WOSTRY, Carlo
– Nacque a Trieste il 18 febbraio 1865 da Ferdinando, di origini irlandesi, e da Virginia Artelli, appartenente a un’illustre famiglia di provenienza veneziana.
Già l’ambiente familiare gli permise di far parte di un’atmosfera artistica di livello; il nonno, infatti, fu Giovanni Battista Artelli, «amantissimo d’arte e collezionista» che «si era trasferito da Venezia a Trieste intorno al 1800» e nel cui salotto, a partire dal 1840, transitarono artisti di fama, tra i quali Giuseppe Lorenzo Gatteri e Cesare Dell’Acqua (Wostry, 1934, pp. 11-13).
A dispetto delle fonti totalmente mute al riguardo, ben prima di frequentare l’Accademia di belle arti di Vienna Wostry si formò alla Civica reale scuola superiore di Trieste a partire dal 1876, quindi dai dodici anni; nei registri dei presenti, sotto la guida di Tito Agujari, egli risulta dal profitto generale «soddisfacente»; va rilevato che al quarto anno del suo iter accademico, nel biennio 1879-80, giunse nelle aule Umberto Veruda, con il quale strinse un’amicizia profonda sino alla morte di questi (Crosera, 2017).
Il giovane Wostry frequentò dall’anno 1882 (che segnò il suo precoce debutto anche all’Esposizione internazionale di Berlino) fino al 1885 l’Accademia di belle arti di Vienna, indirizzandosi allo studio della ritrattistica, specie di ambito familiare e borghese, in sintonia con il percorso accademico viennese del conterraneo Giuseppe Barison (Ritratto del padre, Trieste, collezione privata; Ritratto di Virginia Artelli, Trieste, collezione privata; Studio di donna, firmato e datato al 1884, Trieste, collezione privata); quindi passò all’Accademia di belle arti di Monaco nel 1886, divenendo sodale, oltre che di Veruda, di Isidoro Grünhut e rimanendovi per un solo anno, sino al 1887, quando fece ritorno a Trieste insieme ai due amici. Di tale periodo monacense e del successivo rientro nella città giuliana si ritrovano abbondanti testimonianze e aneddoti riportati dallo stesso Wostry nella sua Storia del Circolo artistico di Trieste (1934). L’incontro con Max Liebermann fu tuttavia troppo superficiale per lasciare una vera impronta stilistica sul giovane, tanto che il primo lavoro di un certo impegno lo vide guardare ancora alla pittura di matrice romantica; ci si riferisce alla Via Crucis, esposta proprio nel 1887 nelle sale della Borsa di Trieste, e poi collocata nella chiesa di S. Maria Maggiore, dove ancora si trova. Il recupero del quaderno del 1886 con i disegni preparatori a tale impresa mostra già le opere a uno stato evoluto su carta, bozzetti ben definiti che, infatti, avrebbero portato Wostry a concludere i quattordici dipinti in soli tre mesi. Tiepida fu l’accoglienza critica sulle pagine del periodico Il Piccolo il 24 febbraio 1887: «Wostry non ci presenta, per quanto riguarda il concetto, nulla di nuovo. Anch’egli si è tenuto alle antiche tradizioni ma bisogna pur convenire che data la poca capacità della tela sulla quale dovevano venir dipinte più figure ed abbastanza grandi, il Wostry le ha collocate con sufficiente naturalezza ed armonia. Per quanto riguarda, quindi, la composizione, il nostro giovane ha dato prova di aver dello slancio e del talento artistico».
Il 1887 fu un anno cruciale, che lo portò a vincere l’ambita borsa di studio Rittmeyer per compiere il soggiorno formativo a Roma, cosa che avvenne, di nuovo, in un tempo troppo breve per imprimere una svolta stilistica: «Ma di questo studio non potei usufruire che per pochi mesi, perché mi colse un’infermità agli occhi, che mi durò oltre due anni rendendomi per sempre inservibile l’occhio sinistro. Da principio mi risentii di questa limitazione; poi mi rimisi a lavorare» (Wostry, 1934, p. 55). È interessante constatare che, di fatto, egli ritornò al ritratto monumentale e al contesto del Circolo artistico triestino: produsse così il ritratto del pittore Giuseppe Garzolini (Trieste, Civico Museo Revoltella), firmato, datato al 1888 ed esposto a Budapest nello stesso anno, così come quello del barone Pietro Sartorio, forse tra le sue migliori composizioni (Trieste, Civico Museo Sartorio, dove è conservato anche il grande Autoritratto del pittore che introduce al salone da ballo). Sul ritratto di Garzolini, artista che ebbe il merito di importare a Trieste il mondo andaluso grazie ai suoi frequenti viaggi, Il Piccolo il 4 giugno 1888 riferì: «è un quadrone, una tela gigantesca addirittura. Su di un fondo bianco bianco, spicca la maestosa e simpatica figura del Garzolini, il caro ed amabilissimo artista Wostry l’ha ritrattato alla perfezione. La fisionomia è parlante, è così splendidamente scolpita da far sorridere quando si guarda quella tela». Per la Strenna del Circolo artistico Wostry realizzò Al molo, una scena su litografia che poi divenne anche un dipinto a olio, tra i suoi capolavori extraritrattistici, con il titolo Tramonto al molo San Carlo (Trieste, Civici Musei di storia e arte; diverse le opere qui conservate, tra le quali Il sonno).
