GALLONE, Carmelo (detto Carmine)
Nacque a Taggia (Imperia) il 10 sett. 1885 da Pasquale e Rosa Langery. Nel 1911 si recò a Roma per partecipare al concorso drammatico nazionale bandito dal comitato per l'Esposizione in occasione del cinquantenario dell'Unità italiana.
Il Britannico, questo era il titolo dell'opera presentata dal G., non vinse ma ricevette dalla commissione esaminatrice una "segnalazione speciale".
In quello stesso anno il G. si unì in matrimonio con l'attrice polacca Stanislawa (Soava) Winaver (Varsavia 1880 - Roma 30 maggio 1957). Scritturato come generico nella compagnia stabile del teatro Argentina, vi rimase, insieme con la moglie, sino alla fine del 1912; parallelamente svolgeva attività di critico cinematografico. Nel 1913, introdotto alla Cines da N. Oxilia, esordì come sceneggiatore curando le riduzioni di alcune commedie di H. Bataille. Alla fine dell'anno, A. Fassini, amministratore della Cines, gli affidò la direzione di scena - come ancora veniva definita la regia - di La donna nuda, tratto dall'omonimo dramma di Bataille, con Lyda Borelli.
Si inaugurava con questa una lunga serie di pellicole in cui il G. si trovò a dirigere le dive del muto nelle storie improbabili e melodrammatiche, "floreali", allora di moda, cui doveva affiancarsi, più tardi, il filone dei film storici. La cosiddetta "serie Borelli" proseguì con La marcia nuziale, La falena (1915 e 1916, entrambi da Bataille), La storia dei tredici (1917, libera riduzione di uno degli episodi de L'histoire des treizes, di H. de Balzac), Malombra (1917, da A. Fogazzaro).
In quest'ultimo film, caratterizzato da uno splendore fotografico che fu definito "senza precedenti" (Martinelli, Il cinema muto italiano…, 1917, p. 173), il G. si distinse anche per l'uso innovativo del primo piano. Ritenuto, quale critico, un purista della settima arte, egli si era avvicinato alla pratica attiva del mezzo cinematografico spinto da ben definiti interessi culturali e da intenzioni di avanguardia. Formatosi in un periodo in cui il cinema era alla ricerca di una sua identità e di una autodefinizione, si inserì nella querelle circa il problema della paternità dell'opera filmica affermando da subito il diritto del direttore artistico al dominio totale su tutti gli elementi del film. Il suo tocco fu immediatamente riconoscibile per un certo formalismo estetizzante che risentiva, del resto, del gusto decadente e raffinato, dannunziano in una parola, allora imperante. Il G. costruiva con cura ogni immagine, studiando il rapporto di luci, l'equilibrio tra gli elementi interni, andando talvolta alla ricerca di effetti visivi inediti.
Allo scoppio della guerra il G. stava girando un film con Leda Gys, Cuor di neve: rimaneggiato prontamente il soggetto in vista degli eventi bellici, lo trasformò in Sempre nel cor la patria; alla fine del 1915, prestava servizio nel 1° reggimento granatieri, ma già nel 1916 era ritornato dietro la macchina da presa, dirigendo il servizio di propaganda cinematografico della Marina. Intanto l'incontro con il romanziere-sceneggiatore-regista L. D'Ambra (R.E. Manganella), considerato l'inventore della commedia sofisticata italiana, una sorta di E. Lubitsch nostrano, lo aveva orientato verso la commedia brillante. Dalla fertile collaborazione tra la penna del D'Ambra e la fantasia visiva del G. nacquero: La chiamavano Cosetta, la già ricordata Storia dei tredici (1917), Amleto e il suo clown (1919), Il bacio di Cirano, sorta di riscrittura del Cyrano di E. Rostand (1920).
