CARRILLO DE ALBORNOZ, Alfonso
Apparteneva ad una delle più nobili e rinomate famiglie della Castiglia, imparentata con i Trastamare.
Il padre, Gómez Carrillo de Cuenca, signore di Ocentejo e Paredes, ricopriva gli uffici di "Alcalde Entregador de la Mesta" (supremo giudice e protettore della organizzazione dei proprietari di greggi di pecore) e di "Alcalde Mayor de los Hidalgos" (supremo giudice dei nobili) ed era aio dell'infante e più tardi re di Castiglia Giovanni II. Aveva sposato nel 1382 Urraca Gómez de Albornoz, nipote del cardinale Gil de Albornoz e signora di Portilla che gli dette tre figli. In virtù di questo matrimonio si era imparentato anche con la famiglia dei Luna, alla quale appartenevano Pedro de Luna, l'antipapa Benedetto XIII e il potente connestabile di Castiglia Alvaro de Luna.
A questa parentela il giovane Alfonso, nato secondogenito intorno al 1384 probabilmente a Cuenca o nella provincia, dove si era allora trasferita la famiglia originaria di Burgos (Nuova Castiglia), dovette la sua rapida carriera ecclesiastica.
Fu investito in giovane età di un canonicato nella cattedrale di Cuenca di cui sarebbe diventato più tardi arcidiacono. In seguito ricevette l'arcidiaconato di Alcáraz nel capitolo di Toledo, l'abbazia di Alfaro e numerosi altri benefici che gli garantirono per tutta la vita entrate cospicue del valore di 22.000 fiorini d'oro "sin otras algunas rentas que allá tenia", se si vuol dar credito alle affermazioni dei contemporanei (cfr. Crónica de Don Juan, p.391).
Le reiterate preghiere del reggente di Castiglia don Fernando (più tardi re Ferdinando I d'Aragona) indussero Benedetto XIII a conferirgli il cappello cardinalizio con il titolo diaconale di S. Eustachio, il 22 settembre 1408, quando a Perpignano procedette per la quinta volta alla nomina di cardinali. Martin de Alpartils (p. 169) lo qualifica, come "cubicularius pape". Non sappiamo tuttavia se egli fosse allora in possesso degli ordini maggion né se li abbia ricevuti mai. Per incrementare le sue entrate e garantirgli un tenore di vita conforme alla sua dignità l'antipapa gli concesse, il 26 nov. 1408, l'amministrazione "in spiritualibus et temporalibus" della diocesi di Osma dopo aver revocato il mandato conferito in precedenza al decano di Burgos. Il possesso di Osma gli fu tuttavia contestato dal cardinale Pedro Fernández de Frias distaccatosi da Benedetto XIII, il quale il 1ºfebbr. 1410 fu addirittura confermato nella sua dignità vescovile dal papa eletto nel concilio di Pisa, Alessandro V (cfr. Eubel, I, p. 383). Ma visto che la Castiglia ubbidiva allora ancora a Benedetto XIII, il C. poté effettivamente amministrare la diocesi e riceverne le entrate. Benché di solito presente alla corte dell'antipapa, si occupò sempre delle questioni della sua diocesi.
Al seguito del suo papa nel settembre del 1414 partecipò all'incontro di Benedetto con Ferdinando I d'Aragona a Morella. Insieme con i cardinali di Montaragon, Urries e Fonseca continuò a rimanerefedele a Benedetto XIII e negò il suo consenso al progetto dei cardinali riuniti a Costanza di deporre l'ostinato vegliardo, rifiutando di partecipare al concilio che doveva eleggere un unico papa. Nelle trattative con l'assemblea conciliare il camerlengo del C., Diego Martinez, arcidiacono di Cuenca, svolgeva le funzioni di messaggero. Alla fine il C., il Fonseca e l'Urries acconsentirono a mandare i loro procuratori a Costanza (8 febbr. 1417), ma solo tra la fine del 1417 e l'inizio del 1418 abbandonarono definitivamente il loro papa e passarono dalla parte di Martino V eletto poco tempo prima. In conseguenza Benedetto XIII il 5 genn. 1418 inflisse loro la pena d'infamia e li ridusse il 3 marzo 1418 allo stato laicale, privandoli di tutte le loro cariche e dignità ecclesiastiche. Ma in quel momento il C. e i suoi confratelli si erano già messi in viaggio per incontrarsi in Italia con MartinoV, il quale il 1º ag. 1418 li confermò nelle loro dignità.
