CARNE (lat. caro, carnis; fr. viande; sp. carne; ted. Fleisch; ingl. fleshmeat)
Nel senso più stretto significa la parte muscolare del corpo dell'animale; in senso più lato l'insieme dei muscoli e annessi (tendini e aponeurosi), del grasso intra e perimuscolare. Per rendimento di carne di un animale s'intende l'insieme di muscoli e annessi, del grasso intra e perimuscolare, delle ossa e delle cartilagini costituenti i quattro quarti dell'animale scuoiato, liberato delle parti degli arti privi di muscoli. All'insieme dei visceri si dà il nome di frattaglie.
La carne è costituita da fibre muscolari striate riunite in fasci primarî e secondarî, da tessuto connettivo interstiziale, più o meno infiltrato di adipe (v. muscolare, sistema). Fra le caratteristiche fisiche, hanno maggiore importanza, nella distinzione delle varie qualità delle carni, il colore, l'odore, la consistenza, la tessitura o grana.
Il colore varia dal roseo pallido al rosso bruno secondo la specie animale, l'età, il sesso, il sistema di alimentazione, il grado di dissanguamento nella macellazione, la durata e il modo di conservazione. Subito dopo la macellazione, la carne esala un odore detto di caldo che scompare col raffreddamento per lasciar posto a un odore particolare a ciascuna specie animale. La consistenza della carne è soprattutto in rapporto con lo stato di rigidità muscolare o di frollatura: dopo la macellazione dell'animale la muscolatura assume il cosiddetto stato di rigidità che dura da uno a più giorni, a seconda delle condizioni dell'animale e dell'ambiente in cui è tenuta la carne; alla rigidità muscolare fa seguito la frollatura, per effetto della quale la carne diventa più molle, più delicata, più digeribile e, secondo l'opinione di molti, più saporita a causa della formazione di speciali aromi. Quando però la frollatura è troppo prolungata le carni divengono eccessivamente molli e perdono in sapidità e profumo. La grana, o tessitura, si rileva dall'esame della sezione trasversale dei muscoli perché dipende dalla grandezza e consistenza dei fasci muscolari. Passando con il polpastrello delle dita sulla sezione del muscolo si ha una sensazione dolce, vellutata, quando la grana è fine e di ruvidezza quando la grana è grossolana.
Dal punto di vista chimico, la carne risulta costituita essenzialmente d'acqua e di sostanze azotate, di una quantità molto variabile di sostanze grasse e di una modesta proporzione di sostanze minerali. La composizione chimica varia molto in relazione alla specie degli animali, all'età e allo stato d'ingrassamento.
Le sostanze che presentano le maggiori oscillazioni sono l'acqua e il grasso: la prima può variare dal 45 all'80%; il secondo dà tracce al 40%. A parità di condizioni, la carne di maiale è meno acquosa della carne degli altri mammiferi domestici; la più acquosa è invece quella di vitello molto giovane e non ingrassato. Gli animali giovani forniscono carni molto più acquose degli animali adulti; invece l'acquosità delle carni decresce col crescere del grado d'ingrassamento degli animali. Secondo König:
La carne rappresenta un elemento plastico per eccellenza, cioè bene adatto alla formazione e alla reintegrazione della materia vivente, essendo costituita essenzialmente di sostanze azotate con grande predominanza di quelle proteiche. Come per il latte e le uova è notevolmente maggiore il rendimento in proteina rispetto ai cibi vegetali (v. alimentazione). La carne è un alimento con alto coefficiente di digeribilità: un discreto contenuto di grasso la rende più gustosa, più tenera e digeribile; per un eccesso di grasso diviene meno digeribile e meno gradita, almeno alle popolazioni dei climi temperati o caldi. Sono preferite le carni con grasso bene distribuito tra i fasci muscolari (carni marezzate o marmorizzate).
Al valore nutritivo della carne, quale risulta dalla sua composizione chimica e digeribilità, non corrisponde sempre un adeguato apprezzamento commerciale che è piuttosto in rapporto alla specie animale, all'età, al sesso, allo stato d'ingrassamento, alle qualità fisiche e organolettiche della carne, ai gusti e alle varie abitudini locali.
Rispetto alla specie animale da cui provengono, le carni alimentari si distinguono in: bovíne, bufaline, suine, ovine, caprine, equine, di coniglio, di pollo, di tacchino, di oca, di anitra, di piccione, di faraona, di selvaggina; rispetto al metodo di conservazione in: fresche, refrigerate, congelate, salate, insaccate, affumicate, di prima, seconda e talvolta anche di terza qualità, secondo l'età, il sesso, lo stato di nutrizione degli animali da cui provengono. Come si vede, i criterî di questa classificazione sono molto indeterminati. I regolamenti sulla vigilanza sanitaria definiscono carne di bassa macelleria quella fornita da animali macellati di urgenza o morti per cause che non escludono la commestibilità delle loro carni. In uno stesso animale le carni si dicono di prima, seconda, e terza categoria, secondo la parte del corpo da cui provengono, distinte in tagli con limiti e denominazioni varie, nelle diverse regioni (fig. 1-11). In generale, riguardo ai Mammiferi, viene assegnata alla prima categoria la carne delle regioni della groppa, della coscia, della natica, dei lombi e della parte posteriore del dorso; alla seconda categoria la carne delle regioni della spalla, del braccio e della parte anteriore del dorso; alla terza categoria la carne delle regioni del collo, della testa, della pancia, del costato, della gamba, e dell'avambraccio.
Carni bovine. - Sono le carni di Mammiferi di cui si fa maggiore consumo. In Italia si macellano annualmente circa 2 milioni di capi bovini ma tale quantitativo è insufficiente ai bisogni del consumo interno per cui si ricorre largamente all'importazione. Il rendimento in carne dei bovini varia entro limiti alquanto lati, in relazione specialmente alla rama, allo stato d'ingrassamento degli animali e all'età.
Tenendo conto del sesso e dell'età, le carni bovine si distinguono in carni di bue, di vitello, di vacca, di toro.
Alle carni di bue appartengono quelle fornite dai bovini maschi castrati in giovane età, che abbiano iniziata o effettuata la sostituzione dei denti incisivi da latte con quelli da adulti. Commercialmente si sogliono ammettere a questa categoria anche le carni delle bovine che non ancora hanno figliato, sempre che abbiano iniziato la sostituzione dei denti da latte con quelli da adulto. La carne di bue è tanto più apprezzata quanto più l'animale è giovane, quanto meno ha lavorato, quanto migliore è il suo stato di nutrizione. Fino all'età di sei anni il bue può fornire carne di prima qualità; i buoi vecchi, specialmente quelli sfruttati per il lavoro, dànno carne meno pregiata perché a grana più grossolana, tigliosa, più magra, più ricca di tendini e di aponeurosi.
I vitelli si distinguono in vitelli da latte e vitelloni. I primi forniscono le carni più tenere a fibra fine, molto digeribile, di colore roseo-pallido, per cui si parla di carne bianca. I secondi forniscono pure carne tenera, a grana fine però meno delicata e digeribile, di tinta più o meno rossa.
