CARRO e CARROZZA (dal lat. carrus; fr. char; sp. carro; ted. Wagen; ingl. car
fr. voiture; sp. coche; ted. Kutsche, Broschke; ingl. carriage). - Carro è qualsiasi. veicolo composto essenzialmente di un piano destinato a sostenere un carico e di ruote che ne permettono la trazione con un attrito minimo. Sono stati ritenuti antenati del carro il cilindro e la slitta; ma il cilindro (un tronco d'albero rotolato) non può essere antenato che delle sole ruote, e la slitta del solo piano: ipotesi, tuttavia, artificiali.
Il grande fatto etnologico relativo alla ruota e al carro è che, mentre l'una e l'altro erano noti a tutto il mondo antico, erano invece totalmente ignorati nel continente nuovo all'arrivo degli Spagnoli, sia dalle tribù primitive, sia dai popoli civili delle Ande e del Messico. Tale fatto è la dimostrazione migliore che condizioni identiche non presentano necessariamente prodotti simili.
La ruota e il carro sono dunque un prodotto del mondo antico. Secondo una scuola etnologica contemporanea, la loro scoperta dovrebbe essere attribuita al ciclo culturale pastorale. Nell'Asia anteriore il carro era noto alla fine del quarto millennio a. C. In origine, le ruote erano piene e formavano un tutto rigido con l'asse. Ruote di questo tipo si trovano ancor oggi nell'Asia centrale, nell'India e anche nell'Europa meridionale (figg. 1 e 2).
Fu probabilmente con l'introduzione dei metalli che la ruota piena venne sostituita da quella a raggi. D'altra parte l'invenzione di questa dev'essere posteriore alla scissione della famiglia linguistica indo-europea primitiva, poiché i termini di "raggio" e di "quarto" sono, nelle diverse lingue indo-europee, diversi. I raggi furono probabilmente trovati almeno in due centri corrispondenti alle due possibili modalità della loro disposizione nella ruota. In genere essi sono disposti radialmente; a volte, invece, come presso i Baschi, sono fissati in croce (figg. 3 e 4). La tecnica moderna ritorna spesso ancora all'uso della ruota a raggi incrociati; così pure, si adoperano per le ferrovie anche le ruote fisse all'asse come quelle primitive.
Il carro è divenuto talvolta un oggetto di culto, venendo la ruota posta in relazione col sole. Nell'India meridionale esistono templi di pietra sorretti da immensi carri scolpiti, pure di pietra.
Bibl.: E. B. Taylor, On the origin of plough and wheel-carriage, in Journ. of the Anthrop. Inst., X (1881); G. Forestier, La roue. Étude paléo-technol., Parigi e Nancy 1900; Lefebvre des Noettes, La force motrice animale à travers les âges, Parigi 1924; Reallexicon der Vorgesch., XIV, Berlino 1929, s. v.
Antichità. - Nel mondo antico, greco e orientale, il carro (plaustrum; carrus, currus, carruca, carpentum, pilentum, cisium, essedum, tensa; ἅρμα, ἁρμάξα, ἀπήνη) appare usato principalmente come strumento di guerra (v. oltre). Del resto si hanno prove per affermare che il veicolo a ruote è molto antico anche in Italia. In stazioni dell'età del bronzo dell'Italia settentrionale (Lombardia ed Emilia) si sono rinvenute ruote e parti di ruote lignee di forme e dimensioni svariate, sufficienti per attestare l'uso di carri di tipo rustico almeno, fino da età remotissima. Un progresso notevole nella costruzione di carri in genere si riscontra in Etruria durante il periodo orientalizzante (750-600 a. C.), specie in base alla scoperta di ruote di carro lignee, con applicazioni decorative in bronzo, rinvenute nella necropoli di Marsiliana d'Albegna.
L'evoluzione e diffusione del carro procedono di pari passo con l'intensificarsi di certe attività umane come le industrie specialmente agricole, il commercio, la guerra. Ciascuno di questi rami di attività fa del veicolo a ruote uno strumento essenziale per i quotidiani bisogni della vita civile, e ne rende sempre più esteso lo sviluppo e sempre più variate le forme e le dimensioni. Tale sviluppo procede parallelo con la pratica degli animali da tiro, e viene più o meno incoraggiato dalla configurazione del suolo, secondo che si tratti di regioni pianeggianti o montagnose.
Anche nella vita domestica, il carro fu conosciuto fin dai tempi omerici dai Greci, che ne avevano appreso l'uso dagli orientali. Ma se si prescinde dal carro da corsa, il quale è in fondo tutt'uno col carro da guerra, tale utensile non sembra aver avuto nel mondo greco una grande importanza. Mentre il carro (ἅρμα) tipico degli eroi greci è a sole due ruote, i sinonimi ἁρμάμαξα e απήνη indicano due varietà di carri a quattro ruote: vettura principalmente da viaggio usata dai Persiani il primo, carro più pesante, per semplice trasporto di bagagli, il secondo. I monumenti figurati greci fanno conoscere carri a quattro ruote sicuramente usati nelle processioni religiose.
Il bisogno di veicoli più pratici e maneggevoli è istintivamente sentito in maggior misura presso popolazioni nomadi che non presso popolazioni a sedi fisse. E non è forse a caso che il nome carrus o carrum e derivati, sia, come sembra, di origine celtica (Caes., De bell. gall., I, 3, 25, 51, ecc.). Gli stessi Romani pare abbiano preso effettiva familiarità con questo mezzo di locomozione a partire dai primi prolungati contatti con le popolazioni transalpine, quando l'uso dei classici carri da guerra era ormai caduto quasi dappertutto in disuso.
Variano le forme e le denominazioni dei carri non solo da un popolo all'altro, ma anche da un luogo all'altro e da un'età all'altra. Il più semplice tipo di carro è lo stesso carro da guerra, usato dapprima in Oriente e in Grecia, e di là passato in Etruria: due ruote riunite da un asse, sul quale è bilanciato il cassone aperto di dietro e da cui si diparte il timone con giogo per il doppio attacco. Codesto tipo di carro è conosciuto anche nel mondo romano, ma si fa qui sempre meno comune, restando limitato alle parate trionfali e alle gare di corsa nei circhi. A seconda dei diversi tipi di carro e della diversa destinazione, vige nello stesso mondo romano una serie di denominazioni svariate, il cui preciso significato non è sempre dato di cogliere con evidenza.
Un tipo di carro assolutamente primitivo e originario dell'Italia è il plaustrum: pesante strumento agricolo da trasporto, con capace cassone e ruote lignee massicce (tympana) senza raggi, o con traverse al posto dei raggi. A quello stesso prototipo è pur da far risalire il pesante carro moderno destinato ad essere trainato da buoi, che si trova in uso dovunque nelle nostre campagne. Molto interessante e istruttivo un modellino in bronzo, rinvenuto a Bagnoregio (presso Bolsena) e che può attribuirsi forse al sec. IV a. C. (fig. 5). Le ruote piene, rinforzate da verghe arcuate, s'innestano a un asse cilindrico, al quale sono assicurate per mezzo di spina metallica e di legatore. Sul piano del carro sporge un'intelaiatura di legni incrociati, da servire come letto e come mezzo di abbrancatura del carico.
Alquanto più evoluto e più leggiero è il tipo di veicolo che prende propriamente il nome di carrus, e che, usato da Etruschi e da Piceni e forse più largamente da popolazioni celtiche e barbariche in genere, venne adottato dai Romani ancora in piena età repubblicana. Le ruote lignee sono qui a raggiera (a quattro od otto raggi) intorno al mozzo (rotae radiatae). Per tenere uniti i varî segmenti della ruota dovette quindi essere adottato il cerchione di ferro, forato e attraversato da chiodi. Cerchi di ferro e mozzi di ruote in ferro, con una fitta corona di chiodi, si sono rinvenuti più volte in tombe etrusche, picene e galliche. Quando il carro doveva servire per il trasporto di provviste, nonché a volte per quello della stessa famiglia e della suppellettile casalinga, allora il cassone del carro dovette preferirsi chiuso, di superficie abbastanza ampia e a sponde abbastanza alte, per aumentarne la capacità. Da ciò deriva l'adozione di carri a quattro ruote, apparentemente sconosciuti nel mondo orientale e nel mondo greco, comunemente usati presso i Romani, forse appunto in seguito ai contatti con le popolazioni dell'Europa centrale. Tali carri sono frequentemente rappresentati nei rilievi relativi alle campagne daciche e germaniche, nella Colonna Traiana (fig. 6; e v. Lehmann-Hartleben, Die Traianssäule, tavv. 21, 23, 50) e in quella Antonina. I carri, a quattro ruote, dell'esercito romano sono tirati da coppie di muli, di cavalli, di buoi. Essi vengono addetti al trasporto di impedimenta, o bagagli non escluse, come appare nella Colonna Traiana, le macchine da guerra (ballistæ, catapultae), da piazzare sul terreno fuori del carro o insieme con questo, per il lancio di grossi proiettili. Erano quindi veri e proprî treni per trasporto di materiale da campagna e d'assedio. Carri del tipo più semplice, a due ruote, ma a doppio tiro, compaiono anche nel fregio dell'Arco di Settimio Severo in Roma. Per materiali ingombranti sono pure in uso nel mondo romano ampî carri piatti, senza sponde, a una o due coppie di ruote.
