CARPENTERIA
Tecnica della lavorazione e dell'assemblaggio degli elementi che compongono le strutture in legno occorrenti alla costruzione. Il termine include l'insieme di tutte le ossature e le rifiniture in legno di un edificio: tetti, solai, pareti, porte, finestre, scale, impalcature, centine.Ancora molto ridotti sono i dati relativi ai sistemi costruttivi di coperture lignee e comunque non confrontabili con quelli delle strutture in muratura con analoga funzione; la mancanza assoluta di dati per buona parte del Medioevo - i primi resti di capriate, tra l'altro non integri, risalgono al sec. 12° - condiziona naturalmente questa analisi.L'attenta indagine delle capriate in area francese (Deneux, 1961) ha rilevato strette somiglianze costruttive in diverse aree geografiche, dalla Germania all'Inghilterra, e ha consentito di verificare come il variare delle tecniche dipenda invece piuttosto da fattori cronologici.Le connessioni o giunture delle capriate sono riferibili a unioni tra puntoni-ritti e puntoni-catene secondarie, travi di soglia-puntoni-ritti, arcarecci-catene principali o secondarie, giuntura delle travi. Il primo collegamento presenta l'assemblaggio tra puntoni e ritti e puntoni e catene secondarie. L'incastro, ottenuto per sovrapposizione a taglio obliquo, venne usato nella struttura primitiva di Saint-Germain-des-Prés a Parigi nel 1044 e nella chiesa di Saint-Pierre-de-Montmartre nel 1147, nella cattedrale di Sens e nella Sainte-Madeleine a Troyes (datate tra il 1044 e il 1260 ca.). Questo tipo di c. è rappresentato nel taccuino di disegni di Villard de Honnecourt (Parigi, BN, fr. 19093).Un tipo di assemblaggio, senza tenone e mortasa, è quello a unghia con commessura a caviglie. Questo collegamento appare tra la fine del sec. 12° e la metà del 13° nelle orditure del transetto sud della Sainte-Madeleine a Troyes, nel transetto nord della navata della chiesa di Puiseaux (dip. Loiret) e nel coro della cattedrale di Auxerre. L'esempio di commessura più comune è tuttavia l'incastro a tenone e mortasa angolare con facce inclinate con o senza caviglie, impiegato in un ampio arco cronologico, dalla metà del sec. 12° fino all'epoca attuale. Il tipo di commessura obliqua con caviglia è presente in strutture databili intorno alla metà del sec. 12°, mentre il tipo di sovrapposizione con appoggio e senza caviglie venne usato probabilmente verso la fine del 13° secolo.Il tipo più comune di assemblaggio delle travi di soglia poggiate sulle sommità dei muri con i ritti e i puntoni delle capriate è quello che adotta un elemento a cravatta, questa volta orizzontale, in maniera da offrire agli elementi (puntoni e ritti) una superficie d'appoggio intermedia. In base agli incastri tra i travicelli a cravatta e le travi di soglia è possibile determinare un'evoluzione nel modo di assemblaggio. Le unioni avvengono sulla parte esterna dello spigolo di ciascuna trave; esempi sono visibili nelle capriate della cattedrale di Sens e di Notre-Dame-du-Fort di Etampes. Questo tipo di capriate fu probabilmente applicato tra il 1170 e i primi due decenni del secolo successivo. Diverso è invece il tipo con unione per sovrapposizione di doppi incastri agli spigoli, impiegato in epoche successive: a Parigi nel coro della cattedrale di Notre-Dame e nell'antico refettorio di Saint-Martin-des-Champs (questi casi vanno dal 1149 al 1225 ca.).Le commessure a coda di rondine su ambedue le facce delle travi paradosse sono state usate nella Sainte-Madeleine a Troyes e nel coro della cattedrale di Tours; tale tipo è riscontrabile in altri esempi datati tra la fine del sec. 12° e la metà del 13° anche in aree diverse da quella francese, come per es. nella grangia di Coxwell. Le stesse tecniche di commessura ma con angoli più accentuati sono presenti in un gran numero di esempi che vanno dal 1230 al 18° secolo.Le prime unioni tra arcarecci e catene principali o secondarie compaiono agli inizi del 13° secolo. Tale tipo di assemblaggio era