CARRACCI
. Famiglia di artisti bolognesi. Agostino, pittore, scultore e incisore, nacque a Bologna nel 1557, morì a Parma nel 1602. Fratello maggiore di Annibale, fu posto da giovinetto nella bottega di un orafo, donde lo tolse il cugino Lodovico per affidarlo a Prospero Fontana; ma il giovane, coscienzioso sino allo scrupolo, e quindi lento nell'operare, non si adattò all'indirizzo del Fontana, e finì col passare prima sotto la guida del Passerotti, poi del cugino Lodovico. Le lamentele del padre per lo scarso profitto che traeva dall'arte lo indussero a tornare al bulino; gli fu guida Domenico Tibaldi e più tardi il fiammingo Cornelio Cort. Nel 1581 si recò a Parma per studiarvi il Correggio, poi a Venezia, dove si occupò principalmente d'incidere le opere dei maggiori artisti, tra le quali il Crocifisso di Paolo Veronese nella chiesa di S. Sebastiano (1582) e la grande Crocifissione del Tintoretto. All'89-90 appartengono le sue migliori produzioni: le otto incisioni per la Gerusalemme Liberata (edizione 1590) e alcune scene mitologiche. Incise anche ritratti tra i quali si celebrano quelli di Tiziano, di Cristina di Lorena, di Francesco Sfrondati, di Gian Galeazzo Visconti, ecc. Come scultore fu allievo di Alessandro Minganti, ma nulla lasciò di notevole; come pittore collaborò con Lodovico nella decorazione di alcuni palazzi di Bologna; ma non è facile riconoscere le diverse mani, specie nel palazzo Fava (1580-85) tanto nel fregio degli Argonauti, quanto nella sala più piccola con le scene dell'Eneide, ispirate dagli affreschi di Niccolò dell'Abbate a Scandiano. Nel palazzo Magnani (1592) ebbe scarsa parte; gli si ascrivono soltanto due quadri dove è dato maggiore sviluppo e importanza al paesaggio: ché è merito dei C. averne inteso tutto il valore nei rispetti della composizione figurata. Negli affreschi di casa Sampieri (1593-94) la mano di Agostino si riconosce in alcune delle Forze d'Ercole. Esecutore accurato nei particolari, senza però grande espressione nelle figure, riesce tuttavia a creare dei quadri in cui raggiunge severità di tipi e nettezza di disegno, anche se il colorito è talvolta un po' sordo. L'influsso del Correggio, dei Veneziani, dello stesso Lodovico, è evidente nel celebre dipinto La comunione di S. Girolamo, una delle migliori pitture del maestro e della scuola. Tra altri suoi quadri vanno ricordati, nella cappella Gessi in S. Bartolomeo di Reno la Natività, a Brera l'Adultera (1582-1583) che porta chiari segni dell'influsso veneto, alla Pinacoteca di Bologna l'Assunta. Nel 1595 Annibale fu chiamato a Roma dal cardinale Farnese per dipingere nel suo palazzo; vi andò poco dopo Agostino (1602), desideroso di vedere la città e di prender parte col fratello a quei lavori, ma volendo fare il maestro sorsero dispareri fra loro e se ne tornò a Bologna. Chiamato dal duca di Parma per dipingere il soffitto di una delle stanze del famoso palazzo detto il Giardino, vi colorì la vòlta con Amori e storie di Galatea, di Venere, ecc. Ma l'opera rimase incompiuta per la morte del pittore, amareggiato dai contrasti che incontrò con l'ingegnere capo dei lavori.
Antonio, suo figlio naturale (morto a Roma nel 1618), dedicatosi all'arte, poco produsse a causa della malferma salute. Tra le opere sue più importanti sono le scene della Passione di Cristo, colorite a fresco per la cappella di S. Carlo in S. Bartolomeo dell'Isola. Migliore è giudicata la tavola d'altare per la stessa chiesa.
Annibale, pittore, nacque a Bologna nel 1560, morì a Roma nel 1609. Fu l'ingegno più fertile e più vivo dei tre; si compiacque delle difficoltà nel desiderio di vincerle. Avviato alla pittura dal cugino Lodovico, a 18 anni dipingeva per S. Niccolò un Crocifisso tra santi, e per S. Gregorio il Battesimo di Cristo, due quadri che, nonostante le correzioni di Lodovico e le evidenti derivazioni dal Cesi, dal Samacchini e dal Fontana, mostrano "un gran principio". Ma il desiderio di perfezionarsi nella tecnica consigliò Annibale a recarsi a Parma; attrattovi dalle opere del Correggio, poi a Venezia ove studiò le pitture di Paolo, che egli proclamava "il primo uomo del mondo". Esercitarono su lui un particolare influsso anche i Bassano. Lo studio di tali artisti non tarpò le ali ad Annibale, il quale riuscì a dare un'impronta personale alle sue creazioni, non prive, per l'abile fusione raggiunta, di originalità e di freschezza.