Insieme con il veicolo per grossi carichi deve essersi sviluppato un tipo più leggiero (vehiculum), adibito al trasporto di passeggeri e pei viaggi a lungo percorso. A tal fine viene dapprima usato il tipo di carro comune, aggiuntavi un'armatura adatta a sostenere da un'estremità all'altra un drappo di stoffa spessa e impermeabile, con cui riparare i viaggiatori dalle intemperie (vehiculum tectum). Al carro che in questa forma prende spesso il nome di carpentum, si attaccarono animali rapidi da tiro: di preferenza cavalli. Secondo Tito Livio (I, 48) questo tipo di carro sarebbe stato introdotto in Roma dall'Etruria sino dall'età regia. Nel corso del sec. V l'uso del carpentum doveva essersi abbastanza diffuso, se ai primi del secolo successivo venne concesso senza alcuna riserva alle matrone (Liv., V, 25). Il carpentum, entrato così nell'uso presso le classi ricche romane, dovette sempre più guadagnare in eleganza e in comodità; la copertura poteva anche essere di seta (Prop., V, 8, 23). In scarsa misura intervengono i monumenti figurati a illuminarci intorno ai particolari del carpentum; tra questi non sono da trascurare le monete. A causa dell'eccessiva lussuosità nella decorazione di questi veicoli che avevano talvolta figure e ornamenti a rilievo o intarsio, si tornò in età imperiale a restringerne l'uso da parte delle dame romane a circostanze di carattere religioso, mentre l'uso ordinario venne riservato all'imperatore, alla famiglia imperiale e alle più alte cariche dello stato.
Dagli scrittori romani è anche ricordato come un tipo di veicolo simile al carpentum, il pilentum (Fest., pilentis et carpentis), il cui uso venne pure ristretto a circostanze particolarmente solenni e a certe categorie di persone, Vestali e sacerdotesse in genere, che potevano prendervi posto insieme con gli oggetti del culto. Sí può quindi ritenere che anche il pilentum fosse a quattro ruote. Il pilentum ricorda un altro tipo di veicolo di origine celtica, com'è indicato dal nome: il petorritum (da petor "quattro" e *ritos "ruota"): veicolo ampio e probabilmente coperto, adorno di applicazioni argentee di gusto barbarico. Alla medesima categoria di veicoli apparteneva la carruca (Plin., Nat. Hist., XXXIII, 11, 40), nome e cosa di origine gallica, cui pure andavano uniti ornamenti in metallo e avorio. La carruca dormitoria disponeva di una copertura mobile. Poiché le persone che vi prendevano posto, potevano rimanere completamente alla vista del pubblico, e l'auriga sedeva più in basso, la carruca deve essere interpretata talora come un carro da parata.
Una serie di urne etrusche volterrane scolpite, di età abbastanza tarda (secoli II-I a. C.), riproduce il tipo del vehiculum tectum, si debba questo o no identificare con il carpentum o con la carruca dormitoria. Codesti carri etruschi, eretti sopra un unico asse, e perciò a due ruote, e tirati da coppie di muli aggiogati, presentano una seconda copertura a berceau; sotto la quale potevano stare al riparo, semicoricate, non meno di due persone, mentre il guidatore procedeva a piedi. Una certa ricchezza di elementi decorativi, in tutto corrispondente alla realtà, avviene qui di riscontrare così nella copertura, talora a lussuosi ricami, come nei ricchi intagli del cassone, e nelle stesse ruote, a raggi elegantemente torniti (fig. 7). Un genere di veicolo semicoperto è quello che si vede nella figura 8 (calco di un particolare di sarcofago romano del sec. III), dove due persone stanno sedute sul cassone di un carro a quattro ruote, ma di tipo leggiero, sotto una specie di baldacchino sostenuto da colonnine tortili. Come un carpentum scoperto può essere definito il carro su cui, in un noto bronzo del Metropolitan Museum di New York (fig. 9) si erge il trono sontuoso della dea Cibele. L'elemento fantastico dei leoni aggiogati nulla toglie alla veridicità dei particolari del carro, come quelli relativi alle ruote, in numero di quattro, a sette raggi.
Giulio Cesare ci ha conservato una minuta descrizione di uno speciale carro, l'essedum (Bell. Gall., 4, 33), usato in pace e in guerra dalle popolazioni barbare della Gran Bretagna: tipo di carro semplice, forte e leggiero, a due ruote, aperto di dietro e anche davanti, cosl da permettere al combattente di reggersi sul timone e perfino sul giogo (per temonem percurrere et in iugo insistere). Carri come l'essedum e il covinnus, non molto dissimili, usati dalle popolazioni della Britannia e della Gallia, furono presto adottati dai Romani come vetture da viaggio. La vettura più comune per viaggiatori è però quella detta cisium: tipo di veicolo leggiero a due ruote, con sedile o cassa (capsa) per non più di due persone (simile quindi a un odierno "calesse"), con attacco per uno o due cavalli: era assai rapido e usato quindi per il servizio della posta. Cisarius è cosi il fabbricante come il proprietario e privato conduttore di cisia. Fabbricanti di carri sono i plaustrarii, i carpentarii, gli essedarii.
Ricorrono pure presso scrittori latini, ma meno frequentemente, nomi di veicoli varî, come benna, reda, arcera: il primo definibile come un tipo di carro gallico, a quattro ruote, con sponde divaricate, di vimini intiecciati; il secondo un tipo di carro pure da viaggio, ma pesante e a quattro ruote, con tiro a due o a quattro, per grossi carichi (ricordato da Cesare insieme al carrus); il terzo un tipo antiquato di veicolo pesante, interamente chiuso (arcera da arca), per vecchi e malati (ricordato nelle leggi delle Dodici Tavole).
Un carro ora a due ora a quattro ruote, ma di uso esclusivamente religioso, era infine la tensa, della quale ci si serviva nelle pompae o processioni del Circo, per portare le exuviae o attributi delle divinità, le cui immagini erano portate a spalla, su fercula. Su monete repubblicane della gens Rubria la tensa consta di un cassone su ruote, con le pareti adorne di attributi di divinità. Anche le immagini degl'imperatori divinizzati ebbero l'onore della tensa nelle pompae del Circo. Dato il carattere religioso e sacro dell'oggetto, la sua denominazione si estende al carro del trionfatore, il quale prende la forma dell'antico carro greco da guerra, appesantito nelle linee e negli ornamenti. La Tensa Capitolina, retta su quattro ruote e interamente rivestita all'esterno da lamine di bronzo a figure e ornamenti sbalzati, è il più tipico esempio del genere. Un esempio della classica tensa impiegata nelle pompae religiose ci è offerto da una pittura ostiense (A. Piganiol, Recherches sur les jeux rom.): a prescindere dai ritocchi che hanno alterato alcuni particolari, chiara qui appare la figura della tensa nella forma di una biga trionfale, aperta dalla parte stessa del timone, il cui giogo è tenuto in mano da due persone che lo spingono a forza di braccia.
Per la circolazione dei veicoli in genere, erano già da tempo in vigore, quando furono confermate da Cesare, disposizioni di legge rigorose, le quali riducevano al minimo tale circolazione in Roma, nonché supponibilmente in tutti i centri abitati di qualche importanza.
Bibl.: A. Baumeister, Denkmäler d. Klass. Altertums, s. v. Wagen (H. Blümner); E. Saglio, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire, s. v. Currus ecc.; L. Friedlaender, Darstellungen aus Sittengesch. Roms (10ª ed., 1922), I, p. 345; J. Marquardt, La vie privée des Romains, Parigi 1889-92, II, p. 39 segg.; H. Blümner, Technologie u. Terminologie d. Gewerbe u. Künste, II, Lipsia 1879, p. 324 segg.; id., Römische Privataltertümer, Monaco 1911, p. 458 segg.; O. Montelius, La civilisation primitive en Italie, Stoccolma 1895, I, tav. i (Serie B); H. Brunn-Körte, I rilievi delle urne etrusche, III, Berlino 1916, tav. 79 segg.; per il carro bronzeo di Bagnoregio, v. Notizie Scavi, 1928, p. 339 segg.
Medioevo ed età moderna. - Per tutto l'alto Medioevo, nei regni romano-barbarici, i carri servirono solo ai trasporti; per molti secoli non si ebbe alcun progresso nella loro costruzione, anzi fu soppresso ogni ornamento, curandosi soltanto la solidità. Poco dopo il 1000 comparve negli eserciti dei comuni italiani il carroccio (v.), che invano si tentò d'introdurre anche fuori d'Italia.
Alla fine del sec. XIII ricompaiono, adottate dalle ricche castellane medievali, modelli di carrette elegantissime, analoghe alla reda delle dame dell'impero romano. Queste carrette erano riservate all'alta nobiltà; e venivano promulgati editti severi che proibivano di tenere carrozza alle borghesi arricchite che volevano tentare di rivaleggiare con le dame. Beatrice, moglie di Carlo I d'Angiò, nel 1207 entrò in Napoli in una splendida carretta, coperta di un drappo di velluto celeste, cosparso di gigli ricamati in oro. In Milano, l'uso della carrozza fu introdotto da papa Gregorio X, che fece il suo ingresso nella città in carretta chiusa, affacciandosi ai finestrini per benedire il popolo. Nel 1300 fu costruita a Milano la prima carrozza per le nozze di Galeazzo Visconti e Beatrice d'Este; e dopo tale epoca l'uso delle carrozze si estese; tanto che la moglie di Galeazzo Maria Sforza, aveva a sua disposizione dodici carrette con le coperte ricamate d'oro e d'argento, con materassi e piumini d'oro, d'argento e di raso; adibiti a esse erano cinquanta cavalli magnifici, con finimenti d'oro e d'argento.
