CARRARESI
Famiglia signorile di Padova, il cui dominio sulla città, sebbene di non lunga durata (1338-1404), ebbe un'importanza straordinaria per lo sviluppo delle arti figurative; sotto i C. esse raggiunsero a Padova, accanto e anzi più precocemente rispetto alle altre grandi signorie venete e padane (in particolare Mantova, Verona e Milano), un altissimo livello qualitativo e una particolare raffinatezza, mostrando allo stesso tempo singolari e precoci aperture alle problematiche più moderne, sia dal punto di vista stilistico sia nelle scelte tematiche delle decorazioni. Se la data di inizio del potere dei C. può farsi risalire al 1318, quando Giacomo fu nominato capitano e signore generale di Padova e del popolo padovano, di fatto solamente nel 1338, con Ubertino, si può parlare in Padova di una vera e propria signoria: assai in ritardo, dunque, rispetto alle altre città padano-venete.L'inizio del nuovo governo signorile coincise con un rinnovato fervore nella produzione artistica, che si colloca sulla scia della grande tradizione cittadina degli ultimi e gloriosi anni della vita del comune. Dal punto di vista architettonico avevano infatti caratterizzato l'aspetto della città il palazzo della Ragione - vastissima costruzione, coperta proprio nei primi anni del Trecento con una grandiosa volta a carena e arricchita da due lunghi doppi loggiati di respiro quasi classico - e la Basilica del Santo. Quanto alla pittura e alla scultura, i primi anni del Trecento avevano visto quali protagonisti Giotto e Giovanni Pisano, gli esponenti maggiori dell'arte 'moderna' in Italia. Si trattava dunque di una tradizione recentissima, che aveva già proposto la città di Padova come uno dei centri più moderni almeno in ambito padano-veneto e che non può non essere uno dei motivi principali dello straordinario fiorire delle arti figurative nella città retta dai Carraresi.Ubertino (1338-1345) si dedicò a opere urbanistiche e alla costruzione di una grandiosa reggia, nella parte occidentale della città: il palazzo Vecchio, caratterizzato da un edificio claustrale, attorno a un cortile porticato a due ordini, e dal palazzo di Ponente, il palazzo propriamente detto. La reggia era decorata fin dall'inizio da affreschi, come attestano documenti piuttosto precoci: nel 1347 è citata una sala Tebana e nel 1350 una sala delle Bestie. Se quest'ultima richiama nella scelta iconografica il mondo gotico 'alla francese', la scelta della storia di Tebe potrebbe invece legarsi alla relativa diffusione della Tebaide di Stazio, poema assai caro ai preumanisti padovani. Ciò dunque già indicherebbe una preferenza e una scelta precoci di gusto classicistico, che sarebbero rimaste una costante nelle arti figurative della Padova carrarese, spiegabile appunto con la tradizione preumanistica e forse ancor più con la ripetuta presenza, proprio alla corte dei C., di Petrarca. Quanto al linguaggio architettonico, ciò che resta della parte più antica della reggia carrarese, e precisamente il loggiato (oggi sede dell'Accad. patavina di Scienze Lettere ed Arti), evidenzia un'accentuata impronta classicheggiante, nell'ampio respiro dei due sovrapposti loggiati su esili colonne di marmo.Francesco I da Carrara, detto il Vecchio, certamente il personaggio più importante della dinastia, divenne signore della città nel 1350 e restò al potere fino al 1388. Furono questi gli anni più felici per Padova, che si arricchì di straordinari monumenti e di 'modernissime' decorazioni. All'inizio della sua signoria, Francesco si preoccupò di costruire grandiosi sepolcri per i due primi signori della città, Ubertino e Giacomo II (1345-1350). Le due tombe, eseguite intorno al 1350-1351 dallo scultore veneziano Andriolo de Santi nell'abside della chiesa domenicana di S. Agostino (attualmente nella chiesa degli Eremitani), costituiscono la prima testimonianza di un linguaggio celebrativo di forte significato: