Saura, Carlos
Regista cinematografico spagnolo, nato a Huesca (Aragona) il 4 gennaio 1932. Nell'ambito della sua ricca produzione si è rivelato autore capace di coniugare un senso realistico della messinscena con intense accensioni metaforiche, inclinando spesso anche all'allegoria politica (soprattutto nel periodo del franchismo) oppure restituendo sottili climi psicologici attraverso sensibili ritratti femminili o del mondo infantile, o ancora indagando sulle ragioni più profonde del processo creativo e sul ruolo dell'artista tra storia e attualità spagnola. Nel corso della sua carriera si è aggiudicato diversi riconoscimenti internazionali, tra i quali nel 1977 il Premio speciale della giuria al Festival di Cannes con Cría cuervos (1976) e nel 1981 l'Orso d'oro al Festival di Berlino con Deprisa, deprisa.
Il padre, impiegato al Ministero delle finanze, al termine della guerra civile, nel 1939, trasferì la famiglia a Madrid dove alla fine degli anni Quaranta il giovane S. si iscrisse alla facoltà di Ingegneria, senza però terminare gli studi. Sin da ragazzo si appassionò alla fotografia e subì l'influenza del fratello Antonio, affermato pittore con la passione per il cinema. Entrato nel gruppo artistico Tendencias, poté iscriversi all'IIEC (Istituto de Investigaciones y Experencias Cinematográficas), fondato nel 1947, culla della migliore dissidenza cinematografica spagnola degli anni Cinquanta. Sotto la guida di Juan Antonio Bardem e Luis García Berlanga, si diplomò in regia nel 1957, e presso lo stesso istituto insegnò regia e sceneggiatura, fino alla metà degli anni Sessanta. Il periodo della scuola si rivelò intenso e proficuo: S. realizzò reportage fotografici e anche documentari, fra cui Flamenco (1955), Antonio Saura (1956), La tarde del domingo (1957), Cuenca (1958).
Il 1955 fu una data fatidica per il nuovo cinema spagnolo; in maggio si svolsero le Conversaciones Cinematográficas de Salamanca, una sorta di stati generali del cinema, che videro la straordinaria partecipazione di forze contrastanti e convergenti, di cineasti allineati al regime, militari franchisti, comunisti di spicco, cattolici modernisti e giovani esordienti, fra cui il giovane Saura. Forte di questa esperienza, ma anche dell'impatto con il Neorealismo italiano da un lato e, dall'altro, con l'opera 'in esilio' di Luis Buñuel, presentata nel 1958 agli Incontri di Montpellier, S. realizzò nel 1959 il suo primo lungometraggio, Los golfos, incentrato su un gruppo di sottoproletari madrileni che tentano invano di emanciparsi attraverso il debutto come torero di uno di loro. Il film, da alcuni considerato come il nucleo d'ispirazione del 'nuovo cinema spagnolo', vide la luce grazie alla casa di produzione Films 59 del coraggioso Pere Portabella e godette di un certo successo fuori della Spagna, mentre in patria fu proiettato soltanto nel 1962, notevolmente censurato.
Dopo alcuni progetti rimasti incompiuti, S. prese la decisione di affidarsi a una coproduzione ispano-italo-francese per realizzare Llanto por un bandido (1964; I cavalieri della vendetta), ritratto di un leggendario bandito del 19° sec., il Tempranillo, vagamente ispirato a Salvatore Giuliano (1962) di Francesco Rosi. La scena iniziale, l'esecuzione alla garrota di sette patrioti spagnoli, con il boia interpretato da Buñuel, fu tagliata dalla copia circolante in Spagna; rimasto insoddisfatto dell'esito del film, S. risolse, per il futuro, di lavorare solo su progetti pienamente convincenti e con produzioni da poter tenere integralmente sotto controllo. Tali propositi furono premiati, nel 1966, con l'Orso d'argento per la regia al Festival di Berlino ottenuto con La caza (La caccia), considerato da alcuni il suo miglior film: tre ex combattenti franchisti e il giovane nipote di uno di loro si riu-niscono per trascorrere una serena giornata di caccia, durante la quale si uccideranno reciprocamente in modo orribile. La caccia finisce per risultare una chiara allegoria della guerra civile spagnola, nell'ambito di un clima claustrofobico segnato dal rancore individuale e dall'odio di classe. Ancora la claustrofobia, vista quale condizione esistenziale della borghesia spagnola, caratterizza l'atmosfera del successivo Peppermint frappé (1967), scritto con Rafael Azcona Fernández (che avviò con il regista un'intensa collaborazione) e interpretato in un doppio ruolo da Geraldine Chaplin, compagna del regista: un apologo 'nero' sulle ossessioni erotiche di un medico madrileno, culminanti in un duplice omicidio con un lieto fine acre e sarcastico. Le medesime ossessioni, fra paranoia e delirio erotico, segnarono i film del regista fino a El jardín de las delicias (1970), primo capitolo del cosiddetto 'trittico della famiglia', una grottesca allegoria della Spagna al crepuscolo del franchismo, tale da causare il blocco delle copie per sette mesi e i tagli della censura, al quale seguirono Ana y los lobos, (1973; Anna e i lupi), feroce fiaba sugli effetti bestiali e violenti della repressione morale e sessuale, e La prima Angélica (1974), viaggio nel tempo e nello spazio, tenero e aspro allo stesso tempo, fra circolarità narrative, riflessi e sdoppiamenti, che espose il regista all'assalto di gruppi estremisti nelle sale cinematografiche spagnole dove venne proiettato.
