Bene, Carmelo
Autore, regista e attore teatrale e cinematografico, nato a Campi Salentina (Lecce) il 1° settembre 1937 e morto a Roma il 16 marzo 2002. Prevalentemente uomo di teatro, personalità complessa, grande e originale sperimentatore, il suo successo nel cinema ha vissuto sempre fasi alterne, con numerosi estimatori, come lo studioso di estetica Maurizio Grande o il filosofo francese Gilles Deleuze, e altrettanti denigratori pronti a gridare allo scandalo. Anche rispetto al pubblico si è creata una situazione analoga: in Italia i suoi film non hanno riportato alcun successo commerciale, mentre sono stati apprezzati all'estero, in Paesi come la Francia e il Giappone. Il cinema di B., che sfugge a ogni precisa collocazione, si è sempre rivolto a un pubblico aperto alle novità, in grado di recepire un linguaggio cinematografico diverso, decostruito.
Cresciuto in una famiglia borghese, dopo essersi iscritto alla facoltà di Giurisprudenza a Roma frequentò per un breve periodo la scuola di recitazione Sharoff e, nel 1957, l'Accademia d'arte drammatica Silvio d'Amico, che abbandonò l'anno dopo a causa del suo spirito anarchico insofferente di ogni didattica. Nel 1959 debuttò nel teatro con l'adattamento del Caligola di A. Camus, da lui stesso interpretato. Il suo teatro presenta diverse fasi; se nel corso degli anni Sessanta adottò per lo più una riscrittura di precedenti forme letterarie, dando vita già nel 1961 a produzioni come il Pinocchio da C. Collodi o Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde da R.L. Stevenson, e nel 1964 e 1967 Salomè da O. Wilde, successivamente si concentrò su un attraversamento del teatro shakespeariano ed elisabettiano, soprattutto intorno alla figura di Amleto (dal primo Amleto, 1961, tratto da W. Shakespeare, fino all'ultima versione scenica Hommelette for Hamlet, operetta inqualificabile, 1987) che sarà al centro anche del suo film Un Amleto di meno (1973). Il risultato finale è il teatro "senza spettacolo", scritture sceniche estreme in cui spesso compare la dicitura "voce solista", come Lorenzaccio, al di là di De Musset e Benedetto Varchi (1986) e Voce dei canti (1998).
Il suo lavoro cinematografico va considerato sine intermissione con il teatro realizzato in precedenza: all'interno del suo cinema si scoprono oggetti, visioni, parole che vengono assimilati negli spettacoli visti e ascoltati nel luogo scenico. B. elabora un unico strumento di scrittura visiva composto dalla vocalità del teatro e della radio e dalla visualità del cinema e della televisione, compiendo un lavoro sulla sonorità e sul rapporto voce-visualità che egli introduce ripetutamente in tutte le sue realizzazioni teatrali, cinematografiche e radiofoniche. Il suo è uno studio sulla perfezione della voce, la phoné, utilizzata come voce off, over, playback, asincrona, cercando sempre di spezzare, visivamente, il punto di contatto tra il corpo e l'emissione della voce dallo stesso. Anche con l'uso dell'audiovisivo prosegue in questa ininterrotta e riuscita ricerca di linguaggi inesplorati. Sul piano tecnologico distingue il punto di vista cinematografico da quello comunemente realizzato con l'audiovisivo, sottolineando una particolare funzione del sonoro, in base alla quale la musica acquista una predominanza assoluta e si amalgama a un modo di riprendere la "macchina attoriale" (definizione di B. dell'attore) inquadrandola con tagli diagonali, montando il materiale in modo sincopato e ritmico e basandosi sempre su un sostrato musicale e vocale. Iniziò la sua esperienza cinematografica nel 1965 partecipando come attore a due cortometraggi di Paolo Brunatto, Un'ora prima di Amleto, più Pinocchio e Bis, e a Lo scatenato (1967) di Franco Indovina, per poi divenire Creonte nell'Edipo Re (1967) di Pier Paolo Pasolini. Nel 1968 B. debuttò come regista, realizzando due cortometraggi: Hermitage e A proposito di "Arden of Feversham", diretto insieme a Salvatore Siniscalchi. Il suo primo lungometraggio, Nostra signora dei turchi (1968), vincitore del Premio speciale della giuria