CARLONE (Carloni)
Famiglia di artisti originaria di Rovio (Mendrisio) presso il lago di Lugano.
Giovanni, intagliatore, nel 1555 sarebbe stato associato a Bernardino da Cabio, scultore non meglio identificato, per l'esecuzione di una statua (Cervetto, p. 21). Nel 1560 c. (Soprani-Ratti, 1768) o 1570 (Tietze, in Thieme-Becker) si trasferì a Genova dove svolse prevalentemente la sua attività dando origine a una feconda discendenza di artisti. Fu maestro dei suoi figli Taddeo, il più famoso (padre a sua volta di Bernardo, Giovanni e Giovanni Battista, dal quale ultimo discenderanno Giovanni Andrea, Giacomo e Nicolò), e Giuseppe, entrambi scultori. Giovanni si dedicò soprattutto alla scultura ornamentale; il Soprani, infatti lo definisce "scultore d'arabeschi e foliami" (Soprani-Ratti, I, p. 427). Nel 1571 e 1573 è citato in alcuni documenti con il figlio Taddeo, ma è ancora incerta l'identificazione delle sculture alle quali si riferiscono (Poleggi). Morì prima del gennaio 1598 quando i suoi figli vengono nominati nel testamento di un Giacomo di Bernardino C. (Brentani, III, pp. 287 s.).
Giuseppe, figlio di Giovanni, nacque a Rovio e seguì il padre a Genova; collaborò con il fratello Taddeo a molti lavori di scultura non solo per Genova ma anche per Mantova, Francia, Spagna e Inghilterra (Soprani-Ratti). Pur essendo dal Cervetto definito "piuttosto intagliatore che statuario", si conservano di lui a Genova, nell'ubicazione originale, le statue di S. Pietro e S. Paolo per l'altar maggiore della chiesa del Gesù (S. Ambrogio), oltre a due Angeli che sostengono l'altare nella cappella della Natività in S. Siro. Giuseppe era evidentemente proprietario di una bottega dove lavoreranno poi anche i figli Tommaso e Bernardo. Da alcuni documenti (Campori, 1871, p. 300) sono accertati i suoi rapporti con Carrara dove nel 1597 si scelse un procuratore e dove si trovava nel 1622 per l'acquisto di una colonna in marmo. Nell'ultimo periodo della sua vita, malato di stomaco, ritornò a Rovio dove morì in data imprecisata (Soprani-Ratti).
Bernardo, figlio di Giuseppe e fratello di Tommaso, eseguì per la chiesa del Gesù di Genova una statua della Maddalena;collaborò inoltre ai lavori della bottega paterna. Morì a Vienna (Soprani-Ratti, I, p. 432).
Dei figli di Tommaso e Maddalena Mazzetti, furono artisti Giovanni, Giuseppe Maria e Giovanni Domenico.
Giovanni, nato a Rovio nel 1635 circa, fu pittore; la sua carriera è poco nota e il primo documento che lo riguardi (1660) concerne l'esecuzione di fregi per quattro caminetti nel palazzo reale a Torino. Con G. L. Buffi attese, tre anni dopo, a sei dipinti per l'anticamera dello stesso palazzo (Schede Vesme, I, p. 273) e il 19 apr. 1667 sottoscrisse coi fratelli l'impegno di ultimare le opere lasciate incompiute dal padre. Il fatto che il suo nome preceda gli altri è ulteriore prova della sua qualità di primogenito.
Nominato nel 1667 sottopriore della Compagnia di S. Luca, la sua fama ebbe un successivo calo, come prova un intervento di Giovanni Antonio Recchi nel '75 per rifare affreschi da lui compiuti nella cappella della marchesa di Pancalieri (Schede Vesme, III, Torino 1968, p. 900).