Passando da Bologna arrivarono il 17 marzo 1419 a Firenze, allora sede della Curia, dove furono accolti con tutti gli onori. Dopo aver giurato pubblicamente ubbidienza a Martino V, fu concesso anche al loro seguito alloggio e sostentamento, e al C. stesso una pensione mensile. Il rotulo delle suppliche del 28 marzo 1419 confermato dal papa ricorda tra la "familia d. card. S. Eustachii" quattro personalità che erano state funzionari di Curia di Benedetto XIII, tra i quali il magister Miguel Molsos, auditore del Sacro Palazzo e il magister Juan Consolo, tutti e due ora alle dipendenze del Carrillo. Il 18 giugno 1419 furono confermati ai "cardinales de Ispania" tutti i benefici in loro possesso, ma visto che il cardinale diacono di S. Eustachio nominato da Giovanni XXIII, Iacopo Isolani, deteneva ancora questo titolo, il C. fu spesso chiamato "cardinalis S. Eustachii iunior" finché all'Isolani fu conferito il titolo di S. Maria Nuova.
Martino V, che desiderava conquistarsi l'influente spagnolo, lo nominò il 19 ag. 1420 vicario generale di Bologna, dell'Esarcato di Ravenna e della Romagna conferendogli ampi poteri. Doveva proseguire l'opera svolta dal cardinal Condulmer, nominato legato nella Marca d'Ancona, tesa a consolidare il dominio pontificio in queste province. Già il 25 agosto Pietro di Mattiolo poté registrare il suo ingresso nella città, dove fu accolto a nome degli Anziani e del popolo da Niccolò Aldrovandi: "Era questo signore per ditto d'ogn'omo richissimo e de gram possanza e dixease publicamente ch'el fo nevode de misser Gillio cardenale de Spagna [cioè dell'Albornoz]" (p. 313). Matteo di Pietro Ubaldo da Perugia assunse la carica di podestà, mentre castellano era il giovane Giovanni Vitelleschi. I suoi tentativi di mediazione tra Antonio Bentivoglio esiliato a Castel Bolognese e i Canetoli da lui richiamati in città lo coinvolsero immediatamente nei contrasti di parte e lo costrinsero a ricorrere a misure punitive, le quali, insieme alla nomina di Ugolino Migliorati di Città di Castello a esecutore di giustizia, gli procurarono la fama di esercitare il suo governo con durezza. In sede di politica estera sorse un conflitto con Firenze: dopo la mancata conclusione di un'alleanza reciproca, diretta tra l'altro contro Braccio da Montone sostenuto dai Fiorentini, il legato strinse un accordo con Filippo Maria Visconti "ad defensionem statuum utriusque partis" reso pubblico il 25 febbraio 1422, suscitando le ire della Repubblica che era stata ingannata con le promesse. Su pressione dei Fiorentini Martino V, che non poteva approvare pubblicamente questo doppio gioco eseguito sicuramente con la sua connivenza, dovette richiamare il Carrillo.
