CAROLINA (Maria Annunziata) Bonaparte Murat, regina di Napoli
Nacque ad Aiaccio il 25 marzo 1782, da Carlo e da Letizia Ramolino, settima degli otto figli viventi. Aveva appena undici anni quando, nel 1793, seguì la madre in Francia, presso Tolone prima, a Marsiglia poi: troppo piccola perché la mentalità, il costume, la cultura dell'isola natale potessero lasciare in lei quell'impronta che caratterizzerà, in gran parte, i fratelli maggiori. La sua formazione avverrà in Francia, e sarà di tono soprattutto "mondano", in quegli alti ambienti politici e sociali, militari e burocratici, che si costruivano sulle rovine della grande Rivoluzione ("La reine de Naples s'était beaucoup formée dans les événemens" ricorderà Napoleone a Sant'Elena: Las Cases, 19 maggio 1916).
Nel 1797 C. raggiunse con la famiglia a Mombello il fratello, generale in capo dell'armata d'Italia; nello stesso anno accompagnò a Roma Giuseppe Bonaparte, nominato ambasciatore. Rientrata a Parigi, trascorse qualche tempo nel pensionato di M.me Campan, dove studiava anche Ortensia Beauharnais, e dove ricevette una istruzione tesa, più che all'apprendimento di nozioni culturali, a quello di una elegante maniera di vivere che sotto tanti aspetti si riallacciava ai costumi aristocratici della vecchia Francia.
Cominciavano a farsi avanti i pretendenti alla sua mano, tutti ufficiali del giro di Napoleone; il prescelto da lei, e dalla famiglia, fu Gioacchino Murat, giovane e brillante generale. Il matrimonio civile avvenne a Mortefontaine, dimora di Giuseppe, il 20genn. 1800, quello religioso il 7 genn. 1802.
Lo stesso Napoleone aveva finito per approvare l'unione che rientrava nel quadro della sua politica di alleanze familiari, dichiarando al segretario Bourrienne: "Toute réflexion faite, Murat convient à ma soeur, et puis on ne dira pas que ie suis fier, que je cherche de grandes alliances. Si j'avais donné ma soeur à un noble, tous vos jacobins auraient crié à la contre-révolution" (Turquan, p. 10).
Tra il 1800 e il 1803 C. seguì il marito, comandante delle truppe francesi in Italia; fu a Firenze, compì rapidi viaggi a Pisa e a Venezia, e soggiornò lungamente a Milano, dove la sua opera accorta e conciliatrice fu particolarmente apprezzata dal Melzi, in vivace contrasto con Murat nel quadro dei problemi posti dalla instaurazione del nuovo regime repubblicano: era la prima prova in un ruolo che la caratterizzerà tutta la vita. Nell'autunno del 1803, divenuto Gioacchino governatore militare di Parigi, C. si trasferì nella capitale francese ed assunse una posizione di primo piano nella vita cittadina, seconda soltanto a Giuseppina Beauharnais. Molto più vicina delle altre sorelle a Napoleone, che ne apprezzava "une continuelle bonne humeur, une assiduité serviable,… une complaisance qui, sans être fade, et sans paraître interessée, ne semblait guère connaître des limites" (Masson, III, p. 49; e lo stesso fratello ricorderà più tardi: "il y avait chez elle de l'étoffe, beaucoup de caractère et une ambition desordonnée": Las Cases, 19 maggio 1816), essa cominciò a svolgere una funzione particolare su un terreno mondano e rappresentativo: si trattava di allargare il cerchio dei consensi intorno al primo console, di ridare tono all'alta società parigina, di creare le premesse fastose dell'Impero.
