ZUCCHI, Carlo Pietro Daniele
Nacque a Reggio nell’Emilia, nella parrocchia di San Pietro, il 10 marzo 1777, figlio di Giovanni e di Luisa Burani.
Il modesto stato economico della famiglia, aggravato dalla morte del padre quando il giovane Zucchi aveva appena sette anni, non gli impedì di essere avviato allo studio del latino, anche grazie alla protezione di un fratello sacerdote, figlio di primo letto del genitore. Il desiderio della famiglia, che lo avrebbe voluto medico o avvocato, dovette presto scontrarsi con l’entusiasmo maturato da Zucchi per la vita militare, che divenne esplicito a partire dal 1796, quando l’arrivo delle truppe francesi lo indusse a lasciare gli studi per arruolarsi. Contagiato, come molti suoi coetanei, dagli ideali rivoluzionari e dai successi militari di Napoleone Bonaparte, entrò nel dicembre dello stesso anno in un battaglione di volontari reggiani e, promosso sottotenente, fu per la prima volta sul campo di battaglia presso Faenza: fu l’inizio di una brillante carriera militare. Poco dopo, sotto il comando del generale Giambattista Rusca, partecipò alla repressione delle insorgenze popolari marchigiane e nel 1797 fu nominato tenente nella terza legione cisalpina. Partì in seguito per le isole Ionie e rimase circa un anno a Corfù, patendo in prima persona le privazioni cui erano sottoposti i soldati italici. Nel 1798 fu promosso al grado di aiutante maggiore, con il quale fu distaccato in Toscana, dove si confrontò con le locali rivolte controrivoluzionarie, e l’anno seguente in Liguria: dopo la sconfitta dei Francesi a Novi nell’agosto 1799 emigrò oltralpe, entrando a far parte della divisione italiana nel frattempo formatasi a Digione per iniziativa di Giuseppe Lechi. Nel 1800 valicò il Gran San Bernardo a fianco di Napoleone e una volta giunto a Milano fu inviato ad affrontare le milizie armate reazionarie che si erano arroccate attorno al lago d’Iseo: la velocità dell’impresa, vittoriosa, lasciò una traccia indelebile su Zucchi, che negli anni seguenti ricordò con rammarico la guerra che in quegli anni aveva visto gli italiani contrapposti in scontri fratricidi. Nominato capitano aiutante maggiore, Zucchi diede manforte al generale Étienne Macdonald, assieme ad un battaglione di cacciatori italiani e a quattro squadroni di ussari, nelle operazioni militari alpine contro gli Austriaci, giungendo a occupare Trento. Nel 1801 fu aggregato al primo reggimento di fanteria leggera, destinato a sostituire la guarnigione francese di Bologna, e nel gennaio del 1803, in uno dei rari momenti di congedo dalla truppa, sposò la modenese Teresa Montanari.
Pochi mesi dopo Zucchi fu nominato capo di battaglione nel secondo reggimento di fanteria italiana, raggiungendo un grado di grande responsabilità operativa: al percorso da autodidatta, che gli aveva sino a quel momento dato grandi soddisfazioni sul campo, affiancò proprio in quegli anni lo studio degli aspetti teorici dell’arte militare. Nel 1805 fu presente all’incoronazione a re d’Italia di Napoleone nel Duomo di Milano e poco dopo si unì, grazie all’interessamento del generale Achille Fontanelli, al prestigioso corpo dei veliti, presso il quale ebbe importanti incarichi organizzativi. Ufficiale rigoroso e intransigente, l’anno seguente partecipò a una spedizione contro i Montenegrini che con una feroce guerriglia, sostenuti dai Russi, avevano messo a sacco la Dalmazia meridionale; in questa occasione fu elogiato dal generale Auguste de Marmont e nel 1807 fu promosso tenente colonnello. Due anni più tardi partecipò