Carneade di Cirene
Filosofo (214-129 a.C.). Scolarca dell’Accademia platonica (precisamente la Nuova Accademia), fu uno dei maggiori filosofi del suo tempo. Essendosi limitato all’insegnamento orale, le sue dottrine gli sopravvissero solo attraverso gli appunti dei suoi scolari Clitomaco di Cartagine e Zenone di Alessandria. Gran parte delle sue dottrine ci sono note soprattutto grazie a Cicerone e Sesto Empirico. Cicerone, in partic., riprese e discusse gli argomenti di C. in molte delle sue opere filosofiche. Da quello che possiamo dedurre dalla loro lettura, risulta che C. si impegnò a fondo in una critica radicale dei fondamenti dei tre settori in cui veniva suddivisa tradizionalmente la filosofia (logica e teoria della conoscenza, fisica ed etica), mostrando per ciascuno di essi la fallibilità sia dei sensi che della ragione e sostituendo alla certezza la «probabilità» quale unico obiettivo possibile della ricerca. Oggetto dei suoi attacchi è soprattutto la tesi stoica secondo la quale attraverso la «rappresentazione catalettica» è possibile distinguere il vero dal falso. Ma alla dialettica e alle scienze esatte, vanto della παιδεία greca, non è riservata una sorte migliore, perché anche in questo caso il «probabile» (τὸ πιϑανόν) resta l’unica meta concretamente raggiungibile. Per quanto riguarda la fisica, C. critica a fondo il concetto stoico di una ragione o λόγος onnipervasivo. Da un lato C. – vista la massiccia presenza nel mondo di una razionalità volta al male – evidenzia le contraddizioni e le difficoltà presenti nel concetto di πϱόνοια o preveggenza divina. Dall’altro C. rifiuta il concetto di causalità come fato, opponendo alle catene causali stoiche, e quindi al concetto di causa antecedente, quello di causa antecedente «efficace» (tutte le cause efficaci sono antecedenti, ma non tutte le cause antecedenti sono efficaci, cioè cause in senso stretto). Tale critica comporta anche il rifiuto della divinazione, vista la stretta relazione esistente nello stoicismo fra divinazione e fato. Per quanto riguarda l’etica, infine, C. ha fornito molto del materiale con cui Sesto Empirico dimostra la relatività dei costumi. Ma C. è rimasto famoso soprattutto per il discorso sia pro che contro la giustizia pronunciato nel 155 a.C. in occasione della sua ambasceria a Roma. Le considerazioni di C. sulla giustizia, che conosciamo grazie alla Repubblica ciceroniana, verranno riprese da tutti gli esponenti dello scetticismo moderno e del libertinismo erudito, e sotto molti aspetti possono essere considerate un’anticipazione del moderno positivismo giuridico. C. dimostra infatti che non esiste un diritto naturale; che le nozioni di giusto e ingiusto sono variabili non solo da città a città, ma nella stessa città in tempi diversi; e infine che fondamento del diritto è esclusivamente la forza.