C. fu pari al compito, e non solo per calcolo razionale, come si è spesso detto, ma per una forma di spontaneo adeguamento. Ricca, con il marito, di una fortuna che cresceva in misura sospetta secondo le dicerie dei contemporanei, riprese da alcuni storici, e frutto anche dei generosi doni del fratello (dall'hôtel Thélusson passerà ad abitare nella lussuosa dimora dell'Eliseo, con lunghi soggiorni nella proprietà di Neuilly), era presente a tutte le cerimonie ufficiali, dava e accettava feste, caratterizzate dallo sfarzo e dalla etichetta. Ostentava cortesie e generosità, protezioni e favori, con molta abilità nascondendo le sue antipatie (come quella contro i Beauharnais) e le sue ambizioni, ed evitando di essere coinvolta nelle lotte politiche e familiari, in questo ben diversa dal marito, che era facile alle rabbiose impennate. Conquistò così immediatamente quella popolarità che cercava, insieme con l'affetto e la protezione del potente fratello, che se ne apprezzava da un lato la docilità, ne intuiva dall'altro l'abilità di manovra: "avec M.me Murat il faut que je me mette toujours en bataille rangée" (Turquan, p. 120, dai ricordi di Roederer).
Le ambizioni del Murat, con il crescere delle fortune del Bonaparte, erano molte. Alla proclamazione dell'Impero, non bastarono a C. la nomina a principessa imperiale, la concessione di un nuovo appannaggio, la formazione di una piccola corte: essa seguiva con sospetto e invidia l'ascesa dei Beauharnais e dei fratelli, stimando, all'unisono con il marito, che i meriti di Gioacchino, ora grande maresciallo dell'Impero, non fossero inferiori, non inferiori le sue qualità. Non fu giudicata sufficiente l'assegnazione, nel 1806, del ducato di Berg e Clèves (si parlava a Parigi di aspirazioni al trono polacco, più tardi addirittura di pretese a una eventuale successione imperiale). Nel cerchio delle amicizie di C. entrarono personaggi influenti, come Fouché e Maret (con maggiore fatica essa riuscirà a conquistare la benevolenza del diffidente Talleyrand, ma in questo caso si ha l'impressione che il più abile nel gioco degli interessi fosse lui); anche gli amanti sembrano scelti in un quadro di utilità politica: Junot, governatore militare di Parigi, Metternich, ambasciatore austriaco.
Il 15 luglio 1808 Murat fu designato al trono di Napoli, lasciato libero da Giuseppe Bonaparte, passato su quello di Spagna; nel relativo decreto C. appariva prima nell'ordine di successione. Essi dovettero abbandonare tutti i possessi e gli appannaggi francesi, in cambio di concessioni sulle proprietà Farnese a Roma e di una dotazione di 500.000 franchi di rendita sui beni nazionali a Napoli. Il re arrivò nella capitale del Regno agli inizi di settembre; la regina qualche settimana dopo, bene accolta dalla popolazione, che aveva con facilità accettato il nuovo ordine di cose e che l'applaudiva, "per ammirazione della bellezza di lei e del contegno veramente regale, e per lo spettacolo di quattro figlioli teneri leggiadrissimi" (Colletta, II, pp. 293 s.).
Essi erano: Achille, nato il 21 genn. 1801; Letizia, nata il 25 apr. 1802; Luciano, nato il 16 maggio 1803; Luisa, nata il 22 marzo 1805. Con l'eccezione di Achille, spentosi negli Stati Uniti nel 1847, s'inseriranno tutti nelle vicende risorgimentali italiane.
Appare problema importante dopo la ascesa al trono napoletano accertare la funzione svolta da C. su due terreni: quello dei non facili rapporti con la Francia imperiale e quello delle trasformazioni strutturali e civili del Regno. La ricerca non è facile, non solo per la presenza di spunti contraddittori nella sua azione - dovuti non tanto a incertezze quanto a pronti adeguamenti al mutare delle prospettive - ma anche per la difficoltà di distinguere i maturati calcoli dell'intelletto dagli spontanei abbandoni del temperamento. Si possono comunque distinguere alcune linee di tendenza e due momenti (dal 1808 al 1812 circa, dal 1812 alla caduta del Regno), e giudicare senz'altro eccessive le accuse di una certa storiografia di stampo bonapartista e francofilo, che tenderanno a farle carico del "tradimento" di Gioacchino nei confronti di Napoleone, arrivando alla forzata invettiva di Turquan: C. "fut une des causes les plus puissantes de nos désastres, de la perte des conquêtes de la Révolution, de deux invasions de France et de tous les malheurs qui en furent la conséquence" (p. 209).
