Vedi CARRO dell'anno: 1959 - 1994
CARRO
1) Oriente antico. - Il c. nella sua forma a quattro ruote piene, trainato da una quadriglia di buoi prima, di equidi poi, ha origine nella cerchia delle civiltà agricole pre-sumeriche del IV millennio a. C. e da queste si diffonde nelle varie forme per tutto l'ecumene.
Le più antiche rappresentazioni di c. mostrano la contemporanea esistenza del tipo a due ruote e di quello a quattro. Il più antico esempio è da considerarsi il modellino trovato a Tepe Gaura, datato a circa il 3000 a. C.; si tratta di un c. a quattro ruote, piene, coperto da una specie di telone, sul tipo del carpentum latino (cioè con copertura sorretta da armatura arcuata). Al periodo protodinastico (prima metà del III millennio) appartengono alcuni modellini trovati a Kish: riproducono c. a due e a quattro ruote, con la parete anteriore più alta rispetto a quelle laterali; all'incirca contemporaneo è un modellino di rame da Tell Agrab, rappresentante un c. a due ruote con guidatore, il quale tiene per le briglie quattro equidi; da notare il particolare delle ruote dentate, che compaiono anche nell'intaglio di un sigillo cilindrico del periodo di Mesilim (2600 a. C.). Su un frammento della cosiddetta "stele degli avvoltoi" si vede il re Eannatum di Lagash (circa 2450 a. C.) stante su una piattaforma con intelaiatura a graticcio, assieme ad un auriga con frecce.
Al periodo della I dinastia di Ur (2500-2350 a. C.) risale il pannello istoriato a litotomia delle tombe reali di Ur nella Mesopotamia meridionale: questo mostra ben cinque carri da guerra a quattro ruote trainati ciascuno da quattro equidi e montati, secondo il costume che sarà poi immortalato dai poemi omerici, da un combattente e da un auriga. Le ruote, piene, sono formate da due elementi semi-circolari uniti da due spranghe verisimilmente metalliche; i mozzi presentano una testata piuttosto ampia; la cassa sembra essere costruita da elementi strutturali ad asticciuole con un'alta sponda sul davanti e i fianchi bassi. Non si comprende bene se le stanghette di struttura, variamente disposte ed incrociate, costituiscano da sole le sponde laterali e la fronte, oppure se reggano paratie in legno o altra materia. La presenza di una alta sponda frontale, in funzione di corazza contro il lancio di armi nemiche e l'auriga rappresentato solo nella parte che supera l'altezza delle fiancate potrebbero indurre a questa seconda spiegazione, confermata anche dal fatto che durante tutta l'antichità i carri da combattimento presentano la parte anteriore chiusa e più elevata dei fianchi. Una tipologia analoga dovettero presentare due c. delle stesse tombe reali di Ur di cui sono conservati importanti elementi della decorazione, mentre un rilievo in pietra di egual provenienza, analogo ad uno completo da Khafāgiah, documenta con notevole chiarezza un tipo di c. a due ruote, pure con tiro a quattro. Questo presenta ruote analoghe a quelle già descritte, cassa piccola con alta sponda anteriore fornita di mantegni, timone con andamento ad angolo smussato, sul quale è un passante a due occhielli per le briglie. Questo tipo, di origine assai antica, resta in vigore nei suoi elementi fondamentali durante tutta l'antichità sia come c. da trasporto, sia, soprattutto, come c. da guerra e nelle due varianti principali a sponde chiuse e a semplici appoggi anteriori e laterali. Tali forme furono fissate dagli Hittiti con lievi differenze, le più notevoli delle quali dipendono da perfezionamenti tecnici maturati nei secoli, come ad esempio l'alleggerimento delle ruote mediante i raggi e da arricchimenti decorativi propri del gusto delle varie civiltà che li espressero.
Di stringatissima e leggerissima struttura è un cocchio da corsa proveniente dall'Egitto (Museo Archeologico di Firenze), la cui origine deve essere considerata anatolica; risale all'epoca del Nuovo Regno ed è composto di ruote a quattro raggi, di stanga ricurva, di una semplice maniglia sul davanti. Tipi analoghi figurano anche in coevi rilievi egizî e forse in tale epoca l'adozione del tipo avvenne su larga scala.
Il mondo siro-fenicio e l'area egeo-cretese presentano càrri da guerra e da corsa del tutto analoghi. E così dicasi del mondo miceneo (si vedano le rappresentazioni sulle stele di Micene) ed arcaico ellenico con la tendenza alla semplificazione ed all'alleggerimento delle strutture.
Il c. da trasporto è attestato su monumenti relativamente tardi. Ciò non significa che esso sia di uso posteriore, ma la mancanza di documentazione può dipendere semplicemente dal fatto che ad esso non dovette competere alcun ruolo nelle rappresentazioni celebrative o rituali che offrono i più antichi documenti di carri da guerra o da parata.
La più antica rappresentazione è egizia: nel rilievo di Abido, con la battaglia di Qadesh combattuta da Ramesses II contro gli Hittiti (1296 a. C.), accanto a carri da guerra hittiti ed egizi di tipo identico, leggerissimo, appaiono carri a quattro ruote con semplice piano di appoggio, con un grosso carico coperto da teli, trainati da coppie di buoi gibbuti, da asini e da cavalli: sono gli impedimenta dell'esercito hittita.
L'arte assira mostra alcune varietà di carri a due e a quattro ruote per il trasporto di persone, attribuiti a popoli nemici: vi sono due tipi di carri tirati da una coppia di buoi, uno come un c. da guerra, l'altro con ruote a dodici raggi e grosso cerchio, che trasporta tre o quattro persone (vecchi e bambini) e un solo cavallo a lato della stanga. I rilievi delle porte di bronzo di Balawāt (v.), della seconda metà del IX sec. a. C., mostrano un c. a quattro ruote, con un grosso piano di carico che regge una grande giara ed un personaggio, trainato da una lunga fila di prigionieri di guerra identificabili con gli Urartei sconfitti da Salmanassar III.
Al mondo cipriota si riferiscono alcuni modelli destinati ad usi rituali che ci documentano l'esistenza dei seguenti tipi: 1) di un c. leggero a due ruote con timone e cassa aperta sul davanti contenente una persona (terracotta dipinta della Collez. Forrer); 2) di un c. analogo, ma aperto sul retro e coperto da un velano che chiude a mezzo il davanti (terracotta da Mersinaki); 3) di un c. a quattro ruote con largo piano (terracotta da Cipro).
Sempre in questo ambito culturale sono da notare i cocchi raffigurati sul sarcofago di Amatunte (v.), aperti sul davanti come il primo descritto, ma più capaci. Altre rappresentazioni, poi, documentano l'espansione verso occidente del consueto c. da combattimento orientale (biga o quadriga).