alla Mostra del cinema di Venezia, si potrebbe definire il precursore del cinema a basso costo. I suoi principali collaboratori spesso torneranno nei lavori successivi: Mario Masini alla fotografia, Mauro Contini al montaggio e l'attrice Lydia Mancinelli, che reciterà in tutti i suoi film, escluso Capricci (1969). Questo primo lungometraggio, tra i suoi cinque film, ha l'arco narrativo più compiuto, nono-stante sia stato girato senza sceneggiatura. Tratto dall'omonimo romanzo (1966) di B., il film sviluppa una sorta di autobiografia immaginaria ambientata a Otranto. Il protagonista è uno scrittore nella cui interiorità riaffiorano ricordi legati a fatti storici avvenuti nella terra del Sud, come la strage dei cristiani nella cattedrale di Otranto compiuta dai turchi di Maometto II nel 15° secolo. B. passa da un personaggio all'altro riuscendo a domare o a caratterizzare con estrema maestria, in un intreccio di immagini coloratissime e pulsanti, i riferimenti letterari e teatrali, le voci off, la musica classica e operistica. Qui il montaggio ritmico volge a una sorta di manipolazione del girato attraverso il rimaneggiamento della pellicola, la distruzione e l'autodistruzione della propria opera; B., Contini e Masini distrussero un'intera sequenza squartando, bruciacchiando e calpestando la pellicola. Nel successivo Capricci B. utilizzò gli stessi attori degli adattamenti teatrali da cui il film è tratto: Arden of Feversham di un anonimo elisabettiano e Manon Lescaut dell'abate A.-F. Prévost. I principali personaggi di questa opera, un lavoro incentrato sul rapporto tra arte e realtà, girato e soprattutto montato cercando di eliminare ogni senso cronologico per approdare a una temporalità decostruita, sono un poeta e un pittore; il primo alla ricerca del suicidio, il secondo convinto dall'amante a uccidere il marito. Nel 1970 B. girò Don Giovanni, ispirato a Le plus bel amour de Don Jean, novella di Les diaboliques (1874) di J.-A. Barbey d'Aurevilly. Don Giovanni mostra il perverso e diabolico rapporto tra un Don Giovanni mefistofelico, la sua amante, che per un breve istante riecheggia dodici donne del catalogo mozartiano, e la figlia undicenne della donna. La bambina, bigotta e devota a un rosario e a un crocifisso che stringe e bacia continuamente, confessa d'essere rimasta incinta per opera di Don Giovanni che la insidia, solo per essersi seduta sulla stessa poltrona dopo l'uomo. Un intreccio di personaggi, in un turbine di incubi ecclesiastici, immerso in un ambiente claustrofobico che diventa un concentrato di immagini assolute, viscerali e sensuali.
In Salomè (1972), B. continuò a sperimentare tecniche particolari di ripresa e di utilizzo del suono, in una sovrapposizione vocale e musicale, usando, con la collaborazione dello scultore e scenografo Gino Marotta, un materiale rifrangente, lo scotch-light, in modo da costruire il film con una gamma cromatica di vari oggetti e strumenti di ripresa, dalle rose fluorescenti, ai plexiglas, alle luci tendenti a comporre quello che potrebbe essere definito un video d'artista. Da autentico autore, B. nell'ultimo film intervenne artisticamente anche sui costumi e sulle scenografie: Un Amleto di meno (1973), ispirato a Hamlet ou les suites de la piété filiale, precedente spettacolo teatrale tratto dalle opere di Shakespeare e J. Laforgue, è un film dedicato al teatro nel teatro con Amleto attore e drammaturgo. Con questa opera B. decise di chiudere la sua esperienza cinematografica improvvisamente, quasi la considerasse ormai consumata. Nel 1979 girò per la RAI Otello, di cui soltanto nel 2002, alla vigilia della sua scomparsa, fece un montaggio definitivo, lasciandolo quasi come lavoro-testamento. Nel 1998 B. scrisse, in collaborazione con G. Dotto, Vita di Carmelo Bene, in cui si sofferma anche sulla propria attività cinematografica (pp. 263-309).
G. Deleuze, L'image-temps, Paris 1985 (trad. it. Milano 1989, pp. 210-12); P.G. Giacchè, Carmelo Bene: antropologia di una macchina attoriale, Milano 1997; C.G. Saba, Carmelo Bene, Milano 1999.