Le relazioni fra Napoleone e Gioacchino non erano mai state facili, per il conflitto tra il duro autoritarismo del primo e l'ombrosa suscettibilità dell'altro. Già al tempo del ducato di Berg questi aveva ostentato autonomia, e a Napoli, nonostante ammonimenti e consigli (Berthier gli scriverà: "Soyez Roi pour vos sujets; pour l'Empereur soyez un vice-roi. Soyez Français et non Napolitain": Lettres, VII, p. 59), egli intendeva essere un sovrano indipendente, resistendo a quelle richieste che gli sembravano contrarie agli interessi del Regno o lesive della propria libertà. Privo di grandi capacità politiche personali, si appoggiava sulla popolarità conquistata fra i sudditi e sulla devozione dell'esercito, particolarmente curato, nel suo sviluppo e nella sua caratteristica nazionale; ma la forza maggiore gli proveniva dal sostegno di alcuni gruppi politici e burocratici (ricordiamo i nomi di Zurlo, Ricciardi, Gallo, Pignatelli, Magliella), di estrazione borghese e aristocratica, di esperienza illuministica e giacobina, che lo influenzavano nella ricerca di una via autonoma di governo.
Furono vari i momenti e i motivi di contrasto con Napoleone, originati dalle accuse di quest'ultimo: ritardo nell'introduzione dei codici napoleonici e, in genere, di una legislazione di stampo francese; preponderanza di elementi napoletani su quelli francesi ad alto livello della amministrazione e dell'esercito; tentativo di indipendenza in politica estera; renitenza nel versamento di tributi finanziari e militari all'Impero; danno agli interessi commerciali francesi; e, soprattutto, fallimento della spedizione in Sicilia. Rapidi e autoritari furono sempre gli interventi dell'imperatore che contribuivano ad aumentare l'impetuosa reazione dell'interlocutore. Se non si arrivò mai alla aperta rottura (molti credevano, in Francia, che Murat avrebbe perso il trono come Luigi Bonaparte), fu perché da ambedue le parti non la si voleva nel gioco delle reciproche utilità e dei reciproci timori, e perché C. fu attivissima nell'impedirla.
La regina aveva cercato, all'inizio, di svolgere a Napoli un'opera personale, poggiando soprattutto su Saliceti, ma anche nei suoi confronti Gioacchino, che dichiarava di non voler essere "mené" da nessuno, rivendicava autorità e indipendenza. Era stata quindi isolata, condizione che essa aveva accettato con pronta cedevolezza, nel desiderio di evitare scontri diretti e nella propensione ad una tattica di mediazioni aperte e di intrighi segreti. Nella rottura del dialogo diretto fra i cognati, rifiutato da Napoleone, fu quindi la sola a parlare, dando assicurazioni al fratello sulla fedeltà e sull'attaccamento di Gioacchino (cercava intanto appoggi nel suo "entourage"), reiterando al marito consigli di prudenza, di ubbidienza, di inserimento nel sistema politico e diplomatico francese. L'imperatore le dichiarava: "Si j'ai mis un roi de ma famille à Naples, ce n'est pas pour que mon commerce aille plus mal que lorsque j'y avais un ennemi. Je véux avant tout que l'on fasse ce qui convient à la France. Si j'ai conquis des royaumes, c'est pour que la France en retire des avantages et si je n'obtiens pas ce que je désire, alors je serai obligé de réunir ces royaumes à la France" (Vandal, II, p. 753). E Gioacchino: "Je conçois qu'il doit être le maître de vouloir qu'on marche dans son système et que nous devons le consulter pour des mesures politiques ou importantes que nous avons à prendre; il doit être notre Mentor et non pas notre maître; on n'est pas roi pour obéir… comme a-t-il pu annoncer aux peuples qu'il a confiés aux princes de sa famille que ces princes doivent s'occuper des intérêts des Français avant de s'occuper de ceux de leurs peuples?" (ibid., p. 765).