dapprima composto da arcarecci che poggiavano direttamente sotto le catene senza alcun tipo di incastro, a volte con piccole caviglie. Usata nel coro di Notre-Dame a Parigi e nelle cattedrali di Auxerre e di Rouen, questa disposizione venne adottata tra il 1200 e il 1260 circa. Verso la fine del sec. 13° e durante i secc. 14°-15°, gli arcarecci furono disposti sopra le catene secondarie con commessure a sovrapposizione a doppio incastro, come nelle chiese di Saint-Ouen e Saint-Maclou a Rouen.In sintesi, fino a tutto il sec. 12°, le capriate medievali erano interamente assemblate a tenone e mortasa o con commessure a sovrapposizione con o senza caviglie oppure unite con incastri obliqui, a unghia o a coda di rondine per rinforzarne la solidità. I puntoni leggermente inclinati (fino a 45°) e di piccolo spessore (cm. 1616) erano sempre indipendenti gli uni dagli altri senza alcuna trave longitudinale. Agli inizi del sec. 13° fecero la loro comparsa degli irrigidimenti longitudinali (arcarecci) e trasversali (saette) che si innestavano sulla trave di colmo, sulla catena, oppure sui puntoni, che a loro volta poggiavano in basso sul muro portante. La capriata iniziò ad avere un disegno più avanzato soprattutto nei secc. 14°-15° in relazione alle pendenze delle falde più pronunciate (inclinazione superiore a 45°). Si introdussero altre travi sotto quella di colmo, sulle quali si innestavano alcuni elementi obliqui che venivano rivestiti da tavolati in legno assumendo l'aspetto di una carena rovesciata, come si può notare ancora in Normandia e in Inghilterra.Alcune capriate, a seconda degli elementi che le componevano, venivano definite in ingl. crown-post, con monaco centrale che si inseriva tra la catena secondaria e principale, e king-post, con monaco posto tra il colmo e la catena. Esse rappresentano una fase importante nell'evoluzione delle capriate medievali, che spesso non facevano uso della trave di colmo; comparvero in molte grange e chiese dell'Europa nordoccidentale verso la fine del sec. 12° ed ebbero un notevole sviluppo nei secc. 13°-15°, presentandosi con numerose varianti e connotazioni diverse in Inghilterra rispetto ad altri paesi come la Francia. Un altro tipo di capriata, definita in ingl. hammerbeam, fu anch'essa molto impiegata, soprattutto a partire dalla fine del sec. 14°, per coprire i vasti spazi delle cucine signorili; era strutturata da mensole aggettanti orizzontali che partivano all'altezza delle travi di soglia da ambo i lati del muro sostenendo un tetto di forma arcuata che mascherava i numerosi puntoni e saette che, a loro volta, reggevano il peso delle strutture lignee.Generalmente tutti questi tipi di capriate non contenevano, almeno fino al sec. 14°, alcun elemento in ferro. Il piombo, al contrario, risulta strettamente legato alla tecnica della c.; i costruttori medievali, seguendo la tradizione antica, impiegavano infatti questo materiale per rivestire le capriate esposte alle intemperie.Rilevante, all'interno del cantiere, era anche il ruolo dei carpentieri per la costruzione sia di strutture provvisorie, sia di impalcati e centine, sia per gli argani e le macchine utilizzate per il sollevamento dei materiali pesanti.L'impiego dell'impalcato è documentato tanto nell'Antichità quanto nel Medioevo da molte rappresentazioni di cantieri di costruzione, che apportano preziose informazioni per la comprensione dei diversi sistemi adottati. Di particolare interesse sono nel Medioevo le rappresentazioni della costruzione della torre di Babele; in molte di esse, come il manoscritto del De originibus rerum di Rabano Mauro, con miniature del 1023 (Montecassino, Bibl., 132, p. 392r), i mosaici della cattedrale di Monreale e della basilica di S. Marco a Venezia, o una miniatura del 1385 ca. (Kassel, Gesamthochschul-Bibl. Kassel-Landesbibl., theol. 