A sentire il D'Ambra, che scrisse su quegli anni pagine memorabili, in verità il G. si era avvicinato al cinema per amore della moglie Soava: "Il futuro Gallone famoso in Europa, non lavorò che per fare di Soava una luminosa stella del cinema artistico" (Sette anni di cinema, in Cinema, 10 luglio 1937, p. 23).
E dopo la guerra, nel 1918, il G. trovò finalmente modo di soddisfare le sue aspirazioni lanciando la moglie nel firmamento delle dive dello schermo: Soava debuttò in La storia di un peccato, film di carattere realistico tratto dal romanzo del polacco S. Zeromsky. Nel 1919 il G. tentò per la prima volta la strada, che lo avrebbe reso famoso, del film spettacolare in costume: Redenzione.
Interpretato da D. Karenne, il film si differenziava dalla congerie dei film storici dello stesso periodo per la fotografia elegante e ricercata di C. Montuori, e per l'uso non convenzionale del montaggio. Con Maman Poupée (1919), sceneggiato da W. Borg e interpretato da Soava, ormai diventata una stella del muto, il G. tornò alla sua vena intimista, "spezzando come scrissero i cronisti dell'epoca un'altra lancia in favore del suo cinematografo, fatto talvolta di sottigliezze, di poesia, di cartaveline, di niente" (Martinelli, Il cinema muto…, 1919, p. 164).
Mentre la crisi del cinema italiano si faceva sempre più grave con un progressivo declino della produzione che, fino al 1926, si dimezzò ogni anno in parallelo con l'aumento dell'importazione, il G. continuava a realizzare i suoi film con generoso dispendio di mezzi.
In La madre folle (1924), feuilleton sentimentale a fosche tinte, Soava interpretò con successo una doppia parte (Bijou e la madre folle) e la critica cominciò a parlare di lei come di una grande attrice. Nella "serie Soava" del G. figurano I volti dell'amore (1924), liberamente tratto da Adriana Lecouvreur di E. Scribe - G. Legouvé, e La signorina madre di famiglia (1925). Sempre nel 1925 il G. girò La cavalcata ardente, una storia d'amore sullo sfondo dell'impresa garibaldina del 1860; interpretato dalla moglie, da E. Ghione e C. Galvani, e presentato talvolta con il titolo di Passione garibaldina, fu proiettato per anni, soprattutto nei cinematografi scolastici e parrocchiali, in occasione di ricorrenze patriottiche in quanto il G. vi proponeva una correlazione tra l'epica garibaldina e quella fascista che anticipava in parte interpretazioni analoghe poi sostenute dalla storiografia di regime.
Nel 1926 il G. subentrò ad A. Palermi nella regia di Gli ultimi giorni di Pompei, ennesima trasposizione del romanzo di E.G. Bulwer-Lytton, ultimo esempio di kolossal nell'accezione tradizionale, e di fatto ormai ampiamente superata, propria del cinema italiano dell'epoca del muto.
La recitazione ampollosa, grottesca nella sua magniloquenza, la quasi assoluta mancanza di movimenti di macchina, le scenografie eccessive e teatrali portarono il film a un fallimento che, per il costo esorbitante della lavorazione (7 milioni di lire), segnò una storica débâcle finanziaria. Gli ultimi giorni di Pompei rappresentò l'addio del cinema italiano, ormai sommerso dalla crisi, ai sogni di grandezza, e concluse il primo ciclo dell'attività cinematografica del Gallone.
Nel 1927 il G. lasciò l'Italia e lavorò alternativamente in Francia, Germania, Inghilterra, Austria. A Parigi girò, per conto della Gaumont British di Londra, Celle qui domine (La donna che scherzava con l'amore); trasferitosi lo stesso anno a Berlino, all'epoca capitale europea del cinema, diresse Die Stadt der Tausend Freuden (1927, La città del piacere). Liebeshölle (La grande tormenta), realizzato in Germania e Polonia nel 1928, fu un film di esplicita propaganda antisovietica e anticomunista. Nel 1929 girò la prima pellicola sonora tedesca, Das Land ohne Frauen (La terra senza donne), sperimentando un interessante rapporto di contrappunto tra immagini e suono: il risultato, stilisticamente all'altezza delle sue migliori prove, fu una dimostrazione della volontà del G. di reagire a un'idea statica della macchina da presa, ricercando una forma basata unicamente sulle possibilità del mezzo cinematografico. Ritornato a Parigi vi diresse Un soir de rafle (1931, Di notte a Parigi).