Nessun dubbio è possibile sulla posizione di C., sostenitrice di una linea di acquiescenza alla volontà del fratello: "Il est de notre intérêt, de celui de nos enfans, que tu ne t'aliènes pas le coeur de l'Empereur… rends-toi à ses ordres. Crois-moi, avoir dans ce moment un autre sentiment, ne signifierait qu'un entêtement déplacé" (Lettres, VIII, p. 201). Divergevano fra i sovrani di Napoli le vie e i metodi dell'azione, non gli interessi e gli scopi finali, che erano quelli della conservazione della corona, ciò che permise al Colletta di osservare: "contendevano nel pubblico, accordavansi nel privato; pareva discordia, ma era scaltrezza in tanti moti e pericolo di Regno nuovo" (II, pp. 139 s.).
Tra il 1809 e il 1810 C. fu a Parigi, dove ebbe parte importante nelle cerimonie che accompagnarono le seconde nozze dell'imperatore, il quale sembrava ostentare verso di lei una forma particolare di affetto e di protezione che suonava monito al marito lontano. Tornò nell'agosto del 1810 a Napoli, e, appoggiando la propria linea d'azione sui funzionari e militari francesi (l'aiutante di campo Lavauguyon, poi il ministro della Guerra Daure e il gran maresciallo di palazzo Lanusse, infine il governatore militare di Napoli Pérignon), si trovò coinvolta nello scontro con i gruppi napoletani, che vide lei e i suoi protetti soccombenti, almeno localmente. Fu di nuovo accusata, tenuta in disparte, ma cause di forza maggiore non soltanto spingevano Gioacchino, le cui ribellioni urtavano contro la potenza imperiale, a ricercarne sempre la mediazione e l'appoggio, ma la portavano anche in primo piano sulla scena del potere. Nell'ottobre del 1811 C. era di nuovo a Parigi, dove svolse incombenze per il Regno di Napoli, di carattere politico e finanziario, muovendosi con duttile abilità presso il fratello e negli ambienti di governo e di amministrazione, lieta di aver ritrovato un ruolo di primo piano in un mondo in cui si sentiva pienamente inserita e potente, un ruolo contrastante con la "nullité à Naples" da lei lamentata.
Con il marito, che appariva sempre più esasperato e che minacciava l'abdicazione, in un vorticare contraddittorio di sentimenti e di iniziative, adottava un tono dolce e sottomesso: "Je crains aussi que tu ne comptes pas assez sur moi. Tu ne connais pas mon coeur: lorsqu'il est question de ton bonheur et de ta tranquillité, j'oublie les nuages et les contrariétés. Compte sur moi; tu n'auras jamais de meilleure amie, ni personne qui te soit plus attachée. Il est vrai que j'ai souffert à Naples, que je n'ai pas été heureuse, mais je sais supporter mes peines. Mais l'idée que tu es malheureux m'est insupportable; tout se calmera, si tu le veux. L'Empereur s'apaisera, et mets-toi dans l'idée que tous les rois de l'Europe sont comme toi, et l'Empereur a son système et il veut que tu fasses partie du grand Empire… Il faut que tu montres l'exemple, mais ne va pas lui offrir tous les jours ta couronne comme tu le fais, ce n'est point convenable… ce n'est point du tout convenable" (Vandal, III, p. 57). Non si metteva mai in primo piano ("je n'ai consulté que l'opinion générale et la raison" (ibid., II, p. 774) e sfruttava l'ombrosa suscettibilità del marito ("Est-ce donc Mr. Zurlo qui est roi?": ibid., III, p. 70), riuscendo intanto, da Parigi, a far allontanare il potente ministro della polizia Maghella, di origine genovese.
Nel mese di maggio del 1812 Murat, spinto anche da C. a seguire Napoleone nella campagna di Russia, la raggiunse a Parigi e la nominò reggente. Il 2 giugno la sovrana rientrava a Napoli, e la sua opera nei mesi seguenti può dare la misura della sua capacità e del suo interesse nel quadro di quelle trasformazioni strutturali e civili del paese che, pur fra incertezze e contraddizioni, caratterizzarono il regime murattiano.