Andriolo infatti inserì i due sarcofagi riccamente decorati sotto due maestosi archi, a loro volta arricchiti di sculture e decorati - certamente nell'arcosolio e forse anche all'intorno, come indicherebbero le fonti - da affreschi votivi dovuti a Guariento.Francesco inoltre si preoccupò di ampliare la reggia con l'aggiunta del palazzo Nuovo: essa dunque veniva a occupare una vastissima area, compresa tra il duomo, le od. via Accademia e via dei Tadi, la chiesa di S. Nicolò e la piazza dei Signori. Il complesso era cinto di mura merlate (di cui un consistente resto è stato di recente riconosciuto), era aperto in quattro porte rivolte verso la città e all'interno si articolava, oltre che nei palazzi abitativi veri e propri, in ampi cortili.Il palazzo venne ulteriormente decorato e vi furono attivi i massimi artisti del momento, a cominciare da Guariento; in seguito si ha notizia della presenza di Altichiero, di Jacopo Avanzi e anche di un Ottaviano da Brescia non altrimenti noto.Dai documenti si ricava l'immagine di una reggia superba, decorata da affreschi, almeno in parte ispirati a temi classici: una stanza di Ercole, una stanza di Camillo, una stanza di Lucrezia; tra tutte, di estremo interesse era la sala degli Uomini illustri, con ogni probabilità ispirata al De viris illustribus di Petrarca. Purtroppo le vicende politiche e storiche della città e della reggia hanno fatto sì che del complesso del palazzo non restino che poche tracce al di sotto delle ricostruzioni e giustapposizioni dei secc. 16° e 17°; anche delle decorazioni rimangono solamente bellissimi brani di parati a finte stoffe o a motivi geometrizzanti sulle pareti dell'attuale sede dell'Accad. patavina, nonché i resti della decorazione della cappella del palazzo, opera squisita di Guariento: gli affreschi frammentari con Storie dell'Antico Testamento nell'attuale sala delle Adunanze dell'Accad. stessa e le tavole che decoravano il soffitto (Padova, Mus. Civ.), con le raffigurazioni della Madonna, di S. Matteo e delle schiere angeliche.A Francesco il Vecchio spetta anche la costruzione del castello, posto al limite sudoccidentale della città e collegato alla reggia per mezzo di un 'traghetto' e dalla cinta di mura, ampliata dallo stesso Francesco. Si trattava di un castello a chiaro scopo difensivo, arricchito tuttavia di decorazioni a fresco (oltre ai carri, emblema della famiglia, finte stoffe, con elementi vegetali e animali), di cui restano ancora oggi poche ma interessantissime tracce.Una parte non piccola nella vita artistica di Padova ebbe la consorte di Francesco, Fina Buzzacarini. Donna dotata di grande senso pratico e allo stesso tempo profondamente pia, Fina esercitò il suo mecenatismo soprattutto nei riguardi dei monasteri e dei conventi. Fece erigere la chiesa di S. Maria dei Servi, iniziata nel 1372 (terminata però solo nel 1398), e dotò la chiesa del monastero benedettino di S. Benedetto, di cui era badessa la sorella Anna. Il nome di Fina è legato soprattutto alla decorazione pittorica del battistero del duomo, che ella fece trasformare in mausoleo per sé e per il marito. Lo straordinario ciclo di affreschi che riveste interamente le pareti e la cupola del battistero e il bellissimo polittico sull'altare sono opera di Giusto de' Menabuoi, pittore fiorentino divenuto, per privilegio di Francesco il Vecchio, cittadino di Padova, dove si stabilì fino alla morte.Durante la signoria di Francesco il Vecchio intensa fu anche l'attività degli scriptoria di Padova: dagli anni cinquanta in poi vennero infatti copiati, e molto spesso arricchiti di splendide miniature, oltre a testi liturgici, anche celebri testi profani, tra i quali le opere di Petrarca. Notissima e assai importante era la biblioteca di Francesco (attualmente quasi tutta a Parigi, BN), caratterizzata da una predilezione per le opere classiche oltre che, naturalmente, per i testi petrarcheschi, tra i quali