La carne di vacca presenta caratteristiche diverse ed è variamente apprezzata in relazione soprattutto all'età, al numero delle figliature che la vacca ha avuto, al lavoro che questa eventualmente ha fornito, alla razza, allo stato d'ingrassamento. La carne di vacca giovane, di età non superiore ai 4-5 anni, non sfruttata per il lavoro, di buona razza e in buone condizioni di nutrizione può riunire caratteristiche tali (finezza di grana, morbidezza, marezzatura, digeribilità, ecc.) da farla ascrivere alla prima qualità. Quando invece la carne proviene da vacche adulte o vecchie, che hanno avuto molte frollature, che sono state sfruttate per il lavoro, che si presentano in condizioni deficienti di nutrizione, la carne assume un colore rosso bruno, manca di marezzatura, è ricca di parte connettiva fibrosa, presenta una grana grossolana, diventa tigliosa, ecc., per cui viene ascritta alla seconda e talora alla terza categoria.
La carne di toro è di colore rosso più o meno scuro, con riflessi azzurrognoli, a fibra grossolana, soda, tenace, poco o punto infiltrata di grasso, ricca di parte tendinea e connettivale, poco succulenta, coriacea, di odore speciale; queste caratteristiche sono tanto più marcate quanto più il toro è anziano e quanto più ha funzionato come riproduttore. La carne dei torelli giovani, che non hanno mai funzionato come riproduttori, è invece di buona qualità e si avvicina a quella di bue.
Carni bufaline. - Le carni fornite dai bufali hanno molti caratteri affini a quelli delle carni bovine ma ne diversificano per il colore più scuro (rosso cupo), per la grana e tessitura più grossolana, per l'odore muschiato che aumenta con l'avanzare dell'età del bufalo e col riscaldamento della carne, per la maggiore consistenza per il colore del grasso che è bianchissimo e consistente, per l'abbondanza di tessuto connettivo dei tendini e delle aponeurosi che pure sono di colore bianco lucido. La carne di bufalo allessata fornisce un brodo biancastro e lattiginoso avente il caratteristico odore muschiato; arrostita, assume invece il sapore della carne di capra. Bisogna naturalmente distinguere, anche per questa specie animale, la carne di vitello da quella dei bufali adulti maschi e femmine. Il vitello bufalino, chiamato in gergo dei macellai annutalo (sarebbe precisamente il vitello sotto l'anno), fornisce la carne migliore, meno colorata, quasi totalmente priva di odore muschiato, sapida e aromatica. Come valore nutritivo la carne bufalina, a parità di condizioni, è uguale, anzi secondo alcuni, superiore a quella bovina.
Carni suine. - La carne suina presenta caratteristiche sensibilmente diverse, secondo l'età degli animali, il sesso, lo stato d'ingrassamento. Nei suini castrati da giovani, e quindi destinati all'ingrassamento, la carne ha una tinta che va dal grigio roseo al rosso pallido e ricorda quella del vitello. Se ne differenzia, peraltro, dalla grana più fine e dalla untuosità al tatto che è tanto più marcata quanto più il suino è grasso. L'adipe, che è sempre abbondante, specialmente come grasso di copertura (lardo), periviscerale (sugna) e perimuscolare, è di colore bianco, ma invece di essere granuloso e secco, come nei vitelli, è untuoso, poco consistente e di una tessitura più fine. Le carni dei verri e delle scrofe che sono state impiegate per la riproduzione sono di colore più o meno scuro, di grana grossolana, asciutte e coriacee; quella di verro, inoltre, ha odore di urina. Le carni di scrofa e di verro sono di seconda e terza categoria.
Carni ovine. - Si distinguono in carni d'agnello, di castrato, di pecore e di ariete. La carne di agnello va distinta, a sua volta, in carne di agnello da latte, che è pallida e tenera, e in carne di agnello slattato o agnellone che ha una tinta più carica, ed è meno tenera e delicata. Sotto il nome di carne di castrato s'intende la carne formata dagli ovini da sei mesi in più, che siano stati castrati giovani. Si suole includere nella stessa categoria anche la carne delle femmine che non hanno figliato. La carne del castrato è di colore rosso vivo, ha grana fine, talora è infiltrata di grasso, ma raramente presenta la vera marezzatura. Il grasso è bianco, compatto, friabile ed emana un leggiero odore di sego. Le pecore che sono state utilizzate più o meno a lungo per la riproduzione dànno carne di qualità inferiore, di colore rosso carico, più o meno magra e con odore caratteristico. Peggiore è la carne di ariete che abbia funzionato come riproduttore, nella quale l'odore è ancora più marcato. In molte regioni v'è una vera prevenzione contro l'uso della carne ovina, che si ritiene di qualità inferiore, specialmente per l'odore poco gradevole. In realtà, vi sono razze ovine le quali forniscono carne eccellente. Questa carne presenta appena appena accennato l'odore caratteristico che scompare poi con la cottura; è tenera, sapida, molto digeribile e nutriente non meno della carne bovina di buona qualità.
Carni caprine. - Sono la carne di capretto, la carne di capra e la carne di becco. La carne di capretto allattante è pallida, fine, delicata, molto digeribile, se pure non molto nutriente, perché ricca di acqua come tutta la carne degli animali giovani. La carne dei capretti slattati (fino a 6 mesi circa di età) ha tinta più scura, più sapida, più nutriente, ma è meno delicata. La carne di capra è di colore rosso più carico di quella degli ovini, ha grana grossolana, è poverissima di grasso. Per la sua scarsezza di grasso (carne magra) e la tinta rosso carica, la carne di capra viene spesso associata alla carne di maiale per la confezione di salumi.
Carni equine. - Il rendimento in carne degli equini varia dal 30 al 60%: il basso rendimento che spesso si ottiene da questi animali è in relazione al fatto che sono frequentemente portati al macello in pessime condizioni di nutrizione. La carne degli equini è, in generale, più scura che nei bovini, la quale caratteristica si rende ancora più marcata dopo qualche ora dalla macellazione. Disparate sono le opinioni circa l'odore della carne equina. Essa ha una tessitura fine e compatta con mancanza quasi completa di grasso d'infiltrazione. Il sapore è leggermente dolcigno in relazione al fatto che questa carne contiene una discreta quantità di glicogeno. Caratteristico è il grasso perimuscolare e di copertura: è molle e oleoso, appunto perché ricco di oleina. La carne equina, specialmente se proviene da animali in buone condizioni di nutrizione, poco si scosta da quella bovina come potere nutritivo, ma è assai meno apprezzata per le sue qualità organolettiche. Si deve però rilevare che v'è una eccessiva prevenzione contro l'uso della carne equina. La carne dei giovani puledri, specialmente quella degli asinelli, ha caratteristiche fisiche e organolettiche che la fanno rassomigliare molto a quella di vitello, in cambio della quale spesso viene venduta per frode.
Carne di coniglio. - Per il suo colore pallido fa parte delle cosiddette carni bianche: questo la fa distinguere dalla carne di lepre e di gatto. Ha struttura fine, è piuttosto acquosa, poco sapida, facilmente digeribile, povera di grasso d'infiltrazione, discretamente nutritiva.