Tutte queste carrozze, per quanto sfarzose e di costo altissimo, come costituzione erano delle semplici carrette, avendo la cassa appoggiata direttamente sull'asse delle ruote. Solo nella prima metà del sec. XV si videro in Italia i primi tipi di cocchi (venuti a noi dall'Ungheria, ove erano stati da poco inventati) in cui la cassa era sospesa mediante cinghioni o catene. Verso il 1550 si tentò di lanciare i primi tipi di carrozze con molle ad arco, d'acciaio, ma con poco risultato; perché, data la scarsissima perfezione dell'industria dell'acciaio, tali molle si spezzavano con grande frequenza; così che, dopo i primi esperimenti, furono abbandonate. Furono nuovamente adottate molto tempo dopo, quando i perfezionamenti introdotti nelle industrie metallurgiche permisero la costruzione di molle sufficientemente resistenti e sicure. I tipi di casse allora in uso, erano molto simili fra lor0: molto intagliate, ornate con fiori e pomi incisi o a sbalzo, con stemmi dorati: la larghezza dei montatoi era molto grande (figg. 10 e 11).
All'estero le carrozze si diffusero lentamente, specie in alcune nazioni. Ai primi anni del sec. XVI, a Parigi, esistevano solo 3 cocchi, della regina, di Diana di Poitiers e di un cortigiano troppo obeso per potere andare a piedi. Al tempo di Enrico IV, la corte dì Francia aveva una sola carrozza, che doveva servire al re e alla regina Maria de' Medici, come è testimoniato da una lettera del re, in cui si scusa di non potere andare a una riunione perché la carrozza era impegnata dalla regina. Invece alla corte di Brandeburgo la moglie dell'elettore aveva una carrozza dorata per sé e dodici per il suo seguito; e l'elettore Giovanni Sigismondo nel 1594 ne aveva 36 a sei cavalli. In Inghilterra, fino al 1580, non apparve alcuna carrozza. Mentre nei paesi d'oltralpe le carrozze stentavano a diffondersi, in Italia il loro uso si generalizzava; e in Ferrara, nel 1534, furono fondate le prime officine specializzate nella costruzione di carrozze. Col diffondersi della carrozza, erano nate fra le varie famiglie delle vere gare nello sfoggio di tale lusso, e dalle gare spesso si passava all'odio e alle lotte; tanto che nel 1551 a Mantova e nel 1556 a Bologna furono promulgate severe disposizioni che proibivano l'uso dell'oro, dell'argento e dei ricami per l'ornamento delle carrozze. A Milano, nel 1578, fu proibito l'uso del cocchio alle dame che non fossero mogli o figlie di senatori, conti, marchesi, baroni o giureconsulti. Nella Repubblica veneta fu vietato l'uso della carrozza per i battesimi; a Roma tre volte i papi dovettero intervenire esortando i cardinali ad abbandonare alle donne l'uso delle carrozze. Sisto V, non potendo ottenere ciò, si accontentò di limitarne il numero. Il popolo era a tale epoca estremamente ostile alle carrozze, perché esse erano molto ingombranti e, rotolando sui selciati, facevano un grande fracasso.
Dal tempo di Urbano VIII, che nel 1625 stabilì con cerimoniale l'ornamentazione delle carrozze con fiocchi, piume e altre decorazioni varie, esse ebbero parte preponderante in ogni cerimonia. Odoardo Farnese, duca di Parma, si recò alle sue nozze con la figlia di Cosimo de' Medici in una carrozza enorme contenente otto persone, coperta con lastre d'argento del peso di circa 700 kg.: il lavoro di cesello di tali lastre era stato affidato a venticinque dei più valenti artisti dell'epoca ed era durato due anni. Verso la fine del sec. XVII v'erano a Milano 1586 carrozze, e la dominazione spagnola tendeva sempre più a farne aumentare lo sfarzo e il numero.
Le prime carrozze pubbliche apparvero nel 1600 a Parigi: la rimessa portava l'immagine di Saint-Fiacre, da cui il nome di fiacre alle vetture pubbliche. Nel 1657 fu dato il primo regolamento per le vetture da piazza; e nel 1662 apparvero i primi omnibus, ma essi incontrarono poco favore e l'impresa fallì in poco tempo. Anche a Firenze s'introdussero ben presto delle carrozze pubbliche a forma di calesse. L'uso dei vetri fu introdotto verso quest'epoca in Italia (fig. 12); le fabbriche inglesi esclusivamente fornivano le molle d'acciaio; e le carrozze erano veramente superbe per scu̇lture e dipinti assai pregevoli, generalmente di soggetto mitologico. Col secolo XVIII le condizioni delle strade migliorarono, e il numero delle carrozze seguitò a crescere, anche perché esse furono adottate dalla ricca borghesia. Diminuivano gli ornamenti, anzi si tendeva a togliere quanto si adattava soltanto alla parata, e la carrozza prendeva gradatamente la forma che ha ancor oggi, adatta a una velocità notevole. Il papa e i re già da qualche tempo avevano abolito l'uso della carrozza nelle cerimonie, sostituendola con le portantine (fig. 13) e le lettighe; dame e cavalieri cominciavano a usare la vettura solo per i viaggi. Le carrozze da viaggio e per le passeggiate avevano, con successive trasformazioni, presa la forma delle berline, da campagna e da città. Le comunicazioni fra i varî centri acquistavano continuamente maggior celerità e regolarità. Venivano effettuate per mezzo di vetture ben chiuse e solide, ordinariamente tratte da due o quattro cavalli con un postiglione: talvolta, specie quando tali vetture erano noleggiate da persone d'importanza, erano precedute da un corriere battistrada e, in caso di strade malsicure, circondate da una scorta armata. Le carrozze ebbero ancora il loro periodo di splendore alle corti di Luigi XV e Luigi XVI: allora esse raggiunsero il massimo della grazia e della leggerezza, sia per la forma, sia per le vivaci pitture di cui erano ornate; era allora molto alla moda il coupé, carrozza usata dal tempo di Luigi XIV, che aveva tutto il corpo tagliato nel davanti, a partire dagli sportelli. In Italia verso la metà del secolo XVIII il numero delle carrozze era grandissimo; tanto che, dal 1771 al 1785, uscirono ben otto regolamenti diversi, sempre più rigorosi e che imponevano freni sempre più stretti alla corsa delle carrozze nell'abitato, vivacemente descritti dal Parini, a proposito dell'aurato cocchio del "giovin signore". Nel sec. XIX, l'Inghilterra fornì i tipi più svariati di veicoli, per tutti i gusti e alla portata di tutte le borse. Le donne, le inglesi e le francesi dapprima, poi le milanesi cominciarono a tenere le redini. Sembra che siano da questo derivati varî disastri, perché a Milano ben presto uscì un'ordinanza della polizia che vietava alle donne in genere e ai giovani minori di diciotto anni di guidare carrozze di qualunque specie. Erano allora molto in uso il tilbury (fig. 14), il landau, le vetture empire a culla (fig. 15) e le carrozze chiuse da viaggio (fig. 16). Mentre tanta evoluzione si aveva nelle carrozze da passeggio, la vettura di gala non cambiava quasi e manteneva la forma elegante della berlina di un secolo avanti: speciale menzione fra queste carrozze di gala merita quella che fu in uso nell'Impero austriaco, dipinta dal Rubens (fig. 17). Gli omnibus, un secolo e mezzo prima tanto male accolti a Parigi, vi ricomparvero nel 1826: e questa volta incontrarono il favore del pubblico: le diligenze che facevano servizio fra un paese e l'altro, cercando di migliorare, assunsero le forme più stravaganti: si tentò persino, con poca fortuna, di lanciare una vettura, garantita non rovesciabile, formata da un'enorme casa di berlina cui erano appese, davanti e dietro, due casse più piccole e avente sopra altre piccole vetture (cabriolets) ben fissate: potevano prendere posto in tale diligenza fino a ventotto persone con i relativi bagagli: vi erano anche gabinetti particolari. Le carrozze da caccia e da corsa furono continuamente alleggerite; si fasciarono le ruote di gomma e si munirono anche di pneumatici. Fra i varî tipi di carrozze ricordiamo anche la troika russa tirata da tre cavalli (fig. 18); il cab inglese (abbreviazione di cabriolet) di cui esistono due tipi: il hansom-cab (fig. 19) a due ruote, aperto sul davanti, col sedile collocato innanzi all'asse del veicolo e il guidatore dietro, in alto; e il growler-cab, a quattro ruote, col cocchiere situato sul davanti della vettura, e assai simile alle consuete vettu̇re da piazza odierne. E ancora: le riksha (o jinrikisha) giapponesi fatte da robusti indigeni (fig. 22), i tandem inglesi, ecc. Tanto numerosi furono i tipi di veicoli che la fantasia dell'uomo ideò e che spesso non fecero che una fugace apparizione, che è impossibile passarli tutti in rassegna. E ora, solo nelle campagne restano tradizionali i tipi regionali caratteristici di carri, come il carro romano da vino (fig. 21), il carro siciliano, ecc., mentre la carrozza, perduta la sua importanza come mezzo di locomozione a distanza e già quasi interamente esclusa dal servizio pubblico, tende in generale a sparire o a restare confinata nelle manifestazioni di lusso e di parata.
Bibl.: G. Gozzadini, Sull'origine e l'uso dei cocchi, Bologna 1900; Deharme, Storia della locom., Milano 1900; L. Belloni, La carrozza nella storia della locom., Milano 1901; R. Straus, Carriages and Coaches, Londra 1912.