A parte l'isolamento impostole, C. ci appare sempre estranea all'ambiente napoletano, piena di rimpianti per il mondo parigino. Le sue amicizie migliori erano scelte fra i francesi che l'avevano seguita, o fra i residenti stranieri, con i quali era ricca di protezioni e favori, facilmente fraintesi in chiave politica: pochi i locali, fra i quali mons. Capecelatro, per un certo tempo sua guida sulla nuova scena, quella scena di cui gli scritti di C. denunciano una conoscenza superficiale ("Le pays est riche de souvenirs et d'objets curieux": Lettres, VI, p. 352). A parte l'ammirazione per le bellezze naturali, i suoi interessi esterni erano principalmente rivolti a visite archeologiche e a problemi d'istruzione (aveva fatto venire dalla Francia religiosi e religiose e aveva aperto un collegio femminile ad Aversa); nella vita privata si dedicava alla educazione dei figli, alla pittura e alla musica, alla cura dell'etichetta di corte (piuttosto formale, data la semplicità del suo impianto).
Nel 1812 C. assunse con autorità il potere, esorbitando anche dai limiti fissati da Gioacchino: "Elle fait du gouvernement un noble apprentissage; elle porte dans les affaires un dévouement éclairé… c'est une disposition de famille": Norvins, in Masson, VII, pp. 427-428). Voleva essere informata di tutto e provvedeva a tutto, e in maniera non superficiale, ma andando al cuore dei singoli problemi. Quello che le mancava era la loro visione globale, la capacità di comprendere a fondo le moderne linee di sviluppo e di trasformazione del paese. Tipico era stato il suo atteggiamento contrario alla opera eversiva della feudalità, da lei attaccata in difesa della ricchezza, della presenza e dell'appoggio della nobiltà, vista, come già a Parigi, in un spirito di recupero di taluni aspetti dell'"ancien régime". Lamentava, scrivendo al marito, la miseria crescente nella aristocrazia napoletana, che aveva ripercussioni anche su quella parte della popolazione che si sosteneva nella loro orbita, e che era causata dalla "maudite" Commissione feudale; riferiva come a Parigi si dicesse che, a Napoli, "la Révolution était sur le trône" e ammoniva, infine, sui pericoli che correva la dinastia, privata del più naturale appoggio. In una delle sue segrete manovre aveva anche incaricato Mosbourg di intervenire presso il ministro della Giustizia: "c'est une très mauvaise manière d'agir que de ruiner tout le monde, donner matière au mécontentement et soulever les esprits, ce n'est pas ainsi qu'on fait aimer un Souverain et que l'on gouveme ses intérêts" (Lettres, VIII, p. 197).
Durante la reggenza C. fa più cauta nella difesa della causa e dei diritti imperiali, in alcuni casi (contrabbando o istruzione, per es.) difendendo l'indipendenza napoletana e le prerogative della Corona, e facilitando addirittura l'allontanamento delle truppe francesi: ciò sembra dovuto, più che a una svolta d'azione, al suo stesso carattere che la spingeva a non affrontare mai battaglie dirette, ma ad allargare il cerchio dei consensi con un sistema di calcolate e prudenti concessioni. Ciò non contribuì del resto ad aumentare nel paese la sua popolarità, inferiore sempre a quella del marito.
Nel febbraio del 1813 Gioacchino ricomparve improvvisamente a Napoli, dopo aver ricondotto i resti della Grande Armata a Poznan e lì averli abbandonati, preoccupato per la sorte del suo regno. Sconfessò in gran parte l'opera di C., ma più per affermazione di autorità personale che per una scelta alternativa, mentre maturava invece una necessità d'intesa con la moglie nella difficile opera di scissione delle proprie sorti da quelle dell'imperatore. Cominciarono in questo periodo i suoi primi contatti segreti con l'Austria e con l'Inghilterra, interrotti da un riavvicinamento alla Francia, nell'agosto del 1813, provocato dalla guerra alla Germania. Ancora una volta reggente, ma resa più debole nella sua posizione dalla ormai evidente debolezza del fratello, C., che in un primo momento era stata ancora fedele alla sua causa, cominciò ad avvertire il senso del pericolo incombente sulla corona e della possibilità di un salvataggio nel nuovo gioco diplomatico e dinastico europeo.