Nel 1582 Annibale e Agostino, tornati a Bologna, col cugino Lodovico fondarono quell'Accademia dei Desiderosi poi degli Incamminati che doveva educare all'arte, rinnovata sotto la guida loro, una serie di artisti che contribuirono a trattenere la pittura sulla via della decadenza. A Bologna i due fratelli, aiutati da Lodovico, affrescarono nel palazzo del conte Fava la Leggenda degli Argonauti; e se Agostino ebbe merito nella scelta degli episodi e nei chiaroscuri, le storie furono tutte eseguite da Annibale; l'inesperienza del giovine artista vi è palese. Non dissimili per pregi e difetti furono le pitture della seconda sala con i fatti di Enea. Nel 1592 Lodovico e Annibale assunsero la decorazione del palazzo Magnani con le storie di Romolo e Remo. Lo schema non differisce troppo dal primo saggio, ma in queste si avverte maggior varietà e vivacità di composizione e di sviluppo. Infine, nel palazzo Sampieri, Annibale dipinse nel soffitto la Virtù che insegna a Ercole la via della gloria, Ercole che regge il mondo e Ercole che soffoca Anteo, pitture piene di vita, dalle forme gagliarde, pesanti nel colorito, ma non senza effetto. Tra i quadri eseguiti tra il 1582 e il 1595 ricordiamo il Deposto di Croce della Galleria di Parma, l'Assunta nella Pinacoteca di Bologna e la Vergine in gloria e santi, dipinta nel 1593 per la chiesa di S. Giorgio di Bologna, anche questo nella Pinacoteca. Dello stesso anno sono la Madonna che appare a S. Luca eseguito per la Confraternita di Reggio, la Resurrezione di Cristo ora al Louvre, il S. Rocco ora a Dresda, Cristo e la Samaritana a Brera, finissimo per armonia di colori, per correttezza di disegno e per trasparenza del paese, nonostante le tinte oggi cresciute.
Alla fine del 1595 Annibale si recò a Roma, per decorare la sala al primo piano del palazzo Farnese che il cardinale Odoardo aveva fatto costruire dove era la terrazza. Messosi alla grande impresa, colorì una serie di soggetti che dovevano esaltare il trionfo dell'Amore nell'universo: l'Amore soggiogatore di tutti, anche se forti come Ercole, casti come Diana, selvaggi come Polifemo. La decorazione pittorica, arricchita di stucchi, di termini e medaglioni, si svolge per tutta la vòlta e le due pareti minori, e lo spartito è quanto mai originale e segna l'inizio di quella che sarà la decorazione di un soffitto nel Seicento. Con abilità sono spartite le scene, con vivacità son composti gli episodî, il colorito è trasparente e fresco. A così grande lavoro ebbe collaboratori prima Agostino, cui si ascrivono i quadri dei Tritoni e dell'Aurora, un po' pesanti e sordi; e forse anche l'affresco della parete corta con Teseo alla corte di Fineo. Del Domenichino sono l'affresco di fronte con Andromeda legata alla rupe e altre piccole scene tra gli stucchi della vòlta.
Durante questo periodo (1596-1604) Annibale dipinse anche alcuni quadri, tra cui per la chiesa di S. Onofrio la Santa Casa di Loreto (1597), l'Assunta (1598-99) per S. Maria del Popolo, il Quo Vadis (1600) ora nella Galleria di Londra, vero capolavoro anche se la figura di S. Pietro è un po' contorta.