Tratto da un soggetto minimale, il film è una piccola storia d'amore condotta con grazia sottile. Vivace, coinvolgente, sentimentale, divertente, fu annoverato tra i maggiori successi del film sonoro francese, e il G. ebbe l'onore di essere paragonato a R. Clair.
Per tutto il 1933 il G. fu sotto contratto con la casa di produzione Osso, a Parigi; recatosi poi a Londra realizzò le versioni inglesi di alcuni dei suoi successi. Nel 1934 girò a Berlino Lucean le stelle, che ebbe una versione francese e una inglese. Il 1935 fu l'anno di Casta diva.
Scritto dallo sceneggiatore hollywoodiano W. Reisch, interpretato da Martha Eggerth e S. Palmieri, il film, sorta di biografia romanzata di V. Bellini, fu girato con grande sfarzo negli stabilimenti Cines di Roma. Realizzato in due versioni, inglese (The divine spark, con P. Holmes) e italiana, i dialoghi della versione italiana furono curati da C. Alvaro; con questo film il G. si aggiudicò lo stesso anno la coppa Mussolini, da poco istituita nell'ambito del giovane festival di Venezia.
Fu probabilmente grazie a questo riconoscimento che il G. venne incaricato di dirigere Scipione l'Africano (1937), il massimo sforzo di propaganda cinematografica del regime fascista.
Sorta di monumento alla vittoriosa conclusione della guerra etiopica, il film voleva essere una metafora del progetto imperiale del regime. Si rivelò una brutta copia dei film storici realizzati in Italia negli anni Dieci, e come tale fu già all'epoca sostanzialmente criticato, sia pure sottovoce, e sembra che non fosse piaciuto neppure a B. Mussolini. Per gli altissimi costi e l'insuccesso di pubblico si parlò subito di "Sciupone l'Africano" mentre fiorì la leggenda dei legionari con l'orologio da polso e dei pali telegrafici sullo sfondo delle storiche battaglie.
Da allora, rientrato stabilmente in Italia, e probabilmente confortato dal successo di Casta diva, il G. intraprese decisamente la strada del film operistico, diventando uno dei massimi esponenti del genere, abile nel dirigere i cantanti lirici poco adusi alla macchina da presa, come l'italiano B. Gigli e la rumeno-tedesca Maria Cebotari.
Giuseppe Verdi (1938, soggetto di L. D'Ambra, con F. Giachetti, G. Morlay, la Cebotari, Gigli); Solo per te (1938, con Gigli e la Cebotari; anche in versione tedesca: Mutterlied), Marionette (1939, con Gigli, C. Rust; anche in versione tedesca: Dir gehört mein Herz), Il sogno di Butterfly (1939, scritto da G. Cantini, con la Cebotari e Giachetti, premiato alla Mostra del cinema di Venezia con la coppa del ministero della Cultura popolare; anche in versione tedesca: Premiere der Butterfly); Amami Alfredo (1940, con S. Cantini, la Cebotari, C. Gora), tutte trascrizioni, più o meno esplicite, di opere liriche, furono altrettanti successi.