Carne di pollo. - I polli forniscono carne bianca, fine, delicata, sapida, molto digeribile e di alto potere nutritivo. Manca nella carne di pollo il grasso d'infiltrazione: esso si trova invece sotto forma di grasso di copertura e periviscerale e il suo colore va dal bianco al giallo secondo le razze e lo stato dei soggetti. Bianca e delicatissima è la carne dei pulcini ingrassati con latte. Bianca e delicata è anche la carne dei maschi castrati giovani (capponi) o delle pollastre che non hanno deposto uova o ne hanno deposte per poco tempo. Di tinta un po' più scura, di tessitura meno fine e piuttosto tigliosa è invece la carne di gallina anziana e specialmente quella dei galli di una certa età.
Carne di tacchino. - Anche il tacchino fornisce carne bianca, poco meno delicata e più consistente di quella dei polli. La carne del tacchino adulto e vecchio diventa spesso tigliosa e coriacea anche perché in essa sono porzioni tendinee e aponeurotiche assai sviluppate. È meno digeribile della carne di pollo ma non è meno nutriente.
Carni d'oca, anitra, colombo, gallina faraona. - Sono simili alla carne di pollo ma non fanno parte, come questa, delle carni bianche. Esse, infatti, hanno una tinta più carica, che talvolta tende al rosso bruno. Sono bene digeribili, molto nutrienti e sapide anche perché ricche di creatina e di altre basi carnee. Il grasso di questi volatili varia di colore dal bianco al giallo, è molle e untuoso.
Carni di selvaggina. - Hanno odore e sapore speciali, detti appunto di sevaggina, tinta rosso-bruna molto carica, sono sode, scarse d'acqua e di grasso, molto sapide, eccitanti, nutrienti. Sul sapore ha molta influenza il modo con cui gli animali sono stati cacciati e conservati. La carne di animali uccisi dopo corse o volate faticanti si altera rapidamente e ha sapore amaro. Allo scopo di rendere la carne della selvaggina più tenera, più sapida e con caratteristiche più marcate si usa spesso conservare più o meno a lungo gli animali uccisi fino a quando i peli o le piume si stacchino facilmente, la pelle del ventre divenga azzurra o nera e negli uccelli la parete addominale sia fracida (haut goût). La selvaggina a penne dà in generale carni più pregiate della selvaggina a pelo.
Carni refrigerate e congelate. - L'applicazione del freddo alla conservazione delle carni ha dato luogo all'estesa industria delle carni refrigerate e congelate delle quali si fa sempre più uso. Si può dire che quest'industria ebbe il suo fondatore nell'ing. Ch. Tellier che nel 1870 inventò e sperimentò una macchina frigorifera da lui impiegata, fra l'altro, per la conservazione della carne.
Nella refrigerazione, le carni sono prima sottoposte a una specie di evaporazione ottenuta con una corrente di aria fredda a una temperatura di 8° a 10°; successivamente esse sono sottoposte al vero processo di refrigerazione mettendole in camere con temperatura di circa 0° e con coefficiente igrometrico non superiore a 75: si mantengono in queste camere per circa 40 ore. La carne refrigerata si conserva molto bene per circa 40 giorni. Nella refrigerazione la carne non subisce alcun cambiamento nella sua intima struttura e nei suoi caratteri organolettici; se ne avvantaggia, anzi, nei riguardi della maturazione (frollatura) e si presenta con gli stessi caratteri delle carni fresche. Il processo di congelazione è alquanto più complesso. La carne preparata in quarti o in mezzene viene sottoposta a un trattamento preliminare analogo a quello descritto per le carni da refrigerare, avente lo scopo di ottenere una parziale e graduale evaporazione. Successivamente la carne viene immessa nelle camere fredde per essere sottoposta al processo di congelamento il quale può avvenire in due modi: con sistema lento e con sistema rapido. Il primo sistema consiste nel mantenere la carne ad una temperatura da −10° a −12°; il secondo sistema consiste nel mantenerla a temperatura di almeno −25°; nel primo caso la congelazione richiede da 11 a 12 giorni; nel secondo da 3 a 5 giorni. Ottenuta la congelazione, i quarti e le mezzene vengono ricoperti con un sottile velo di stoffa, poi avvolti in tela comune da imballaggio e quindi trasportati nelle camere di conservazione nelle quali la temperatura è mantenuta a −5° −6°. Le carni congelate, tenute nei frigoriferi, possono essere conservate per parecchi mesi. Per essere ammesse al consumo devono subire un regolare processo di scongelazione lentamente e a temperatura appropriata (4-5°).
Sul valore alimentare delle carni congelate furono fatte numerose indagini specialmente dal Gautier, dal Rideal, dalla Pennington. Da queste indagini risultò che il valore alimentare delle carni congelate non è inferiore a quello delle carni fresche di qualità corrispondente. Differenze esistono invece nelle qualità organolettiche per cui sono preferite le carni fresche a quelle congelate.
Carni insaccate. - Uno dei sistemi più antichi e diffusi di conservazione delle carni è quello della salagione e dell'insaccamento che dà luogo all'importante industria salumiera. I tipi più comuni di salumi sono i seguenti: a) salami costituiti da carne di maiale sola o frammista a carni bovine, ovine o caprine, più o meno finemente triturato e condite con sale, pepe, nitro e con ingredienti aromatici e insaccati in budelli; b) salsiccia, fatta normalmente con carne di maiale, brodo, sale, droghe, e insaccata nell'intestino tenue; c) cotechini, fatti con carne grassa e cute di maiale, insaccata nell'intestino tenue di bue; d) mortadella, fatta con carne molto grassa di maiale e carne magra di bue, tagliuzzata grossolanamente con sale, grani interi di pepe, droghe, insaccata nelle vesciche di bue; e) zampone, costituito dalla pelle dell'arto anteriore del maiale riempito di carne grassa di maiale triturata e trattata con i soliti condimenti; f) prosciutto, costituito dal cosciotto del maiale salato e prosciugato; g) bondiole, formate dalla coppa del maiale; h) spalle, costituite dalle spalle del maiale.
Carni affumicate. - Il fumo, coi suoi principî empireumatici, esplica un'azione antisettica per cui contribuisce alla conservazione delle carni quando contemporaneamente si abbia una sottrazione di acqua (asciugamento).
Ispezioni delle carni.
Le carni possono riuscire nocive alla salute dell'uomo per diverse cause: o perché contengono parassiti (carni infestate) o perché contengono i germi di malattie infettive trasmissibili all'uomo (zoonosi) o perché sono più o meno alterate e ricche di tossine (intossicazioni, tossi - infezioni). È pertanto necessario che le carni destinate all'alimentazione dell'uomo siano prima sottoposte alla visita sanitaria. In tutti i paesi civili esiste un'apposita legislazione che rende obbligatoria l'ispezione delle carni da macello. In Italia l'ispezione delle carni è ora disciplinata dal regolamento per la vigilanza sanitaria delle carni (r. decr. 21 luglio 1927, n. 1585).
L'ispezione delle carni rappresenta uno dei capitoli più importanti dell'igiene nel quale trovano applicazione pratica nozioni e norme di tecnica varie e complesse, specialmente di anatomia comparata, di chimica, di parassitologia, di batteriologia, di sierologia.