4, c. 28r), vengono raffigurati gli impalcatori.Le impalcature in legno, elevate parallelamente all'edificio in costruzione, permettevano agli operai di muoversi, lavorare e depositare i materiali utilizzando piattaforme sostenute da una tettoia composta da elementi verticali, trasversali e obliqui. I vari elementi erano strutturalmente legati insieme da corde di fibra di tiglio oppure da rami flessibili di salice o di quercia; l'inserimento di cunei di legno garantiva la stabilità e la sicurezza della struttura, tendendo al massimo le corde. I cunei sono citati solo raramente nei libri contabili dei cantieri: qualche esempio si trova nei testi inglesi, dove sono indicati con il termine di warrokes.La forma più semplice d'impalcato era un palco poggiato su cavalletti, sul quale i muratori salivano per raggiungere un livello superiore alla loro altezza.Insieme alla maniera in cui sono assemblati i vari elementi in legno che compongono gli impalcati e in base alla disposizione dei fori dei travicelli ancora visibili sulle murature di molti monumenti medievali se ne possono individuare due diversi tipi: impalcature indipendenti e impalcature dipendenti, queste ultime a loro volta articolate in tre forme diverse. L'impalcato indipendente è costituito da elementi che non poggiano sulla costruzione ma formano una struttura autonoma suscettibile di essere utilizzata per lavori delicati come la posa d'intonaco; di tale sistema ovviamente manca qualsiasi traccia rilevabile nella tessitura muraria. Le uniche fonti per ricostruirne l'assemblaggio sono di tipo iconografico; una miniatura delle Chroniques et conquêtes de Charlemagne, della metà del sec. 14° (Bruxelles, Bibl. Royale, 9068, c. 289r), raffigura, per es., un impalcato indipendente a forma di croce di s. Andrea. L'impalcato indipendente era formato da elementi verticali (pertiche), posti parallelamente a coppia: l'uno vicino alla costruzione e l'altro a una certa distanza in modo da collocare nello spazio intermedio il piano di lavoro (tavolato). Quando le pertiche erano meno alte della costruzione venivano riunite a una estremità (pertiche attestate). Per il collegamento tra i vari piani è probabile che venissero utilizzate scale o piani inclinati disposti obliquamente, come si evince da alcune raffigurazioni.Più complesso, ma meglio documentabile sul piano archeologico, è il sistema incastrato, visibile, per es., nella citata miniatura di Kassel. L'impalcato incastrato o dipendente, direttamente connesso alla costruzione, è più solido e più economico, poiché per il suo assemblaggio è necessaria una minore quantità di legno e per tale motivo risulta correntemente usato nel Medioevo. Può assumere tre forme distinte: a una fila di pertiche, a sbalzo e a fori trasversali o passanti. Il primo sistema consiste in una fila di pertiche disposte a una determinata distanza dall'edificio e collegate alla muratura mediante travicelli che si inseriscono in appositi fori di alloggiamento. Un esempio tra i tanti in cui venne usato questo sistema d'impalcato è costituito dalla cattedrale di Acerenza (Potenza). Le superfici murarie ancora ben conservate, nonostante i restauri subiti, consentono di ricostruire con estrema precisione la tecnica in questione. Visivamente l'adozione del tipo a una fila di pertiche è evidenziata dall'allineamento dei travicelli perfettamente simmetrici in lunghezza come in altezza su tutta la muratura. Gli interassi dei fori variano da distanze di m. 2 a 3,5, la dimensione media dei fori è di m. 0,150,15 con m. 0,40-0,50 di profondità. In questo modo si spiegano le numerose cavità lasciate dalle manovalanze medievali per permettere alle strutture provvisorie in legno di inserirsi nel nucleo del muro e assumere una posizione stabile. Subito dopo l'ultimazione dei lavori, i travicelli venivano talvolta segati a filo di muro, formando una catena interna che rinforzava la costruzione. Spesso, invece, essi venivano sfilati per essere reimpiegati in altri cantieri; in questo caso le cavità potevano essere murate o lasciate in vista, come dimostrano ancora numerosi monumenti medievali (si pensi, per