si ricordano i due famosi esemplari del De viris illustribus (Parigi, BN, lat. 6069F; lat. 6069I), con miniature attribuite ad Altichiero.Nel 1388 Padova fu conquistata da Gian Galeazzo Visconti: finiva così uno straordinario periodo di fulgore e si spegneva uno dei centri più vivi e importanti di tutta l'area padana. La riconquista del potere da parte di Francesco II Novello (1390-1404) non riuscì a risollevare le sorti della città, né a ridarle l'antico splendore: del resto lo stesso Francesco non pareva troppo interessato alle arti figurative. Egli si preoccupò piuttosto della ricostituzione della biblioteca, assai interessante perché le scelte del signore (come si ricava dall'inventario redatto nel 1404) cadevano su opere scientifiche, romanzi e opere encomiastiche e celebrative dei Carraresi. Tra i testi più importanti si ricordano l'Erbario (Londra, BL, Egert. 2020), caratterizzato da un'attenta osservazione naturalistica, e il De principibus Carrariensibus et gestis eorum liber di Vergerio, riccamente illustrato con le effigi a figura intera dei signori da Carrara (Padova, Mus. Civ., B.P.158).Perdute quasi totalmente le decorazioni della reggia e le altre opere dovute alla committenza dei signori della città, lo splendore della Padova carrarese è intuibile ancora oggi attraverso le numerose opere d'arte superstiti nelle più importanti chiese cittadine - monumenti funebri e cappelle decorate da affreschi - dovute alla committenza delle famiglie più ricche e nobili e dei personaggi più illustri della Padova trecentesca, legati tutti ai signori della città, quasi rivaleggiando con questi ultimi nella scelta dei maggiori artisti del tempo.Nell'abside della chiesa degli Eremitani gli affreschi di Guariento sono verosimilmente da attribuirsi alla committenza della famiglia dei Curtarolo, potenti familiari di Francesco il Vecchio. Ancora agli Eremitani fu sepolto, nel 1370, in una cappella decorata da Giusto de' Menabuoi, Tebaldo Cortellieri, anch'egli familiare di Francesco. A Giusto de' Menabuoi e ad Andriolo de Santi Enrico Spisser, soldato tedesco che militò al soldo di Francesco, commissionò la decorazione della propria sepoltura, sempre nella stessa chiesa.Nella Basilica del Santo, i fratelli Manfredino - l'esecutore testamentario di Fina - e Naimerio Conti, legatissimi ai C., fecero decorare da Giusto de' Menabuoi, tra il 1380 e il 1382, la cappella dedicata al beato Luca Belludi.I monumenti più prestigiosi del periodo sono forse le due cappelle della Basilica del Santo, quella di S. Giacomo all'interno e quella di S. Giorgio sul sagrato, fatte erigere e decorare da due membri di una delle più ricche famiglie dell'ambito carrarese, i Lupi di Soragna. La prima fu fatta costruire da Bonifacio, che era stato anche ambasciatore di Francesco il Vecchio presso il re Luigi il Grande di Ungheria; è ornata di sculture e di marmi di pregio e si deve ad Andriolo de Santi, mentre la decorazione pittorica è opera di Jacopo Avanzi e di Altichiero, gli stessi artisti che verosimilmente qualche anno prima avevano lavorato nella reggia. Sul sagrato, Rolandino Lupi fece erigere una grande cappella, affrescata anch'essa da Altichiero e contenente un grandioso sepolcro al centro del vano, ornato, in maniera del tutto originale, da dieci statue raffiguranti i membri della famiglia Lupi.Sotto la signoria di Francesco Novello minore fu l'impegno nell'edificazione e decorazione di edifici civili e religiosi. Tuttavia, proprio negli ultimissimi anni del Trecento furono portate a termine alcune opere che testimoniano ancora la grandezza e la vitalità della tradizione pittorica padovana: il ciclo di affreschi eseguiti da Jacopo da Verona nella chiesa di S. Michele e quello, purtroppo perduto durante l'ultima guerra, attribuito alla tarda attività di Giusto, della cappella di S. Lodovico in S. Benedetto.
Bibl.:
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