Ritornato in patria, il 17 genn. 1685 s'impegnò ad affrescare la cappella di S. Antonio da Padova, più una controcappella da poco eretta, nella parrocchiale di S. Vigilio a Gandria. L'opera fu attuata assai in fretta visto che il 25 marzo il pittore riceveva il saldo. Due pagamenti più tardi, del 1696 e del 1700, riguardano interventi di non grande spicco (fra cui la decorazione di uno stendardo processionale) per l'oratorio di S. Marta a Lugano. Sposò, in data imprecisata, Maria Maddalena Polata da Melano. Morì a Rovio il 23 luglio 1713 (Brentani, III, pp. 57 s., 68; IV, pp. 105, 381).
Giuseppe Maria, battezzato a Rovio il 1º nov. 1645, è menzionato per la prima volta insieme con i fratelli Giovanni e Giovanni Domenico (nato a Rovio il 19 sett. 1651) il 9 apr. 1667, quando essi promettono di proseguire le imprese iniziate dal padre Tommaso, e cioè l'altare della chiesa torinese dei SS. Martiri e, in S. Francesco da Paola, la cappella della Madonna del Buon Soccorso. Ove si pensi alle inclinazioni classicistiche del committente originario - il card. Maurizio - di quest'ultima, s'intenderà il desiderio degli artisti di non scostarsi dai canoni formali del padre, il cui linguaggio univa in modo avvincente le forme barocche a quelle d'un attardato manierismo.
La cappella era stata concepita infatti come un tutto unico, al cui effetto dovevano concorrere "putti, statue, stuchi", compresa l'edicola dell'altare e, naturalmente, gli affreschi alle pareti (il 4 ag. 1667 i tre fratelli ricevevano i pagamenti per aver completato la cappella). I documenti rimastici si riferiscono per lo più, indistintamente, a Giovanni Domenico e Giuseppe Maria, dando conto d'una attività esplicata in stretta collaborazione. Così ad esempio, tra il 1669 e il 16732 essi appaiono quali impresari degli ornati in marmo della porta del Cervo di Vercelli - riprodotta poi nel Theatrum Sabaudiae - e può ipotizzarsi un analogo e successivo intervento per quella "di Torino", nella medesima città.
Il 25 ottobre del 1674 risultano di nuovo insieme per l'erezione di "una capella rottonda" in S. Francesco da Paola (a Torino) per conto del marchese Carlo Giuseppe Caron di San Tommaso. A lui il Castellamonte aveva scritto il 15 dic. 1673 per notificargli la riluttanza del C. ad accettare il prezzo di 900 ducatoni, ma il dissenso doveva nel frattempo essersi appianato dato che i fratelli si dichiarano disposti all'opera e ne lodano, conforme al parere del Castellamonte la "bissaria" e la "vaghezza". Esecutore del disegno era stato, a Roma, il piemontese Pietro Francesco Garola.
Subito dopo entrambi attesero (17 maggio 1674-24 dic. 1675) alla cappella di S. Pietro d'Alcantara nella chiesa della Madonna degli Angeli, per incarico di Maria Giovanna Battista di Nemours. Del 1676 è il saldo di un'Annunciata perla Venaria reale, e del 1677, sempre per il medesimo luogo, di altre due statue per la fontana d'Ercole e di due busti (forse allegorici) in pietra. Il 5 ag. 1678 assunsero - ancora per la Venaria - l'impegno di fornire le immagini della Vergine, dell'Arcangelo Gabriele e dei quattro Evangelisti, su istruzioni del Castellamonte. Nel 1685 infine, vennero incaricati di eseguire la facciata della cappella di S. Giuseppe nella chiesa del Corpus Domini, prova di una disponibilità alterna alla scultura e all'architettura.
Un solo pagamento (tra i superstiti) distingue Giovanni Domenico da Giuseppe Maria. è del 12 apr. 1679 e concerne il rifacimento della già citata statua dell'Annunciata perla Venaria, risultata difettosa nella prima redazione. Dal documento si deduce infatti che fu il solo Giovanni Domenico ad eseguire entrambe le versioni (sebbene il documento di pagamento del '76, pubblicato dal Vesme, alluda anche al fratello), e che la realizzazione della prima è da ascrivere alla metà del 1675.