Per quel che concerne la decorazione del c. nelle civiltà orientali, non è sempre facile raggiungere una ricostruzione esatta. Tuttavia, in linea di massima, si può dire che dalle strutture con scarsi ornati delle culture presumeriche e del mondo siro-hittita, si giunge con la civiltà assiro-babilonese ad esemplari fastosamente decorati nelle varie parti, con l'uso di lamine o bronzee o in metallo nobile sbalzato e cesellato che rivestivano verosimilmente un'anima di legno. Tra i singoli elementi di decorazione conservati, si possono citare il bel leone dei carri reali di Ur ed il passante per briglie con figura di onagro in bronzo fuso sopra i due anelli. Altri passanti per briglie con figurazioni simili provengono da Tell Ahmar (inizio II millennio a. C.) e da Boǧazköy. Ricchissimi sono pure gli ornati della cassa nel c. rinvenuto nella celebre tomba di Tutankhamon.
2) Preistoria occidentale. - I grandi movimenti di popoli, attraverso la pianura euro-asiatica, e verso i climi temperati, che si verificarono per tutta l'antichità costituirono un potente mezzo di diffusione del c. da trasporto, specialmente a quattro ruote, di cui abbiamo una notevole documentazione durante la tarda età del Bronzo e l'Età del Ferro, tanto in esemplari autentici, quanto in riproduzioni ridotte, con intendimenti cultuali, ed in rappresentazioni.
Senza considerare alcune pitture rupestri dell'Iberia sud-occidentale (provincia di Badajor) attribuite all'"eneo litico", le figurazioni più certe, riferibili a carri trainati da buoi, appaiono in incisioni rupestri della Svezia meridionale, dello scorcio del II millennio a. C. (v. rupestre, arte).
La diffusione di tale perfezionato mezzo di trasporto segue le due consuete correnti culturali del Mediterraneo e del bacino danubiano, con le immancabili contaminazioni che si verificano nelle tipiche zone di incontro delle correnti stesse (Italia settentrionale, Gallia, ecc.).
Le più antiche rappresentazioni occidentali rivelano l'accennata dipendenza. Il tipo miceneo di c. a due ruote (trainato da cavalli) raggiunge sicuramente le regioni più settentrionali, come è testimoniato da un'incisione in una tomba di Kivik (Scania). La diffusione del c. a quattro ruote ippotrainato appare generalizzata in Europa nella tarda civiltà di Hallstatt ed in quella di La Tène; in tombe di capi si trovano resti di c. i quali probabilmente venivano usati anche per il trasporto funebre, come mostra una scena effigiata su un'urna hallstattiana di Oedemburg che richiama all'evidenza gli esemplari orientali, ciprioti e greco-geometrici. Occorre peraltro giungere ai secoli VI-V a. C. per incontrare esemplari di dimensioni normali e destinati all'uso effettivo. Sono assai noti al riguardo i carri di Ohnenheim in Alsazia, di Dejbjerg in Danimarca e della Camorta di Lazzago presso Como, esemplari solenni in legno con rivestimenti metallici, costituiti da un piano rettangolare su quattro ruote, ricchi balaustrini laterali e trono decorato, destinati evidentemente al trasporto processionale di alte personalità sacerdotali.
Altri esemplari del genere ci sono stati restituiti da tombe boeme della cultura di Bilany, di transizione fra l'ultimo periodo hallstattiano e quello di La Tène e riferibili etnicamente ai Celti dove sono fra l'altro notevoli i ricchi gioghi dei cavalli decorati geometricamente. In questo stesso ambito compare il c. a due ruote con cassa presumibilmente aperta sul davanti che già si vide a Cipro (esemplare di Straškov) e che compare anche in un modellino fittile di Fonte Cucchiaia presso Chiusi riferibile all'ultimo periodo villanoviano (secoli VII-VII a. C.).
Sono evidentemente i modelli orientali che tutti si diffondono con lievi varianti fin nelle più remote plaghe d'Occidente, sia per le vie continentali (si confrontino i modellini della Scizia meridionale) sia per quelle marittime del Mediterraneo.
3) Grecia. - Come si è accennato, il mondo greco riceve la tipologia del c. leggero a due ruote dall'ambiente hittita-siriaco e lo trasmette poi, con proprie modificazioni, al mondo italico e a Roma.
Nella civiltà minoica, oltre all'unico modello fittile di c. a quattro ruote da Palaikastro, assegnabile al Medio Minoico, si trova un tipo di c. leggero da trasporto o da corsa, con la cassa certamente in legno, fornito di due ruote, a quattro o a sei raggi, e tirato da una coppia di animali, come testimoniano le rappresentazioni dipinte sui lati brevi del sarcofago di Haghìa Triada (v.) e la figurazione su un sigillo di Vaphiò.
Nella civiltà micenea il tipo è usato soprattutto in guerra, ma anche in pace, quale semplice mezzo di trasporto, come si ricava dall'affresco frammentario del palazzo di Tirinto raffigurante la partenza di donne per la caccia.
Poiché dopo il periodo miceneo i Greci tralasciarono quasi del tutto di impiegare il c. in guerra, il tipo di cocchio leggero servì loro per lo più come attrezzo agonistico negli ippodromi (cfr. due anfore proto-attiche e anfora panatenaica di Lydos). Ancora come c. da guerra continuarono a rappresentarlo, quando le esigenze della figurazione lo imponevano. Numerosi gli esempî nella pittura vascolare (un cratere tardo-corinzio, un dèinos attico a figure nere della metà circa del VI sec. a. C.). Una testimonianza di persistenza della primitiva tecnica costruttiva delle ruote piene si ha su una stele attica frammentaria del V sec. a. C.
Quale espressione delle complicazioni strutturali, proprie della fase d'arte orientalizzante, si può ricordare il c. con ruote ad Otto raggi (presso Omero, κύκλα ὀκτάκνη-μα) documentato sui sarcofagi di Clazomene. È infine pregevole documento per la ricca decorazione, il c. rappresentato su di un'hydria ceretana.
Anche il c. a quattro ruote è attestato nella civiltà greca ma il suo uso sembra limitato al trasporto funebre: si vedano al riguardo il vaso del Dipylon nel Museo Nazionale di Atene e il modellino fittile da Vari, datato al 6oo a. C., che consta di una cassa a largo piano e di quattro ruote (v. più avanti carro cultuale).
In età classica l'uso del c. è limitato alle corse negli ippodromi (v. circo), e solo raramente è adoperato in guerra, ad esempio a Cirene alla fine del IV sec. a. C. Rimangono ovviamente in uso i c. da trasporto dei quali è difficile stabilire una tipologia a causa della scarsezza di rappresentazioni figurate.
Durante l'ellenismo il c. perde le sue carattenstiche funzionali, si appesantisce sino ad assumere le forme monumentali che possiamo ricavare dalla rappresentazione del c. di Dario nel mosaico di Alessandro o dalla descrizione del c. funebre sul quale furono trasportate ad Alessandria le spoglie di Alessandro il Grande.
Le forme elaborate del c. di parata ellenistico passano a Roma nei c. trionfali.