Continuò così le trattative con l'Austria (l'ambasciatore a Napoli Mier comunicava a Vienna: "La reine est parfaite": Masson, IX, p. 199) e con l'Inghilterra, mostrandosi più sottomessa alle richieste austriache, più diffidente verso quelle inglesi. In accordo con il marito, rifiutò o intralciò la partenza delle truppe napoletane richieste da Napoleone. Quando, dopo la battaglia di Lipsia, Murat riprese a Napoli le redini della situazione, aggravata dalla crescente agitazione carbonara, C. si mostrò più lineare, nella prospettiva d'inserimento nel sistema austriaco, di lui, il quale era invece ondeggiante fra l'appoggio all'ultima battaglia napoleonica, il passaggio fra le file degli alleati, il sostegno della causa unitaria e indipendentistica italiana. L'11 genn. 1814 fu firmata l'alleanza con l'Austria, e C. la difese, invocando con Napoleone la forza delle circostanze, con M.me Récamier gli obblighi di un re per il suo popolo e con il maresciallo Pérignon, che la esortava a mostrarsi "francese", i doveri di ubbidienza di una moglie.
Intanto Gioacchino dilagava con le sue truppe nell'Italia centrale, sempre incerto, però, sulla linea da adottare, così indebolendo la propria posizione nei confronti di tutti, e utile solo agli alleati per il danno che provocava comunque a Napoleone. Fu dopo la caduta dell'imperatore, e soprattutto nella prima fase del congresso di Vienna che egli capì pienamente l'incertezza della propria situazione e approfittò della fuga dell'imperatore dall'Elba per gettarsi in una rischiosa impresa: guerra all'Austria, invito agli Italiani a combattere per la libertà e l'unità (30 marzo 1815).Fu la sconfitta, la fuga a Tolone, ma ormai anche il cognato, cui l'iniziativa murattiana non aveva oltre tutto giovato, ne rifiutava l'aiuto. C., che, ultima dei Bonaparte a regnare, aveva offerto a Napoli ospitalità ai parenti, non condivise l'ispirazione delle ultime azioni del marito, e tentò di modificarla, fedele anche nei "cento giorni" a una linea di adesione alla alleanza austriaca.
Mier la descriveva: "toujours conséquente dans sa manière d'envisager les choses, sage dans ses vues et raisonnemens, mettant du caractère et de la persévérance dans le parti et la marche qu'Elle s'est une fois convaincue être utile à ses intérêts, ne variant pas d'opinion à tout événement, prêchant toujours droiture et loyauté…": Helfert, p. 177). Ma non sconfessò mai Gioacchino, neanche quando egli avrebbe tentato con lo sbarco in Calabria quell'ultima disperata avventura in cui avrebbe trovato la morte, per fucilazione, il 13 ott. 1515. Invano C. si batté per salvarlo.
Rimasta sola a Napoli, la regina si era comportata con molta dignità e con molto coraggio nel momento finale della caduta del Regno, affrontando il duro atteggiamento degli alleati e l'ostilità crescente della popolazione. Dopo aver tentato una difesa militare, cercò di avviare nuove trattative con gli Inglesi, che le imposero solo una resa senza condizioni: C. s'imbarcò il 20 maggio 1815 con il suo seguito sulla nave britannica "Tremendous", che, dopo aver raccolto i giovani Murat messi in salvo a Gaeta, condusse gli esuli a Trieste. Da qui C. passava a Graz, a Haimburg e a Frohsdorf, nei pressi di Vienna, mettendosi sotto la protezione dell'imperatore d'Austria e del vecchio amico Metternich, che non lesinò aiuti e consigli, favorendone l'insediamento nel 1824 a Trieste e nel 1831 a Firenze.