Si trovò una scusa nella circostanza che in quel momento infieriva la peste che aveva gravemente colpito due suoi nipoti e ucciso il suo camerlengo, inducendo il C. stesso a rifugiarsi prima a Castel San Pietro e poi a San Michele in Bosco. L'amministrazione di Bologna fu esercitata in sua vece dal vescovo Iacopo de Camplo di Spoleto e dall'arcidiacono di Cuenca Diego Martinez, suo fidato collaboratore finché il cardinale Condulmer il 16 ag. 1422 assunse la carica di legato e il C. "qui erat valentissimus et nobilissimus dominus" (Matthaei de Griffonibus Memoriale, p.107) abbandonò la città. Nonostante che il Visconti avesse varie volte cercato di ottenere la riammissione del C. nella vecchia carica, gli fu tuttavia preferito, il 25 maggio 1424. il cardinale francese Ludovico Aleman, politicamente neutrale. Ma il papa lo indennizzò conferendogli, il 13 sett. 1422, l'amministrazione. a vita del ricco vescovato di Sigüenza dopo che egli aveva rinunciato a quello di Osma.
Poco dopo, il 23 ag. 1423, lasciò Castel San Pietro munito di un salvacondotto fiorentino e si recò a Siena per partecipare al concilio. Ivi gli fu assegnata come alloggio la casa del magister grammaticae Maffia. Più tardi, quando si attendeva l'arrivo del papa, gli fu riservata la casa di Angelo de' Latrunci. Insieme con i cardinali da Sommariva e Correr partecipò alle sedute del concilio, dando anche il placet, anome delle nazioni, alle delibere prese, ma consigliò di concludere presto i lavori dato che l'assemblea conciliare era poco frequentata. Egli stesso lasciò la città all'inizio del febbraio 1424 e giunse a Roma il 22 dello stesso mese. Continuò tuttavia a mantenere i contatti col concilio, contatti abbastanza frequenti, visto che era stata concordata una cifra apposita per lo scambio delle notizie. Il 16 marzo 1424 Martino V gli conferì anche il titolo dei SS. Quattro Coronati "ad presens cardinali carente" (Arch. Segr. Vat., Reg. Vat.355, f. 5rv), e il C. si acquistò merito per la restaurazione di questa chiesa, come testimonia una iscrizione per molto tempo interpretata erroneamente (Forcella, VIII, p. 290 n. 720). Nel marzo del 1424 esercitò anche le funzioni di camerlengo del Collegio cardinalizio.
Anche dopo la fine del concilio di Siena continuò ad occuparsi, insieme con i cardinali di Foix, Correr, Orsini e Adimari, della riforma della Chiesa e della Curia. Frutto di questi lavori sono probabilmente gli Advisamenta, che sollecitano soprattutto una riorganizzazione delle entrate provenienti dal Patrimonio di S. Pietro e vogliono assicurare ai cardinali entrate conformi al loro rango (Concilium Basiliense, I, pp.163-83);essi costituivano il punto di partenza di ulteriori trattative condotte più tardi a Basilea. Nello stesso senso il C. collaborò anche alla compilazione di alcune disposizioni relative alla residenza dei vescovi che furono discusse alla vigilia di quello stesso concilio (1430).
Per la maggior parte del tempo il C. risiedette a Roma, dove teneva corte "cum magno statu", come riferisce Enea Silvio Piccolomini (De viris illustribus, p.34). Era molto apprezzato da Martino V e tra l'altro uno degli avversari più accaniti dell'Ordine teutonico; era infatti molto amico del cardinale Branda da Castiglione protettore della Polonia, ed egli stesso era protettore dell'arcidiocesi di Riga che si trovava in contrasto con l'Ordine. Il 14 maggio 1425 diventò, succedendo al vescovo di Oesel Christian Kuband, abate commendatario del monastero premostratense dei SS. Bonifacio ed Alessio allo Aventino. Nel 1426 gli furono conferiti gli arcidiaconati di Briviesca e di Valpuesta tenuti in precedenza dal cardinale Fonseca, che conservò fino alla morte. Dopo la rinuncia del cardinale Fillastre (17 marzo 1428) diventò anche arciprete di S. Giovanni in Laterano. Inoltre esercitò le funzioni di protettore dei giovanniti, dei cisterciensi e dei carmelitani; in quest'ultima dignità successe al decano del Sacro Collegio Jean de Brogny, morto il 16 febbr. 1426.