Il carretto siciliano. - Il caratteristico carretto siciliano ha ruote di diametro molto grande (metri 1,40). A fabbricarlo attendono successivamente il carradore, il verniciatore, che lo colora in giallo e ne prepara gli scompartimenti, e il pittore che dipinge le scene o le storie sulle fiancate. I colori dominanti variano alquanto nelle principali regioni dell'isola. In Catania prevale all'esterno il celeste, fuso ed armonizzato col verde; ma l'interno della cassa è dipinto in rosso dragone e il terreno in marrone. In Palermo sopra un fondo giallo spiccano decorazioni rosse. Non v'è spazio del carretto (pioli, stanghe, mozzi delle ruote, assi), per quanto piccolo, che non sia decorato con una straordinȧria profusione di arabeschi e figure. I soggetti dei quadri che compariscono sulle fiancate sono forniti dalle leggende romanzesche (combattimento fra Orlando e Rinaldo, ecc.), dalla Bibbia (Mosè salvato dalle acque, ecc.), dall'agiografia (S. Giorgio che ammazza il dragone, S. Rosalia sul Monte Pellegrino, S. Francesco di Paola che si difende dai briganti con la zampa dell'asino), da fatti eroìcì, specialmente del ciclo delle Crociate, o desunti anche da tradizioni romane (Romolo e Remo, ratto delle Sabine). A spiegare l'argomento delle scene o rappresentazioni figurate soccorrono le leggende, le quali nella provincia di Catania sono metriche. Documenti legislativi, come i capitoli dell'università di Palermo del 1330, attestano che il carretto esisteva ai tempi di Federico II, ma la mancanza di cenni sulle decorazioni fa supporre che queste non fossero allora in uso. La supposizione è avvalorata da documenti figurati di data posteriore, come gli ex voto, sui quali il carretto è rappresentato di varî colori, ma senza figure. Queste dovettero comparire in tempi recenti ed accentuarsi, poi, con le cresciute relazioni fra l'isola e la terraferma.
Bibl.: G. Pitré, La famiglia, la casa, la vita del popolo siciliano, Palermo 1913, p. 238 segg.; G. P. Capitò, Il carretto siciliano, Milano 1923.
Carro armato.
Nell'antichità. - In questo periodo bisogna distinguere il carro da guerra su cui i guerrieri combattono, non provvisto di speciali mezzi offensivi, e il vero e proprio carro armato.
Gli antichi, a esclusione forse dei Romani, conobbero due sole maniere di combattere, a piedi e su carro. Così gli Egiziani, i Babilonesi e Assiri, i Minoico-Micenei, i Persiani, i Fenici, gli Etruschi, e i Greci. Questi ultimi però, anche prima delle guerre persiane incominciano a mostrare maggior familiarità con l'arte di combattere a cavallo che non su carro, finché, in progresso di tempo, si può dire che presso i Greci il combattimento equestre si sostituisca in tutto e per tutto al combattimento su carro. In altri paesi del Mediterraneo, grecizzati, come a Cirene, l'uso del carro da guerra (λιβυκὴ διϕρεία) si mantiene anche a lungo. Cotesti carri, o cocchi, dovevano rispondere al doppio scopo dell'assalto e della difesa. In costruzioni del genere furono maestri gli Egizî, che frequentemente rappresentano in bassorilievo e in pittura i loro sovrani guerreggianti su carri (v. arciere). Il carro antico da guerra in genere (ἅρμα, αρμάμαξα) consiste in un cassone posteriormente aperto, montato sopra un asse, alle cui estremità sono due ruote con i relativi mozzi. Alla base del cassone, anteriormente, aderisce l'estremità inferiore del timone, la cui estremità opposta si ritorce in alto, così da toccare, col giogo trasversale a essa assicurato, il collo dei cavalli, attaccati in numero da due a quattro. Cinghie di cuoio intrecciate alla testa del timone e al giogo, e riportate fino alla base del carro, fornivano l'attacco. Le singole parti del carro, o tutte insieme, dai mozzi e dai cerchioni delle ruote fino alla testata superiore del timone, portavano di solito dei rivestimenti, per lo più in metallo, eseguiti con intento d'arte. E poiché il carro era fatto per guidare e combattere in piedi, al cassone, cioè al parapetto e alle fiancate di esso, aderivano staffoni metallici o anse, così per facilitare la salita e la discesa, come per assicurare l'equilibrio della coppia, auriga e combattente, sul carro (fig. 24). Oltremodo leggieri e pratici i carri da guerra, in legno di frassino, in uso nell'esercito egiziano: come il carro del Museo Archeologico di Firenze, ritrovato in una tomba del tempo di Ramesse II (sec. XIV a. C.), rivestito già di corteccia di betulla, con timone in legno di quercia, e con ornamenti in avorio. Costruiti su questo tipo dovevano essere i carri da guerra in uso nel mondo minoico e miceneo. Assai diversi invece, più ampî e più pesanti, i carri da guerra delle popolazioni mesopotamiche (Babilonia e Assiria) e quindi degli stessi Persiani flno in età ellenistica. Erano a cassone rettangolare, ampio, ad alte ruote e alte sponde, tirati da più che due cavalli (es.: il carro di Dario nel musaico della battaglia d'Isso, rinvenuto a Pompei; v. alessandro magno), e fatti per portare un equipaggio da tre a quattro uomini. Dal tempo di Ciro poi i carri da guerra persiani ebbero le ruote munite di falci taglienti, per rendere più micidiale il loro impeto (Sen., Cyr., VI,1, 27). Del resto tutti i più illustri guerrieri dell'Iliade, sia greci sia troiani, e gli stessi dei dell'Olimpo, combattono o si presentano al combattimento su carro. La descrizione che nel V libro dell'Iliade (v. 722 segg.) ci è data del carro della divina Era, non offre se non l'immagine idealizzata di un carro regale da guerra, di quelli in uso nella Grecia appena uscita dall'età eroica. Pitture vascolari della Grecia propria e della Ionia, a cominciare dalle più antiche, ci attestano l'uso comune di carri da guerra di un tipo leggiero, tirati per lo più da due cavalli, e montati da due persone, il signore combattente e l'auriga. Appunto dalle coste dell'Asia minore e da quel mondo ionico onde sembrano essere stati importati in Italia così numerosi elementi di civiltà, giunsero forse per la prima volta i carri da guerra in Etruria e nella stessa Grecia. In varie parti del paese abitato dagli Etruschi si sono rinvenuti, come suppellettili di tombe gentilizie, residui importanti di rivestimenti metallici di carri, decorati con perfetto senso d'arte. Reliquie del genere hanno fornito sepolcri etruschi di Vetulonia, di Populonia, del territorio perugino. Il più perfetto e più completo esempio del genere ci è stato fornito da una tomba rinvenuta nel 1902 presso Monteleone di Spoleto, con un artistico carro che si conserva oggi nel Metropolitan Museum di New York. Il carro di Monteleone consta di un cassone a bordo anteriormente ricurvo, con alto parapetto, sul quale è figurata a sbalzo la consegna delle armi fatta da Teti ad Achille, e di due fiancate piane, più basse, decorate a sbalzo con scene tratte pure dal mito di Achille. Il cassone è sorretto da due ruote a nove raggi (le ruote dei carri greci sono di regola a quattro raggi), ed è munito di un timone con decorazioni metalliche (protomi di animali) alle due estremità. Lo stesso motivo ornamentale si ripete sui mozzi delle ruote. Benché l'uso dei carri da guerra non appaia più in Grecia nell'età classica, essi compariscono numerosi così nel fregio del Partenone, tirati da quattro cavalli, come su rilievi votivi dell'epoca. Vi si riconosce l'equipaggio composto dell'auriga e del soldato combattente armato di scudo e pronto a scendere e a risalire sul carro in corsa. Esercizio di destrezza questo, molto apprezzato dai Greci ed eseguito da soldati specializzati (ἀποβάται).
Bibl.: K. Schneider, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl. d. class. Altertumswiss., VII, col. 2369 segg.; G. Lafaye, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des antiq. gr. et rom., III, p. 9; A. Bauer, Die griech. Kriegsaltertümer, nel Handbuch del Müller, IV, i, 2 (Griechische Privat- und Kriegsaltertümer), 2ª ed., Monaco 1893, p. 298 seg.; H. Droysen, Heerwesen u. Kriegsführung der Griechen, Friburgo 1889 (Hermann's Lehrbuch d. Griech. Antiquitäten), p. 34 seg.; E. Mercklin, Der Rennwagen in Griechenland, Lipsia 1909; H. Collitz, Sammlung der griech. Dialekt-Inschriften, III, ii, Gottinga 1899, 4833 (iscrizione di Cirene).
Accanto al carro da guerra ora descritto gli storici latini e greci ricordano un vero e proprio tipo di carro armato a due o a quattro ruote, munito di falci (δρεπανηϕόρα ἅρματα; currus falcati) e di spuntoni di ferro al timone, ai fianchi e sui quarti esterni alle ruote, tirato da cavalli, o spinto a braccia entro le schiere nemiche (fig. 25). Esso rimonta, come il carro da guerra, alla più alta antichità e fu usato soprattutto dai Persiani e, in genere, dai popoli orientali. Ne parlano Senofonte (Cyr., VI,1, 27; Anab. I, 7, 10; 8, 10), T. Livio (XXXVII, 40), Quinto Curzio (IV, 9, 4) con descrizioni poco precise e chiare, ma tutte concordi nell'affermare l'effetto disastroso per il nemico. Essi potevano essere impiegati soltanto su buone strade o su terreni pianeggianti e uniti, che permettessero di lanciarli a massa e di corsa, ché altrimenti il loro effetto era scarso ed il nemico poteva facilmente evitarli. Quinto Curzio riporta che l'esercito di Dario era seguito da 200 carri falcati, accennando anche che durante le marce lontano dal nemico le falci si toglievano per non dare ingombro, e che esse erano amovibili anche per potere facilmente sostituire quelle che si guastavano nel combattimento.