C., che aveva assunto il nome di contessa di Lipona (chiaro anagramma di Napoli), doveva affrontare molte difficoltà, prima fra tutte la penuria di mezzi finanziari: salendo al trono di Napoli aveva dovuto abbandonare le proprietà in Francia, e da Napoli non aveva potuto portare che oggetti di valore (per una futura protesta, cfr. G. Murat e il suo patrimonio privato, Napoli 1863, attribuito a R. Savarese); era oberata dai debiti contratti dal marito per l'ultima spedizione e doveva restituire ai familiari forti prestiti. I sovrani di Francia e di Napoli la perseguitavano, controllandone ogni mossa e denunciandone l'opera cospiratrice. Scriveva Ferdinando I al principe Ruffo: "che colei però resti nel silenzio io non debbo crederlo, né voi dovete sperarlo. I suoi partigiani sono sparsi da per tutto né a parer mio vi è sorveglianza che basti per scoprire la loro corrispondenza per la sopraffina maniera con la quale sanno mascherarsi…" (Zazo, p. 68, n. 3). Indubbiamente C. accettò qualche rapporto con nostalgici del regime napoleonico e con i nuovi cospiratori; nel 1830, avvenuta in Francia la rivoluzione, incontratasi con i familiari a Roma, dovette affrontare la discussione sulle mutate prospettive e linee di condotta dei Bonaparte (dal governo romano fu fatta allontanare immediatamente), ma più per una forma - crediamo - di accettazione di un riconoscimento formale della sovranità perduta che per un desiderio di lotta. Nella sua ascesa si era sempre mossa a livello di ceti dirigenti, di alti poteri, e anche adesso appare legata al sistema delle potenze vincitrici, che le assicuravano lustro e decoro. Le sue preoccupazioni erano tese all'avvenire dei figli Achille e Luciano, che inviò in America presso lo zio Giuseppe; maritò le figlie a due nobili emiliani, i conti Rasponi e Pepoli. La si diceva sposata morganaticamente con il generale Francesco Macdonald, abruzzese, già ministro della Guerra a Napoli, che la seguì in tutti i suoi spostamenti e che morì nella sua casa fiorentina nel 1837.
Nel nuovo clima politico creato in Francia dall'ascesa di Luigi Filippo, C. tentò di rientrare in possesso dei beni ai quali aveva dovuto rinunziare nel 1808. Non ci riuscì, ma il sovrano le ottenne nel 1838 dal Consiglio di Stato la concessione di una pensione di 100 mila franchi annui. In quello stesso anno C. era tornata per una breve visita a Parigi, che l'aveva messa in contatto con i vecchi amici di un tempo e con i giovani ammiratori dei fasti imperiali. Tornò poi a Firenze, dove conduceva una vita ricca di trattenimenti e relazioni sociali, e in questa città venne a morte il 18 maggio 1839. è sepolta nella chiesa di Ognissanti.
Fonti e Bibl.: Non esiste un archivio privato di C., che distruggeva metodicamente le sue carte (ma si v.l'invent. Les Arch. Murat aux Arch. Nation., Paris 1967). La principale docum. che la riguarda si rintraccia in quella di Gioacchino Murat, in gran parte edita: Lettres et docum. pour servir à l'histoire de Joachim Murat, a cura di P. Le Bréthon, I-VIII, Paris 1908-1914, ad Indicem dei corrispondenti e passim;a questa pubblicazione, interrotta con le lettere dell'agosto 1810, bisogna aggiungere: A. Lumbroso, Correspondance de Joachim Murat, Turin 1899, passim (a pp. XXVIII-XXX: "Murat et Caroline par la reine Hortense") e, soprattutto, Le roi et la reine de Naples, a cura di A. Vandal, in Revue des deux mondes, I, 1º febbr. 1910, pp. 481-514; II, 15 febbr. 