Dopo la morte di Martino V (20 febbr. 1431) partecipò al conclave svoltosi nella chiesa di S. Maria sopra Minerva, dove si adoperò decisamente per l'ammissione del cardinale Domenico Capranica nominato dal papa defunto ma non ancora ufficialmente ammesso nel collegio cardinalizio. Insieme con i cardinali Prospero Colonna, Correr e Cervantes formò la opposizione contro la maggioranza guidata dal cardinale Orsini. Secondo la testimonianza di un contemporaneo poté ottenere, come candidato ufficiale di Milano e di Siena, sei voti a suo favore come l'Orsini favorito da Firenze e da Venezia (cfr. König, Kard. Orsini, p. 52 n. 3). Così si giunse all'elezione del cardinale Condulmer (Eugenio IV), da tempo ben noto al Carrillo.
Anche i rapporti con il nuovo papa furono inizialmente abbastanza buoni, come dimostra la nomina del C. a legato in Castiglia e León (13 giugno 1431), con il compito preminente di promuovere la crociata per la conquista del regno moresco di Granada. Durante il viaggio dovette fermarsi anche ad Avignone per tentare di comporre il conflitto insorto tra la città e i funzionari francesi per le dogane del Rodano. Riuscì a risolvere la controversia il 10 nov. 1431.Ad Avignone prese alloggio nella "Livrée de Saluces", cioè nelle case una volta in possesso del cardinale di Saluzzo. Il 5 genn. 432 Eugenio IV raccomandò ancora il suo legato agli Avignonesi come "vir magne circumspectionis et prudentie". Ma quando questi ultimi mandarono al papa una ambasceria per chiedere che il C. succedesse al governatore della città morto alla fine del 1431, sorsero contrasti perché Eugenio IV aveva destinato a quest'ufficio suo nipote. Marco Condulmer, vescovo di Avignone (21 genn. 1432). Gli Avignonesi non erano però disposti ad ubbidire a questo forestiero e si rivolsero al concilio generale da poco riunitosi a Basilea. Dopo che il patriarca di Antiochia Jean Mauroux il 7 giugno aveva caldamente raccomandato il C., il concilio lo nominò, con decreto del 20 giugno 1432, "vicarius generalis in spiritualibus et temporalibus", perché non si voleva limitare troppo il potere decisionale del pontefice. Il nuovo eletto fu appoggiato attivamente dal re di Francia, Carlo VII, che intervenne in suo favore anche presso il papa, ma senza successo. Quando Eugenio IV si rese conto che la posizione del nipote era divenuta insostenibile, nominò legato, con bolla retrodatata al 25 maggio 1432 (Reg. Vat. 370, f. 110v), il cardinale di Foix, molto ben visto nella Francia meridionale, provocando però in tal modo un conflitto armato tra i conti di Foix e quelli di Armagnac loro antichi avversari.
Il C. stesso alla fine di gennaio del 1433 nominò suo luogotenente ad Avignone l'arcivescovo di Auch, Philippe de Levis, una creatura degli Armagnac, e si recò a Basilea, dove arrivò il 5 febbraio e fu incorporato nel concilio, insieme con cinque suoi familiari, il 9 dello stesso mese. A Basilea prese parte attiva ai lavori del concilio qualificandosi presto come uno dei suoi esponenti più eminenti; Milano infatti, nel caso che si fosse giunti alla deposizione di Eugenio IV, pensava già di prendere nuovamente in considerazione la sua candidatura (cfr. la relazione dell'agente senese dell'8 sett. 1433 in Deutsche Reichstagsakten, XI, p. 27 n. 1). Il C. stesso invece avrebbe probabilmente dato il suo voto al pio cardinale certosino Albergati che designò, insieme al cardinale Cervantes e al monaco olivetano Benedetto da Candamo, suo esecutore testamentario. Tuttavia cercò fino all'ultimo di evitare la rottura con Eugenio IV. Già il 31 genn. 1433 il papa aveva invitato il re di Castiglia a proporgli candidati adatti per i benefici goduti dal C., comunicandogli la sua intenzione di deporlo in considerazione della sua condotta nella Francia meridionale, giudicata dannosa per la Chiesa. A quanto pare Eugenio IV cambiò però opinione nel corso dell'anno: in una lettera indirizzata il 14 ott. 1433 al doge di Venezia, accenna infatti alla clemenza usata nei confronti del Carrillo. In effetti il cardinale rimase in possesso dei suoi numerosi benefici fino alla morte.
