Luanda occupata dagli olandesi, chiese al prefetto della missione Bonaventura Terzini d’Alessano di inviare i cappuccini anche in Angola. Furono scelti Serafino da Cortona e fra Francesco, che arrivarono a Luanda all’inizio del 1649 e, dopo alcune sistemazioni precarie, ottennero dal Correia la chiesetta di S. Antonio e un piccolo ospizio.
La Compagnia olandese delle Indie occidentali aveva occupato le aree costiere dell’Angola tra il 1641 e il 1648, proseguendo la sua politica di espansione sulle coste atlantiche americane e africane mirante alla fondazione di nuove colonie e al monopolio del traffico degli schiavi. L’arrivo degli olandesi era stato accolto con favore dal re del Congo e dalla regina di Ndongo e Matamba, Zinga (anche Nzinga o Njinga Mbande), alleatisi con loro per allontanare i portoghesi, che miravano a porre i loro regni sotto il protettorato lusitano, subendo però, dopo la ritirata olandese, sfavorevoli condizioni di pace. La complessità della situazione politica, aggravata dalla lunga guerra in corso tra la Spagna e il Portogallo per la restaurazione dell’indipendenza di quest’ultimo, ebbe conseguenze anche all’interno della missione cappuccina, fomentando divisioni tra i religiosi e creando ostacoli alla loro attività missionaria.
Dopo un primo anno difficile, i cappuccini conquistarono la simpatia della popolazione e Vagnucci fu apprezzato come predicatore, tanto da convincere ad abiurare il protestante Johannes Cassavius Slusenghein. A lui fu anche affidato il compito di tenere l’orazione funebre per il vescovo Francisco de Soveral. Ma la scelta di fondare tre confraternite (per quanto da lui regolamentate come semplici associazioni) per fedeli sposati, celibi e giovani gli attirò i sospetti del commissario del S. Uffizio portoghese, il gesuita Miguel de Mariz, che lo ostacolò ripetutamente finché Vagnucci non ottenne da Propaganda Fide che i missionari fossero esentati dal suo controllo. Fu anche aiutato dal nuovo governatore Rodrigo de Miranda Henriques, di cui fu il confessore, e dalla circostanza che in una delle sue confraternite fosse iscritta, sebbene ostaggio dei portoghesi, donna Barbara, la sorella della regina Zinga, da tempo in guerra con i portoghesi. Vagnucci ebbe la fiducia della donna, che parlando di lui nelle sue lettere alla sorella, creò le condizioni che portarono poi alla sua conversione e alla pace.
Nel dicembre del 1649 scrisse una lettera al re del Portogallo Giovanni IV, difendendo i confratelli, perlopiù italiani e spagnoli, dalle accuse strumentali di predicare contro la Corona fomentate dal re del Congo, alla ricerca di un aiuto esterno per liberarsi dalla tutela portoghese. L’ambivalenza di Garcia II e le ostilità tra la Spagna e il Portogallo si ripercuotevano sull’azione dei cappuccini. Per questo e per l’evoluzione in senso critico del suo giudizio sulla fede degli indigeni (dopo l’iniziale entusiasmo egli si rese conto che la loro adesione al cristianesimo era quasi sempre formale, poiché mantenevano usanze e superstizioni giudicate pagane) nel 1651 espresse il parere che sarebbe stato meglio abbandonare la missione in Congo e concentrare tutti i cappuccini in Angola, dove i religiosi avrebbero potuto essere aiutati dai portoghesi, sebbene ne condannasse il duro schiavismo, facendo arrivare i nuovi missionari solo attraverso il Portogallo. La proposta non fu accolta da Propaganda Fide, che però incaricò il nuovo prefetto della missione, Giacinto da Vetralla, di erigere una nuova prefettura a Matamba, distinta da quella del Congo. Nel dicembre del 1654, a Luanda, Giacinto da Vetralla e i frati presenti elessero proprio Vagnucci prefetto della nuova missione, pur essendo questi uno dei missionari cappuccini che consideravano illegittime le circostanze in cui Giacinto da Vetralla aveva assunto la prefettura. A motivo del disaccordo, immediatamente sorsero problemi sui confini della nuova prefettura nei quali Vagnucci voleva ricomprendere anche il territorio angolano, che Giacinto da Vetralla considerava invece parte della missione congolese. Inoltre Matamba era sotto il controllo della regina Zinga e i portoghesi ritenevano rischioso per l’esito ancora incerto delle trattative di pace in corso mandarvi un religioso di alto grado. Perciò la prefettura fu stabilita a Massangano, lungo il fiume Cuanza, in mani lusitane ed equidistante da Luanda e Matamba. Da lì Vagnucci coordinò i negoziati con la regina, riuscendo a favorirli facendo liberare la sorella, che tornò presso Zinga in compagnia di Antonio Laudati da Gaeta. Si poté così arrivare alla