4) Etruria. - Restringendoci più particolarmente al mondo italico, è da osservare che la stessa corrente culturale che porta in Etruria il gusto orientalizzante, introduce il classico cocchio da guerra su due ruote con cassa chiusa sul davanti e manubri (biga, quadriga o triga).
I più antichi esemplari sono quelli di Marsiliana di Albegna (Circolo della Perazzeta) della Tomba Regolini-Galassi di Cerveteri, due provenienti dal podere di S. Cerbone a Populonia e quello frammentario nel Metropolitan Museum di New York, di provenienza sconosciuta, i quali, sulla struttura già nota, con la cassa generalmente parallelepipeda, recano vari elementi di decorazione che li caratterizzano: protome zoomorfa (leone o giovane montone) in capo al timone, lamine sbalzate e applicazioni in bronzo fuso a figure od ornati (maschere gorgoniche o sileniche, doppie spirali, palmette, serpente barbuto ed altro) sulle fiancate anteriore e laterali della cassa.
La biga è anche attestata, in modo più o meno frammentario, nelle restanti culture del Ferro dell'Italia centro-settentrionale (Fabriano, Bologna, Sesto Calende) e nell'ambito italo-greco (Capua). Strettamente al mondo etrusco-italico si riferiscono invece i due superbi carri di Monteleone di Spoleto, nel Metropolitan Museum di New York e di Castel S. Mariano presso Perugia, nel museo di Monaco di Baviera e nel Museo Arch. di Perugia, riferibili alla fase ionico-etrusca della metà del VI sec. a. C. Il primo, integro, è un c. da parata, con cassa a base centinata, alta sponda anteriore e fiancate curvilinee, la cui decorazione a splendidi sbalzi di gusto ionico soverchia gli stessi elementi strutturali. I manubrî, infatti, assorbiti nel perimetro delle fiancate fanno da cornice al campo istoriato. Il secondo, giuntoci a frammenti e pertanto difficilmente ricostruibile, anche se non par dubbia la sua natura di cocchio da parata, sembra doversi ricondurre ad una biga con la cassa a base quadrangolare, analoga ai più antichi esemplari populoniesi e ceretani; ma potrebbe pure trattarsi di un leggero cocchio aperto sul davanti, non dissimile da quello che ci appare sul lato minore di un bel sarcofago di Vulci del sec. IV a due ruote, timone e giogo per due cavalli, piano quadrangolare a basse sponde sagomate con sedile alto a cuscini su cui sta la coppia eroizzata, mentre il cocchiere siede sulla parte anteriore del piano con le gambe ciondoloni.
Bighe da corsa più tarde e di tipo greco sono documentate su lastre templari fittili di Caere e di Tuscania, su una tegola terminale del frontone di un tempio prenestino (metà del VI sec. a. C.) e su un'altra lastra fittile proveniente dall'Esquilino; ve ne sono inoltre nella Tomba tarquiniese delle Bighe (scorcio del VI sec. a. C.), in quelle della Scimmia (circa 480 a. C.) e Casuccini del Colle (seconda metà del V sec. a. C.) a Chiusi.
Costituiscono una variante le trighe, pure da corsa, espresse, tra l'altro, sui rilievi di un'urna chiusina dell'inizio del V sec. a. C. e sulle lastre fittili dei templi di prima fase di Palestrina e di Velletri (metà del VI sec. a. C.).
Oltre alla biga, la Tomba Regolini-Galassi ci ha conservato un c. a quattro ruote di proporzioni ridotte, senza sterzo e senza timone, piano rettangolare e sponde laterali a giorno in cui le lamine formano un interessante motivo a intreccio di linee curve, sormontate, nei vertici di congiunzione, da palmette; dovette servire al trasporto solenne del defunto alla sepoltura, e richiama il pilentum della Camorta e il c. dei funerali sull'anfora del Dipylon.
5) Roma. - La documentazione diretta e indiretta permette di ricostruire con sufficiente precisione una discreta serie di tipi di c. a traino animale, comune alla cultura della Roma repubblicana ed imperiale.
Accanto alla biga che viene usata a scopi esclusivi di parata o agonistici, acquistano notevole diffusione veicoli da trasporto e da viaggio e contemporaneamente continuano i c. di uso rituale (v. più oltre carro cultuale). Tra i primi va menzionato il c. prima da guerra e poi da parata (currus triumphalis) che ci appare, in molte rappresentazioni, simile ad una biga greca, ma con la cassa semi-circolare piuttosto alta e riccamente istoriata ed un tiro a quattro. Si vedano, ad esempio, il rilievo del fornice dell'arco di Tito col trionfo dell'imperatore sui Giudei ed il rilievo con Marco Aurelio trionfatore nel Palazzo dei Conservatori. La biga marmorea del Vaticano sontuosamente decorata a rilievi fitomorfi e zoomorfi nella cassa, nelle ruote e nel timone, nonché varie rappresentazioni tra cui la litotomia già a Palazzo del Drago a Roma che forse rappresenta il console Giunio Basso (IV sec. d. C.) indicano che anche la semplice biga servì fino al tardo Impero quale veicolo da parata.
Il c. da corsa, che ripete fondamentalmente gli analoghi tipi greci ed etruschi, mostra strutture leggerissime, ridotte agli elementi essenziali, con la sponda anteriore ad intreccio di bastoncelli piuttosto inclinata in avanti allo scopo di permettere all'auriga di meglio proiettarsi verso i cavalli.
Tra i veicoli da trasporto sono da ricordare anzitutto l'antichissimo plaustrum, a due ruote piene, adatto ai grandi carichi (come il modellino di c. rustico in bronzo da Bagnoregio, presso Bolsena, databile al IV sec. a. C., conservato nel Museo di Villa Giulia) ed il carrus, a quattro ruote col treno anteriore a sterzo, che pure ripete forme antiche. Tra i carri da viaggio, il carpentum, di origine etrusca, ma assai alleggerito rispetto al prototipo, presenta due ruote, baldacchino sulla cassa e tiro a due (moneta di Caligola; rilievo in avorio di Magonza), la reda e la carruca, a quattro ruote, si assomigliano, anche se destinate ad usi diversi: la prima era scoperta e di foggia assai semplice, la seconda poteva anche essere riccamente decorata (la carruca è rappresentata su un rilievo di Virunum, nella chiesa di Maria Saal). Leggero e comodo, con le sue grandi ruote era il cisium, quasi un calesse con tiro a due, di origine britannica.