Giovanni Domenico sposò, in successive nozze, Maria Maddalena Mazzetti (26 apr. 1677) e Lucia Maria Falconi (10 apr. 1687), entrambe di Rovio (Brentani, IV, p. 381).
Di Giuseppe Maria è documentata poi l'attività indipendente da quella del fratello. Un documento del 15 ott. 1675 lo dice infatti al servizio (in società col piccapietre Paolo Ramello) delle figlie ed eredi del conte Falcombello per l'esecuzione dell'altar maggiore della chiesa dei gesuiti a Pinerolo, a colonne tortili (disegno e capitolato del 7 apr. 1674). Nel 1684 (15 settembre) partecipò - senza vincerlo - all'appalto per l'altare del b. Amedeo nella cattedrale di Vercelli, progettato da Michelangelo Garove (Schede Vesme, II, Torino 1966, p. 515), e l'anno dopo restaurò per Vittorio Amedeo II varie statue ed eseguì altri lavori di minor conto. L'ultima opera accertata è, nel 1688, un Puttino a cavalcioni d'un delfino per la fontana del giardino di palazzo reale, prova di persistente considerazione da parte della corte. è documentato a Rovio negli anni 1686, 1688, 1691 (Brentani, IV, pp. 390 s.; V, pp. 320 s., 333). Nel 1690 una lite lo oppose a Giovanni Domenico. Il dissidio verteva, fra l'altro, sulle spese sostenute per l'altare di S. Ignazio nella chiesa dei SS. Martiri (il secondo a sinistra), e ciò prova come sia tuttora da chiarire la parte avuta da entrambi nella realizzazione del più sontuoso ambiente dell'edificio sacro, voluto dal conte Giovanni Antonio Turinetti nel 1678. Non è dubbia, stando al compromesso del 13 febbraio, una certa prevalenza di Giuseppe Maria sul fratello, ma neppure un recente ed ampiostudio (Moccagatta) è servito a recare elementi nuovi.
Un tardo documento (1777, pubblicato da Moccagatta) menziona un capomastro Giovanni Maria Carlone quale appaltatore dell'opera, ma la controversia del 1690 specifica senza alcun dubbio che ad attendervi furono Giuseppe Maria e Giovanni Domenico. La analisi che al proposito è stata condotta dalla Moccagatta appare qui alquanto incerta e affrettata, e non valuta come si dovrebbe l'importanza dei due fratelli, che fu invece notevole, dati anche i loro rapporti coi gesuiti fin dai tempi in cui lavorava per essi il padre.
Giuseppe Maria morì ad Asti nell'aprile del 1696, mentre non si conosce l'anno della morte di Giovanni Domenico.
Dei figli di Giuseppe Maria, e di Giacomina Carlone (figlia di un Giovanni Battista di Rovio; i due si erano sposati nel 1668), Andrea seguì (pare con qualche successo) la carriera del padre e morì nel 1734 dato che un atto dell'11 maggio dello stesso anno definisce la moglie, Angela Crivelli, "uxor relicta a nunc quondam d. Andrea Carlono olim loci Rovii" (Brentani). Giovanni Tommaso, nato a Rovio il 17 genn. 1686, esercitò a Rovio e nel circondario (ma facendo anche frequenti viaggi all'estero) una prevalente attività di scalpellino. Non vi sono documenti relativi alla sua formazione e ai suoi inizi, ma è da presumere che apprendesse il mestiere dal padre e collaborasse per un tempo indeterminato con lui. Le poche carte pervenuteci abbracciano il periodo finale della sua attività: fra l'altro, un atto di vendita, del 12 apr. 1723. In pari data è menzionato un pagamento per una scalinata, mai eseguita, nella chiesa parrocchiale di S. Andrea di Clivio in Valtellina. Del 23 marzo 1734 è invece una delega alla moglie a riscuotere un credito, nella quale si menziona un imminente viaggio a Marsiglia "dove doverò dimorare forsi per anni due o più" (Brentani, V, p. 332). Nelle Schede Vesme (I, p. 277) è riportato un pagamento del 24 luglio 1733 a un Carlone Tomaso per lavori in stucco a Torino: potrebbe trattarsi dello stesso artista che in tal caso avrebbe esplicato anche l'arte dello stuccatore.