In una buona carne non debbono trovarsi né tracce di condizioni morbose né parassiti. L'odore deve essere lieve senza accenno a esalazioni cadaveriche; il colore uniforme, né troppo pallido, né tendente al porporino; la consistenza soda, elastica, ossia né depressione né crepitio alla pressione; la superficie umida e tanto più asciutta quanto più a lungo la carne è conservata. Il pesce fresco ha squame lucenti, occhi chiari, vivaci, branchie chiuse di colore rosso, la coda distesa e dura; le carni hanno consistenza soda, elastica, e non conservano l'impressione del dito. Nel pesce stantio le squame sono opacate da una secrezione viscida, gli occhi sono opachi e infossati, le branchie brunastre con odore putrido, le carni molli e floscie. Le carni dei pesci facilmente s'impregnano dell'odore dei mezzi nei quali vivono, donde la notevole differenza di sapore fra i pesci di mare e quelli degli stagni e dei fiumi; i primi sono più ricchi di cloruro sodico, i secondi di fosfato potassico.
Sono numerosissime le cause per le quali le carni possono presentare caratteri anormali; il divieto del consumo, sia totale sia limitato a singole parti, seguendo particolari criterî profilattici, è sancito nelle linee generali dal regolamento d'igiene e attuato, caso per caso, dagl'ispettori sanitari.
Nelle cosiddette carni malate ricorderemo tra le infezioni e le infestazioni parassitarie più notevoli (delle quali si tratta particolarmente nelle voci che si riferiscono ai singoli agenti morbosi) la distomatosi, la strongilosi, la cisticercosi, l'echinococcosi, la cenurosi, la trichinosi, la coccidiosi, la sarcosporidiosi, la piroplasmosi, la tubercolosi, l'actinomicosi, il carbonchio, l'edema maligno, il tetano, la rabbia, l'aspergillosi, l'afta epizootica, il vaiuolo, il farcino, la morva, la difterite, l'agalassia contagiosa, ecc. e in genere le infezioni pioemiche, saproemiche e setticemiche. Rientrano in questo gruppo le carni di animali morti per lesioni anatomo-patologiche complesse, quali i tumori, l'uremia, ecc.
Col nome di carni anormali o alterate si comprendono diversi gruppi ai quali in pratica si dànno le denominazioni seguenti. Si dicono carni fetali quelle di animali nati morti, o dei feti vitali con masse muscolari pallidissime, molli, viscide, vastamente infiltrate da un siero bianco sporco. Si chiamano carni immature, in generale, quelle dei vitelli sotto quattro settimane, degli ovini e dei caprini sotto due settimane, tutte da rifiutarsi per lo scarsissimo valore nutritivo. Nelle cosiddette carni assai magre o cachettiche si distingue la magrezza fisiologica dovuta all'eccessivo lavoro, alla scarsa alimentazione, all'età avanzata, da altri tipi morbosi quali l'atrofia cachettica (Ostertag) che proviene da malattie esaurienti che anemizzano e idroemizzano gli animali mediante infiltrazione edematosa di varî parenchimi, specialmente della trama connettivale, e la cachessia secca (osservata specie negli ovini della Francia) nella quale il grasso assume una caratteristica struttura farinosa. Con nome improprio, perché si potrebbe riferire anche a molte altre specie di carni patologiche, si chiamano carni ripugnanti quelle che, pur non essendo quasi mai nocive, suscitano avversione per il loro aspetto innaturale. Tali sono: le carni rosse perché infiltrate da granuli minutissimi costituiti da zooglee del Bacterium prodigiosum; le carni blu da germi cianogeni; le carni dei bovini e dei suini che, dopo la cottura, diventano fosforescenti per sviluppo di fotobatterî; le carni alterate da lesioni secondarie ai traumatismi; le carni invase da larve d'insetti quali la mosca blu (Musca vomitoria), la mosca grigia (Sarcophaga carnaria), la mosca comune (Musca domestica), la mosca verde dorata (Lucilia caesar), che possono essere rimosse quando l'infestione è limitata e superficiale permettendo il consumo della carne (le carni debbono essere accuratamente protette dalle mosche che con le zampe, o con gli escrementi, possono trasportare uova di parassiti animali: tenie, ascaridi, ossiuridi, tricocefali, anchilostomi, ecc.; germi infettivi: carbonchio, tifo, colera, peste, tubercolosi, ecc.; spore di funghi: aspergillo, penicillio, ecc.); le carni invase da muffe che spesso impartiscono loro colorazioni caratteristiche: bruno-nerastre per l'Aspergillus niger, verde-giallastre per l'Aspergillus glaucus, verde-turchiniccio per il Penicillium glaucum, rossastre per l'Oidium aurantiacum, bianco-grige per il Mucor mucedo e racemosus, verdastre (in terreno acido) e bruno-nerastre (in terreni neutri) per l'Aspergillus fumigatus, ecc.; le carni con odori o sapori sgradevoli, per cause diverse: alimenti (prodotti residuali della fabbricazione dell'olio, semi di canapa, residui di bietole, anice, assenzio, artemisia, ecc.), sostanze medicamentose (ammoniaca, cloroformio, canfora, etere, trementina, camomilla, fenolo, iodoformio, assa fetida, ecc.), processi morbosi (ascaridiasi, meteorismo acuto, ecc.); le carni secche o polverizzate contenenti acari (Tyroglyphus farinae, longior, siro; Glyciphagus cursor, ecc.).
Nelle carni putrefatte è da distinguere anzitutto la putrefazione superficiale dovuta alla pullulazione dei germi saprogeni, dalla putrefazione profonda con le due forme tipiche: verde, o solfidrico-ammoniacale, da alcuni attribuita a un Proteus haemosulfureus, e idrolitica, con formazione di cristalli di tirosina, considerata da Piettre come uno stadio avanzato della disintegrazione batterica delle sostanze proteiche. Le carni alterate in seguito a processi degenerativi (dei quali ciascuno ha particolari caratteri istopatologici) sono torbide, come lessate, nel rigonfiamento torbido o degenerazione albuminosa, parenchimatosa, frequente, ma non costante, nelle affezioni lungamente febbrili, più spesso secondaria ad azioni tossiche (fosforo, piombo, arsenico, tossine batteriche); pastose, giallastre, untuose, nella degenerazione grassa che segue a profondi turbamenti del ricambio (malattie polmonari, anemie, meteorismo acuto); giallo-sbiadite, simili alla carne dei pesci, nella degenerazione cerea di Zenker. La degenerazione ialina, o vitrea, o omogenea colpisce specialmente i gangli linfatici nella tubercolosi e in altri processi infiammatorî a decorso cronico. Carni pigmentate in giallo si hanno per la cosiddetta adipoxantosi senile, della quale è discussa l'origine alimentare; per ittero, da malattie del fegato o di origine emolitica, come nella piroplasmosi dei bovini; colorazioni scure, melaniche, sono in rapporto con i tumori melanotici. Non si confonda con queste pigmentazioni quanto sopra si disse a proposito delle muffe. S'è designato col nome di carni fermentate, impropriamente dette anche febbrose, perché non derivano sempre da animali febbricitanti, un complesso di alterazioni non bene definite (carni sbiadite, concotte, umide), complicate da putrefazioni cadaveriche, esalanti un odore particolare che ricorda l'alito febbrile; forse di origine autolitica per agenti causali non bene conosciuti. Si hanno in seguito al reumatismo articolare, alle infezioni puerperali, al carbonchio, al tetano, alla corizza cancrenosa, ecc. Le cosiddette carni strapazzate, o affaticate, o febbrose per fatica, sono gommose, viscide, elastiche, rosso-brune, sempre più brune al contatto dell'aria, hanno una rigidità cadaverica precoce, forse in rapporto a una speciale tossina della fatica.