La tensa e il pilentum erano carri sacri: il primo, destinato a contenere le exuviae deorum, era un veicolo a due ruote con cassone cubico, costruito con materiali pregiati e con eleganti decorazioni; rilievi e medaglie ci mostrano qualche esempio di decorazione; le facce del cassone erano inquadrate da schemi architettonici e da cornici (moneta di Antonino Pio). Il pilentum fornito di quattro ruote, ricche sponde ed ampio piano con trono, era originariamente destinato al trasporto di persone e cose sacre. Esso appare come la continuazione di un tipo protostorico che già si è considerato (Camorta, Ohnenheim, Regolini-Galassi) con le modificazioni portate dai tempi. Un bell'esempio è il modellino bronzeo che rappresenta Cibele in trono sul carro tirato da leoni, nel Metropolitan Museum di New York. Allo stesso tipo può essere ricondotto il veicolo che appare in un rilievo vaticano, ed anche la così detta Tensa Capitolina potrebbe essere identificata per un pilentum di foggia speciale. Notevolissimo in essa è il rivestimento in lamine di rame sbalzato che reca una ininterrotta serie di figurazioni inquadrate da cormci architettoniche in forma di fronti templari (vol. 1, fig. 44).
Particolarmente felici sono stati i ritrovamenti di c. nell'odierna Bulgaria, dato l'uso tracio di seppellire, in prossimità del tumulo, il c. con i cavalli. A Duchova Mogila, presso Pastuča (Plovdiv) sono stati messi in luce 9 c., nel tumulo di Jambol 3, e così via. Mentre le parti di cuoio e di legno sono andate perdute, soprattutto abbondanti sono stati i rinvenimenti delle parti metalliche (250 pezzi di ferro e bronzo per un solo carro). Talora si hanno così esemplari artistici del III-IV sec. d. C. di notevole interesse. Specialmente ben conservati i carri rinvenuti negli scavi recenti a Čičkovci (Kustendil).
6) Età barbarica. - Nell'età barbarica e nell'alto Medioevo, con l'impoverimento economico e la mutata organizzazione sociale dei territorî ex imperiali, si verifica il rapido degradare della rete stradale impiantata dai Romani e l'uso di mezzi di locomozione diversi da quelli dell'età imperiale.
Infatti mentre agli eleganti veicoli destinati al trasporto delle persone si sostituiscono il semplice cavallo bardato, gli sgabelli a dorso d'asino o di mulo e le semplici lettighe a braccia, si continuarono ad usare i c. solo per le più materiali esigenze dell'agricoltura o del trasporto di grandi pesi. Il che portò al venir meno di intendimenti di decorazione artistica e alla perdita di quasi tutte le capacità tecniche acquisite in precedenza nella costruzione dei veicoli.
7) Asia ed Estremo Oriente. - Nei tumuli scitici dell'Altai (v. altai; pazyryk) del V e IV sec. a. C. sono sepolti, insieme al defunto capo, numerosi cavalli con bardature e selle; ma nel tumulo 5° si sono trovati i resti (che ne hanno consentito una sicura ricostruzione) di un c. a quattro ruote, con baldacchino, di struttura leggera e solida, che doveva servire da viaggio e diporto.
Nella civiltà cinese, c. a due ruote, per combattimento e per caccia, si trovano riprodotti su vasi in bronzo della dinastia Chou (1027-255 sec. a. C.). In pitture parietali e su rilievi di stele di epoca Han (206 a. C.-220 d. C.) si hanno vivacissime rappresentazioni di agili carri di diporto in leggera struttura lignea, con parasole e tettoia, o chiusi con paratie, con grandi ruote a Otto e a sedici raggi, tirati da uno o da due cavalli in corsa sfrenata (v. cinese, arte).
Monumenti considerati. - Civiltà orientali: c. di Tepe Gaura: E. A. Speiser, Excavations at Tepe Gawra, i, Filadelfia 1935, tav. xxxv A; c. di Kish: H. Schmökel, Ur, Assur und Babylon, Stoccarda 1955, tav. 17; c. di Tell Agrab: Schmökel, cit., tav. 17; sigillo del periodo di Mesilim: Schmökel, cit., tav. 13; stele di Eannatum: Schmökel, cit., tav. 42; pannello di Ur: Schmökel, cit., tav. 39; decorazioni dei c. di Ur: Brit. Mus. Quarterly, ii, 1928; rilievo di Ur: H. Frankfort, Art and Archit. Anc. Orient, Harmondsworth 1954, tav. 33 A; cocchio dall'Egitto del museo di Firenze, epoca di Thutmosis III - Amenophis II: H. T. Bossert, Altsyrien, Tubinga 1951, fig. 736; rilievo di Abido: il principe hittita alla battaglia di Qadesh contro Ramesses II: H. T. Bossert, Altanatolien, Berlino 1942, fig. 747; rilievi assiri con c. di popoli stranieri: Frankfort, cit., tav. 94 D, 106; rilievi delle porte in bronzo di Balawāt della seconda metà del IX sec. a. C.: Bossert, Altanatolien, fig. 1211 (cfr. in Bossert, Altsyrien, fig. 970 altre rappresentazioni di c. da guerra di egual provenienza); c. ciprioti a due ruote (Terracotta Forrer): Préhistoire, i, 1932, p. 31, fig. 5, n. 3; p. 33, fig. 6, n. 3; c. in terracotta a due ruote da Mersinaki (Cipro), transizione tra l'arcaico cipriota I e il classico I: Bossert, Altsyrien, fig. 57; c. in terracotta a quattro ruote dall'isola di Cipro: Préhistoire, i, 1932, p. 31, fig. 5 n. 5.; sarcofago di Amatunte con rappresentazione di c. a due ruote: Bossert, Altsyrien, fig. 52; passante per briglie con statuetta di onagro da Ur: Frankfort, cit., tav. 29 A; passante come sopra, da Tell Ahmar (Till Barsip) (inizî del II millennio) con cavallini rampanti affrontati: Bossert, Altsyrien, fig. 571; due passanti c. s. da Boǧazköy: 1) con figurina di cavallo, 2) con figurina di cavallo e palafreniere: Bossert, Altanatolien, figg. 597-599; 601-604. - Preistoria occidentale: vaso graffito da Ödenburg (Ungheria) con rappresentaz. di c. sacro, prima Età del Ferro: Préhistoire i, 1932, p. 29, fig. 4, n. 3; c. di Ohnenheim (Alsazia): R. Forrer, Un char de culte ecc., Strasburgo-Parigi 1921, figg. 19-20, p. 35; tav. iv a p. 55; c. di Dejbjerg (Danimarca): Forrer, cit., p. 35, fig. 21; c. della Camorta di Lazzago (Como): Rivista Arch. di Como, 1930; Fr. Dvořak, in Praehistorica, i, Praga 1938, p. 63, fig. 58; c. a 4 ruote nelle tombe boeme della cultura di Bilany: Dvořak, cit., passim; c. a due ruote da Straškov (Boemia): Dvořak, cit., pag. 