Furono questi gli anni, 1887-88, che lo videro impegnato anche in qualità di caricaturista per il Circolo stesso, con prove di cui rimangono alcuni esemplari, come quelli dedicati a Giuseppe Caprin, a Eugenio Scomparini, a Luigi Conti e a sé stesso (Trieste, Civici Musei di storia e arte), oltre a scoprire il gusto orientalista attraverso i colleghi più maturi, come Scomparini o Enea Ballarini, ma anche l’amico Veruda, che già nel 1886 aveva dipinto un Arabo in preghiera.
L’amicizia con le personalità del Circolo portò ad altri legami importanti per Wostry, oltre a capolavori nell’ambito della ritrattistica, specie quelli, non del tutto conosciuti, della famiglia dell’architetto Giacomo Zammattio, che gli comprò anche l’opera parigina Madeleine, del 1898, la quale fece vincere al pittore la menzione onorevole al Salon (Ritratto dell’architetto Giacomo Zammattio, firmato e datato 1890; Ritratto di Lia Zammattio Fontana; Ritratto dei figli Carlo e Lia Zammattio, eseguiti nella primavera del 1902; Trieste, collezione eredi Zammattio); forse a questa amicizia è da legare il grandioso bozzetto per una scenografia teatrale datato 1888, da poco emerso sul mercato antiquario, e in sintonia con i raggiungimenti di Scomparini (olio su tela, 65×107 cm, collezione privata). Si registrano altre opere del periodo in numerose collezioni triestine (Ritratto del signor Brunner, firmato e datato 1888; Ritratto della signorina Engelmann; Inno, firmato e datato 1888, Trieste, collezione privata; Ritratto dello scultore Luigi Conti, firmato e datato 1889, Trieste, collezione privata), oltre a quelle ricordate dalle fonti e presentate in diverse esposizioni del Circolo artistico: Fantasia di primavera, Il vecchio e il nipotino, Il pizzicotto, Le tre Grazie (firmate e datate al 1895, e ora rintracciate, collezione privata), La piccola convalescente; quest’ultima, di ubicazione ignota, gli consentì di vincere il premio Rittmeyer del quale si è detto.
Nella prima metà degli anni Novanta, colto da una profonda crisi, e nonostante il lavoro a quattro mani con l’amico Veruda alla Ragazza tra i fiori (1893), salutata dalla critica del tempo come una «bizzarria artistica» (L’indipendente, 1° aprile 1893), Wostry iniziò a viaggiare e, prima di giungere a Parigi sul finire del 1895, partecipò a diverse esposizioni internazionali (a Barcellona, dove vinse una medaglia d’argento, e a Dresda), e poi si spinse in Russia e sino in Oriente, passando per l’Attica, Atene e la Turchia (Sibilia, 1922, 1993), ma soprattutto a Budapest, dove lavorò a più riprese per ben tre anni; a questo periodo appartengono alcune opere oggi rintracciate e altre di ubicazione ignota, specie numerosi ritratti (Dafni e Cloe, ubicazione ignota; Tra amiche, 1892, ubicazione ignota; Lacrime, datate 1893, Roma, Galleria nazionale d’arte moderna; Confidenze, datate 1894, collezione privata; Ritratto della cantante Vasquez; Ritratto del generale Thürr; Ritratto del conte Appeny; Ritratto del conte Andrassy).