Per incuria, per errore, per dolo, agli animali possono essere somministrate sostanze tossiche varie per qualità e quantità e che possono rendere, secondo i casi, più o meno venefica l'ingestione delle carni rispettive. Ricordiamo gli alcaloidi medicamentosi: stricnina, morfina, pilocarpina, eserina, veratrina, ecc.; gli alcaloidi, i glucosidi, le tossine ingerite con diverse specie vegetali: oleandro, euforbio, latiro, ricino, patata, tasso, lupino, elleboro, belladonna, colcnico, papavero, funghi, ecc.; veleni minerali: piombo, mercurio, bario, rame, arsenico, ecc.
Diagnosi delle diverse specie di carne.
Il riconoscere a quale specie appartenga un campione di carne in esame è problema della massima importanza pratica e può essere di soluzione molto difficile se la quantità di cui si dispone è piccola. Vengono in questo caso a mancare le nozioni anatomiche differenziali che deve possedere un provetto zootecnico sulle strutture più caratteristiche che costituiscono i cosiddetti tagli della macellazione nei singoli animali. I caratteri differenziali istologici richiedono una tecnica particolarmente delicata e non offrono sempre criterî discriminanti di valore assoluto. Maggior valore hanno i caratteri fisici del grasso: punto di fusione, di solidificazione, indice refrattometrico. La dimostrazione chimica del glicogeno, con le dovute riserve, nel dubbio fra carni equine e bovine decide per le equine. Più delicato metodo di ricerca chimica è quello che stabilisce l'indice di iodio nei grassi; specialmente il grasso degli equini trattiene lo iodio. Notevolissimo per l'ampiezza dei limiti di applicazione è il metodo biologico di Uhlenhuth prescritto ufficialmente in Germania fino dal gennaio 1908; è basato sull'azione precipitante specifica che il siero di sangue, specialmente di un coniglio, inoculato con un estratto solubile della carne da riconoscere, produce sulla soluzione proteica della carne; la sua sensibilità raggiunge il rapporto di 1:20.000 svelando fino a grammi 0,007 di albumina specifica, e permette d'identificare anche i frammenti delle carni insaccate.
La carne nell'alimentazione dell'uomo.
In pratica nell'alimentazione dell'uomo la parola carne ha un valore assai ampio, significando, in generale, la parte commestibile degli animali e comprendendo in questi non solo le bestie da macello, ma anche il pollame, la cacciagione, il pesce, i molluschi, i crostacei.
Le parti muscolari, con circa il 70% di acqua, risultano essenzialmente di protoplasma, tessuto connettivale, grasso, sostanze estrattive, piccole quantità d'idrati di carbonio e sali minerali.
Il protoplasma contiene circa per tre quarti acqua, per un quarto proteine, le quali in parte ne costituiscono l'elemento integrante, in parte sono tenute in soluzione. Le proteine hanno un altissimo valore biologico perché forniscono gli amminoacidi (v.) in numero e quantità assai più grandi di quelli derivati dai vegetali.
Secondo H. C. Sherman (Food products, New York 1904), da 100 parti di proteine della carne di bue derivano 67,30 di amminoacidi nelle percentuali seguenti: acido glutamico 15,49; leucina 11,65, lisina 7,59; arginina 7,47; prolina 5,82; acido aspartico 4,51; alanina 3,72; tirosina 2,20; glicina 2,06; istidina 1,76; valina 0,81; oltre a triptofano, idroossiprolina, fenilalanina, serina, ammoniaca.
Il connettivo è scarso nelle carni degli animali giovani e nei tagli di carne di migliore qualità. Il grasso viene in gran parte rimosso dalle manipolazioni culinarie, ma nelle carni di maiale rimane largamente diffuso fra le fibre muscolari. Le sostanze estrattive, specialmente la creatinina, sono più abbondanti negli organi (fegato) che nei muscoli; hanno importanza come stimolanti della secrezione gastrica. Il glicogeno dei muscoli dopo qualche giorno si converte in acido lattico che rammollisce i tessuti e rende più tenere le carni. Una misura del contenuto dei sali minerali delle carni si ha dallo studio delle loro ceneri nelle quali abbondano relativamente i sali potassici.
Sherman nelle ceneri delle carni per 100 grammi di proteine ha trovato grammi di: potassio 1,2; fosforo 1; solfo 0,9; sodio 0,3; cloro 0,2; magnesio 0, 12; calcio 0,05; ferro 0,015.
Nelle carni dei Mammiferi; specialmente in quella del maiale, sono state dimostrate le vitamine A, B, C (Osborne e Mendel), ma non hanno l'importanza pratica della vitamina D che si estrae abbondantemente dal grasso di alcuni pesci. Per la qualità delle proteine e il contenuto in vitamine, gli organi, specialmente il rene e il fegato, hanno un alto valore nutritivo che forse in pratica non è sufficientemente apprezzato. Nella nutrizione degli anemici gravi l'ingestione del fegato s'è dimostrata di grandissimo valore per la formazione del sangue.
La distinzione che volgarmente si ammette fra carni bianche e carni rosse non corrisponde a differenze sostanziali dal punto di vista nutritivo; le prime hanno una struttura più lassa, una maggiore quantità di nuclei, sono meno ricche di connettivo e di grasso e per questo sono talvolta digerite più facilmente delle seconde. Sarebbe però un errore grossolano pensare che un infermo obbligato a una dieta proteica ristretta potesse impunemente nutrirsi di carni bianche.
Anche l'antitesi fra carne e pesce nella nutrizione non ha differenze essenziali. La sostanza muscolare dei pesci, in confronto con le altre carni, contiene più collageno e per questo produce più gelatina, è meno ricca di grasso (quindi più digeribile), di sostanze estrattive, di emoglobina; invece il valore vitaminico, come già si disse, può essere assai più elevato.
Sintetizziamo nella tavola seguente, seguendo Atwater e Bryant (The chemical composition of American food materials), i dati più importanti che si riferiscono alle carni più comuni. Calcolando il valore energetico di questi alimenti (v. alimentazione) bisogna tenere conto delle modificazioni indotte dalla cottura e dal diverso grado di utilizzazione da parte dell'organismo.
Tossicologia.
L'avvelenamento da carni e da prodotti alimentari alterati comprende vari quadri morbosi in relazione con il diverso fattore patogeno.
