TAFANI INTERNARI, Carolina
– Nacque a Livorno il 23 maggio 1793 da Giovanni, nobile veronese, e da Anna Baldesi, entrambi attori. Fu cugina di primo grado della celebre attrice Carlotta Marchionni, figlia dell’attore fiorentino Angelo e di Elisabetta Baldesi, sorella di Anna.
I genitori di Carolina, stando alle notizie riportate da uno dei suoi primi biografi (Calvi, 1859, p. 7) e accreditate dalle fonti successive, desideravano farne un’attrice ma, all’età di soli quattordici mesi, la figlia scendendo una scala cadde e si ruppe il setto nasale. Nelle cronache e nelle memorie di due attori (Colomberti, 2004, p. 270, e Rossi, 1885, pp. 47-48) questo stesso episodio è invece attribuito alla caduta dello stangone di un sipario che le avrebbe colpito il naso mentre, ancora bambina, riceveva sul proscenio gli applausi del pubblico. Una versione dei fatti dalla forte carica simbolica, che però gli studi più recenti tendono a considerare poco credibile (Donateo, 1995, p. 8).
L’incidente le alterò lievemente la regolarità dei tratti del volto e il tono della voce, e il padre non volle quindi che recitasse, convinto che i danni causati dalla caduta potessero essere un ostacolo per una buona carriera teatrale (Calvi, 1859, p. 8). Ma alla sua morte, nel 1802, Carolina si ritrovò a condividere l’avventura nomade della madre al seguito di diverse compagnie teatrali. Nel 1807 vennero entrambe scritturate da una società filodrammatica di Verona e la ragazza debuttò la sera del 1° agosto con la piccola parte di Carlotta nella commedia Il Cavalier Woender di Simeone Antonio Sografi. Il successo in questa parte fece sì che le fosse affidato il ruolo della protagonista nella tragedia Ginevra di Scozia di Giovanni Pindemonte, un’interpretazione grazie alla quale ottenne dal fratello dell’autore, Ippolito, l’incoraggiamento a proseguire lungo il cammino teatrale (Calvi, 1859, p. 9). Attraverso lo studio seppe attenuare i difetti vocali derivati dall’incidente infantile, imparando a modulare la pronuncia e a variarne i toni, mentre l’intensità delle espressioni del volto e l’eleganza del portamento bilanciarono le leggere imperfezioni fisiche (Pera, 1867, pp. 398 s.).
Secondo un’indicazione fornita da Cesare Calvi (1859, p. 10) e reiterata dalla maggior parte delle fonti successive, dal 1807 al 1810 Carolina fu allieva della grande attrice e maestra d’attori Anna Fiorilli Pellandi che la condusse con sé nella compagnia da lei diretta con Paolo Belli Blanes. Se è certo che Fiorilli Pellandi fu la sua maestra, nel triennio indicato da Calvi quest’ultima era, con Belli Blanes, nella compagnia Reale italiana con sede a Milano, diretta da Salvatore Fabbrichesi e costituitasi per volontà del viceré d’Italia Eugenio di Beauharnais. Non essendovi però tracce della presenza di Carolina tra i membri della compagnia, è possibile supporre che Fiorilli Pellandi diede a lei, e all’altra sua allieva, Teresa Fini, lezioni private di recitazione. Certamente nel 1812, quando Fiorilli Pellandi e Belli Blanes lasciarono la Reale italiana per dare vita a una loro compagnia, vi scritturarono, oltre a grandi attori come Luigi Vestri e Francesco Righetti, anche le due giovani (Brunelli, 1960, p. 581), che si alternarono nelle seconde parti tragiche. Carolina esordì al fianco di Fiorilli Pellandi nei panni della nutrice Euriclea nella Mirra di Vittorio Alfieri e sostenne talmente bene questa parte, pure così lontana dalla sua giovane età, che la maestra le disse: «Tu diverrai una buona tragica» (Cominazzi, 14 agosto 1860, n. 33). Nel 1813 al teatro Nuovo di Firenze interpretò Cassandra nella prima della Polissena di Giovanni Battista Niccolini, «educandosi così a trattare tanto il verso sobrio e talvolta duro di Alfieri quanto quello fiorito e scorrevole del poeta fiorentino» (Consigli, 1878, p. 11).