Lodovico, pittore, nacque nel 1555, morì nel 1619. Dedicatosi da giovinetto alla pittura, si allogò col Fontana. Poi fu a Firenze sotto il Passignano e studiò le opere di Andrea del Sarto; passò a Parma e vi ammirò i lavori del Correggio e del Parmigianino, a Mantova gli affreschi di Giulio Romano e del Primaticcio, a Venezia le opere dei grandi di quella scuola, e da tutti trasse ricordi e studî. Tornato a Bologna, intese meglio il valore di alcuni pittori che l'avevano preceduto, quali il Bagnacavallo, il Passerotti e soprattutto il Tibaldi. Nel 1588 coloriva, per incarico della famiglia Bargellini (i cui componenti sono lì ritratti), la Vergine in trono con angeli e santi (Pinacoteca di Bologna) dove è facile scorgere i ricordi degli studî fatti nei suoi viaggi; tutto però vi è fuso e animato dallo spirito personale del pittore. A questo periodo si ascrive la Madonna degli Scalzi, oggi anch'essa alla Pinacoteca di Bologna, dove la trasparenza dei colori, la grazia della Vergine e del Bambino, lo spontaneo e devoto atteggiamento dei santi attestano la valentia raggiunta dal pittore. L'accademia da lui fondata ebbe notevole importanza, perché unì all'insegnamento teorico quello pratico. Vi si studiavano i trattati più noti; vi si tenevano discussioni estetiche, in cui eccelleva Agostino; vi si studiava il nudo e vi erano raccolti gessi, disegni e stampe. Da questa scuola uscirono il Domenichino, il Reni, l'Albani, il Tiarini e altri molti.
Lodovico ebbe parte, come si disse, negli affreschi del palazzo Fava e nella decorazione del palazzo Magnani; in quello Sampieri a lui si ascrive Ercole e Giove; nel camino, Cerere in cerca di Proserpina e, in collaborazione di Agostino, Encelado fulminato. Nel 1587 gli fu commessa la Caduta di S. Paolo, ora nella Pinacoteca di Bologna, i cui pregi sono oggi offuscati dalle tinte divenute sorde e oscure; migliore per effetti di luce è il S. Raimondo di Pennafort in S. Domenico (1590); di due anni posteriore il Battista che predica alle turbe, oggi anch'esso nella Pinacoteca, dove si è voluto vedere applicato il programma eclettico della scuola per certi richiami a Paolo Veronese e a Tiziano; ma l'impronta è tutta carraccesca. Dipinse molte altre opere nell'ultimo decennio del sec. XVI. Nel chiostro di S. Michele in Bosco, detto chiostro dei Carracci, costruito da Pietro Fiorini nel 1602-o3, Lodovico affrescò alcune azioni di S. Benedetto, che erano considerate tra le più belle opere del maestro, ma oggi non ne restano che poche tracce. Terminate queste pitture, Lodovico fu chiamato dal vescovo di Piacenza per lavorare alla cattedrale (1607-08), che affrescò con storie della Vergine, in cui dimostrò il progresso fatto nella fusione degli elementi dai quali si può dire attingesse la sua maniera. Ultimo lavoro (1618), è l'affresco del lunettone della cappella maggiore in S. Pietro a Bologna, con l'Annunciazione. (V. tavv. XLIII e XLIV).
Bibl.: G. Baglione, Vite de' pitt., scult. et architetti, Roma 1642; G. B. Bellori, Vite de' pitt., scultori et architetti mod.; Roma 1872; C. C. Malvasia, Felsina pittrice, Bologna 1678; H. Tietze, Annibale Carraccis Galerie im Palazzo Farnese u. seine römische Werkstätte, in Jahrb. d. kunsth. Samml. d. Allerh. Kaiserh., XXVI (1906-07), pp. 49-182; H. Schmerber, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, VI, Lipsia 1912 (con la bibl. precedente); vedi anche G. Albini, I Carracci, Bologna 1909; L. Sighinolfi, I palazzi Fava di via Manzoni (Nozze Hercolani Fava-Sermoneta), Bologna 1912; G. Rouchès, La peinture bolonaisé à la fin du XVIe siècle. Les Carrache, Parigi 1913; A. Foratti, I Caracci nella teoria e nella pratica, Città di Castello 1913; id., La controriforma a Bologna, ed i Caracci, in Archiginnasio, IX (1914), pp. 15-28; id., Il paesaggio dei C. e della loro scuola, ibid., XVI (1921), pp. 161-70; H. Voss, Die Malerei d. Barocks in Rom, Berlino 1925. Inoltre, per Annibale C.: H. Bodmer, Die Jugendwerke d. A. C., in Zeitschr. f. bild. Kunst, LVIII (1924-25), pp. 104-13; per Lodovico C.: F. Malaguzzi, La giovinezza di L. C., in Cronache d'arte, i (1924), pp. 15-45; G. Copertini, Un bozzetto sconosciuto di L. C., ibid., I (1925), pp. 142-45; W. Friedländer, Contributo alla cronologia e all'iconografia di L. C., ibid., III (1926), pp. 133-47.