21, fig. 18; modellino di c. da Fonte Cucchiaia (Chiusi): Préhistoire, i, 1932, p. 37, fig. 8, n. 7; modellini di c. dalla Scizia meridionale: Préhistoire, i, 1932, p. 37, fig. 8, nn. 1, 2, 4. - Grecia: sarcofago di Haghia Triada, rappresentazione di c. da guerra: Bossert, Altkreta3, Berlino 1937, figg. 253-254; sigillo da Vaphiò: Bossert, Altkreta, fig. 394 c; affresco frammentario di Tirinto: donne su c.: G. E. Rizzo, Storia dell'arte greca, i, Torino 1914, fig. 125; due anfore proto-attiche con carri da corsa: Beazley, Development, 195 i, tav. 1, figg. 1-2; anfora panatenaica di Lydos, con rappresentazione di c.: Beazley, cit., tav. xviii; cratere tardo-corinzio con rappresentazione di c. da guerra: Buschor, Griech. Vasenmalerei3, fig. 67; dèinos attico a figure nere con analoga rappresentazione: Beazley, cit., tav. xiii, 1; stele attica frammentaria (V sec. a. C.) con rappresentaz. di c. greco a ruote piene: Arch. Anz., 1942, p. 247, fig. 28; sarcofagi di Clazomene con rappresentazione di c.: Monum. Piot, iv, tavv. iv-vi; idria ceretana con rappresentazione di c. a ricca decorazione: E. Pfuhl, Mal. u. Zeichn., iii, tav. 34; vaso del Dipylon con rappresentazione di funerale: Préhistoire, i, 1932, p. 29, fig. 4, n. 15; modellino fittile di c. a quattro ruote da Vari (6oo a. C.): Am. Jour. Arch., lxi, 1957, p. 281. - Etruria: resti di biga della Marsiliana d'Albegna (Circolo della Perazzeta): A. Minto, Marsiliana di Albegna, Firenze 1921, tavv. xxxi, xxxv, xlvi; biga della Tomba Regolini-Galassi di Cerveteri: L. Pareti, La tomba Regolini Galassi del Museo Etrusco Gregoriano e la civiltà dell'Italia centrale nel secolo VII a. in Monumenti Vaticani di Archeologia e d'Arte, viii, Città del Vaticano 1947, tav. xxv, n. 227; due bighe da Populonia (Podere San Cerbone): A. Minto, Populonia, p. 122, ivi figura; 2) A. De Agostino, in Not. Scavi, 1957, pp. 14-26, figg. 12-34; resti di biga del Metropolitan Museum di New York: G. M. A. Richter, Fittings from an Etruscan Chariot, in Studi Etruschi, xiii, 1939, pp. 433-435, tavv. xxxi-xxxiii; biga di Monteleone (Spoleto): Brunn-Bruckmann, tavv. dlxxvi-dlxxvii; G. M. A. Richter, Greek, Etruscan and Roman Bronzes, New York 1915, pp. 17-29, fig. 40; K. Pfister, Die Etrusker, Monaco 1940, p. 45, p. 47, ivi figure; c: frammentario di Castel San Manano (Perugia); E. Petersen, Die Bronzen von Perugia, in Röm. Mitt., 1894, p. 253 e seg.; G. Q. Giglioli, Arte Etrusca, Milano 1935, tavv. lxxxvii, 2-3, lxxxviii, 2; sarcofago vulcente (sec. IV a. C.) con rappresentazione di cocchi aperti sul davanti: A. Solari, Vita pubblica e privata degli Etruschi, Firenze 1931, tav. xlvi, fig. 89 b; bighe da corsa su lastre fittili templari da Caere: Giglioli, cit., tav. xlix-xlix, 2-3; id. da Tuscania: Giglioli, cit., tav. C, 1-2; tegola terminale da Palestrina (metà VI sec.): A. Della Seta, Itallà Antica, i, Bergamo 1922, fig. 174; lastra fittile con bighe da Roma (Esquilino): Giglioli, cit., tav. C, 3; tomba delle bighe (Tarquinia) (scorcio del VI sec.inizio del V): Solari, cit., tav. xxxvi, fig. 67; Tomba della Scimmia (Chiusi) (480 a. C.): Solari, cit., tav. xxxvi, fig. 69; Tomba Casuccini del Colle (seconda metà del V sec.): Della Seta, cit., fig. 184; trighe su di un'urna chiusina (inizio V sec.): Solari, cit., tav. xxxvi, fig. 68; id. su lastre fittili di Palestrina e Velletri (metà del VI sec.): Giglioli, cit., tav. xcviii, 2; tav. C, 4; c. funebre a 4 ruote della Tomba Regolini-Galassi: Pareti, cit., n. 237, tav. xxxi. - Roma: Trionfo di Tito (arco omonimo): P. Ducati, L'Arte in Roma dalle origini al sec. VIII, Bologna 1938, tav. cviii; Trionfo di Marco Aurelio in rilievo del Palazzo dei Conservatori: Ducati, cit., tav. clviii; biga marmorea dal Vaticano: G. Lippold, Die Skulpturen des Vaticanischen Museums, iii, 2, Berlino 1950, p. 101, n. 623; Litotomia già del già Pai. del Drago con console in biga: Ducati, cit:, tav. ccxlii; sul plaustrum: M. Cagiano de Azevedo, Mostra Augustea della Romanità, i trasporti e il traffico, Roma 1953; modellino in bronzo di plaustrum, da Bagnoregio (sec. IV a. C.) al Museo di Villa Giulia: Not. Scavi, 1928, p. 340; rappresentazione di carpentum su moneta di Caligola: M. Cagiano De Azevedo, cit., fig. a p. 11; id. su rilievo in avorio di Magonza: Mainzer Zeitschrzft, 44-45, 1949-50, p. 58, fig. 1; rappresentazione di reda: Esperandieu, Basreliefs, iv, 3245; carruca su rilievo da Virunum nella chiesa di Maria Saal (Carinzia): R. Noll, Kunst der Römerzeit in Österreich, Salisburgo 1949, tav. 33; rappresentazione di cisium a rilievo sulla colonna di Igel: Mainzer Zeitschrift, 44-45, 1949-50, p. 59, fig. 2; id. in pittura pompeiana della Casa del Criptoportico: R. Bianchi Bandinelli, Hellenistic Byzantine Miniatures of the Iliad, Olten 1955, fig. 143; id. in stucchi dell'ipogeo dei Pancrazi (Roma): ibid., fig. 144; rappresentazione di pilentum su medaglione di Antonino Pio: Gnecchi, Medaglioni romani, ii, p. 22, n. 117, tav. 56, u. s.; bronzo con Cibele su pilentum tirato dai leoni: G. M. A. Richter, Catalogue of the Metropolitan Museum, pp. 128-29, fig. 258; rappresentazione del pilentum a rilievo vaticano: G. Papasogli, L'agricoltura degli Etruschi e dei Romani, Roma 1942, tav. xix; cosiddetta Tensa Capitolina: H. S. Jones, Catalogue of Ancient Sculpture of the Palazzo dei Conservatori, Oxford 1926.
Bibl.: Opere generali. - A. Baumeister, Denkmäler d. klass. Altertums, s. v. Wagen; H. Blümner, Technologie u. Terminologie d. Gewerbe u. Künste, II, Lipsia 1879; W. Helbig, Das homerische Epos, Lipsia 1884, p. 96 ss.; Dict. Ant., s. v. Currus che rinvia alle altre singole voci; O. Nuoffer, Die Rennenwagen im Altertum, Lipsia 1904; Pauly-Wissowa, alle singole voci; M. Ebert, Reallexikon der Vorgeschichte, s. v. Wagen; Enciclopedia Italiana, s. v. Biga e Carro; R. Forrer, in Préhistoire, I, 1932; J. Wiesner, Fahren und Reiten in Alteuropa und im alten Orient (Der Alte Orient, 38), Lipsia 1939.