es., a casi come le abbazie di Cluny, Conques, Jumièges, il duomo di Modena o quello di Parma, le chiese di S. Zeno Maggiore a Verona e di S. Petronio a Bologna e così via) ove restano tracce indicanti chiaramente che, nel momento in cui gli ultimi materiali di copertura venivano messi in opera, si procedeva a smontare l'impalcato elemento per elemento, senza preoccuparsi di murare i fori di alloggiamento.L'impalcato incastrato a sbalzo non utilizzava le pertiche ma i travicelli, con un'estremità parzialmente inserita nella muratura e l'altra fissata a un elemento obliquo (saetta). Quest'ultimo era unito in modo tale che un estremo poggiava contro il muro mentre l'altro era legato, tramite corde, all'estremo libero del travicello. Infine, a chiusura del sistema statico di sostegno, era presente un altro elemento (puntone), disposto parallelamente al muro e in posizione verticale, che collegava l'estremità del travicello e l'estremità corrispondente alla parte inferiore della saetta, scaricando contro la muratura il peso del tavolato. Un esempio di impiego di questa tecnica è costituito dalla cattedrale di Casertavecchia (costruita tra il sec. 12° e il 13°). Qui, attraverso l'esame della disposizione dei fori, è stato possibile riconoscere appunto le tracce lasciate da questo secondo tipo di struttura. I fori dei traversi inseriti nella pietra tufacea hanno un interasse medio verticale di m. 0,80, una dimensione quadrata di m. 0,100,10 e una profondità di m. 0,20-0,30; le cavità si presentano accoppiate e a distanze simmetriche. Sulla base di questi dati risulta difficile immaginare che con una distanza verticale così ridotta si adoperasse il sistema di impalcato a una fila di pertiche; appare invece probabile che con il procedere della costruzione si passasse agli impalcati superiori sfilando quelli inferiori non più utilizzati.Anche nel caso di impalcature con travicelli passanti per la muratura che consentivano l'allestimento di due piani di lavoro simmetrici, il tavolato era sorretto da saette e puntoni. Nel caso per certi versi esemplare della Trinità di Venosa, costruita dai committenti normanni tra i secc. 11° e 12°, il riutilizzo di blocchi squadrati di epoca romana suggerì senza dubbio ai costruttori medievali questa singolare tecnica. In effetti il travicello poteva contare all'interno della muratura su una superficie omogenea offerta dagli enormi blocchi di pietra messi in opera di testa e di taglio che compongono nella loro interezza i muri. Il foro attraversa pertanto l'intera muratura e può sostenere un piano di lavoro su ciascun lato; gli interassi dei fori variano da m. 2 a 3. Nel Medioevo, il piano di lavoro sul quale camminavano gli operai non era sempre costituito da tavole, ma in qualche caso da un graticcio di cortecce flessibili di salice e di quercia, mantenuto in un telaio rigido di legno da travicelli di piccolo diametro; la piattaforma così ottenuta veniva poggiata su piccole tavole e fissata all'ossatura dell'impalcato con corde. Nel sec. 11° si trovano diverse citazioni dell'espressione deambulatorium vimineum per definire appunto un impalcato con un piano di lavoro composto di vegetali intrecciati. Tutti gli elementi che componevano gli impalcati dovevano sostenere il peso degli operai, dei loro strumenti (squadra, cazzuola, filo a piombo, livella) e dei materiali da costruzione da mettere in opera (blocchi di pietra, mattoni, legni e malta). Queste strutture in legno, a volte molto esili, non erano concepite per reggere il peso supplementare di macchine elevatorie che peraltro erano d'uso frequente nel Medioevo.La centina è un altro tipo di struttura provvisoria in legno, adoperata con frequenza nei cantieri medievali: in legno sagomato, serviva a offrire una forma e un sostegno adeguato ad archi, volte e cupole durante la loro costruzione. Il suo impiego era limitato al tempo necessario per consentire la solidificazione del conglomerato cementizio, tempo che, nel Medioevo come