1910, pp. 756-788; III, 1º marzo 1910, pp. 42-75. Si vedano inoltre: Lettere di Letizia Buonaparte, a cura di R. Misciattelli, Milano 1936, ad Indicem; I carteggi di F. Melzi d'Eril, duca di Lodi, a cura di C. Zaghi, I-IV, Milano 1958-1964, ad Indicem.Fra le memorie: E. Las Cases, Mémorial de Sainte-Hélène, a cura di M. Dunan, Paris 1951, ad Indicem; Souvenirs d'enfance de la comtesse Rasponi, fille de Joachim Murat, a cura di G. B. Spalletti, 2 ed., Paris 1929, passim; P. Colletta, Storia del reame di Napoli, a cura di N. Cortese, Napoli s. d. [ma 1953], II, pp. 84, 139 s., 154, 156, 159, 215, 247 ss., 254, 262 s.; G. Pepe, Memorie, Parigi 1847, I, pp. 207, 243-247, 301 ss., 310 ss.; F. Pignatelli di Strongoli, Memorie di un generale della Repubblica e dell'Impero, a cura di N. Cortese, Bari 1927, II, passim, capp. 3-5; Mémoires, documents et écrits divers,laissés par le prince de Metternich, I-II, Paris 1886, ad Indicem (ma cfr. specialmente per un giudizio, I, p. 311). Una ricca indicazione della memorialistica francese è in J. Turquan, Les soeurs de Napoléon. La princesse Caroline, Paris 1927, (d'interesse particolare Les mémoires historiques della duchessa Laure d'Abrantès, Paris 1831-1834). Per le biografie di carattere generale, oltre al cit. Turquan (viziato da una interpretazione forzatamente polemica), è ancora fondamentale F. Masson, Napoléon et sa famille, Paris 1997-1919, I, pp. 74 ss., 212 ss., 223, 305 ss., 321 ss.; II, pp. 43-52, 191 s., 197 ss., 201 ss., 395-403, 468 s.; III, pp. 48-53, 123 s., 269-293; IV, pp. 94-107, 249-253, 381-400, 465-470, 493 s.; V, pp. 12-16; VI, pp. VII, 174-219, 298-326, pp. 189-238, 424-439; IX, passim;XI, pp.32-67,199-204, 245-279; XIII, pp.169-203, 367-378, 394 s.; per la vita parigina prima del regno v. anche Id., Revue d'ombres, Paris s. d., pp. 3-114 ("Près de la princesse Caroline"), e gli accenni in E. C. Corti, Metternich und die Frauen…, I-II, Zürich-Wien 1948-1949, ad Indicem.Sulperiodo napoletano, oltre alle opere generali cit., cfr. A. Valente, Gioacchino Murat e l'Italia meridionale, 2 ed., riveduta, Torino 1965 (soprattutto per l'indicaz. del complesso di fonti, per la parte avuta da C. ancora inesplorate, conserv. negli arch. locali); A. Lumbroso, Il re Gioacchino Murat e la sua corte, in Nuova Antol., 1º ag. 1898, pp. 446-475 passim;A. de Tarlé, Napolitains et Français à Naples il y a cent ans, in Le Correspondant, 25 ag. 1911; M. Dayet, C.M. ed i carbonari, in Calabria nobilissima, XI(1957), 34, pp. 1-9 (forzata ipotesi di un appoggio alla carboneria). Sugli ultimi drammatici avvenimenti: E. von Helfert, Joachim Murat. Seine letzen Kämpfe und sein Ende, Wien 1878, passim;A. Lumbroso, L'agonia di un Regno, Roma 1904, passim;H. Weil, Joachim Murat… La dernière année de regne, Paris 1909. Sull'esilio: E. Wertheimer, Königin Caroline Murat, in Die Verbannten des ersten Kaiserreichs, Leipzig 1897; D. Melegari, Une reine en exil., in Le Correspondant, 25 dic. 1898; A. Zazo, C. M. e la corte di Napoli nel 1830, in Samnium, VII (1934), pp. 68-83; V. Plitek, I Napoleonidi a Trieste, in Archeografo triestino, XLI(1926), pp.229-285 passim;O.de Incontrera, Gliesuli napoleonici a Trieste, ibid., LXII (1947), ad Indicem, A. Corsini, I Bonaparte a Firenze, Firenze 1961, ad Indicem.Sulla discendenza: J. Walynscele, Le sang des Bonaparte, Paris 1954. Come molti personaggi del mondo napoleonico, C. ha ispirato, sola o con il marito, una serie di opere divulgative, anche di alta qualità: si ricordano M. Dupont, C. B. La soeur préferée de Napoléon, Paris 1937; J. Bertaut, Le ménage Murat, Paris 1958; J.-P.Garnier, Murat roi de Naples, Paris 1959 (trad. ital., Napoli 1974).