Origini e civiltà orientali. - Textor de Ravisi, Étude sur le char de guerre égyptien, in Congrès provincial français des orientalistes. Égyptologie, Bulletin, I, II, p. 464; G. Perrot-Ch. Chipiez, Hist. de l'art, II, pp. 284, 491, 624; F. Studcnizka, Der Rennenwagen in syrisch-phönikischem Gebiet, in Jahrbuch, 1907, p. 153; A. Salonen, Die landfahrzeuge des alten Mesopotamien, Helsinki 1951; H T. Bossert, Altanatolien, Berlino 1942; id., Altsyrien, Tubinga 1951; H. Frankfort, Art and Architecture of Ancient Orient, Harmondsworth 1954.
Preistoria occidentale. - J. Dechelette, Manuel d'archéol. préhistorique, celtique et gallo-romaine, II, Parigi 1908; R. Forrer, Un char de culte à quatre roues et trone, Strasburgo-Parigi 1921; Fr. Dvořak, in Prehistorica, I, Praga 1938.
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Etruria. - H. Nachod, Der Rennwagen bei den Italikern und ihren Nachbarn, Lipsia 1909; H. Brunn-Körte, I rilievi delle urne etrusche, III, Berlino 1916, tav. 79 ss.
Roma. - J. Marquardt, La vie privée des Romains, Parigi 1889-92, II, p. 39 ss.; H. Blumner, Römische Privataltertümer, Monaco 1911, p. 458 ss.; M. Cagiano de Azevedo, I trasporti e i traffici (Mostra Austea della Romanità), Roma 1938; Mostra Augustea della Romanità, Catalogo, 2a ed., Roma 1938, pp. 429-434; 439-441, e Appendice Bibl., pp. 245-246; 252-254.
(M. Zuffa)
Carro cultuale. - Vengono designate con questa comune denominazione varie classi di monumenti, alquanto differenziati per tipologia, epoca, ambiente culturale.
Il termine stesso è stato inteso volta a volta nel senso di idolo, di simbolo religioso più generico, di dono votivo, di oggetto per la celebrazione di un determinato rituale.
Ed effettivamente, ognuna di queste definizioni può apparire valida, limitatamente però a singoli esemplari, o a singole classi. Gli oggetti per i quali è accertato, o almeno probabile, il valore di idoli sembrano i più antichi, e si ricollegano alla concezione della ruota come simbolo religioso, le cui radici andrebbero rintracciate nell'ambiente danubiano-balcanico di età molto antica (Vucedol). Non mancano tuttavia precedenti orientali, come gli idoli teriomorfi su ruote da Susa, e, più tardi, i modellini di carri che recano divinità, in ambiente mesopotamico, fenicio e cipriota.
Alla prima Età del Bronzo appartiene un idolo in argilla proveniente dalla stazione di Dupljaja nel Banato. Si tratta di una figura umana, nella quale si sono voluti vedere caratteri androgini, in piedi su di un c. a tre ruote, e con due timoni; questi terminano in corpi di uccello, che sembrano rappresentare gli animali da tiro. Un'altra figura di uccello è posta immediatamente dinanzi alla figura umana, tra i due timoni. Al di sotto del c. è incisa una ruota. I vari elementi, come è stato osservato, sono intimamente fusi tra loro, quasi a rappresentare un rapporto, un evento, nel quale, probabilmente, va ricercato il significato religioso dell'idolo.
Sempre da Dupljaja proviene un frammento di un c. simile a quello trattato precedentemente sormontato da un idolo femminile.
Anche nel notissimo carro bronzeo di Trundholm nell'isola di Seeland, della media Età del Bronzo, si è voluto vedere un idolo, inteso come il Sole impersonale (S. Müller), o come simbolo di una divinità antropomorfa (Olrik); le circostanze di rinvenimento dimostrano però che il carretto venne gettato nell'acqua dopo essere stato spezzato intenzionalmente, col procedimento di un sacrificio magico.
Ad un carretto analogo dovevano appartenere alcuni frammenti rinvenuti a Tågaborgshöiden (Scania). Al c. di Trundholm è stato avvicinato un singolare oggetto, rinvenuto anch'esso nella torba, a Balkåra (Scania), di data forse anche più antica, e di sicura importazione dalla zona danubiana, come dimostra un esemplare identico da Hazfalva, in Ungheria.
È nota la frequenza del motivo del c. solare nelle incisioni rupestri scandinave. Un significato religioso è probabilmente legato anche alle frequenti rappresentazioni di c. su vasi hallstattiani; particolarmente notevole la figurazione di un'urna da Ödenburg in Ungheria, sulla quale un c. reca un idolo piramidale.
Un gruppo di monumenti che deve essere considerato completamente diverso è quello costituito dai cosiddetti carretti a bacino (Kesselwagen), generalmente in bronzo, la cui diffusione, varia per età e zone, è legata alla complessa storia della Civiltà dei Campi di Urne.
Tra i più antichi, veri e propri carri a bacino, si distinguono due tipi: nel più arcaico il bacino è retto da un alto sostegno cilindrico, connesso al treno mobile, che è formato da quattro ruote collegate tra loro da assi ricurvi, terminanti a corna (Ystad, Scania; Peccatel, Meclemburgo: contemporanei alla primissima fase dei Campi di Urne); nell'altro il bacino è fissato direttamente al treno mobile e gli assi terminàno con figure di uccello (Skallerup, isola di Seeland: contemporaneo alla primissima fase dei Campi di Urne; Milaveč; Boemia, di età un po' più recente secondo alcuni autori). A questo secondo tipo si può assimilare un bacino di argilla su ruote, privo però di assi, da Kanya (comitato di Tolna), in Ungheria, rinvenuto in una tomba della fase antica della Civiltà dei Campi di Urne. Anche gli esemplari nordici, del resto, sono importazioni dall'area danubiana di questa civiltà.
Una forma a sé è rappresentata invece dal bacino bronzeo di Szaszvaroszek in Transilvania, della primissima fase dei Campi di Urne, connesso alle ruote da un asse longitudinale terminante a protomi di uccello; altri elementi a protome di uccello si dipartono dal bacino e dal coperchio. Si è voluto anzi vedere in ciò un'analogia col motivo danubiano della barca ad uccello.
Quest'ultimo esemplare si avvicina in un certo qual modo ad una classe più recente, in cui il recipiente stesso è teriomorfo, quello dei cosiddetti carretti ad uccello (Vogelwagen). Essi appartengono già all'Età del Ferro, e la loro distribuzione geografica (Glasinac in Bosnia, Este e dintorni, Tarquinia, Viterbo, Velletri, Salerno, ecc.) mostra che, perdutasi la voga dei vecchi c. a bacino nelle regioni originarie della Civiltà dei Campi di Urne, la nuova foggia ebbe la sua diffusione nelle zone che ora ne andavano accogliendo in parte il patrimonio ideologico.