Nonostante che Eugenio IV avesse varie volte sollecitato Giovanni II di Castiglia a non mandare suoi rappresentanti al concilio di Basilea, questi nominò - probabilmente nell'autunno del 1433 - suo rappresentante ufficiale il C., il quale già al tempo di Martino V si era così vivamente interessato delle faccende del regno da essere qualificato come "status et honoris tui [sc. regis] ferventissimus zelator" (Reg. Vat. 359, f. 54r), Già il 4 nov. 1433 il cardinale poté accogliere nella città del concilio i primi inviati castigliani. Ma non poté fare molto di più. La morte lo colse non molto tempo dopo, nella notte del 14 marzo 1434 a Basilea, dopo una febbre durata dodici giorni, all'età di cinquant'anni.
Andrea Gatari, che lo descrive come uno dei cardinali più ricchi e ci informa sulle sue numerose beneficenze, riferisce che il suo corpo "fu averto e tiratoli l'interiori, et quili funo sepelidi alla certoxa" (la certosa di Klein-Basel, cfr. Conc. Bas., V, p.396) la sera stessa del giorno della morte. Le esequie furono celebrate alla presenza di numerosi cardinali e prelati nella stessa certosa. Ai piedi del defunto, erano stati deposti due cappelli rossi, probabilmente un'allusione alla circostanza che gli era stato conferito due volte il cardinalato: da Benedetto XIII e da Martino V. Dopo la cerimonia il corpo fu rinchiuso "in una cassa" e portato dai familiari del defunto in Spagna, dove fu sepolto nella cattedrale del suo vescovato di Sigüenza. Ivi un sontuoso monumento in marmo di stile italiano, fatto erigere dal nipote e successore del C., Alfonso Carrillo de Acuna, figlio della sorella Teresa sua erede, ricorda una personalità celebrata dal diario ufficiale del concilio come "piissimus erga pauperes et pre ceteris cardinalibus maxime commendatus, quia fertur nunquam ipsum fuisse depravatum aliqua symonie labe" (Concilium Bas., V, p. 84).Giovanni II ordinò, alla notizia della sua morte, il lutto della corte per l'uomo che "era muy grande ombre en la Iglesia de Dios, e grant letrado, a mantenía que tres o quatro cardenales" (Refundición, p.149).
Poco è noto ancora degli interessi letterari del Carrillo. L'umanista Giovanni Tinti da Fabriano gli dedicò il suo trattato De institutione regiminis dignitatum (cfr. Bibl. Apost. Vat., Urbin. lat.1192, ff.1-2, e Siena, Bibl. comunale, G VII 44, ff.22v-23v), il domenicano francese Jean Dupuy il suo scritto sulla deposizione di papi De potestate summi pontificis et concilii generalis (cfr. Basilea, Universitätsbibliothek, cod. A V 13, ff. 227v-240v). Il cod. Vat. lat. 1131 contenente il De planctu Ecclesie di Alvarez Pelayos, acquistato, secondo un'annotazione di mano del C., nel 1432ad Avignone, proviene dalla sua biblioteca personale e gli servì da strumento di lavoro come dimostrano le numerose glosse ivi apposte (cfr. A. Pelzer, Codices Vaticani latini, II, 1, Città del Vaticano 1931, p. 772).è ancora inedita una Epistola… de condolenda quinymmo de congaudenda morte r.p.d. Alfonsi cardinalis S. Eustachii dignissimi indirizzata dall'abate Giovanni di Acquafredda (dell'Ordine cisterciense, prov. di Brescia) al vescovo Bartolomeo Visconti da Novara (edizione in preparazione).
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