assieme ai suoi uomini alle operazioni belliche contro gli austriaci condotte dal viceré Eugenio tra Veneto e Friuli, dando ottima prova delle sue capacità militari e ricevendo la decorazione della Legion d’onore in seguito alla battaglia di Tarvisio. Di lì a breve, mentre si trovava in territorio nemico, impegnato nella presa della città ungherese di Raab (oggi Győr), gli giunse la notizia della nomina a generale di brigata dell’esercito italiano. Fu quindi a Lubiana, impegnato nella repressione di locali episodi di ribellione e ottenne un’ulteriore gratificazione con la nomina a barone dell’Impero, associata ad una dotazione di quattromila franchi di rendita annua. Gli anni seguenti lo videro occupare le cariche di comandante del dipartimento dell’Adige, del dipartimento dell’Alto Po e del dipartimento del Brenta, sino a quando, nel 1811, fu nominato ispettore generale della fanteria del Regno d’Italia. Nel marzo 1813 condusse i suoi soldati a Berlino con l’obiettivo di coprire la ritirata di Napoleone dalla Russia e prese così parte a diversi fatti d’arme, distinguendosi nelle battaglie di Lützen, Dresda e, con il grado di generale di divisione conferitogli dall’imperatore per avere impedito la rotta dell’armata del maresciallo Macdonald, in quella di Lipsia. In seguito alla sconfitta subita dai Francesi, gli fu ordinato di rientrare a Milano, con il delicato compito di ricondurre in patria i soldati italici e metterli a disposizione del principe Eugenio. Nel febbraio 1814, dopo aver avuto per breve tempo il comando della prima divisione, fu nominato governatore civile e militare della piazza di Mantova, un incarico di grande responsabilità per il cruciale ruolo strategico tradizionalmente giocato dalla città lombarda. Nello stesso mese partecipò alla battaglia del Mincio contro gli Austriaci del feldmaresciallo Heinrich Johann Bellegarde. Il viceré Eugenio gli rinnovò la sua fiducia di lì a poco, scegliendolo come plenipotenziario per siglare un accordo militare con il generale Michele Carrascosa, invitato da Gioacchino Murat. Il fallimento delle trattative e i tumulti di Milano, culminati nell’assassinio del ministro Giuseppe Prina, segnarono la fine del Regno d’Italia e la partenza del viceré per la Baviera; l’ultimo, tardivo tentativo di reazione in chiave nazionale che si ebbe nell’autunno del 1814, con la fallita congiura militare antiaustriaca ordita da diversi ufficiali napoleonici, tra cui Teodoro Lechi, Giacomo Filippo de Meester, Giovanni Rasori, vide probabilmente coinvolto lo stesso Zucchi.
Definitivamente chiusa la parabola napoleonica in Italia, a Zucchi non rimase che rassegnare le dimissioni, salvo accettare di essere poco dopo integrato nell’esercito asburgico, ottenendo il grado di tenente generale e commettendo, secondo le sue stesse parole, «il massimo degli spropositi» (Zucchi, 1861, p. 85). Si spostò così nel cuore dell’Impero asburgico, ricoprendo incarichi militari tra Troppau e Praga, ma si ritirò presto dal servizio e trascorse privatamente gli anni seguenti a Reggio. L’apparente tranquillità domestica fu interrotta nel 1823 quando, sospettato di un coinvolgimento – peraltro da lui sempre negato – nei moti carbonari del 1821, fu arrestato dalla polizia ducale e trasferito in territorio lombardo-veneto. Accusato di aver preso accordi occulti a danno degli Austriaci con Carlo Alberto, all’epoca principe di Carignano, fu sottoposto ad un lungo processo e rimase in carcere sino al 1826, quando ottenne la libertà provvisoria e poté fare rientro in patria.