Tra il 1895 e il 1902 Wostry dimorò in Francia, i primi due anni a Parigi e quindi, verso le coste della Manica, a Trouville-sur-Mer. Qui sappiamo che l’artista, come si poté notare subito, si diede a una produzione torrenziale: «Grandi quadri di gusto parigino, illustrazioni per giornali e libri, acqueforti e puntasecche; la variazione del lavoro gli serviva di riposo» (Berlam, 1933, p. 161). Vale la pena riportare le varie partecipazioni di Wostry ai salons, poiché fu di certo il più fortunato artista proveniente dalle sue terre a inserirsi in quel contesto da ‘pittore parigino’. Egli vi fu costantemente a partire dal 1898, anno nel quale presentò la Madeleine già citata e Le boulevard des Italiens (firmato e datato Parigi, 1898; collezione privata), e nel 1899 con Un coin du boulevard (riportato anche in Le Figaro illustré, agosto 1899, ubicazione ignota) e con Steeple-Chase (illustrato nel catalogo del Salon, ubicazione ignota), un dipinto che inaugurò un vero e proprio filone sviluppato in questi anni da Wostry sulla falsariga delle conquiste di Edgar Degas, sebbene ancora con una pennellata alla Géricault e alla Delacroix, pittori rimasti impressi nella sua mente. Dal dipinto del 1897 per la chiesa di S. Rocco a Parigi raffigurante Cristo e la Maddalena fino al Martirio di s. Giusto per la cattedrale di S. Giusto a Trieste, realizzato proprio a Parigi nel 1900, egli non solo recuperò ma riprese alla lettera ideazioni di quel secondo grande genio romantico.
Nel 1900 si presentò con Portrait d’homme (di fatto un Autoritratto, ubicazione ignota) e nel 1901 con Les Hespérides (ubicazione ignota), opere che conosciamo anche grazie al prezioso e poco noto album fotografico del pittore (Trieste, collezione privata).
Davvero numerosissime le opere del periodo francese (senza contare il lavoro di illustratore per Le Figaro illustré), molte delle quali si registrano comunque in collezioni private triestine (Le corse a Parigi, firmate e datate 1895; La corsa di Auteil, 1896; Allo specchio, Torino, collezione privata; Bambini nel parco, 1897 circa; Corse Luigi Filippo; Mare di Trouville, 1896; Pescatori di aringhe, 1897 circa; Nel parco di Saint Cloud, Torino, collezione privata). Tra esse spicca La scena boschereccia, la quale, firmata e datata 1902, segnò la fine di questa felice stagione per il pittore (Trieste, Civico Museo Revoltella), reduce anche da un breve soggiorno londinese.
Rientrato a Trieste, Wostry si dedicò pure alla scultura, alla grafica e alla medaglistica, partecipando a diverse esposizioni internazionali: Vienna, Praga, Berlino, Augusta; ma, in particolare, fu alle Biennali veneziane nelle edizioni degli anni 1910, 1920, 1922, 1924 e 1925. Va almeno citata l’opera La pianella, del 1910, presentata alla Biennale dello stesso anno (Trieste, collezione privata) e che dimostra una conoscenza diretta anche del mezzo fotografico in terra parigina.
Del 1906 è la decorazione del soffitto di palazzo Artelli, raffigurante Il Destino (bozzetto in collezione privata), il cui groviglio anatomico si ricollega alle conquiste di Giulio Aristide Sartorio.
Wostry non tralasciò il giapponismo e l’esotismo, con prove sempre di grande dimensione, come Donne arabe, del 1904-05 (Trieste, collezione Generali, dove è presente anche Il seminatore, in linea con certo timido divisionismo), Le marocchine nelle loro stanze (collezione privata; aperto omaggio a Delacroix), Il venerdì delle acque dolci di Costantinopoli, del 1904 (Trieste, collezione Marzari; influenzato da Fausto Zonaro), la Danzatrice giapponese, del 1912 (Trieste, Fondazione Cassa di Risparmio di Trieste).
Nel 1916 gli fu proposto il ruolo, ricoperto in precedenza da Scomparini, di professore di pittura all’Istituto industriale, al fine di impedire una nomina austriaca, e accettò; una grande produzione di xilografie risale a questo periodo (Gorizia, Musei provinciali). Ci fu quindi la sua partecipazione alla guerra e, nel 1925, la partenza per l’America.
Qui Wostry ottenne agiatezza economica anche per le diverse imprese decorative religiose: a New York decorò la chiesa di Nostra Signora di Lourdes, quindi fu a Washington, Chicago, San Francisco, Los Angeles, dove lavorò alla chiesa del Prezioso Sangue di Gesù, e a Pasadena, dove dipinse l’abside e la navata centrale della chiesa di S. Andrea; ma non disdegnò gli ambienti mondani come le sale da tè, che decorò anche, al pari di un casinò a Los Angeles.
Rientrò definitivamente a Trieste nel 1937, sistemandosi in via Rossetti, dove morì il 10 marzo 1943.
La produzione torrenziale di Wostry, iniziata da giovanissimo, non ha giovato al profilo dell’artista, impegnato anche in continui spostamenti e in continue sperimentazioni di mezzi figurativi, sebbene coerente al suo stile accademico che, di fatto, non abbandonò mai.