Nel 1814 a Padova cominciò ad alternare alle parti tragiche quelle delle commedie di Carlo Goldoni e Carlo Gozzi, introdotte da Fiorilli Pellandi e da Belli Blanes nel repertorio della loro compagnia. A tal fine i due capocomici avevano scritturato come brillante Quinto Mario Internari che Carolina sposò nel 1814 (Rasi, 1897, p. 1054) o nel 1815 (Consigli, 1878, p. 11) e con cui ebbe due figli, Giovanni e Galeazzo. Il primo fu un attore, mentre del secondo non si ha alcuna notizia ed è presumibile una sua morte prematura (Donateo, 1995, p. 14).
A causa di problemi di salute, Fiorillli Pellandi sciolse la compagnia e si ritirò dalle scene nel 1817. I coniugi Internari entrarono in quella capitanata da Vestri e Angelo Venier, dove Carolina esordì come prima donna. Vi rimasero fino al 1819 esibendosi tra Roma, Livorno e Firenze. Tra il 1820 e il 1821 furono nelle compagnie di Granara (capocomico di cui non è noto il nome) e di Antonio Goldoni (ibid., p. 12). Nel 1822 tornarono a lavorare con Belli Blanes che era a capo di una nuova formazione con cui, nel marzo del 1823, presentò la prima della tragedia di Giovanni Battista Niccolini Edipo nel bosco dell’Eumenidi, che entusiasmò il pubblico del teatro della Pergola di Firenze. Nei panni di Antigone, Tafani Internari consolidò quella fama che la accreditava ormai come una delle migliori attrici tragiche d’Italia.
Alla morte di Belli Blanes nell’ottobre del 1823 l’attività della compagnia si interruppe e i coniugi Internari ne fondarono una a loro nome e nel 1824 vennero chiamati da Fabbrichesi perché li sostituisse per un anno alla direzione di una compagine stabile voluta dal re nel prestigioso teatro dei Fiorentini di Napoli. Al loro ritorno nell’Italia centrale, nell’estate del 1825 Mario Internari «s’infermò di petto a Firenze, ove in breve morì» (Rasi, 1897, p. 1054) e Carolina dovette assumersi da sola la responsabilità del capocomicato.
Trascorse poi il biennio dal 1827 al 1829 nella compagnia dell’attore di origine greca Antonio Rafstopulo, con cui nel 1829 fece una lunga tournée a Trieste dove, tra il Mauroner e il teatro Grande, interpretò Francesca da Rimini di Silvio Pellico, Mirra e Ottavia di Alfieri (Bottura, 1885, pp. 151 s.).
Nel 1830 costituì con Francesco Paladini una società che si esibì a maggio al teatro Re di Milano, dove l’attrice si affermò con quello che fu considerato uno dei suoi capolavori: il personaggio di Medea nell’omonima tragedia di Cesare della Valle, duca di Ventignano (Colomberti, 2004, p. 416). A giugno di quello stesso anno la compagnia partì alla volta di Parigi, una città dove da più di mezzo secolo nessuna formazione italiana aveva più recitato. Antonio Colomberti, attore della compagnia, fa nelle sue memorie un lungo e dettagliato racconto di questa coraggiosa e sfortunata impresa (ibid., pp. 410-433).
Al loro arrivo gli attori italiani trovarono Parigi sconvolta dalle agitazioni che portarono all’insurrezione del 27, 28 e 29 luglio – le celebri trois glorieuses – e alla caduta del regno dei Borboni. A dispetto di questa situazione, la compagnia debuttò il 6 luglio con la Rosmunda di Alfieri nella sala Ventadur per un pubblico scarso ma entusiasta. Il programma della tournée parigina, basato sull’alternanza di tragedie, commedie e farse, suscitò il plauso della potentissima duchessa di Berry che da assidua spettatrice promise ai capocomici italiani di riservare loro l’uso esclusivo di quella sala. Quando la situazione politica precipitò, gli italiani furono costretti ad annullare molte repliche, con gravi perdite economiche. Il crollo del governo fece perdere ogni potere alla loro protettrice e svanì il sogno della sala parigina. La compagnia poté rientrare in Italia solo grazie all’aiuto finanziario della contessa Giulia Samoyloff, una protettrice delle belle arti che, conosciuta Carolina a Milano, aveva mantenuto con lei un rapporto di amicizia e stima (ibid., p. 430).
Conclusa la loro esperienza di capocomicato, Paladini, Tafani Internari e il figlio Giovanni entrarono nel 1833 nella compagnia di Natale Fabrici, dove restarono tre anni esibendosi in importanti piazze d’Italia. In particolare si ha notizia di alcune repliche a Trieste, dove l’attrice tornò a distinguersi come interprete tragica alfieriana, benché il restante repertorio della formazione risultasse ormai antiquato (Bottura, 1885, p. 179).