Nel febbraio 1831 si dimise ufficialmente dall’esercito austriaco e lasciò precipitosamente Milano, dove temporaneamente si trovava, per raggiungere le città emiliane che erano nel frattempo insorte mettendo in fuga il duca Francesco IV. Confidando nella sua lunga esperienza, il governo provvisorio insediatosi a Modena lo nominò prefetto militare, con l’incarico di organizzare le truppe in vista di un attacco da parte degli Austriaci, che a ragione si credeva imminente. A nulla valsero gli sforzi organizzativi di Zucchi, che dinnanzi all’avanzata di un corpo d’armata nemico fece evacuare dapprima Reggio e poi Modena, ritirandosi a Bologna. Di qui partì nuovamente e, dopo un breve combattimento alle porte di Rimini, si diresse alla volta di Ancona, dove sperava, vanamente, di organizzare la resistenza. Alla fine di marzo, dinnanzi all’impossibilità di ingaggiare una vittoriosa controffensiva e dopo la resa della città, si imbarcò su un brigantino mercantile assieme agli altri maggiorenti della rivoluzione con la speranza di raggiungere la Francia: ma a poche miglia da Ancona, complice il tradimento del comandante, l’imbarcazione fu catturata da un naviglio austriaco comandato dal barone Francesco Bandiera, al quale Zucchi consegnò la spada in segno di resa. All’inizio di aprile il generale fu fatto sbarcare a Malamocco e rinchiuso dapprima nella fortezza veneziana di Sant’Andrea al Lido e poi nelle carceri di San Severo. Iniziò così per lui un lungo periodo di detenzione: il tribunale militare incaricato di giudicarlo lo dichiarò colpevole di diserzione e lo condannò a morte, salvo poi commutare la pena in venti anni di carcere duro. Trascorse gli anni seguenti nella prigione ungherese di Munchaz (oggi Mukačevo, in Ucraina), dove rimase sino al 1840, per essere poi trasferito dapprima nella fortezza boema di Josephstadt e infine a Palmanova.
Si trovava nelle carceri della città friulana quando gli eventi rivoluzionari del 1848 indussero il comandante austriaco della piazzaforte a evacuare tutti i suoi uomini: Zucchi venne immediatamente liberato e assunse il comando della fortezza di Palmanova, incarico che mantenne nonostante i reiterati inviti di Angelo Mengaldo e Daniele Manin a raggiungerli a Venezia. Convinto della necessità di una difesa a oltranza della città, «molto energico nonostante i settantun anni» (Pieri, I, 1962, p. 372), il generale organizzò la sua piccola guarnigione, composta di soldati bellunesi, trevigiani e friulani, fiancheggiati da alcuni cannonieri piemontesi: tramite sortite e agguati, Zucchi tentò inutilmente di difendere la città, finita nel frattempo sotto l’assedio delle truppe del generale Laval Nugent. Alla fine di giugno Palmanova capitolò e gli Austriaci ripresero possesso della fortezza. Raggiunta Reggio, Zucchi fu presto chiamato a Milano dal presidente del governo provvisorio Gabrio Casati, che gli attribuì il grado di generale di divisione, col compito di organizzare la difesa a Brescia e sull’Adda. Con l’approssimarsi dell’esercito austriaco guidato dal feldmaresciallo Josef Radetzky, Zucchi fu tra coloro che ritennero la difesa un atto disperato e, benché gli venisse offerto di guidare in prima persona la resistenza a oltranza, rinunciò e seguì Carlo Alberto e i piemontesi che lasciavano la città ambrosiana; riconosciuto come traditore, fu arrestato e ricondotto per due volte a Milano prima di poter raggiungere Lugano all’inizio di agosto. L’esilio svizzero non durò che pochi mesi, poiché nel novembre accettò la nomina a ministro della Guerra di papa Pio IX, che desiderava «un uomo, il quale accoppiasse ai talenti necessari una matura esperienza pel buon andamento delle cose militari negli stati della Chiesa» (Zucchi, 1861, p. 145). La ferrea disciplina per la quale era noto indusse il pontefice a ritenerlo l’uomo adatto a reprimere i fermenti rivoluzionari che si stavano nel frattempo sviluppando a Bologna. Zucchi si trovava nella città felsinea quando l’assassinio di Pellegrino Rossi e la successiva fuga del pontefice a Gaeta lo indussero a raggiungere Pio IX, mettendosi nuovamente al suo servizio. Di lì a breve tuttavia, soprattutto a causa dell’opposizione del cardinale Giacomo Antonelli, non gli fu rinnovato l’incarico ministeriale.