Qualche volta l'efficacia dei carri armati era scarsa. Secondo Polieno Alessandro Magno, avendo saputo che i Traci avrebbero lanciato contro i Macedoni grande numero di carri, ordinò loro di evitarli il più possibile; ma che se taluno fosse stato sorpreso, si fosse gettato a terra e si fosse coperto con lo scudo. Anche in India Alessandro trovò in uso i carri falcati; di cui alcuni erano molto grandi e portavano fino a sei uomini. Gli eserciti di Giulio Cesare (Bell. Gall., IV, 33) trovarono carri armati (esseda) presso i Britanni e se ne difendevano gettando innanzi ai cavalli triboli di ferro, che impedivano la loro avanzata di corsa.
Medioevo ed età moderna. - Con l'aumentare delle armature di difesa, col mutare della tattica e con l'istituzione della cavalleria come ordinamento sociale-militare i carri armati sparirono poco per volta dall'uso.
Introdotte le armi da fuoco, dopo qualche primo tentativo (di cui è cenno, per esempio, in uno scritto di Guido da Vigevano del 1335, ove si parla di carri imbattagliati) ricompariscono varî tipi, talora bizzarri, di carri armati; impiegati però più di rado e in minor numero che nei tempi antichi (fig. 26).
Leonardo da Vinci, in una lettera del 1484 diretta a Ludovico Sforza, scriveva: "Item farò carri coperti e sicuri inoffensibili, i quali entrando intra li inimici con sue artiglierie, non è sì grande moltitudine di gente d'arme che non rompessino. E dietro a questi potranno seguire fanterie assai illese e senza alcuno impedimento". È rimasto un mistero come Leonardo intendesse far muovere questa macchina; ma quelle sue parole sono interessanti perché quasi accennano all'impiego moderno dei carri armati.
Il più famoso carro armato del Rinascimento è forse quello detto anfibio, inventato dall'italiano Agostino Ramelli, che nel 1588 era ingegnere di Enrico III re di Francia. Era una specie di automobile da guerra, corazzata, a prova di archibugio o di moschetto, formata da un grosso scafo coperto a vòlta e tutto chiuso, nel quale stavano due o tre coppie di archibugieri, che tiravano attraverso feritoie. Il propulsore, posto nell'interno, era costituito da due ruote a palette ricurve, mosse a braccia, che facevano progredire la macchina quando era in acqua, mentre sul terreno era probabilmente trainata da cavalli.
Dal sec. XVI fino alla metà del XIX, quando la potenza delle armi da fuoco aumenta notevolmente ma non si dispone ancora di motori meccanici, non si ha più alcun cenno di carri armati. Solo nel 1854 l'ingegnere italiano Balbi propose al governo francese una "fortezza mobile, costruita di ferro ed applicabile tanto al servizio navale, quanto in terra nelle operazioni di attacco e di difesa dell'esercito...". L'idea, allora non accettata, fu riproposta nel 1870. Il carro ideato dal Balbi consisteva in una vettura "mossa dal vapore e costruita come i monitori americani, cioè corazzata e protetta contro l'artiglieria. Di dimensioni variabili, provvista di feritoie per il tiro dei fucili, e armata o di mitragliatrici o di cannoni di differenti calibri, essa può portarsi contro le opere nemiche, distruggendole ed aprendo un passaggio, attraverso le linee d'investimento ai difensori di Parigi". Ma il modello costruito dal Balbi non trovò pratica applicazione.
Il carro armato moderno. - I carri armati moderni apparvero in occasione della guerra mondiale (1914-1918) e propriamente in seguito alle grandi difficoltà incontrate dagli eserciti inglese e francese ad avanzare contro le linee di difesa che l'esercito tedesco aveva potentemente organizzate nella parte pianeggiante del fronte occidentale. Essi furono inventati dagl'Inglesi e dai Francesi, gli uni all'insaputa degli altri, tra la fine del 1915 e il principio del 1916. Precedettero di qualche poco gl'Inglesi, che dopo alcuni tentativi diedero una soluzione razionale e felice al problema di queste nuove macchine da guerra che essi chiamarono tank (cisterna) per meglio mantenere il segreto e sviare l'attenzione dello spionaggio nemico. L'invenzione degl'Inglesi ebbe origine in ambienti tecnico-industriali, validamente incoraggiati e sostenuti dalle autorità centrali. Seguirono di qualche mese i Francesi, i cui carri comparvero per iniziativa di alcuni ufficiali del fronte, incoraggiati dal comando supremo, e dopo vinte le riluttanze delle autorità centrali.
Dopo le prime prove di combattimento (1916 per l'Inghilterra. 1917 per la Francia), i carri armati ebbero un rapido crescente sviluppo. Gl'Inglesi insistettero specialmente sul loro tipo originario di tank, molto grande (pesante circa 30 tonnellate) con rotaie a cingolo che, a forma di losanga, avvolge tutto lo scafo; mentre i Francesi, dopo aver constatato le gravi deficienze di alcuni tipi (Saint-Chamont, Schneider) di peso medio (14-18 tonnellate) adottarono un tipo (Renault) leggiero (6 tonnellate), che si dimostrò molto utile come arma di accompagnamento della fanteria all'assalto (char d'assaut). Gli anni di guerra 1917 e 1918 videro moltiplicarsi a migliaia questi varî tipi di carri armati, dei quali, dopo il suo intervento sui campi di battaglia d'Europa, cominciò a provvedersi largamente anche l'esercito americano. L'esercito germanico, e con esso anche l'esercito austriaco, per lungo tempo non ebbero grande fiducia nei carri armati e, anche per deficienza di alcune materie prime e per essersi attrezzati piuttosto verso altri sistemi di apparecchi bellici, solo con riluttanza e difficoltà, sul finire della guerra si provvidero di pochi carri armati, impiegandone anche alcuni catturati ai nemici. Perciò, vere battaglie con carri contro carri (come forse se ne avranno in futuro) non vi furono durante il recente conflitto. L'esercito italiano, che combatteva in scacchieri di dura montagna, cioè in terreno difficile o addirittura impervio per quelle pesanti macchine, non ebbe carri armati; però nel 1918 cominciò a interessarsi a questo nuovo armamento, che sui campi di Francia si dimostrava notevolmente vantaggioso. E così nel settembre 1918 con alcuni carri armati dati dagli alleati fu istituita una sezione speciale d'istruzione che, finita la guerra, non ebbe più immediata ragione di sviluppo. In seguito però anche il nostro esercito ebbe le sue unità di carri armati con materiale costruito in paese, e oggi ne ha un reggimento di cinque battaglioni, cioè una forza proporzionalmente analoga a quella degli altri eserciti, a eccezione della Francia, che ne ha molti di più (circa 18 reggimenti).
La storia dell'impiego dei carri armati durante la recente guerra è importante perché essa raccoglie quasi tutta l'esperienza pratica che riguarda queste armi, e di essa occorre tener giudizioso conto per evitare un'cccessiva influenza di alcune caratteristiche peculiari di una lotta che fu essenzialmente guerra di trincea. In principio, dato l'assillo di critiche situazioni di guerra, i carri furono impiegati senza la necessaria preparazione del personale e senza alcuni indispensabili requisiti del materiale. Mancò perciò in parte il successo che gli alleati si ripromettevano, anche in conseguenza della grande sorpresa che questa nuova arma avrebbe dovuto produrre sulle truppe germaniche. L'avversario anzi ebbe tempo di preparare speciali sistemi di difesa che resero anche più arduo il successivo impiego dei carri. Ma col proseguire della guerra il crescente numero dei carri armati impiegato dagli eserciti francese e inglese finì col portare un concorso di notevole rilievo in molte delle principali battaglie che si svolsero sul fronte francese, non solo nel periodo di guerra stabilizzata, ma anche dall'agosto al novembre 1918 in guerra che ebbe carattere di movimento.
I carri armati sono macchine destinate a portare mitragliatrici e cannoni il più avanti possibile sin contro le prime posizioni nemiche ed oltre, superando asperità e ostacoli naturali del terreno ed anche trincee, reticolati e altre diffuse. Il loro impiego è particolarmente diretto contro quegli elementi difensivi nemici (nidi di mitragliatrici, scogli di resistenza) che l'artiglieria dell'attacco non riesce a eliminare e che arresterebbero l'avanzata della fanteria, il cui fuoco non è sufficientemente potente contro di essi. Contro un nemico organizzatosi a difesa i carri armati servono anche ad aprire varchi nelle linee di reticolati o altri impedimenti frapposti dal difensore. Essi hanno perciò una robusta e completa corazzatura, una grande capacità di movimento anche fuori dalle strade in terreno naturale, e una grande potenza di fuoco.
Caratteristiche tecniche dei carri armati. - Il terreno molto rotto del campo di battaglia, spesso difficilissimo in prossimità delle linee di difesa, è il principale impedimento, più dello stesso fuoco avversario, al razionale funzionamento di una macchina come è il carro armato, necessariamente molto pesante. Le maggiori difficoltà nell'impostare i primi progetti di carri armati si ebbero specialmente per farli muovere su terreno difficile e non farli affondare in terreno molle. Le ruote non potevano essere il sostegno di quelle macchine, e così gl'inventori dei carri armati vi rinunziarono, ricorrendo invece alle rotaie a cingolo, invenzione anglo-americana, già applicata in alcune macchine agricole e che sul principio della guerra aveva fatto qualche sporadica comparsa in Francia con alcuni tipi di trattori (Holt).