Nel 1940 girò Le due orfanelle, rifacimento larmoyant dell'omonimo film di D.W. Griffith, con Alida Valli e Maria Denis; in Melodie eterne (con G. Cervi e la spagnola Conchita Montenegro), dello stesso anno, il G. raccontò, con uno stile inusitatamente asciutto e veloce, il precoce debutto, gli amori infelici e la morte prematura di W.A. Mozart, in una pellicola che mescolava abilmente gli elementi del film operistico con quelli più squisitamente drammatici. L'amante segreta (1941) viene invece ricordato per la presenza conturbante della Valli in uno dei suoi pochi ruoli "scabrosi" d'anteguerra. Odessa in fiamme (1942), film di propaganda anticomunista ambientato in Unione Sovietica, fu il primo frutto dell'accordo di collaborazione tra la cinematografia italiana e quella rumena: il melomane G. non seppe rinunciare a una rappresentazione della Tosca, cantata dalla fedele Cebotari, durante un bombardamento. Nel '42 realizzò anche Harlem, sul mondo del pugilato, uno dei rari film del periodo fascista ambientati negli Stati Uniti.
Sceneggiato dagli antifascisti C. Amidei ed E. Cecchi, che avevano avuto l'incarico dal regime di scrivere un'opera di propaganda, fu concepito con un preciso scopo dimostrativo e didascalico ma, di fatto, risultò quasi un atto di accusa al razzismo dei bianchi. Nonostante l'ambientazione in una New York di maniera, tolta di peso dalle descrizioni dei film americani (fu girato negli stabilimenti romani di Cinecittà), il film si distingueva per alcune sequenze memorabili.
Dopo la caduta della Repubblica di Salò, il G., che era stato uno dei maggiori esponenti del cinema fascista, fu condannato dalla Commissione per l'epurazione delle categorie registi, aiuto-registi, e sceneggiatori del cinema a una sospensione di sei mesi. Dopo la breve interruzione, riprese a lavorare riconfermandosi come il più significativo esponente del genere operistico che viveva in quel momento il suo periodo di massima fioritura.
Nella stagione 1946-47, infatti, girò ben cinque film tratti da opere liriche tra cui Rigoletto (primo nella classifica degli incassi) e Davanti a lui tremava tutta Roma, interpretato da Anna Magnani: in quest'ultimo il G., alla ricerca di una riabilitazione ideologica, inserì con successo nella trama dell'opera lirica (evidentemente la Tosca) le tematiche resistenziali, riconquistando facilmente il suo pubblico. Seguirono: Addio Mimì (1948), La signora dalle camelie (1949), Puccini (1952, in testa alla classifica degli incassi), La leggenda di Faust (1953), Aida (con una inedita Sophia Loren truccata da nera ed evidentemente doppiata), Cavalleria rusticana (1954), Casa Ricordi (1955).
Accurato artigiano del cinema popolare, il "De Mille nazionale", come si disse, continuava ad attraversare i generi con disinvoltura, assecondando con prontezza di riflessi e sperimentata professionalità le richieste del pubblico: la sua firma era una garanzia di successo. Quando infatti tramontò la moda del film operistico (La Tosca, 1956, ottenne un incasso molto modesto), il G. si diresse verso altri, anche se non nuovi, lidi: Messalina (1951) e Cartagine in fiamme(1959) segnarono un ritorno al filone storico-mitologico che lo aveva reso famoso all'inizio della carriera. Nel 1955 subentrò a J. Duvivier firmando due episodi della popolarissima serie di Don Camillo: Don Camillo e l'onorevole Peppone, cui seguì, nel 1961, Don Camillo monsignore ma non troppo. La monaca di Monza del 1962, fu il suo ultimo lungometraggio.
Il G. morì a Frascati l'11 marzo 1973, in seguito a collasso cardiaco.
Lavoratore instancabile e accurato il G., con una carriera lunga cinquant'anni, se non può essere annoverato tra i grandi del cinema italiano, deve senz'altro essere ricordato per le doti di raffinato artigiano e per la duttilità anche stilistica, talvolta prossima al cinismo, con cui seppe trascorrere nei generi e cambiare le modalità del racconto, adeguandosi ai gusti del pubblico e al succedersi delle ideologie e dei regimi.