Nei dieci anni seguenti, ritiratosi a vita privata, visse soprattutto a Roma e solo nel 1859 si recò a Torino, dove fu ricevuto da Vittorio Emanuele II, al quale manifestò la volontà di mettersi al servizio di Casa Savoia: grazie a una raccomandazione del ministro della Guerra sardo Manfredo Fanti, il sovrano gli riconobbe il grado di tenente generale in ritiro e gli concesse la croce dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro. Rientrato a Reggio dopo l’unità, il 5 giugno 1861 fu gratificato dalla città natia con l’attribuzione di una medaglia d’onore in virtù della sua partecipazione alle guerre per la «redenzione della patria» (Zucchi, 1861, p. 166). Nello stesso anno consegnò al concittadino Nicomede Bianchi le sue Memorie: pubblicate poco dopo a cura dello stesso presso la casa editrice Guigoni, esse erano l’estremo tentativo di difesa del generale dalle numerose accuse di arrendevolezza ricevute nel corso di una lunga carriera. In particolare, Zucchi cercò di giustificare il suo atteggiamento durante i moti degli anni Trenta, la resa di Palmanova, avvenuta quando la città era ancora fornita di viveri e munizioni, l’abbandono di Milano al seguito dei Piemontesi e, soprattutto, la sua decisione di rispondere all’appello del pontefice dopo l’avvio della rivoluzione romana, ponendosi al suo servizio durante il temporaneo esilio a Gaeta.
Morì a Reggio nell’Emilia il 19 dicembre 1863.
Reggio Emilia, Archivio diocesano, Registro dei battezzati nel battistero di Reggio Emilia, vol. 49, 1776-78. Il carteggio di Zucchi è conservato presso la Biblioteca Reale di Torino, Mil. 388, mentre altro materiale manoscritto si trova presso la Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia, Mss. Regg. E. 223/26, 223/28, 223/29, 223/30. L’Archivio di Stato di Reggio Emilia (Archivi privati, Carte private diverse n. 15, Documenti riguardanti il generale Carlo Zucchi) custodisce le Memorie di un compagno d’armi del generale C. Z. reggiano sulla sua carriera militare fino alla cessazione del governo del Regno d’Italia, mentre altra documentazione si trova in Archivi privati, Corti Zucchi Lamberti, f. 3; sono utili anche le carte di Nicomede Bianchi in Archivio di Stato di Torino, Corte, Archivi privati, Carte Bianchi. Restano assai importanti le Memorie del generale C. Z., pubblicate per cura di N. Bianchi, Milano-Torino 1861 e la Biografia del barone C. Z. di Reggio nell’Emilia generale d’armata, Reggio nell’Emilia 1864. In assenza di una monografia dedicata a Zucchi si veda il profilo di P. Schiarini, in Dizionario del Risorgimento nazionale, IV, Milano 1937, pp. 650-653 e il saggio di P. Bianchi, C. Z. Appunti per una biografia militante fra età napoleonica e Risorgimento, in Rivista storica italiana, CXVIII (2006), 1, pp. 188-218, poi riproposto in Armi e nazione. Dalla Repubblica Cisalpina al Regno d’Italia (1797-1814), a cura di M. Canella, Milano 2009, pp. 144-170. Numerosi sono i contributi in cui vengono messi in luce tratti della biografia militare di Zucchi e in particolare: U. Pesci, I bolognesi nelle guerre nazionali, Roma 1906, ad ind.; E. De Rossi, La brigata italiana Z. e la divisione italiana Peyri nella campagna del 1813 in Germania, in Memorie storiche militari, III, Roma 1910, pp. 335-432; Gli italiani in Germania nel 1813, Città di Castello 1914, ad ind.; La rivoluzione del 1831 nella cronaca di Francesco Rangone, a cura di G. Natali, Roma 1935, ad ind.; R. Finzi, Il generale C. Z. nella trama delle sette segrete italiane, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le antiche province modenesi, s. 10, VII (1972), pp. 85-112. Si vedano inoltre F. Della Peruta, Esercito e società nell’Italia napoleonica, Milano 1996, ad ind. e P. Pieri, Storia militare del Risorgimento, I, Torino 1962, ad ind.