nell'Antichità, poteva variare da sei mesi a un anno e mezzo a seconda della qualità della malta. Il tipo di centina variava in base alle esigenze tecniche del cantiere e soprattutto in base alla particolare struttura (volta o arco) da realizzare. Se ne possono considerare due grandi categorie: indipendenti (fisse a terra) o dipendenti (a sbalzo). Le prime, più sicure, comportavano l'impiego di grandi quantità di materiale ed erano ingombranti, come nel caso delle grandi strutture dei ponti e di alcune volte che in molte cattedrali venivano costruite ad altezze superiori a m. 30-40. Le seconde consentivano un risparmio di materiale, ma erano costituite da elementi assemblati in un modo molto più complesso. Le centine a sbalzo prendevano infatti appoggio sulla costruzione stessa per mezzo di appositi alloggiamenti incavati nella muratura o di mensole sporgenti in pietra o legno, talvolta ancora visibili. Quasi inesistenti sono le fonti scritte sull'argomento, ma le analisi archeologiche delle volte e degli archi di molti monumenti medievali hanno accertato l'uso frequente di questi sistemi. Ancora oggi sulla muratura interna di numerose volte è rilevabile la presenza di impronte del tavolato (manto della centina), disposte secondo le linee generatrici, i fori dei travicelli esistenti sugli intradossi di molti archi e i fori di alloggiamento nel terreno delle pertiche verticali necessarie per sorreggere le centine fisse a terra. Nelle raffigurazioni dei cantieri di costruzione una rara rappresentazione della messa in opera di un arco con l'ausilio di una centina si trova nell'Estoire del Saint Graal (Londra, BL, Royal 14.E.III, c. 85v).
Bibl.:
Fonti. - V. Mortet, P. Deschamps, Recueil de textes relatifs à l'histoire de l'architecture et à la condition des architectes en France au Moyen Age, I, XIe-XIIe siècles; II, XIIe-XIIIe siècles, Paris 1911-1929; O. Lehmann-Brockhaus, Schriftquellen zur Kunstgeschichte des 11. und 12. Jahrhunderts für Deutschland, Lothringen und Italien, 2 voll., Berlin 1938; id., Lateinische Schriftquellen zur Kunst in England, Wales und Schottland vom Jahre 901 bis zum Jahre 1307, 5 voll., München 1955-1960.
Letteratura critica. - s.v. Beffroi, in Viollet-le-Duc, II, 1854, pp. 186-200; s.v. Bois, ivi, pp. 212-216; s.v. Charpente, ivi, III, 1858, pp. 1-58; s.v. Echafaud, ivi, V, 1861, pp. 103-114; s.v. Etai, ivi, pp. 332-345; s.v. Flèches de charpenterie, ivi, pp. 444-472; s.v. Plafond, ivi, VII, 1864, pp. 198-207; G.A. Breymann, Allgemeine Bau-Constructions-Lehre, 2 voll., Stuttgart 1868-1870; A.G.H. Thatcher, Scaffolding: A Treatise on the Design and Erection of Scaffolds, Gantries and Stangings, London 1904; D. Donghi, Manuale dell'architetto, I, Torino 1906; H. Deneux, L'évolution des charpentes du XIe au XVIIe siècle, L'Architecte, 1927, pp. 1-27; H. Phleps, Mittelalterliche Gerüstbauten, Die Denkmalpflege 32, 1930, pp. 111-116; A. Giannelli, s.v. Capriata, in EI, VIII, 1930, pp. 907-908; id., s.v. Carpenteria, ivi, IX, 1931, pp. 136-140; W.B. Douglas, Carpentry and Joinery, London 1937; K.J. Conant, Observations on the Vaulting Problems of the Period 1088-1211, GBA, s. VI, 26, 1944, pp. 127-134; A. Moles, Histoire des charpentiers. Leurs travaux, Paris 1949; K. Schmidt, Die Baugerüste, München 1949; J. Trouvelot, De la restauration des monuments historiques, Techniques et architecture, 1950, 11-12, pp. 38-50; F.H. Crossley, Timber Building in England from Early Times to the End of the Seventeenth Century, London 1951; L.F. Salzman, Building in England down to 1540. A Documented History, New York-Oxford 1952, pp. 210-222, 237-252, 318-329; P. Du Colombier, Les chantiers des cathédrales, Paris 1953 (19732); A. Zippelius, Die Rekonstruktion und baugeschichtliche Stellung der Holzbauten auf dem Husterknupp, in A. Herrnbrodt, Der Husterknupp. Eine niederrheinische Burganlage des frühen Mittelalters, Köln 1958, pp. 175-200; P. Frankl, The Gothic. Literary Sources and Interpretations