La rotaia a cingolo (fr. chenille; ted. Raupen; ingl. caterpillar) costituisce oggi l'elemento meccanico fondamentale dei carri armati; modificato e perfezionato, probabilmente continuerà ad essere applicato, specialmente nei tipi più grandi e pesanti di carri, mentre non è da escludere che per i carri più leggeri si possa applicare anche qualche più perfezionato sistema a ruote (munite di organi speciali antiaffondanti e di aderenza, e tali che tutte le ruote del veicolo siano motrici) come già comincia a impiegarsi in qualche trattore di uso militare (v. carreggio). Le rotaie a cingolo creano al disotto del carro armato due strisce (rotaie) che con la loro larghezza e lunghezza formano un complesso di ampia superficie di appoggio, così da impedire al soprastante peso di affondare in terreno molle.
Ciascuna rotaia è costituita da una serie di piattaforme imperniate l'una di seguito all'altra, formanti nel loro insieme due cingoli che si avvolgono da una parte e dall'altra intorno al carro per tutta la sua lunghezza e che il carro trasporta e sui quali rotola, proprio come su una rotaia a dentiera. Con l'avanzare del carro, i cingoli si svolgono intorno a questo, e presentano continuamente ai veri organi di appoggio del carro stesso (due serie di rotelle) una sicura superficie di appoggio (rotaia). Gli organi d'appoggio del carro sulle rotaie (rotelle) non sono motori e la trazione del carro è assicurata dall'ingranaggio di due robuste ruote dentate (motrici) con le dentiere risultanti nell'interno delle rotaie. La trazione del carro avviene perciò proprio come in una ferrovia a dentiera da montagna. L'impegnarsi delle ruote motrici nella dentiera delle rotaie assicura il progredire del carro anche nelle più ripide salite, e il suo frenamento (ritenuta) in discesa anche se questa è a fortissima pendenza; il che non potrebbe avvenire ove semplici ruote motrici s'impegnassero nelle rotaie soltanto per naturale aderenza (come avviene nelle ordinarie locomotive ferroviarie). Perché il carro possa progredire è necessario non solo che sia assicurato l'impegno tra ruote motrici e rotaie a cingolo (ingranaggio), ma anche l'impegno tra rotaie e terreno (aderenza); altrimenti le rotaie slitterebbero e il movimento del carro sarebbe impossibile.
L'aderenza al terreno che offrono i sistemi cingolati (anche con il sussidio di speciali risalti che sporgono dalle piattaforme e si aggrappano al terreno) è generalmente molto superiore a quella che si potrebbe ottenere con sistemi a ruote, e permette di utilizzare fin quasi al massimo, ai fini della traslazione dei carri armati, la potenza del motore. L'insieme di continuità e dl rigidità che ha un sistema cingolato conferisce ad esso la caratteristica proprietà di scavalcare fossati e trincee, come se si trattasse di un piccolo elemento (campata) di ponte metallico.
Se le rotaie a cingolo hanno tanto considerevoli vantaggi sulle ruote da farle adottare per quasi tutti i carri armati odierni, esse hanno anche alcuni inconvenienti, difficili a eliminare del tutto, i principali dei quali sono i seguenti: a) delicatezza e complicazione del sistema, che, dovendo almeno in gran parte risultare all'esterno del carro, ne costituisce un elemento debole e vulnerabile; b) complicazione della catena a cingolo che, con le sue numerose parti deformabili, produce molti attriti e presenta molti punti di minor resistenza, in modo da rendere più difficile al carro di assumere grandi velocità, utili per proteggersi dal tiro nemico.
Il carro armato è mosso da un motore (o gruppo di motori) che, per avere grande potenza unitaria e piccolo ingombro, è generalmente del tipo a scoppio. Per ridurre la forte velocità di regime di tali motori, nei carri armati di maggior mole talora si accoppia il gruppo motore a scoppio a dinamo che azionano motori elettrici che a lor volta infine dànno il movimento alle ruote motrici, con quella vantaggiosa graduazione e progressione di velocità e di sforzi che solo le trasmissioni elettriche consentono. È stata tentata tra motore a scoppio e ruote motrici, per avere una grande graduazione di velocità, la trasmissione idraulica (detta anche "cambio a liquido"), ma finora con minor fortuna della trasmissione elettrica; mentre nei tipi di carri armati più piccoli, per semplicità di meccanismi e scarsa disponibilità di spazio, si continua a preferire la semplice trasmissione meccanica, come quella generalmente usata negli autoveicoli. A ogni modo la parte meccanica del carro armato risulta sempre complessa e delicata, e richiede negli equipaggi particolare addestramento e perizia. Non essendo un veicolo a ruote, il carro armato a cingoli non può girare con il comune sistema della vòlta (sterzo); ma, data la rigidità del suo insieme e il modo con cui funzionano le rotaie a cingolo, per farlo girare si deve immobilizzare una rotaia, ovvero rallentarne o invertirne il movimento rispetto all'altra. Così facendo, il carro gira più o meno rapidamente su sé stesso, con caratteristici bruschi movimenti di strisciamento laterale, i quali, se dànno al carro grandi risorse di manovra (fino a permettergli di girare sul posto) ne tormentano e logorano considerevolmente il materiale, e talora richiedono nei meccanismi delle complicazioni contrastanti con altre esigenze meccaniche.
La condotta del carro in terreno vario, specialmente se accidentato e rotto, come esso è di solito nel campo della lotta, richiede grande abilità e iniziativa da parte dell'equipaggio, e una capacità di guida diversa da quella dei soliti autoveicoli; e ciò anche per il fatto che la visibilità dall'interno del carro è scarsissima, poiché la corazzatura, per proteggere efficacemente, deve essere completa e al pilota non restano, per osservare il terreno, che piccolissime feritoie con un campo di vista molto limitato e assolutamente sproporzionato a quanto occorrerebbe per poter bene osservare le forti accidentalità del terreno.
Il movimento del carro costituisce il lato più difficile e complesso del problema tecnico, anche perché - nei tipi di carri più leggieri - occorre tener presente la necessità del loro movimento sulle strade per avvicinarli alla zona d'impiego, quando il movimento su cingoli riuscirebbe troppo lento e logorante per il materiale. Questo movimento eseguito all'infuori del campo tattico si compie fin che è possibile caricando i carri armati su carri ferroviarî di tipo comune o speciale, e quindi lungo le strade, adottando, per i materiali più leggieri, speciali mezzi sussidiarî di trasporto, consistenti nel caricare i carri su autocarri, oppure su carrelli a ruote rimorchiati da autocarri, come si usa da noi (fig. 27).
Altri problemi tecnici, secondarî, vengono ancora a complicare l'organizzazione di un carro armato moderno: a) problemi della visibilità dall'interno del carro, dell'orientamento nella marcia di notte o con nebbia (problema della bussola nel carro armato); b) problema delle segnalazioni tra carro e carro e delle comunicazioni con i comandi superiori (problema della radio dal carro armato); c) problema del puntamento delle armi, del munizionamento e dei rifornimenti per il motore; d) problema della protezione antigas; e) problema della ventilazione dell'ambiente per la respirazione del personale; f) problema delle comunicazioni tra i vari membri dell'equipaggio, ostacolate dal continuo rumore e anche dal tiro delle armi e dai sobbalzi del carro stesso.
Varie cause, ma principalmente gravi difficoltà naturalmente insite nel problema tecnico carristico, han fatto fare ai carri armati dopo la guerra progressi relativamente scarsi; per cui, nonostante i numerosi studî ed esperienze, e il grande interessamento che a queste nuove armi dedicano stati maggiori ed enti tecnici, nonostante i molti e ben noti difetti dei tipi finora impiegati, quasi tutto il materiale carristico oggi in uso presso i principali eserciti non si differenzia notevolmente dai modelli usati nel 1917-1918, caratterizzati da impiego quasi esclusivo di parti metalliche e rigide, che in alcuni organi del sistema cingolato sono di serio impedimento alla desiderata velocità; mentre i tipi più recenti e quelli che prevedibilmente si adotteranno in avvenire cominciano a impiegare parti più flessibili ed elastiche, specialmente negli organi di appoggio al terreno e nella sospensione dello scafo; nelle quali parti si assommano naturalmente le più salienti difficoltà del meccanismo. In alcuni carri leggieri di tipo francese si cominciano a fare di gomma tutti i cingoli, e così si accenna un'evoluzione quasi analoga a quella che si è già verificaia per il rivestimento delle ruote degli autoveicoli.