Fu però tra il 1836 e il 1840, quando entrò nella compagnia di Luigi Domeniconi, che giunse all’apice del successo affermandosi come un’attrice non solo eccellente nel registro tragico, ma ugualmente efficace in quello brillante, sentimentale o comico, alternando Alfieri a Goldoni, Pellico ad Alberto Nota.
«Se fu impareggiabile nella tragedia che è l’apice dell’arte rappresentativa, fu somma pure nel dramma e nella commedia; e come nella prima sapeva trasportare il pubblico al terrore collo spavento, così negli altri componimenti riusciva a ispirare la letizia, e l’affetto» (Calvi, 1859, p. 15). Dopo la sua interpretazione di Mirra, nell’omonima tragedia alfieriana, andata in scena al teatro degli Avvalorati di Livorno nel marzo del 1837, le cronache del tempo sottolinearono la sapienza della sua arte, l’intensità con cui esprimeva le passioni, la gamma di sfumature del suo agire scenico per giungere ad affermare che «la Internari fu più grande dell’Alfieri» (Un livornese, Carolina Internari a Livorno, in Teatri Arti e Letteratura, 1837, vol. 27, pp. 53-55, cit. a p. 54).
Quello di Mirra fu il ruolo che sancì uno dei vertici della sua parabola artistica e segnò il trionfo di uno stile recitativo che l’attore Ernesto Rossi ricorda così: «parlava bene e diceva eccellentemente; declamava il verso alfieriano, e non lo cantava. Nell’interpretazione della sua eroina lo sguardo vagava e non si fissava; parlava con il suo interlocutore, ma non vi si volgeva: dominava la propria voluttà [...]. Ogni suo gesto, ogni suo movimento del corpo, era una posa, era una statua, un quadro, ogni suo detto dagli occhi passava al cuore» (Rossi, 1885, pp. 48 s.).
Nell’inverno del 1840, con lo scioglimento della compagnia di Domeniconi, Carolina e il figlio Giovanni diedero vita a una loro formazione che restò attiva fino al 1846 e sulla quale si hanno poche notizie, a parte quelle della collaborazione con Gustavo Modena nelle piazze di Livorno (Donateo, 1995, pp. 75 s.) e di Trieste (Bottura, 1885, pp. 249 s.), tra il 1840 e il 1842. Proprio il nuovo stile di Modena contribuirà però a far mettere in discussione dal pubblico lo stile recitativo della generazione di Tafani Internari.
Quando, tra il 1847 e il 1849, si costituì la ditta Internari-Colomberti-Fumagalli, Carolina passò alle parti di madre nobile. Tuttavia, nel 1850, entrata nella compagnia di Francesco Coltellini, al Filodrammatico di Trieste, ebbe occasione di tornare nel ruolo di prima donna, e interpretò la protagonista della Fedra di Jean Racine, negli stessi giorni in cui Rachel (Élisabeth Félix) la presentava al Comunale: al termine del confronto l’italiana venne giudicata pari alla celebre tragica francese. Nel 1852, Adelaide Ristori la prese in compagnia come madre nobile, venendo convinta dall’attrice più matura a riprendere i panni di Mirra, che aveva abbandonato nel 1848, a seguito di una replica non riuscita. Dopo tre mesi di studio, verso la fine del 1852, a Firenze, Ristori si presentò come Mirra a fianco di Tafani Internari. In un passaggio della sua autobiografia, Ristori (1887) ricorda così quest’episodio: «Lo avermi accanto quella vera incarnazione della tragedia, Carolina Internari, mi diede tale impulsiva forza, tale slancio, e la mia anima si sentì così compresa da quel bello incantatore, che pel magnetismo comunicatomi dal concetto di quella donna, il sangue mi bolliva nelle vene, l’immaginazione mi trasportava, ed ero tutta investita delle miserande vicende di Mirra» (p. 261).
Nel 1853, per motivi di salute, Tafani Internari lasciò le scene e si stabilì a Firenze, non senza qualche occasionale ritorno a teatro. Nel marzo del 1857 più che sessantenne recitò, con la compagnia del figlio Giovanni, il secondo atto di uno dei cavalli di battaglia della sua gioventù: la Medea del duca di Ventignano, che le valse grandi elogi nelle cronache milanesi del tempo (Calvi, 1859, pp. 14 s.). Nel dicembre del 1858 al Cocomero di Firenze andò di nuovo in scena Mirra, sempre con Ristori nei panni della protagonista e Tafani Internari in quelli di Euriclea. Fu l’ultima apparizione: chiuse a fianco di Ristori – sua erede e allieva – nello stesso ruolo con cui aveva esordito a fianco di Fiorilli Pellandi – sua maestra.