In passato si diede molta importanza all'avvelenamento da ptomaine, diammine che si formano nella putrefazione delle carni. Le carni, specie quelle insaccate putrefatte, possono capitare germi tossici, quali i germi del paratifo B, il Bacillus enteritidis di Gärtner, il Bacillus botulinus, i quali mettono in libertà sostanze tossiche capaci d'impartire un aspetto speciale all'avvelenamento. Può svilupparsi una violenta gastroenterite, con vomito, diarrea profusa, coleriforme o dissenteriforme, febbre, stato adinamico con esito mortale per il collasso cardiocircolatorio. In questi casi, il tossico è riferibile al bacillo del paratifo B, o di Gärtner. Le tossine del Bacillus botulinus che si possono trovare in carni, conserve, salami d'aspetto perfettamente normale, possono dare paralisi degli oculomotori, del facciale, dell'ipoglosso, disfagia, paralisi del diaframma e dell'intestino. È frequente in questi avvelenamenti la morte in seguito a paralisi respiratoria. La terapia si limita a un'evacuazione dello stomaco, con lavaggio di questo e dell'intestino, all'uso di antisettici, e alle cure sintomatiche.
Industria e commercio.
In Europa la lavorazione delle carni non è organizzata come grande industria; anzi, all'infuori della fatibricazione dei salumi, della lavorazione delle budella, ecc., la vera e propria lavorazione industriale è ridottissima: le carni sono smerciate immediatatamente dopo la macellazione, oppure dopo pochi giorni di conservazione in frigorifero (v. macello). Ciò sebbene il commercio sia in parte accentrato in grandi ditte, che talvolta monopolizzano (anche in Italia) l'approvvigioriamento carneo di intere città. Agli Stati Uniti, invece, la macellazione del bestiame nazionale e la lavorazione delle carni, dei sottoprodotti e dei cascami costituiscono una tipica grande industria, dominata da poche ditte di grandissima forza finanziaria. Infine, nei paesi dove l'allevamento del bestiame è enormemente in eccesso sul consumo di carne dei mercati locali (come p. es. le repubbliche dell'America meridionale) solo la grande industria ha permesso di utilizzare questo eccesso, lavorandolo ed esportandolo nei mercati europei e nord-americani.
Negli Stati Uniti i grandi centri di consumo sono presso la costa atlantica, mentre il bestiame da macello viene dagli stati centrali (Middle West) e specialmente dalla zona di coltivazione del granturco (Corn belt) dove sono anche portati, per l'ingrassamento finale, gli animali allevati sui pascoli del Far West. Anziché spedire il bestiame in piedi fino alle piazze di consumo, si trovò più conveniente macellarlo a Chicago, Kansas City, Omaha, e in altri nodi ferroviarî. Qui la grande industria prevalse, per i vantaggi di cui godeva nei trasporti ferroviarî e, assai più, per le economie, che solo essa può realizzare dal completo sfruttamento dei sottoprodotti e dalla divisione del lavoro. A partire dal 1857, sorsero così le caratteristiche packing houses, per opera di Swift, di Armour e di altri; lo sviluppo dell'industria fu grandemente facilitato dall'invenzione, brevettata nel 1868, dei carri ferroviarî refrigerati con ghiaccio.
Le grandi ditte generalmente arrivano, direttamente oppure a mezzo di sussidiarie, ai prodotti finiti, realizzando esse stesse tutti gli utili della lavorazione. Vanno al consumo diretto, come carne fresca oppure refrigerata o congelata, soltanto i quarti migliori; quelli più scadenti servono alla preparazione di carne in scatola, di estratto di carne, ecc. I ritagli, i visceri, le parti non commestibili, le carni avariate e tutti i rifiuti sono utilizzati dalla grande packing house in modo più completo che non dalla piccola impresa di macellazione. Il sangue serve alla fabbricazione di albumina e di farina di sangue (per mangime di polli e vitelli) e di sangue defibrinato per conceria; le ossa, i tendini, parte dei tessuti connettivi e i ritagli di pelle sono utilizzati per l'estrazione di colla, grasso e perfosfati; gl'intestini servono, oltreché come involucro da salumi, per la preparazione di ligamento per chirurgi; la membrana dell'intestino cieco è venduta ai battiloro; le parti grasse che male servirebbero al consumo diretto sono utilizzate nella fabbricazione di oleo-margarina e oleo-stearina; dai ritagli sporchi e dalle carni avariate si ricavano grassi non commestibili e, infine, si ricuperano le glandole (tiroide, paratiroide, pituitaria, parotide, pineale, timo, surrenale, adrenale, prostata, ovaria) per cederle a ditte specializzate per la preparazione di prodotti farmaceutici (le quali preparano anche insulina dal pancreas ed estratto di fegato, per la cura dell'anemia perniciosa, dal fegato e dai reni). I grandi packers a questa utilizzazione di sottoprodotti, che è comune anche all'Europa, aggiungono la valorizzazione di parti scadenti e di ritagli per la preparazione di prodotti alimentari di prezzo relativamente alto. E così, nella preparazione di certi tipi di salsicce e di carni tritate in scatola entrano ritagli di lingua e di trippa, tessuti del palato e della gola, cuore, polmoni, milza, ecc. Ciò è possibile perché i packers posseggono marche accreditate con una lunga e costosissima pubblicità. Con questa utilizzazione e valorizzazione dei sottoprodotti, il costo delle parti scelte viene fortemente ridotto. È da avvertire, però, che nei paesi dove i consumatori poveri sono numerosi rispetto ai ricchi, si raggiunge lo stesso scopo vendendo a quelli carni scadenti e cascami: come esempio tipico si citava, un tempo, il caso di Londra, dove il consumo dei tagli scelti era limitato ai quartieri occidentali, mentre i quartieri poveri dell'est consumavano tagli scadenti, a prezzi poco inferiori.
Quanto alla divisione del lavoro, i packers americani furono i primi ad applicare il metodo di far passare rapidamente il pezzo da lavorare per una lunga linea di operai ciascuno dei quali compie una sola operazione ed è costretto a compierla prima che il pezzo si allontani. Questo metodo molti anni dopo fu adottato dall'industria automobilistica ed è stato poi introdotto anche in altre. In una tipica packing house americana l'animale vivo viene portato all'ultimo piano e introdotto in una cabina, dove è macellato: di qui per una botola cade in una sala dove è legato per i piedi posteriori a un trasportatore a rotaia sospesa, movendosi lungo il quale è scuoiato, sventrato e squartato. I quarti arrivano alla cella frigorifera meno di un'ora dopo la macellazione. Una ditta di Chicago lavora in un giorno 12.000 suini, 3.000 bovini, e 10.000 ovini.