Si distinguono due tipi, uno ritenuto più arcaico, in cui il recipiente ha corpo e testa di uccello, ed è sormontato da un coperchio, che ripete lo stesso motivo, o la sola protome (Este, Lozzo, "Canosa"); l'altro, a corpo di uccello con protome taurina, ripetuta sul coperchio (Tarquinia, Salerno), con una contaminazione tra i due animali simbolici secondo un motivo molto diffuso, che fa parte delle contemporanee innovazioni nel patrimonio culturale centro-europeo. Un fenomeno parallelo è rappresentato da alcuni carretti a corpo di cavallo da tombe a tumulo hallstattiane della Carnia e della Carinzia, in cui un motivo completamente nuovo, probabilmente dovuto ai contatti con le popolazioni di cavalieri nomadi affacciatesi all'ambiente balcanico-danubiano, si inserisce in una foggia tradizionale.
Le accennate connessioni tipologiche e culturali tra le due classi, quella dei veri e propri c. a bacino, e quella dei c. ad uccello, fanno pensare ad oggetti dello stesso significato ed uso. Un'interpretazione proposta sul finire del secolo scorso (Virchow, Undset, Furtwängler), attribuisce a questi recipienti una ben precisa funzione rituale, in base all'analogia con i grandi bacini su ruote (mĕonōt) del tempio salomonico, opera del toreuta Ḥiram da Tiro, di cui ci parlano diversi passi biblici (I Re, 7, 13 ss.; Il Re, 16, 17 e 25, 8-13; II Paralipomeni, 4, 6), e che servivano "per lavarvi tutto ciò che doveva essere offerto in olocausto". Il confronto tra due ambienti culturali così diversi, anche se coevi, non regge metodologicamente, e neppure tipologicamente, sia per la forte differenza di dimensioni, sia per il fatto che i bacini salomonici poggiavano, ma senza esservi connessi, su vere e proprie basi parallelepipedi fornite di una cavità per accoglierli, e munite di ruote. Ma l'elemento di giudizio più importante è fornito dalle circostanze di rinvenimento dei c. europei (Ystad dalla torba, dunque probabilmente un dono votivo; Peccatel, Skallerup, Milaveč, Kanya in corredi di tombe, e così anche i c. a corpo di uccello) ben difficilmente conciliabile con l'ipotesi che si trattasse di oggetti di uso sacro.
Lo Schuchhardt pensava invece ad arredi domestici, specie di crateri mobili per banchetti; interpretazione indubbiamente meno inverosimile, ma altrettanto poco dimostrabile quanto la prima. Del resto, la simbologia degli elementi decorativi, o della forma stessa, indurrebbe a pensare che un qualche significato religioso doveva pur essere inerente a questi oggetti; anche se, pur dopo la singolare ipotesi del Kossack, che essi fossero posti tra il corredo del morto a contenere una supposta acqua sacra (si propone anzi un parallelismo con gli aquamaniles medievali usati per le abluzioni nella messa), il problema dell'interpretazione resta sempre aperto.
Del tutto indipendenti, tipologicamente e culturalmente, dal gruppo ora esaminato, sembrano i presentatoi mobili etruschi di fase orientalizzante da Preneste, Narce, Veio, Cerveteri, Tarquinia, Vetulonia (la decorazione plastica ad uccelletti di alcuni tra essi è certo di carattere puramente ornamentale e non simbolico), provvisti di una concavità centrale, e generalmente interpretati come bruciaprofumi. Anche in questo caso è stata tuttavia affacciata l'ipotesi di una funzione cultuale, in base al testo delle Tavole Iguvine, in cui col termine kletra (corrispondente al cletram di alcuni passi della Mummia di Zagabria) si designa un veicolo per offerte rituali. Appare però dubbio che a questo nome si possa attribuire la più precisa accezione di un presentatoio su ruote (tra l'altro, il fatto che la kletra delle Tavole Iguvine serva al trasporto di una pecora, fa pensare a dimensioni maggiori e ad una struttura più robusta), mentre resta la difficoltà del forte divario cronologico tra i testi e gli oggetti in questione.
Alcuni frammenti bronzei rinvenuti in una tomba di guerriero a Sesto Calende non appartengono ad un presentatoio mobile del suddetto tipo, ma, come è stato recentemente dimostrato, ad un carretto di foggia particolare, che può essere forse interpretato come un esempio tardo ibrido tra i carretti a bacino di tipo centroeuropeo, ed un'altra forma, anch'essa centroeuropea, quella dei carretti a piano rettangolare (Plattenwagen).
Vanno infine ricordati due portabacini bronzei su ruote, quadrati, lavorati a giorno, da Cipro (Larnaka?, Enkomi) di età submicenea, le cui caratteristiche ricordano la descrizione biblica delle mĕkonŏt salomoniche; avanzi pertinenti probabilmente ad esemplari analoghi sono stati rinvenuti anche a Creta, nell'Antro Ideo.
Una derivazione da simili modelli orientali è stata proposta dal Riis per il carretto rinvenuto in una tomba di fase orientalizzante di Bisenzio. Anche questo è stato interpretato come un bruciaprofumi; esso è però di un tipo diverso da quello dei presentatoi etruschi su ruote, costituito da un lebete tronco-conico retto da quattro sbarre quasi verticali connesse alle ruote, e unite tra loro da un ripiano intermedio con ricca decorazione figurata. Il motivo del c. che reca un recipiente torna anche in ambiente propriamente ellenico, su monete di Krannon in Tessaglia, dove sta a rappresentare, come ci confermano le fonti, un c. processionale per impetrare la pioggia.
Ad età altrettanto antica quanto quella dei carretti a recipiente risale il gruppo dei c. funebri, al quale è legato quello dei modellini di c. posti nei corredi tombali.
Questo fatto ha anzi influito nell'interpretazione dei carretti a bacino in senso cultuale; ma appunto la contemporaneità dei due fenomeni, e la loro iniziale appartenenza allo stesso ambiente culturale, potrebbe altrettanto legittimamente indurre a considerarli indipendenti e di diverso significato.
Alla primissima fase della Civiltà dei Campi di Urne appartiene tutta una serie di sepolture (Hart a. d. Alz, Alta Baviera; Hader, Bassa Baviera; Staudach, Bassa Austria; Mengen, Württemberg; St. Sulpice, Lago di Ginevra; Lorscher Wald, Hessen-Starkenburg, un po' più tarda), in cui insieme al morto e a parte del suo corredo, sono stati arsi dei c. a quattro ruote, forniti di parti di rivestimento bronzeo spesso sormontate da figure di uccelli. Frammenti analoghi provengono da ripostigli e altri ritrovamenti su di un'area anche più vasta, comprendente tra l'altro l'Ungheria, la Boemia e la Slovacchia.