pace con il Portogallo e alla conversione di Zinga, il 12 ottobre 1656, che poneva termine a trentotto anni di guerra senza che la regina fosse costretta a dichiararsi vassalla di Lisbona. Il 21 novembre Vagnucci chiese il rimpatrio per motivi di salute. Desiderava sostenere la causa della missione di Matamba presso il nuovo papa Alessandro VII, che aveva conosciuto da giovane prima di partire per l’Africa. Nel frattempo però era morto Giovanni IV del Portogallo e Zinga pensò di servirsi di Vagnucci come suo ambasciatore per presentare le condoglianze alla regina e reggente Luisa de Gusmão, far ratificare il trattato di pace e omaggiare il pontefice. La partenza venne programmata all’inizio di settembre del 1657 ma, per non farla coincidere con quella di Giacinto da Vetralla che pure aveva chiesto il rimpatrio, fu ritardata di ancora un anno. Dopo aver nominato viceprefetto Laudati da Gaeta Vagnucci si imbarcò a Luanda il 6 luglio 1658 su un veliero inglese. La sua nave, che trasportava anche l’ex governatore Luís Martins de Sousa Chichorro, fu attaccata da un corsaro olandese e Vagnucci arrivò a Lisbona, dopo essere stato abbandonato su un’isola con i sopravvissuti, all’inizio di dicembre. Presentò alla reggente e al Consiglio ultramarino, che la approvarono, una relazione sulla sua missione che ne illustrava i vantaggi dal punto di vista della ricerca di vie di comunicazione con la colonia del Mozambico, ottenendo il permesso di reclutare nuovi missionari e disporre a Lisbona di un ospizio dove accogliere quelli che rientravano dall’Africa. Il 25 agosto 1659 giunse a Livorno, da dove scrisse a Propaganda Fide una lettera nella quale incolpava Giacinto da Vetralla per lo stato della missione in Congo proponendo, come fece a Roma, di rafforzare quella a Matamba. La Congregazione, però, l’anno successivo preferì accogliere la proposta di Giacinto da Vetralla e di Laudati da Gaeta di riunificare le due prefetture. A Roma, il 31 gennaio 1660 chiese il permesso di rinunciare alla prefettura, motivandolo con l’ostilità dei gesuiti e del re del Congo nei suoi confronti.
In febbraio, grazie alla sua conoscenza delle lingue kikongo e kimbundu, parlate in Congo e in Angola, preparò per la stampa e consegnò a Propaganda Fide le Istitutioni Christiane in kimbundu, perdute o non pubblicate, mentre maggiore circolazione manoscritta ebbe la Breve relatione de i riti gentileschi e ceremonie diaboliche e superstitioni del infelice regno di Congo (pubblicata in Piazza, 1976, pp. 318-330), una traduzione rielaborata e ampliata, composta tra il 1652 e il 1653, della Relación de los ritos gentilicos di Buenaventura de Corella. Quest’ultimo aveva descritto solo i riti praticati nel Soyo e nel Basolongo, invece Vagnucci ampliò la trattazione a tutto il Congo conosciuto, realizzando una prima esposizione sistematica di ciò che allora si riteneva fosse il maggiore ostacolo all’evangelizzazione delle popolazioni indigene africane, ovvero il loro paganesimo superstizioso. Storicamente rilevanti sono anche le sue lettere, tra cui la relazione del 6 marzo 1653 sul martirio del missionario cappuccino Giórgio di Gheel.
Rientrato nella provincia toscana, fu eletto guardiano del convento della Concezione a Firenze, ma morì a Montughi, prima di poter assumere la carica, il 7 settembre 1660.
Fonti e Bibl.: Lexicon capuccinum: promptuarium historico-bibliographicum ordinis fratrum minorum capuccinorum (1525-1950), Romae 1951, col. 1582; B. Frescucci, Pagine cortonesi, Cortona 1968, pp. 29-46; L. Jadin, L’ancien Congo et l’Angola, 1639-1655, d’après les archives romaines, portugaises, néerlandaises et espagnoles, I-III, Bruxelles-Rome 1975, ad ind.; C. Piazza, La prefettura apostolica del Congo alla metà del XVII secolo. La relazione inedita di Girolamo da Montesarchio, Milano 1976, pp. 297-330; T. Filesi - I. de Villapadierna, La “Missio Antiqua” dei cappuccini nel Congo (1645-1835). Studio preliminare e guida delle fonti, Roma 1978, ad ind.; G. Saccardo, Congo e Angola. Con la storia dell’antica missione dei cappuccini, a cura di E. da Cavaso, I-III, Venezia-Mestre 1982-1983, ad ind.; R. Gray, The papacy and Africa in the 16th century, in Il cristianesimo nel mondo atlantico nel secolo XVII. Atteggiamenti dei cristiani nei confronti dei popoli e delle culture indigeni. Atti della tavola rotonda..., Montréal... 1995, Città del Vaticano 1997, pp. 283-305 (in partic. p. 293); B. Turchetta, Padre Giacinto da Vetralla missionario in Angola e in Congo. Un cappuccino italiano del ’600 tra linguistica e antropologia, Viterbo 2007, pp. 33, 38.