Per quanto riguarda le presenti tendenze circa il materiale, lo stato odierno di esse si può così riassumere. Inghilterra, Francia e Stati Uniti d'America, per maggiori disponibilità finanziarie, per maggior esperienza di guerra in fatto di carri armati, e soprattutto per prevederne un largo impiego in terreni pianeggianti, spingono attivamente studî ed esperienze con nuovi tipi di carri. L'Inghilterra, pur riconoscendo il pregio che indubbiamente conserva il suo primo felice tipo di carro armato pesante (di cui sono ancora armate alcune sue unità), studia ed esperimenta tipi più leggeri e veloci, e giunge perfino a tipi leggerissimi (chiamati anche monoposti) in modo da impiegarli con grande larghezza, fino quasi a sostituire con essi una parte della fanteria o della cavalleria; mentre i carri pesanti, armati di artiglierie, continuerebbero a essere destinati a sfondare le più consistenti linee di difesa. La gmma trova largo impiego nei tipi più leggieri di carri inglesi, ehe accennano a prender quasi la forma di autocarri corazzati, con potenti organi di aderenza e di trazione. La Francia, che più di tutti ha impiegato in guerra tipi leggeri (che armano ancora oggi quasi tutte le sue numerose unità di carri), mostra qualche tendenza (per alcuni speciali tipi di carri da sfondo) verso tipi pesanti, anzi pesantissimi (di 60 e più tonnellate), muniti di corazzatura molto spessa, tanto da resistere ai tiri delle artiglierie campali. Per i tipi leggieri essa si dimostra sempre più propensa a un tipo composto che possa, a volontà, disporsi per il movimento su strade (abbassando delle ruote analoghe a quelle degli autocarri) ovvero per il movimento su terreno libero (sollevando le ruote e mettendo a contatto del terreno le rotaie a cingolo). Questi sistemi, che alcuni dicono anfibî, hanno indubbiamente grandi vantaggi di manovrabilità e risparmiano automezzi speciali per il movimento su strade; ma sono molto costosi e anche un po' delicati, cosicché nell'impiego di guerra (per il quale manca una vera esperienza di questi tipi) potrebbero anche logorarsi con eccessiva facilità. L'esercito americano mostra tendenze analoghe a quelle inglesi; si preoccupa anche, in special modo, del passaggio dei corsi di acqua con il carro armato, e studia quindi anche qualche tipo veramente anfibio, adatto cioè al movimento su terreno e al movimento in acqua.
L'Italia, che ha terreni di frontiera di carattere spiccatamente inontagnoso e quindi in gran parte assolutamente inadatto all'impiego di carri armati, studia anch'essa il problema tecnico di queste nuove armi, con una naturale tendenza verso tipi non solo più leggieri, ma anche di facile manovra come è richiesto dal terreno fortemente accidentato.
I principali tipi di carri armati. - Si fa cenno di questi tipi, essenzialmente riportandone le figure.
La fig. 29 rappresenta una sezione schematica dell'attuale carro armato italiano (tipo Fiat 3000). Esso ha due mitragliatrici accoppiate (la figura ne mostra una sola); pesa 5500 kg.; ha un motore di 45 HP, circa 8 ore di autonomia e può sviluppare una velocità di 7-8 km. all'ora in terreno rotto, e di oltre 12-14 km. in terreno piano e consistente. L'equipaggio è formato di un pilota per la guida e di un capo-carro mitragliere. La corazza d'acciaio, dello spessore da 8 a 16 mm., dà protezione sufficiente contro i tiri di fucile, mitragliatrice e bombe a mano. La fig. 28 mostra l'esterno del carro stesso, e la fig. 30 lo fa vedere in una ripida discesa, mettendo in evidenza anche alcuni particolari di costruzione esterna. La fig. 31 mostra un tipo primitivo (riprodotto solo in pochi esemplari) di carro armato italiano pesante (circa 30.000 kg.), con 6 mitragliatrici e un cannoncino da 65 mm. in cupola. La fig. 32 mostra una sezione schematica del carro armato leggiero francese (del peso di 6500 kg.) tipo Renault a cui si è in parte ispirato il carro Fiat 3000, di costruzione posteriore. La fig. 33 mostra lo stesso tipo di carro francese al quale però recentemente, per migliorarne la manovrabilità, è stato applicato un nuovo sistema cingolato con rotaie di gomma (tipo Kégresse-Instein). Le ruote esterne (che si vedono sollevate da terra) entrano in funzione come punti d'appoggio rotolante quando il carro supera degli ostacoli. La fig. 34 mostra con vista esterna schematica, uno dei più moderni tipi di carro armato lnglese (tipo medio; mod. 1924), del peso di circa 14 tonnellate. Esso ha gli appoggi delle rotelle sostenuti da uno speciale congegno elastico (a stantuffo) che dà un conveniente gioco di deformazione, tanto da consentire al carro una notevole velocità. Questo carro è stato sperimentato con buon successo nelle manovre inglesi di questi ultimi anni. La fig. 35 rappresenta una sezione schematica del classico carro armato inglese (tank) di cui negli anni 1917-1918 furono costruiti varî tipì (Mark I, Mark II, ecc.) che hanno dato risultato pratico abbastanza buono, ma che si sono dimostrati troppo lenti (3-4 km. all'ora) e anche un po' troppo pesanti (da 28 a 32 tonnellate) ln rapporto alle esigenze di spostamento. Risultata di notevole vantaggio, per la manovra del carro, la caratteristica forma (molto avvolgente) delle rotaie a cingolo (carro a losanga). La fig. 36 rappresenta, in analoga sezione schematica, un carro armato pesante americano, naturale derivazione e perfezionamento del tipo inglese.
Oltre ai tipi di carri armati propriamente detti adottati dai principali eserciti, in misura più o meno larga, vi sono molti altri tipi di macchine di questo genere, che costituiscono esemplari di esperimento e di studio, talora perfino bizzarri, frutto di una certa naturale tendenza alla meccanizzazione della guerra.
L'impiego dei carri armati. - Le caratteristiche dell'impiego di queste armi derivano dal loro compito, che è essenzialmente quello di agevolare la fanteria nel superare le línee di resistenza create dal nemico che si difende, sia nella guerra di posizione, sia nella guerra di movimento; e dalle principali esigenze della loro azione (necessità di terreno percorribile, e necessità di non arrestarsi a lungo nelle posizioni conquistate). E pertanto sono indispensabili: a) un'accurata ricognizione del terreno, o almeno una conoscenza di esso (acquistata anche per mezzo di speciali ricognizioni dall'aeroplano) tanto sicura da evitare che i carri siano avventurati alla cieca in terreno in cui resterebbero immobilizzati e quindi distrutti dal tiro avversario; b) accordi precisi con i comandanti di fanteria con cui debbono cooperare, in modo che sia assicurata la concorde azione verso gli stessi obiettivi; c) azione di appoggio da parte dell'artiglieria, destinata specialmente a controbattere quelle bocche da fuoco che con tiro preciso e vicino potrebbero arrestare i carri armati prima che avessero sviluppato il loro attacco.
Particolarmente difficile è l'assicurare la concorde azione fra carri armati e fanteria; e ciò è stato provato largamente anche durante la recente guerra. Se la fanteria segue i carri armati troppo da vicino è coinvolta nel violento fuoco che il nemico dirige contro i carri, appena questi pronunciano l'attacco. Se la fanteria resta lontana, le riesce difficile e talora impossibile sfruttare il successo ottenuto dai carri, che non può essere che momentaneo. Le unità di carri (plotone su 4-5 carri; compagnia su 2 0 3 plotoni con un complesso di 10-15 carri) attaccano riunite e di sorpresa, con i carri intervallati a 30-60 metri l'uno dall'altro, svolgendo dapprima un'azione di fuoco (cannoncini e mitragliatrici) a breve distanza (100-300 metri), quindi, se possibile, investendo materialmente le difese accessorie che proteggono l'obiettivo, sconvolgendole e riprendendo il fuoco a distanza ancora più breve, in modo da scalzare completamente la resistenza avversaria. La fanteria segue immediatamente per affermarsi sulla posizione conquistata, mentre i carri o ripiegano verso una posizione d'attesa, al coperto dalla vista e dal tiro nemico, ovvero passano all'attacco di un successivo obiettivo. Dopo alcune ore di combattimento, un'unità di carri è esaurita e deve essere sostituita da una nuova unità.
I mezzi più idonei per difendersi contro un attacco di carri sono: il fuoco (specialmente di artiglierie o grosse mitragliatrici appostate insidiosamente e che aprono fuoco celere e sicuro quando i carri sono a breve distanza) e le difese (mine, buche o trincee profonde e a intaglio netto, allagamenti, sbarramenti di grande resistenza fatti, p. es., come usarono i Tedeschi durante la guerra, con blocchi di cemento e spezzoni di rotaie ferroviarie).
Bibl.: Le principali riviste militari italiane ed estere contengono, con notevole frequenza, articoli sui carri armati, specialmente per quanto riguarda l'impiego di queste nuove armi. Più rari sono gli articoli riguardanti la parte tecnica (v., tra l'altro, E. Maltese, Il problema tecnico dei carri armati, in Riv. d'art. e genio, Roma, aprile e maggio 1926). Fra le pubblicazioni monografiche si riportano le seguenti: Dutil, Les chars d'assaut, leur création et leur rôle pendant la guerre, Parigi 1920; R. Mortier, Les chars d'assaut, comment ils furent réalisés, contribution à l'histoire de la grande guerre, Parigi 1924; A. Stern, Tanks 1914-1918, Londra 1919; C. e A. Williams-Ellis, The Tanks Corps, Londra 1919; B. H. Liddell Hart, The remaking of modern armies, Londra 1927; F. Heigl, Taschenbuch der Tanks, Monaco 1926 (con appendice del 1927); Volckheim, Der Kampfwagen in der heutigen Kriegführung, Berlino 1924; id., Die deutschen Kampfwagen im Weltkriege, Berlino 1923; Krüger, Tanks, Entstehung, Bauart und Verwendung im Kriege, Berlino 1921. Per l'impiego dei carri armati e in parte anche per quanto riguarda il materiale possono essere consultate le pubblicazioni ufficiali (regolamenti e istruzioni militari) non riservate, italiane, francesi, inglesi e degli Stati Uniti d'America.
I carri sacri.