Altri film: Senza colpa, Fior di male, Avatar (1915); Tra i gorghi, Fede, Turbined'odio (1916); Colei che non parla, Madonna Grazia (1918); Il mare di Napoli, Le figlie del mare, Il reggimento Royal Cravate, Il destino e il timoniere (1919); La figlia della tempesta, La fanciulla, il poeta e la laguna, La vie d'une femme, Nemesis, Marcella (1920); L'ombra di un trono (1921); La vedova scaltra, Il segreto della Grotta Azzurra, Le braccia aperte (1922); Tormenta, Il corsaro (1923); S.O.S. (1928); Il canto del marinaio, La città canora (1930); Il re dei grandi alberghi, Il figlio della strada (1932); Two hearts in Waltz time, Ma cousine de Varsovie (1933); Una notte a Venezia, Avventura viennese (1934); Rapsodia d'amore (1935); Al sole (1936); Oltre l'amore, Manon Lescaut (1940); La regina di Navarra (1941); Primo amore (1942); Tristi amori (1943); Il canto della vita (1945); Biraghin (1946); Taxi di notte, La forza del destino (1950); Senza veli (1953); Madama Butterfly (1954); Michele Strogoff (1957); Polikuska (1958); Carmen di Trastevere (1962).
Fonti e Bibl.: Necr. in Il Messaggero, 12 marzo 1973; Paese sera, 12 marzo 1973; L. D'Ambra, Il bacio di Cirano, in Romanzo film, novembre 1920; J.-G. Auriol, Un soir de rafle, in La Revue du cinéma, 1931, n. 25, pp. 51-54; L. D'Ambra, Sette anni di cinema, ricordi di L. D'Ambra, in Cinema, 10 febbraio 1937, pp. 105 s.; 10 luglio 1937, pp. 22 s.; Bianco e nero, 1937, n. 7-8 (numero monografico dedicato a Scipione l'Africano). Vedi anche: E.F. Palmieri, Vecchio cinema italiano, Venezia 1940, pp. 116, 123 s., 172-177, 213 s.; L. Freddi, Il cinema, Roma 1949, I, pp. 197-207, 263, 266, 271-274, 323-332, 383-385, 429, 432, 437 s.; II, pp. 94, 190, 197, 398, 402, 404 s., 410, 420; R. Paolella, Regia e registi italiani nel decennio 1915-1925, in Bianco e nero, 1952, n. 7-8, pp. 3-30; M. Verdone, Del film storico, ibid., pp. 40-54; V. Martinelli, Il cinema muto italiano, 1917, Roma 1960, pp. 172 s., 277-279; Id., Il cinema muto italiano, 1918, ibid. 1960, pp. 230 s.; Id., Il cinema muto italiano, i film del dopoguerra, 1919, ibid. 1960, pp. 34 s., 162-164, 224-226; Id., Il cinema muto italiano, i film degli anni '20, 1923-31, ibid. 1960, pp. 68-71, 197 s., 205-207, 212-214, 286-289; F. Savio, Ma l'amore no, Milano 1975, pp. 15, 68-70, 120, 162 s., 169 s., 203 s., 209, 214, 240 s., 243 s., 277 s., 294 s., 309-311, 332 s., 334, 366; G.P. Brunetta, Storia del cinema italiano 1895-1945, Roma 1979, ad ind.; Id., Storia del cinema italiano, dal 1945 agli '80, Roma 1979, ad ind.; V. Spinazzola, Cinema e pubblico, Roma 1985, pp. 10 s., 15, 56, 80, 118, 128, 200 s., 324, 356, 365; M. Cardillo, Tra le quinte del cinematografo. Cultura cinema e società in Italia 1900-1937, Bari 1987, pp. 153-162; C. Vincent - G. Fofi - M. Morandini - G. Volpi, Storia del cinema, Milano 1988, I, pp. 130, 132 s., 134; II, pp. 177, 191; G.P. Brunetta, Cent'anni di cinema italiano, Bari 1991, ad indicem.