CARRE (Carrae e Carrhae; Κάρραι; arabo Ḥarrān)
Città della Mesopotamia, nel distretto dell'Osroene. L'origine del nome è incerta, come assai remota è certamente la sua fondazione.
Divenuta parte del regno dei Seleucidi di Siria dopo la conquista macedone, fu poi da Mitridate I, circa la metà del sec. II a. C., incorporata al regno dei Parti. Nel 64 a. C., i suoi abitanti prestarono valido aiuto al legato di Pompeo, L. Afranio, che, occupata la Gordiene, s'era avanzato nella Mesopotamia, ed era stato colto da gravi difficoltà per il freddo e per la scarsezza di viveri (Cass., Dio., XXXVII, 5, 5). Nel 53 il nome di Carre è associato alla dolorosa disfatta di Crasso (v. sotto). Nessuna notizia abbiamo più della città fino alla seconda metà del secondo secolo d. C., quando, a causa delle campagne imperiali contro i Parti, l'importanza della città come base di operazione si accresce.
Da Marco Aurelio comincia l'attività della zecca locale, che si prolunga poi fino a Gordiano III. Le monete di bronzo, con figure allusíve al culto della divinità lunare del luogo, recano il nome della città in greco, e sotto Caracalla anche in latino, seguito dagli epiteti di μητρόπολις Μεσοποταμίας, di Aurelia, di Lucia, di Colonia Metropolis Antoniniana Aurelia Alexandriana (sotto Caracalla), mentre agli abitanti è attribuito l'appellativo onorifico di ϕιλορωμαῖοι. Da quale imperatore la città ricevesse il diritto di colonia è incerto. Particolare attività ebbe la zecca durante la campagna orientale di Caracalla, che proprio vicino a Carre, mentre si recava a visitare il tempio della dea protettrice, fu a tradimento ucciso (217).
Il malcerto dominio della Mesopotamia, passata ripetutamente nei decennî successivi dai Romani ai Sassanidi di Persia e viceversa, si riflette nel destino della città.
Nel 296 una seconda volta un esercito romano, condotto da Galerio, è sconfitto dai barbari, i Persiani di Narsete, nelle vicinanze di Carre. Le continue guerre e le fiere discordie fra pagani e cristiani, che avevano fatto di Carre una sede episcopale, accelerano la decadenza di essa; grande venerazione serba tuttavia fra i gentili il suo tempio: Giuliano, nella spedizione contro i Persiani (363 d. C.), lo visita e in esso, stando alla narrazione di Ammiano (XXIII, 3, 2), investe dell'impero Procopio, nel caso che la campagna abbia a sortire, come infatti sortì, esito infausto.
Disputata ancora fra Persiani e imperatori di Bisanzio per tutto il sec. VI, Carre cadde nelle mani degli Arabi circa la metà del sec. VII (per la storia e l'importanza culturale della città nella civiltà musulmana, e per il suo culto astrolatrico, v. ḥarrān).
Bibl.: Weissbach, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., X, col. 2009 segg.; per le monete: G. F. Hill, Greek coins in the Brit. Museum: Arabia, Mesopotamia, Persia, Londra 1922, p. lxxxvii segg.
La battaglia di Carre. - Dopo la prima e assai fortunata campagna partica dell'anno 54 nell'alta Mesopotamia e dopo avere svernato in Siria, M. Licinio Crasso, postosi in marcia alla fine di aprile del 53 venne a contatto con le avanguardie dei Parti il 9 giugno (6 maggio del calendario Giuliano), a 30 km. circa a sud di Carre. L'esercito di Crasso era composto in totale di circa 40.000 uomini di cui 4000 cavalieri. Lo comandavano, a lato a Crasso, il figlio di lui Publio, il proquestore C. Cassio, i legati Vargunteio e Ottavio, il tribuno militare Petronio. A capo dei Parti stava il Surena (il primo dignitario della corte degli Arsacidi), che disponeva esclusivamente di 50.000 cavalieri.
Crasso, che marciava ora con la fronte a sud, lungo il Balissos in direzione di Nicaphorium, aveva spiegato, dopo qualche incertezza, il suo esercito a battaglia in formazione di un rettangolo (o, secondo altri, di un quadrato: v: Plut., Crass. 23). Dopo un attacco della loro cavalleria pesante, ributtato dai legionarî, i Parti si rivolsero alla loro tattica favorita, spiegandosi ad accerchiare l'ala destra romana; e, mentre infliggevano al nemico dolorose perdite, col preciso e inesorabile saettar delle frecce ne evitavano ogni contrattacco, ritirandosi rapidamente dinnanzi a esso. Tosto Crasso, per stornare la minaccia di accerchiamento e rialzare il morale dei soldati, lanciò a una decisa offensiva l'ala destra, al comando di Publio (8 coorti con mille cavalieri celti e altre forze di cavalleria e di arcieri: in complesso, quasi 6000 uomini). Ma i Parti trassero il contingente di Publio lontano dal grosso: indi lo contrattaccarono, lo circondarono e lo distrussero. E ora i Parti ritornarono alle offese, trovando i Romani demoralizzati e nell'assoluta impossibilità di difendersi dall'aggiramento: i legionarî mantennero tuttavia intatto il loro schieramento, forzatamente inerti sotto il grandinare dei dardi nemici. Finalmente, sopraggiunta la notte, i Parti sospesero la baitaglia e andarono a porre il campo a gran distanza da quello nemico, preoccupati dall'eventualità di un ritorno offensivo notturno dei Romani. Naturalmente questi approfittarono della tregua per evacuare in silenzio il campo di battaglia (lasciando sul terreno, oltre i morti, circa 4000 fra feriti e dispersi) e per ritirarsi al sicuro dentro le mura di Carre.
La vittoria dei Parti a Carre fu dovuta, dunque, non tanto alla celebrata tattica degli arcieri montati quanto, realmente, alla loro schiacciante superiorità di forze di cavalleria e ai vantaggi ad essi offerti dalle condizioni del terreno e del clima, sfavorevolissime invece alle armi e alla tattica romana. Né fu del resto piena vittoria; ché l'esercito di Crasso si trovava ancora, la mattina dopo la battaglia, in Carre, sostanzialmente salvo, per quanto poco dopo non tardasse a sfasciarsi completamente. (v. crasso).
Bibl.: Le migliori relazioni della battaglia sono in Plutarco (Crass., 19 segg.) e in Cassio Dione (XL, 17 segg.). Delle opere moderne, v.: Th. Mommsen, Storia romana, VII, cap. 9; K. Regling, Crassus, Partherkrieg, in Klio, VII (1907), pp. 357-394; Gelzer, in Pauly-Wissowa, Real-Encyclop., XIII, (1926), p. 323 segg.; H. Delbrück, Geschichte der Kriegskunst, I, 3ª ed., Berlino 1920 p. 475 segg. Per la topografia v. Weissbach, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., X, ii, col. 2009; K. Regling, in Klio, I (1901), p. 443 segg.