Morì all’improvviso a Firenze la notte del 24 marzo 1859.
Secondo una prassi in uso nel teatro ottocentesco, poeti celebri e semplici ammiratori le dedicarono poesie e sonetti encomiastici, buona parte dei quali è contenuta nell’album a suo nome conservato presso la Biblioteca nazionale centrale di Firenze che lo acquisì nel 1892.
In possesso di un’arte sottile e di grande sapienza scenica, quest’attrice seppe «creare il personaggio con la coerenza d’un romanziere, curandone la verosimiglianza fisionomica; la credibilità psicologica; disegnando in maniera riconoscibile il suo ruolo sociale e le sue qualità morali. Per poi far deflagrare tutto questo, e procurare una scossa allo spettatore. A volte lo spettatore aveva l’impressione d’essersi trovato faccia a faccia con l’ignoto. Altre volte, la scossa gli apriva nuovi e imprevisti sentieri del pensiero. Era comunque, in quanto punto di partenza, la rivelazione dell’essere umano come terra incognita» (Taviani, 2009, p. 302).
Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca nazionale centrale, Settore manoscritti, segnatura Nuove Accessioni 596. L’album, composto dall’attrice e dal figlio Giovanni, oltre a contenere le liriche a lei tributate al momento della morte, raccoglie poesie, autografi, scambi epistolari, elogi, biglietti da visita, ritratti, disegni e soprattutto ricordi e testimonianze di alcuni suoi grandi colleghi: Alamanno Morelli, Tommaso Salvini, Ernesto Rossi e Giacinta Pezzana.
A. Bartolomei Palli, Necrologie: Carolina Internari, in Il Romito, 2 aprile 1859, p. 56; C. Calvi, Notizie biografiche di Carolina Internari, Firenze 1859; P. Cominazzi, C. T. I., in La Fama, 14 e 21 agosto 1860, nn. 33, 34; F. Regli, Internari Carolina, in Id., Dizionario biografico dei più celebri poeti ed artisti melodrammatici, tragici e comici, maestri concertisti, coreografi, mimi, ballerini, scenografi, giornalisti, impresari ecc. ecc. che fiorirono in Italia dal 1800 al 1860, Torino 1860, pp. 15, 262-264, 417; F. Pera, Ricordi e biografie livornesi, Livorno 1867, pp. 396-402; M. Consigli, Biografia della celebre attrice livornese Carolina Internari con appendice di poesie a lei dedicate e di XVI lettere inedite di G.B. Niccolini, Livorno 1878; C.G. Bottura, Storia aneddotica documentata del teatro comunale di Trieste, Trieste 1885, pp. 151 s., 179, 207, 221, 249 s.; E. Rossi, Studii drammatici e lettere autobiografiche, Firenze 1885, pp. 34, 46-49; A. Ristori, Ricordi e studi artistici, Torino-Napoli 1887, pp. 260 s.; Jarro (Giulio Piccini), L’album di un’attrice, in La Nazione, 25 aprile 1892, pp. 1 s.; Id., A proposito dell’album di una prima donna, ibid., 2 maggio 1892, pp. 1 s.; L. Rasi, Internari Mario e I.-T. C., in Id., I comici italiani. Biografia, bibliografia, iconografia, Firenze 1897, pp. 1054-1059; N. Leonelli, T. I. C., in Id., Attori tragici e attori comici, II, Roma 1940, pp. 379 s.; B. Brunelli, I. T. C., in Enciclopedia dello spettacolo, VI, Roma 1960, pp. 581 s.; G. Donateo, Carolina Internari. La voce dell’Alfieri nel primo ’800, Livorno 1995; A. Colomberti, Memorie di un artista drammatico (ms. 1870-74), testo, introduzione, cronologia e note a cura di A. Bentoglio, Roma 2004, pp. 270-272, 410-433; F. Taviani, Il volo dello sciancato: evoluzioni teatrali italiane, in La Cultura italiana, diretta da L.L. Cavalli Sforza, IX, Musica, Spettacolo, Fotografia, Design, a cura di U. Volli, Torino 2009, pp. 213-343.