Una innegabile parentela con queste parti decorative presentano alcuni modellini, per lo più bronzei, i cosiddetti carretti a timone (Deichselwagen). Si tratta di un asse, con due o tre ruote, collegato a due stanghe, che poi si uniscono, terminando con un attacco cavo, nel quale si doveva inserire il vero e proprio timone; manca il c. propriamente detto, del quale però l'asse con le ruote può essere considerato la rappresentazione sommaria.
Tali carretti sono diffusi nella Slesia e nel Brandeburgo, e quelli di cui sono accertate le circostanze di rinvenimento provengono da tombe.
Un esemplare in argilla (Rosenfeld, Pomerania orientale) ancora della fase antica della Civiltà dei Campi di Urne, reca figurette di uccelli; gli altri, più recenti, della fase tarda dei Campi di Urne e di quella iniziale della Civiltà di Hallstatt, recano figurette di uccelli insieme con protomi taurine, secondo la contaminazione dei due simboli, allora in voga, e cui si è accennato a proposito dei carretti teriomorfi.
Quest'uso di porre nel corredo della tomba un modellino, che probabilmente simboleggia il c. funebre, ha un singolare parallelo in ambiente ellenico, nel carretto in terracotta da Vari in Attica, datato attorno al 6oo a. C.; esso corrisponde molto bene alle note raffigurazioni di letti-c. funebri sui vasi del Dipylon; ma è anche assai significativa la figuretta di un uccello che lo sormonta.
Nella Civiltà di Hallstatt prosegue anche l'uso di veri e propri c. a quattro ruote con cassone, sui quali, con la diffusione del rito inumatorio, è deposto, anziché arso, il morto; essi hanno tuttavia un aspetto più comune, mancando le parti terminali a corno, e la decorazione a figure di uccelli.
Ormai all'inizio della Civiltà di La Tène appartiene il c. di Ohnenheim, in Alsazia, con sedia e baldacchino, nel quale il Forrer, incontrando forti dubbi, ha creduto di vedere un c. cultuale, come anche in un altro esemplare coevo, rinvenuto nella torba a Dejbjerg, nello Jutland, e recante una sedia.
Comunque, almeno per i c. più antichi, quelli con parti applicate recanti figure di uccelli, il carattere religioso è indubbio. Almeno alcuni tra essi furono certo fabbricati apposta per il rito incineratorio, che doveva rivestire un carattere di offerta sacrificale, secondo la concezione religiosa della Civiltà dei Campi di Urne; le figurette di uccelli vi avrebbero il carattere di simbolo del rapporto tra uomo e divinità. Altri c. potevano essere anche stati in uso precedentemente, ma la considerazione del Müller-Karpe, che le condizioni di viabilità preistoriche escludessero la possibilità di usi pratici per i pesanti c. a quattro ruote, non vale da sola a dimostrare che essi avessero la funzione di c. processionali, come egli propone.
Una tale eventualità è invece effettivamente suggerita dal noto carretto, rinvenuto in un tumulo tardo-hallstattiano di Strettweg in Stiria. Esso reca su un piano rettangolare delle figurazioni plastiche: e la figura femminile che al centro porta sul capo un vaso, insieme alle coppie che agitano l'ascia, sembrano legati ad un culto della fecondità, mentre i cervi condotti da due uomini richiamano motivi delle incisioni rupestri scandinave. Il vaso, retto dalla figura femminile, è sostenuto anche da sbarre incrociate. Questa singolare caratteristica tipologica ritorna in un carretto a bacino da una tomba della tarda Età del Ferro della Ca' Morta presso Como.
Carretti di probabile uso processionale, con figurazioni plastiche su di un piano rettangolare, si trovano anche nella penisola iberica, in età molto avanzata (Mérida, Almorchón).
Bibl.: Classificazione e questioni generali: R. Virchow, Nordische Bronce-Wagen, Bronce-Stiere un Bronce-Vögel, in Zeitschrift für Ethnologie-Verhandlugen, 1873, p. 198 ss.; J. Undset, Antike Wagen-Gebilde, in Zeitschrift für Ethnologie-Organ, 1890, p. 49 ss.; A. Furtwängler, Meisterwerke der griechischen Plastik, Lipsia-Berlino 1893, p. 262; C. Schuchhardt, Goldfund von Eberswalde, Berlino 1914; R. Forrer, Les chars cultuels préhistoriques et leurs survivances aux époques historiques, Préhistoire, I, fasc. I, Parigi 1932, p. 19 ss.; G. Kossack, Studien zum Symbolgut der Urnenfelder- und Hallstattzeit Mitteleuropas, in Römisch-Germanische Forschungen, XX, Berlino 1954. Per i diversi gruppi e i singoli esemplari più noti: cfr. le rispettive voci in M. Ebert, Reallexikon der Vorgeschichte, Berlino 1924 ss. Inoltre: c. funerarî: H. Müller-Karpe, Das urnenfelder zeitliche Wagengrab von Hart a. d. Alz. Oberbayern, in Bayerische Vorgeschichtsblätter, XXI, 1955, p. 46 ss.; c. di Vari: Am. Journ. Arch., LXI, 1957, p. 281, tav. 84, 9. Presentatoi mobili etruschi: Preneste, Tomba Barberini: G. Q. Giglioli, L'arte etrusca, Milano 1935, tav. 18. Veio: O. Montelius, Civilisation primitive en Italie, Stoccolma 1905, vol. II, 2, tav. 352, 7. Cerveteri: L. Pareti, La tomba Regolini-Galassi, Roma 1947, p. 291, tav. XXXIII. Tarquinia: Not. Scavi, 1907, p. 58, fig. 12. Vetulonia: Circolo del Tridente: Not. Scavi, 1908, p. 428. Vetulonia: Circolo dei Lebeti: Not. Scavi, 1913, p. 346, fig. 21. Kletra: G. Devoto, Tabulae Iguvinae, 2a ediz., Roma 1940, p. 377. Sesto Calende e Ca' Morta: M. Bertolone, Ancora sulla seconda tomba di guerriero scoperta a Sesto Calende, in Sibrium, I, 1953-54, p. 67 ss., tav. XXXIV. Měkonōt: G. Perrot-C. Chipiez, Histoire de l'Art dans l'Antiquité, IV, Parigi 1887, p. 330 ss. Cipro: H. Th. Bossert, Altsyrien, Tubinga 1951, p. 88, nn. 300, 301. Bisenzio: Not. Scavi, 1928, p. 44 ss., tav. VIII e figg. 8-20; P. J. Riis, An Introduction to Etruscan Art, Copenaghen 1953, p. 30. Strettweg: W. Schmid, Der Kultwagen von Strettweg, Lipsia 1934. Mérida, Almorchón: J. M. Blasquez, Los carros votivos de Mérida y de Almorchón, in Zephyrus, VI, Salamanca 1955, p. 41 ss.
(R. Peroni)