Stando al Brentani (ibid.) avrebbe lavorato in precedenza anche in Germania, e precisamente a Stoccarda, donde pare facesse ritorno nel novembre 1717: ma in assenza di dati più sicuri la notizia va accolta con riserva. Sposò in data imprecisata Maria Elisabetta Greco di Travona, dalla quale ebbe vari figli, menzionati tutti nel testamento steso il 3 marzo 1750 a Rovio, dove morì il 18 agosto successivo (Brentani, V, pp. 329, 332 s.).
Dei numerosi figli di Giovanni Tommaso, Giovanni Battista, documentato nel 1750, '57, '62, lavorò da fabbro (Brentani, IV, p. 204 n. 7); mentre Pietro Paolo (documentato sino al 1764) e Giulio Cesare (del quale si hanno notizie sino al 1791: Brentani, IV, p. 204 n. 9) seguirono, con capacità assai ridotte, l'attività paterna, operando stagionalmente (ma per una lunga serie di anni) soprattutto ad Asti, come prova una fede di stato libero rilasciata a Pietro Paolo dalla Curia vescovile di Como il 20 genn. 1750 (Brentani, V, pp. 332 s.).
Fonti e Bibl.: R. Soprani, Le vite dei pittori, scoltori et architetti genovesi…, Genova 1674, p. 293 (per Giovanni); R. Soprani-C. G. Ratti, Vite de' pittori, scultori ed architetti genovesi, I, Genova 1768, pp. 427 (Giovanni), 431 s. (Giuseppe e Bernardo); C. G. Ratti, Instruz. di quanto può vedersi di più bello in Genova, Genova 1780, pp. 64 s. (Giuseppe e Bernardo); F. Alizeri, Guida artist. per la città di Genova, Genova 1846, I, pp. 112, 499 (Giuseppe); G. Campori, Gli artisti… negli Stati estensi, Modena 1855, p. 122; F. Alizeri, Guida illustrativa del cittadino e del forestiero per la città di Genova…, Genova 1875, p. L (Giuseppe); G. Campori, Memorie biogr. degli scultori, architetti, pittori di Carrara, Modena 1873, p. 300 (Giuseppe); L. A. Cervetto, IGaggini da Bissone, Milano 1903, pp. 21 s.; L. Brentani, Antichi maestri… delle terre ticinesi, III, Como1939, pp. 57 s., 68, 287 s.; IV, ibid. 1941, pp. 105, 204, 380 s.; V, Lugano 1944, pp. 320 s., 329, 332 s.; Schede Vesme, I, Torino 1963, pp. 273-277 (Giovanni, Gius. Maria, Giov. Domenico); E. Poleggi, Strada Nuova…, Genova 1968, pp. 282, 290 n. 47 (Giovanni); L. Tamburini, Le chiese di Torino…, Torino 1968, pp. 51, 109, 130 n. 13, 144 n. 19 (Giuseppe Maria e Giovanni Domenico); V. Belloni, Pittura genov. del Seicento, Genova 1969, p. 144 (Giuseppe); G. V. Castelnovi, La pittura nella prima metà del Seicento…, in La pittura a Genova e in Liguria dal Seicento al primo Novecento, Genova 1971, p. 153 (Giuseppe); V. Moccagatta, La chiesa dei Santi Martiri a Torino…, in Boll. della Soc. piemont. di archeol. e belle arti, XXV-XXVI(1971-72) p. 104; E. Gavazza, La grande decoraz. a Genova, Genova 1974, p. 347 (per Giuseppe); U. Thieme-F. Decker, Künsterlexikon, VI, pp. 4, 5, 8.