La definitiva consacrazione internazionale arrivò con il primo film da lui interamente scritto, Cría cuervos…, sull'iniziazione alla vita di una bambina, intenta a uccidere simbolicamente gli adulti. Dopo un film 'di passaggio', Elisa, vida mia (1977), ancora incentrato sulla melanconica ricerca del tempo perduto, S. volle realizzare Los ojos vendados (1978), un'opera esplicitamente imperniata sul rapporto fra l'arte, in questo caso il teatro, e la Storia, rappresentata dalle violenze del regime militare in Argentina, elevato a emblema di qualsivoglia dittatura. Realizzò quindi Mamá cumple cien años (1979; Mamà compie 100 anni), un paradossale sequel, sfasato nel tempo e nello spazio, di Ana y los lobos, che segnò il suo ritorno alla commedia grottesca e fantastica, per poi offrire in Deprisa, deprisa una variazione sul tema del disagio sociale a Madrid, raffigurando la gioventù locale come vittima predestinata della modernizzazione tecnologica. Nel seguente Bodas de sangre (1981; Nozze di sangue) risulta invece approfondita la riflessione sul ruolo dell'artista, risalendo alle radici antropologico-culturali della Spagna, attraverso l'indagine filmica sul balletto omonimo portato sulle scene dalla compagnia di Antonio Gades.
Dopo un film autobiografico e venato di intimismo come Dulces horas (1982) e una sfortunata coproduzione internazionale, Antonieta (1982), S. ha continuato la sua riflessione sul rapporto fra la vita e il cinema, il teatro e la danza con Carmen (1983; Carmen story), per il quale è tornato ad avvalersi della collaborazione del ballerino e coreografo A. Gades, al fine di fare del dramma di P. Mérimée e G. Bizet il tragico corrispettivo delle pulsioni erotiche dei suoi interpreti. Con El amor brujo (1986; L'amore stregone), ispirato all'omonimo balletto di M. De Falla, S. ha concluso la 'trilogia della danza'. Amara e spietata riflessione, quasi shakeasperiana, sulla sete di potere, simboleggiata dall'oro, è stato El Dorado (1988), una delle più costose produzioni del cinema iberico, in cui vengono ricostruite le gesta sanguinarie di Lope de Aguirre, alla fine del 16° sec., in viaggio sul Rio delle Amazzoni alla ricerca della città mitica. Ancora un personaggio storico, questa volta il mistico San Giovanni della Croce, è al centro di La noche oscura (1989), che ripercorre, fra visioni e congetture, i sette mesi di prigionia del santo accusato di eresia.
Secondo una certa storiografia critica spagnola ha avuto inizio da questo periodo un adeguamento da parte del regista alle nuove esigenze del mercato, come testimonierebbero ¡Ay Carmela! (1990; Ay, Carmela!) interpretato da Carmen Maura, la scelta di dirigere Marathon (1993), film ufficiale delle Olimpiadi di Barcellona, e la realizzazione di opere legate a un certo esotismo spagnolo, come Sevillanas (1992), Flamenco (1995), che ha segnato l'inizio della collaborazione con Vittorio Storaro, e Tango (1998), sofisticata, e alquanto manieristica, riflessione fra cinema, musica e danza, in cui le immagini di una macchina da presa computerizzata, disegnano labirintici percorsi su vaste superfici speculari. Operazione ancora più spinta nella direzione del lavoro sul colore, all'interno di una spettacolarità comunque garantita, è stata quella di Goya en Burdeos (1999; Goya), mosaico spazio-temporale incentrato sulla vita del celebre pittore spagnolo in cui il sodalizio con Storaro ha raggiunto forse il suo punto più alto. Nel successivo Buñuel y la mesa del rey Salomón (2001) ha raccontato l'amicizia tra L. Buñuel, F. García Lorca e S. Dalí trasfigurandola in chiave fantastica e grottesca con evidenti richiami alla stagione surrealista. Nel 2002 è tornato a filmare la danza in Salomé, rilettura coreografica del celebre episodio biblico.
E. Brasó, Carlos Saura, Madrid 1974.
M.H. Eichenlaub, Carlos Saura: ein Filmbuch, Freiburg 1984.
A. Sánchez Millán, Carlos Saura, Huesca 1991.
P. Häusser, Carlos Saura ‒ Themen, Motive und Stilmittel im Werk des spanischen Filmregisseurs: eine Analyse, Berlin 2002.