Delle diverse fasi, emergono con maggiore vigore compositivo la vena ritrattistica e autoritrattistica (si segnalano diversi autoritratti anche in collezioni prestigiose come il Civico Museo Revoltella, donazione Gruber-Benco, grazie all’amicizia con Silvio Benco) e quella di carattere irredentista (Ritratto di Attilio Hortis, 1907, Trieste, Museo del Risorgimento), tema a lui congeniale e sentito, con opere come Trieste XXX Ottobre 1915 e Festa dell’annessione, del 1921 (entrambi a Trieste, Museo del Risorgimento), o come quelle dedicate a Dante (la grande tela Dante in pineta, 1908, e l’acquerello I funerali di Dante, Ravenna, Museo Dantesco).
Nonostante la joie de vivre espressa nel periodo francese, emerge un attardamento stilistico, fortunatamente controbilanciato da tagli compositivi in linea con il meglio degli italiens de Paris (Federico Zandomeneghi, Giovanni Boldini e Giuseppe De Nittis, specie gli ultimi due), e spesso sorretto da un certo equilibrio cromatico.
Meno positiva, a detta di tutta la critica anche successiva, fu l’ultima fase, quando Wostry progettò diverse decorazioni per le chiese triestine di S. Vincenzo de’ Paoli (dove eseguì l’affresco del Compianto di Cristo, fra il 1924 e il 1925, e l’Apoteosi della Fede servita dalla Penitenza e dalla Carità), di S. Giusto e di S. Antonio Nuovo, per quella di S. Francesco a Ravenna e per quella di S. Maria Maggiore a Cordenons, con una serie di dodici grandi tele di Santi, che riuscì a portare a termine.
Fonti e Bibl.: Strenna del Circolo artistico di Trieste, Trieste 1888, passim; S. Sibilia, Pittori e scultori di Trieste (1922), Trieste 1993, p. 357; A. Berlam, C. W., in La Panarie, X (1933), 57, pp. 160-173; O. Basilio, Saggio di storia del collezionismo triestino, Trieste, 1934, passim; C. Wostry, Storia del Circolo artistico di Trieste, Udine 1934; G. Mencarini, L’opera grafica di C. W., in Gutenberg-Jahrbuch, XXXVI (1961), pp. 242-248; Catalogo della Galleria d’arte moderna del Civico Museo Revoltella, a cura di F. Firmiani - M. Molesi, Trieste 1970, passim; T. Barbo Millossovich, Il pittore triestino C. W., tesi di laurea, Università degli Studi di Trieste, a.a. 1974-75; Ead., Il pittore triestino C. W., in Arte in Friuli / Arte a Trieste, 1976, n. 2, pp. 131-141; Arte d’Europa tra due secoli, 1895-1914: Trieste, Venezia e le Biennali (catal., Trieste), a cura di M. Masau Dan - G. Pavanello, Milano 1995, passim; C. W. Da San Giusto a San Francisco (catal.), a cura di W. Abrami - L. Resciniti, Trieste 2000; Santa Maria di Cordenons, a cura di P. Goi, Fiume Veneto 2000, passim; M.B. Giorio, Trieste-Parigi: artisti in viaggio, in Arte in Friuli / Arte a Trieste, 2008, n. 27, pp. 59-87; C.H. Martelli, Dizionario degli artisti di Trieste, dell’Isontino dell’Istria e della Dalmazia, Trieste 2009, pp. 398 s.; M. Gardonio, Ottocento dalla A alla Z: contributi da Agujari a Zammattio, in Arte in Friuli / Arte a Trieste, 2010, n. 29, pp. 85-116; M. De Grassi, La “Sala della città di Trieste” alla Biennale del 1910, ibid., 2011, n. 30, pp. 201-240; La collezione d’arte della Fondazione CRTrieste, a cura di M. Gardonio, Trieste 2012, passim; V. Fontana, Le celebrazioni dantesche a Ravenna nel 1921 e il concorso per la decorazione di San Francesco: per una storia del Museo Dantesco, in Bollettino dantesco per il settimo centenario, IV (2015), pp. 185-195; L. Paris, C. W. e la redenzione di Trieste, in Nell’inferno del fronte: scrittori e artisti in guerra (catal.), Trieste 2015, pp. 35-38; G. Bucco, Aspetti della decorazione monumentale a soggetto religioso nel Friuli occidentale nella seconda metà del Novecento: tentativi di rinnovamento, in Atti dell’Accademia di San Marco di Pordenone, XIX (2017), pp. 623-652; C. Crosera, Umberto Veruda, Trieste 2017, pp. 50-53; P. Delbello, W.: fra sacro e profano, 1865-1943, Trieste 2019.