Non è solo per questi vantaggi d'indole strettamente industriale che le grandi ditte americane hanno vinto le piccole, ma anche per il fatto che esse sono riuscite talvolta a dominare il mercato del bestiame, anche attraverso la partecipazione alle società che eserciscono i mercati (stockyards) di Chicago e delle altre grandi piazze e, infine, schiacciando i piccoli concorrenti con la vendita a sottocosto su certi mercati. L'industria fu quasi monopolizzata da pochissime ditte e divenne impopolare. Dopo una prima inchiesta nel 1904, in seguito alle rivelazioni scandalistiche del pubblicista Upton Sinclair (che l'accusava di violare deliberatamente le più elementari norme igieniche) nel 1906 fu sottoposta a uno stretto controllo sanitario; nel 1917 fu ancora oggetto d'inchiesta. A quell'epoca grandi ditte (Big Five Packers: Swift, Armour, Morris, Cudahy, Wilson) macellavano oltre l'80% dei bovini e degli ovini degli Stati Uniti e più del 60% dei suini: la minor proporzione dei suini si spiega col fatto che questi hanno una maggior quantità di carne rispetto al peso vivo e sono, perciò, abbastanza bene utilizzabili anche dalle piccole ditte. I Big Five erano interessati in molte altre industrie, anche non direttamente connesse con quella delle carni; possedevano parchi di carri frigoriferi, fabbricavano conserve vegetali, commerciavano in pollame e uova; la possibilità d'offrire ai rivenditori al minuto un completo assortimento di queste merci rafforzata grandemente la loro posizione commerciale, finché in seguito non furono costretti a limitarsi al commercio delle carni e dei prodotti affini. Ma poi l'ostilità è stata attenuata essendo essi passati dalle famiglie dei fondatori a numerosissimi azionisti, anche piccoli (così Swift ne ha più di 45.000, dei quali 12.000 sono impiegati o salariati della società).
Negli ultimi anni, qualcuno dei grandi packers che già preparava prosciutto, strutto, ecc., in imballaggi speciali per la vendita al minuto, ha cominciato a vendere in imballaggi analoghi, sotto la propria marca, costate, bistecche e altri pezzi scelti di carne, tagliati nel macello stesso e congelati col nuovo metodo rapido (v. freddo, industria del). La conservazione è assicurata con tutta un'organizzazione di magazzini e di trasporti frigoriferi. La introduzione della "neve carbonica" ha allargato il campo d'applicazione di questo nuovo metodo di distribuzione che, avocando al grande macello centrale alcune delle più importanti funzioni dell'antico macellaio-rivenditore, promette di rivoluzionare il commercio delle carni, rendendolo sempre più simile a quello delle merci "normalizzate".
Origine molto diversa da quella degli Stati Uniti ha l'industria sudamericana. Pochi capi di bestiame bovino ed ovino, liberati verso il 1600 dagli spagnoli nelle praterie prossime al Río de la Plata, trovandovi condizioni favorevolissime formarono mandre di milioni di capi, allo stato selvatico, paragonabili a quelle di bisonti dell'America del Nord (v. bisonte). Questo bestiame, dai pochi abitanti del paese, era utilizzato soltanto per le pelli; poi per l'industria dell'essiccazione della carne (preparazione del tasajo). La valorizzazione di queste enormi risorse cominciò nel 1865 con l'impianto di grandi stabilimenti per preparare l'estratto di carne secondo la proposta di Liebig. Dopo il 1875 si riuscì a trasportare la carne in Europa, previa congelazione; nel 1883 sorse in Argentina, con capitale inglese, il primo grande macello specializzato nella preparazione delle carni congelate (frigorífico); a questo poi ne seguirono parecchi altri, nelle varie repubbliche dell'America Meridionale (v. freddo, industria del). Un ulteriore e grandissimo progresso si ebbe con la conservazione per semplice refrigerazione, che richiede una migliore organizzazione, soprattutto nei trasporti, ma lascia la carne in condizioni molto più simili a quelle della carne fresca. Il commercio della carne refrigerata (chilled), dal principio del sec. XX a oggi, si è sviluppato assai più rapidamente di quello della carne congelata (frozen). Alla refrigerazione si riservano i quarti più scelti. L'industria dell'estratto di carne è stata congiunta a quella delle carni refrigerate e congelate e utilizza i quarti più scadenti, analogamente a quanto si fa agli Stati Uniti; nel 1925 anche lo stabilimento Liebig di Fray Bentos fu assorbito da un frigorífico (Anglo dell'Uruguay). In Argentina si usa agganciare gli ovini da macellare a una grande ruota che li presenta ai macellai. I grandi frigoríficos sudamericani lavorano parecchie diecine di migliaia di tonnellate di carne all'anno; i maggiori arrivano alle 150-200.000 tonn. Questi stabilimenti appartengono quasi tutti a società inglesi, oppure ai packers degli Stati Uniti, il che ha fatto nascere negli allevatori locali il timore di essere sfruttati e ha indotto il governo dell'Uruguay a decretare l'impianto di un frigorífico nazionale. Alcune grandi società inglesi (come la Liebig e la Bovril) possiedono nell'America del sud allevamenti proprî, con molte diecine di migliaia di capi bestiame. Anche nell'Australia e nella Nuova Zelanda l'industria della carne congelata e refrigerata (specialmente carne di montone) si è largamente sviluppata.
Nel quinquennio 1924-28 la produzione mondiale di carne (bovina ed ovina) refrigerata o congelata per l'esportazione fu di 1.250.000 tonn. all'anno in media. A questa produzione contribuirono l'Argentina con 750.000 tonn.; l'Uruguay con 135.000 tonn.; il Brasile con 40.000 tonn.; la Nuova Zelanda con 160.000; l'Australia con 105.000; il Chile, il SudAfrica, il Venezuela, il Madagascar, ecc., per il resto. Questa esportazione fu assorbita per la massima parte dal Regno Unito che, nello stesso quinquennio, importò in media oltre 900.000 tonn. all'anno, fra carne refrigerata o congelata; il resto principalmente dal continente europeo. In Inghilterra, alla fine del secolo scorso, l'importazione corrispondeva al 30% del consumo della carne bovina; negli ultimi anni la proporzione è salita al 50%; ciò si deve principalmente al miglioramento della qualità della carne refrigerata sudamericana, per conseguenza la differenza di prezzo con la carne fresca è diminuita. L'Inghilterra compra principalmente carne refrigerata. Nel continente europeo si è protetto più o meno efficacemente l'allevamento nazionale e perciò è riuscita a penetrarvi quasi soltanto la carne congelata, che può essere venduta a un prezzo molto più basso.
In Italia prima della guerra il consumo della carne (compreso il pollame e la cacciagione) si poteva calcolare in 18 kg. per abitante e per anno (Fotticchia). Al consumo provvedeva la produzione zootecnica nazionale e anzi, negli ultimi anni dell'anteguerra, c'era un leggiero eccesso di esportazioni. La carne congelata fu importata, in quantità apprezzabili, per la prima volta nel 1905; però fu malissimo accolta dal pubblico, finché l'organizzazione della distribuzione non fu seriamente migliorata. Nel 1910 si cominciò a distribuirla alle truppe. Durante la guerra il patrimonio zootecnico nazionale subì perdite gravi, quantitative e qualitative, però assai meno disastrose di quel che sul momento si credette; l'importazione delle carni congelate aumentò rapidissimamente, toccando il massimo nel 1918 con 1.534.580 quintali. Nel 1919 si importarono 11.764 capi di bestiame (contro un'esportazione di 5.973 capi), 1.053.711 quintali di carne congelata e 1.277.017 quintali di altri prodotti alimentari derivati dal bestiame. La situazione migliorò di molto negli anni seguenti, però restò una deficienza, che fu colmata con le importazioni, oltreché di bestiame in piedi, anche di carne congelata (1.190.333 quintali nel 1924; 601.828 quintali nel 1929). Il consumo della carne congelata giustifica la diminuzione della macellazione, che si notò per qualche anno (p. es. nel 1924) nelle città maggiori. L'esportazione italiana è limitatissima e costituita per la maggior parte da salumi. Il consumo medio, secondo il Fotticchia, compresi sempre pollame e cacciagione, può ritenersi salito a 19 kg. per abitante e per anno; l'aumento è particolarmente forte nelle zone rurali, dove la macellazione sfugge in gran parte alle statistiche ufficiali (particolarmente per i suini, gran numero dei quali è macellato e consumato dagli stessi allevatori).