through Eight Centuries, Princeton 1960; H. Minkowsky, Aus dem Nebel der Vergangenheit steigt der Turm zu Babel, Berlin 1960; J.T. Smith, Medieval Roofs: A Classification, AJ 115, 1960, pp. 111-149; N. Davey, A History of the Building Materials, London 1961; H. Deneux, L'évolution des charpentes du XIe au XVIIIe siècle, Paris 1961; J. Fitchen, The Construction of Gothic Cathedrals. A Study of Medieval Vault Erection, Oxford 1961; A. van de Walle, Excavations in the Ancient Centre of Antwerp, MArch 5, 1961, pp. 123-136; C.A. Hewett, Structural Carpentry in Medieval Essex, ivi, 6-7, 1962-1963, pp. 240-271; H. Jankuhn, Haithabu. Ein Handelsplatz der Wikingerzeit, Neumünster 1963, pp. 117-124; J.M. Fletcher, P.S. Spokes, The Origin and Development of Crown-Post Roofs, MArch 8, 1964, pp. 152-183; C.A. Hewett, Jettying and Floor-Framing in Medieval Essex, ivi, 10, 1966, pp. 89-112; F. van Tyghem, Op en om de middeleeuwse bouwwerf. De gereedschappen en toestellen gebruikt bij het bouwen van de vroege Middeleeuwen tot omstreeks 1600 [Sui cantieri medievali. Le tecniche e gli strumenti di costruzione dall'Alto Medioevo al 1600 ca.], Bruxelles 1966; R. Di Stefano, Edilizia, elementi costruttivi e norme tecniche, Napoli 1967; M. Collura, Architettura del legno, Palermo 1968; M. Müller-Wille, Eine Niederungsburg bei Haus Meer, Gemeinde Büderich, Kreis Grevenbroich (Rheinische Ausgrabungen, 1), Köln 1968, pp. 1-55; C.A. Hewett, The Dating of French Timber Roofs by Henri Deneux, Transactions of the Ancient Monuments Society 16, 1968-1969, pp. 89-108; E. Bonnet, Französische Holzbaukunst. Fachwerkbauten, Kirchen, Beinhäuser und Chalets, in Holzbaukunst. Eine Geschichte der abendländischen Holzarchitektur und ihrer Konstruktionselemente, a cura di H.J. Hansen, Oldenburg-Hamburg 1969, pp. 125-152; A. Kamphausen, Le costruzioni in legno nell'Europa centrale, ivi, pp. 153-184; W.F. Libby, The Physical Science of Radiocarbon Dating, in Scientific Methods in Medieval Archaeology, a cura di R. Berger (UCLA Center for Medieval and Renaissance Studies Contributions, 4), Berkeley-Los AngelesLondon 1970, pp. 17-21; J.T. Smith, The Reliability of Typological Dating of Medieval English Roofs, ivi, pp. 239-269; B. Ó Ríordáin, Excavations at High Street and Winetavern Street, Dublin, MArch 15, 1971, pp. 73-85; W. Janssen, Neue Grabungsergebnisse von der frühmittelalterlichen Niederungsburg bei Haus Meer, in Château Gaillard V, "Actes du Colloque international, Hindsgavl 1970", Caen 1972, pp. 85-100; C.A. Hewett, English Cathedral Carpentry, London 1974; A. Reed, s.v. Carpentry, in EB, III, 1977, pp. 952-956; G. Binding, N. Nussbaum, Der mittelalterliche Baubetrieb nördlich der Alpen in zeitgenössischen Darstellungen, Darmstadt 1978; C.A. Hewett, English Historical Carpentry, London 1980; A. Defez, Il consolidamento degli edifici, Napoli 1981; F. Calame, Les marques de charpente, Ethnologie française 13, 1983, pp. 7-24; L. Marino, Tracce di strutture lignee nella torre di Magliano (Molise), in Legno nel restauro e restauro del legno, "Atti del Congresso, Firenze 1983", Firenze 1983, pp. 107-118; A.L. Matthies, Perception of Technological Change: Medieval Artists View Building Construction (tesi), New York Univ. 1984; J.M. Pesez, La terre et le bois dans la construction médiévale, in Architecture de terre et de bois, "Actes du 2e Congrès archéologique de Gaule méridionale, Lyon 1983", Paris 1985, pp. 159-167; M. Le Port, La charpente du XIe au XVe siècle. Aperçu du savoir du charpentier, in Artistes, artisans et production artistique au Moyen Age, "Colloque international, Rennes, Haute-Bretagne, 1983", a cura di X. Barral i Altet, II, Commande et travail, Paris 1987, pp. 365-374; L. Mojon, Sankt Johansen: Beiträge zum Bauwesen des Mittelalters, Bern 1987, pp. 13-74; L. Musset, La tapisserie de Bayeux (Introduction à la nuit des temps), La Pierre-qui-Vire 1989; G. Coppola, L'échafaudage au moyen âge, Archeologia, 1991, 274, pp. 34-41.G. Coppola