Si chiamano così quelle speciali costruzioni di legno o di altra materia, addobbate in onore di un santo, per lo più il patrono, nel giorno della festa. Derivati dal dramma sacro, essi mostrano tuttora, nei luoghi ove sono in uso, i segni dell'origine loro. Le dodici pesanti macchine (diciotto prima del 1629) che, portate a spalla, sfilano in processione per Campobasso nel giorno del Corpus Domini, non sono che quadri scenici derivati dalle vecchie rappresentazioni sacre, le quali, prima della proibizione fatta dal concilio sinodale del 1629, si solevano associare in quel luogo alla processione. Difatti, tali misteri, che glorificano episodî della vita di S. Isidoro, di S. Crispino, di S. Gennaro, di S. Michele, di S. Nicola, ecc., conservano, dei drammi liturgici, gli attori, che stanno a gruppi entro congegni di ferro, convenientemente mascherati, per dare l'illusione che i personaggi siano miracolosamente sospesi nell'aria.
Talora i "carri" sono scenarî veri e proprî, costruiti a commemorare o simboleggiare un avvenimento. Così i carri a forma di barche e di navigli. A Mazzara, in Sicilia, per simboleggiare la portentosa navigazione di san Vito, nel giorno della festa si conduceva per le vie un carro con ruote, a forma di grande barca, con entro fanciulli che cantavano inni. E tuttora la miracolosa statua si trasporta per mare, sopra una barca adorna di bandiere e di palloncini di carta di varî colori, fra uno stuolo di barche e di barchette illuminate. Carri a forma di galera, talvolta con l'enorme carena circondata da un mare dipinto, si videro in Messina, nella solenne ricorrenza della Sacra Lettera; la nave sarebbe ricordo o segno commemorativo della nave che recò don Giovanni d'Austria, dopo la vittoria di Lepanto; o della barca che portò ai Messinesi, secondo la leggenda, la lettera della Madonna. Lo stesso si fa a Palermo per Santa Rosalia. Anche a Nola, per la festa di S. Paolino, si costruisce nella piazza una barca, su cui prendono posto la statua e il re moro, che avrebbe tenuto in prigionia il santo; a Potenza, neì giorno di S. Gherardo, si porta in giro una grossa barca, nella quale, attorno al santo, si vedono uomini in abito moresco, rappresentanti i corsari, e il Gran Turco, un omaccione camuffato alla musulmana, circondato da armati. Una barca è usata anche a Bari, l'8 maggio, per celebrare la traslazione (1087) delle ossa di San Nicola di Mira a Bari (v. puglia: Folklore). Simili carri prendono talora il nome di "bara", forse a dare, insieme con l'idea della morte, del martirio o del sacrifizio del sacro personaggio, anche quella della sua risurrezione e dell'ascensione al cielo. Fra le bare rinomate vi sono quelle di Messina, di Seminara e Palmi in Calabria, consistenti in enormi, altissime macchine, che contengono il cataletto della Vergine con attorno i dodici apostoli, e sorreggono in alto il Sole, la Luna, il globo terracqueo, fra un gruppo di nuvole e varî ordini di angeli; e più in alto, al sommo, Gesù Cristo col braccio teso verso la Vergine. Gli apostoli e gli angiolettl'i quali ammontavano, nel tempo passato, a circa quaranta, erano fanciulli legati in appositi seggiolini di ferro.
Carri imponenti per l'arte con cui sono costruiti e per la ricchezza delle decorazioni si fanno in quasi tutta la Puglia, a Cerignola per la festa del Carmine, a Capurso per la Madonna del Pozzo, a Terlizzi per la Madonna del Sovereto, a Ceglie, a Sant'Eramo, a Bitonto, a Toritto e in altri luoghi. Quello della Madonna a Cerignola ha la forma di una grande conca dall'ampio avancorpo, su cui troneggia l'altare circondato, in alto e in basso, da fanciulli che fanno da angeli e cantano. Antica e singolare è la festa dei Talami a Orsogna nell'Abruzzo, ove il martedì di Pasqua sfilano, per recarsi alla chiesetta della Madonna del rifugio, i cinque talami, uno per volta, recanti una ragazza vestita da Madonna fra cori di angeli e fanciulli e fanciulle che inscenano fatti del Vecchio Testamento. Un carro tirato da buoi, coperto d'alloro, con un arboscello coperto di doni e ciambelle, al suono d'una cornamusa, chiude il sacro corteo. Alla prima metà del 1300 rimonta l'uso del carro fiorentino per la cerimonia dello "scoppio" nella mattina del sabato santo. Pazzo dei Pazzi, crociato, distintosi per aver piantato lo stendardo della fede sulle mura di Gerusalemme, al ritorno in Firenze portò con sé alcune pietre tratte dal sepolcro di Gesù Cristo; e da quelle il sabato santo si soleva fare sprizzare il fuoco, per accendere, al modo che si usava in Gerusalemme, le facelline, vera frenesia del popolo. Ma, verso la prima metà di quel secolo, uno di casa Pazzi chiese e ottenne dalla Signoria il permesso di preparare una macchina alla quale dar fuoco il sabato santo col fuoco benedetto dinnanzi a Santa Maria del Fiore, al suono delle campane, mentre si intonava il Gloria in excelsis.
D'allora la funzione venne crescendo d'importanza, assumendo il carattere d'un singolare spettacolo.
La tradizione ricorda il nome dei costruttori dei principali carri. Spesso, confondendo o scambiando la costruzione con l'ideazione, che è il risultato di un processo mentale, attribuisce a qualche artefice paesano l'invenzione della macchina o del tipo della macchina devozionale. Così l'architetto Radese nel 1535 avrebbe inventato il congegno della bara di Messina, poi costruito il carro di Palmi, seguito nella sua arte da mastro Giovannello Cortese e da mastro Iacopo; Paolo di Zimo avrebbe ideato nel 1629 i carri di Campobasso e immaginato quello di Santa Rosa di Viterbo.
Ma in realtà l'ideazione delle macchine sacre, che tuttora si vedono messe in azione nelle feste solenni, risale a tempi anteriori, oltre il Seicento e il Cinquecento. Se ne trovano gli archetipi nel sec. XIV, in Firenze, nelle "nuvole" di Francesco La Cecca e negli "ingegni" del Brunelleschi. Il legnaiolo Francesco La Cecca, che applicò la sua arte in tali costruzioni sceniche, divenne tanto famoso da essere ricordato a preferenza del Brunelleschi come autore e inventore delle "nuvole". Il Brunelleschi, per dare la visione del Paradiso nella Rappresentazione dell'Annunziata, aveva disposto le cose in modo che si vedeva in alto un cielo pieno di figure vive, e un'infinità di lumi quasi in un baleno scoprirsi e ricoprirsi, e dodici fanciulli vestiti da angeli, e quindi altri formanti un mazzo che calava dall'alto mediante un congegno, contemporaneamente a una mandorla reggente un giovinetto, che salutava e annunziava la Vergine. Nel Paradiso si vedeva Dio Padre fra angeli inneggianti. Ma i due artisti tanto rinomati non furono gl'inventori o ideatori nel vero senso della patola. Il La Cecca s'ispirò ai modelli del Brunelleschi; questi a sua volta, secondo alcuni, s'ispirò alle rappresentazioni tradizionali.
I carri tuttora in uso, a eccezione di quello di Firenze del sabato santo, che è una macchina o congegno per accendere iì fuoco, sono i documenti più chiari ed evidenti di questo fatto. Essi dimostrano che, se la rappresentazione del Trionfo, che si suole erigere a gloria del santo nel centro del carro, procede dai modelli del Brunelleschi e del La Cecca, la costruzione della base se ne distacca, per assumere una forma rispondente alle esigenze della tradizione locale, alle leggende regionali, ai miracoli, ecc. Perciò tanto a Messina quanto a Potenza e altrove la parte inferiore del carro ha forma d'imbarcazione, mentre nel resto è quasi una copia del vecchio albero trionfale degli artisti fiorentini del sec. XIV.
Bibl.: R. Corso, I carri sacri in Italia, in Boll. d'arte del Min. P. I., 1922, febbraio; F. Polese, Le feste pop. cristiane in Italia, in Atti I Congresso di etnogr. ital., Perugia 1912; M. Pitré, La festa di S. Rosalia in Palermo e dell'Assunta in Messina, Palermo 1900, pp. 21-39, 55-60, 64-67, 81-91, 94, 105-132; G. Pitré, Feste patronali in Sicilia, XIX, XX, pp. 13-14, 163-71; Albino, La processione del Corpusdomini in Campobasso, Campobasso 1876; G. Amalfi, La festa della Bruna in Matera, in Arch. trad. pop., XVII (1898); A. Tripepi, Curiosità storiche di Basilicata, Potenza 1916, pp. 77-86; G. Finamore, Credenze, usi e cost. abruzzesi, Palermo 1890, p. 132; Carri religiosi, in Catalogo della mostra etnografia italiana in Piazza d'Armi, Bergamo 1911, pp. 28-102; G. Conti, Firenze Vecchia, II, pp. 166-69; P. Scardovi, Il fuoco trionfante di G. Bezzi, in La Pié, VIII (1927), nn. 8-9, pp. 219-220; G. La Sorsa, Usi, costumi e feste del pop. pugliese, Bari 1925, pp. 286-306. Per quanto riguarda gli "ingegni" degli artisti fiorentini v. G. Vasari, Le vite, ed. Milanesi, III, Firenze 1878; A. D'Ancona, Orig. del teatro in Italia, I, Firenze 1877.