In Italia ha poca importanza l'industria delle carni in scatola, la quale provvede principalmente ai bisogni dell'esercito; importante è, invece, l'industria dei salumi (v.).
Carne in conserva per uso militare. - Insieme con la galletta costituisce i cosiddetti viveri a secco di riserva, per il vettovagliamento della truppa in speciali circostanze di tempo e di luogo, tenuti in tempo di pace in piena efficienza in base alle prescritte dotazioni. Presso il nostro esercito la carne in conserva è allestita in scatolette di forma cilindrica, con chiusura ermetica eseguita mediante aggraffatura, del peso di gr. 220 ciascuna, di cui almeno gr. 150 di carne muscolare. Possono essere preparate con carne bovina fresca o congelata.
Annualmente viene rinnovato 1/5 circa delle dotazioni in modo che il tempo massimo per la buona conservazione delle scatolette non superi il quinquennio. La scatoletta sostituisce, nella razione viveri ordinaria, due razioni di carne fresca o congelata; quando si distribuisce insieme con la galletta, o eventuaimente col pane, al posto della razione viveri ordinaria, ne spetta una intera per soldato.
La fabbricazione delle scatolette si effettua presso gli stabilimenti militari per la produzione delle conserve alimentari di Casaralta (Bologna) e Scanzano (Foligno). Questi stabilimenti hanno una produzione massima giornaliera rispettivamente di 250.000 e 200.000 scatolette.
Durante la guerra il vettovagliamento delle truppe in campagna per mezzo delle scatolette di carne ebbe larga applicazione, specie nei periodi di azioni intense: gli stabilimenti militari produssero circa 173 milioni di scatolette e altri 62 milioni l'industria privata nazionale; notevoli, poi, furono le quantità acquistate all'estero. Oltre la carne bovina fresca e congelata, gli stabilimenti militari usarono la carne suina, sola o mista con la bovina, producendo così scatolette più ricche di sostanze grasse e gradite al gusto.
Estratto di carne.
È un brodo disgrassato, ridotto a consistenza pastosa.
Il primo a proporne la fabbricazione fu Parmentier; Liebig (al quale è comunemente attribuita la paternità dell'idea) ha il merito di avere approfondito gli studî in materia e di aver dato vita all'industria dell'estratto. Egli ne descrive la preparazione nelle sue Lettere prime e seconde sulla chimica (1847); affermando, fra l'altro, che tutte le parti sapide della carne stanno nel succo carneo e possono aspor-tarsi a mezzo dell'acqua. Le prime preparazioni a scopo industriale di estratto di carne vennero eseguite nel laboratorio della farmacia reale di Monaco nel 1850; però l'industria non poté affermarsi per il costo troppo elevato della materia prima. Nel 1860, Giebert di Amburgo impiantò la prima fabbrica di estratto di carne a Fray Bentos nell'Uruguay, utilizzando il bestiame colà disponibile a bassissimo prezzo. Sorse così la società, che porta il nome di Liebig e alla quale il grande chimico diede la propria continua consulenza. Furono poi fondate molte altre fabbriche.
Oggi l'industria dell'estratto è generalmente associata a quella delle carni congelate e refrigerate.
Per la fabbricazione, si utilizza carne magra di bue o di montone, che si estrae con acqua calda: dal brodo così ottenuto si schiuma il grasso, e si separa l'albumina per filtrazione, dopo averla fatta coagulare portando il brodo ad alta temperatura; si aggiunge sale e si concentra nel vuoto, fino a ottenere una massa pastosa che contiene il 15-18% di acqua. Per fabbricare 1 kg. di estratto s'impiegano 25-30 kg. di carne magra.
I lieviti trattati in modo simile dànno un estratto che al gusto sembra praticamente eguale, però dal punto di vista chimico si differenzia dall'estratto di carne per la mancanza di alcune proteine.
Affini agli estratti pastosi sono gli estratti fluidi (Bovril, Fluid meat, Valentin's meat, brodo Maggi, ecc.) che non sono altro che brodi di carne meno concentrati dei precedenti e più o meno aromatizzati. La loro conservazione è generalmente basata sulla sterilizzazione; ma per alcuni sulla sola aggiunta del sale e degli aromi.
Secondo Issoglio gli estratti di carne di buona qualità devono contenere in media dal 17 al 20% di acqua se solidi, e circa il 65% se liquidi, ceneri dal 17 al 25%, azoto totale fra l'8,5 e il 9%, l'azoto ammoniacale non deve mai superare lo 0,6%, il grasso deve essere al massimo l'1,5%. Non vi si devono riscontrare sostanze conservatrici. La reazione alcalina è segno di alterazione.
La composizione chimica di qualche estratto pastoso e fluido è la seguente (Villavecchia):
Altri generi di estratti sono i cosiddetti brodi in dadi, tavolette, capsule, ecc., fatti con estratto di carne, sale e ittiocolla, che hanno molto minore importanza commerciale.
Gli estratti di carne dal punto di vista flsiologico (Romme) non possono considerarsi alimento vero e proprio, perché contengono una troppo piccola quantità di sostanze nutritive. Ma si classificano fra gli alimenti "nervini" perché aumentano il potere digerente delle glandole che presiedono all'assimilazione del nutrimento.
Gli estratti di carne sono talvolta sofisticati con l'aggiunta di estratti di lievito di birra, concentrati vegetali e caseina.
Tasajo. Carne secca di bue, che fu il primo prodotto ricavato industrialmente dai bovini dell'America Meridionale e che tuttora vi si prepara, specialmente nell'Uruguay. È consumato specialmente a Cuba.
Per prepararlo si dissangua il bue, poi gli si toglie la pelle e lo si squarta: quindi si prende un piano di legno coperto di sale e vi si pongono sopra grosse fette di carne, collocate l'una presso l'altra e l'una sull'altra, divise fra loro da uno strato di sale: dopo 20 ore la colonna di fette di carne si disfà e si ricostruisce su di un altro piano mettendo di sopra le fette che erano di sotto e viceversa. Dopo altre 15 ore la pila viene ancora disfatta e le strisce vengono essiccate all'aria aperta; si ricoprono con tele impermeabili per preservarle dagli agenti esterni e così si conservano per molti mesi. Per far tornare allo stato naturale il tasajo, lo si lascia 12 ore immerso nell'acqua.