CARRON, Giuseppe Gaetano Giacinto, marchese di San Tommaso
Da famiglia di origine borghese, che aveva raggiunto con Giovanni la nobiltà e le alte cariche dello Stato durante il regno di Carlo Emanuele I, il C. nacque a Torino l'8 dic. 1670 da Carlo Giuseppe Vittorio e da Paola Beatrice Roero di Guarene, dama d'onore della duchessa Anna. Il padre, noto come il conte di Buttigliera, era ministro primo segretario di Stato, carica già ricoperta dalla famiglia Carron per due generazioni, molto stimato a corte e ritenuto il principale consigliere di Vittorio Amedeo II, in particolare per gli affari esteri. Sicché quando il C., dopo gli studi giovanili compiuti nel Collegio dei nobili di Torino, venne nominato consigliere di Stato e Finanze, all'età di vent'anni, il padre gli ottenne la "sopravvivenza" della sua stessa carica di ministro primo segretario di Stato.
Tale istituto era piuttosto in uso nel Piemonte del Seicento e permetteva il mantenimento di una stessa carica nella medesima famiglia per più generazioni. A differenza tuttavia del sistema dell'"ereditarietà", largamente diffuso nella vicina Francia, la "sopravvivenza", anche se talvolta concessa per acquisto, veniva generalmente attribuita dallo stesso sovrano per i meriti acquisiti dal richiedente o dalla sua famiglia nel servizio dello Stato, e poteva essere trasmessa solo per una generazione e solo di padre in figlio. Ciò evitava gli abusi e le degenerazioni dell'analogo istituto francese e lasciava intatte le prerogative del sovrano, al quale restava sempre la facoltà di scelta di ogni singolo caso. In quello della famiglia Carron la "sopravvivenza" era già stata concessa allo stesso Giovanni per il figlio Guglielmo Francesco; Carlo Giuseppe Vittorio l'ottenne infine nel 1696 per il giovane Giuseppe Gaetano.
Il 29 dic. 1696 il C. venne nominato primo segretario di Stato, carica che mantenne, con alterne fortune, finoal 1717. Tuttavia egli non conquistò mai presso Vittorio Amedeo II la stima e la considerazione godute dal padre. Ben presto anzi principale consigliere diplomatico del sovrano sabaudo divenne il marchese Ercole di Priero (Priè), il quale già inviato a Roma e a Vienna, al suo ritorno, nel 1701, successe al vecchio marchese di San Tommaso nelle grazie del sovrano.
La stessa attività diplomatica del C. fu rigidamente subordinata al volere del duca sabaudo, anche negli anni difficili della guerra di successione spagnola. Così, sia la stipulazione del trattato con la Francia del 6 apr. 1701, sia quella del trattato con Vienna dell'8 nov. 1703, entrambi da lui sottoscritti, furono in realtà la diretta espressione della volontà del sovrano sabaudo, che costrinse, ad esempio, l'inviato dell'imperatore, conte Auersperg, a sottoscrivere la cessione del Vigevanasco alla Savoia, contro le precise istruzioni dell'imperatore Leopoldo. Sicché, pur occupandosi prevalentemente degli affari diplomatici, come testimonia la numerosa corrispondenza a lui indirizzata dagli inviati sabaudi durante la guerra e le trattative di pace a Utrecht e Rastadt, il C. non ebbe mai presso il sovrano sabaudo l'influenza e il prestigio avuti dal padre. Non deve quindi stupire il suo allontanamento, voluto da Vittorio Amedeo II, nel 1717, e che pure colpì molto i contemporanei.
Il Sainte-Croix, segretario dell'ambasciata francese a Torino, che scrisse una relazione sopra i regni di Carlo Emanuele III e Vittorio Amedeo III, attribuì l'allontanamento del C. al timore del sovrano "de partager la gloire avec le ministre"; ma qui egli confuse chiaramente il C. con il padre, il vecchio Carlo Vittorio, molto stimato anche in numerose corti europee e abilissimo negoziatore dei trattati di Pinerolo e Vigevano, verso il quale talvolta il duca di Savoia aveva mostrato gelosia; mentre il C. "non acquistò mai il credito paterno, ebbe di rado l'indirizzo dei negoziati più scabri, e la sua riputazione non faceva ombra" (Carutti, 1861, p. 554). Del resto lo stesso giudizio sembra mostrare il Blondel, inviato francese a Torino nel 1730, che pure fu legato al C. da stretti rapporti. In un dispaccio al cardinale di Fleury così scriveva: "Le marquis de Saint-Thomas est né avec un esprit assez-borné; il est redevable aux soins du roi Victor des talens qu'il a acquis de ministre intélligent et exact" (30 sett. 1730, in Carutti, cit., p. 554).
In realtà quindi l'allontanamento del C. fu dovuto a due fattori: la volontà di riforme di Vittorio Amedeo, che divise la sua carica nelle due segreterie degli Affari Esteri e degli Affari Interni; e le scarse capacità mostrate dal C., che venne sostituito, alla guida della diplomazia sabauda, dal marchese di Borgo, già plenipotenziario a Utrecht.
Scarse capacità del resto il C. doveva mostrare anche nella missione diplomatica affidatagli dal sovrano a Vienna l'anno seguente, nell'agosto del 1718. In seguito infatti al risveglio delle ambizioni politiche della Spagna e ai tentativi dell'Alberoni di impadronirsi della Sardegna e della Sicilia, si delinearono in Europa quei nuovi accostamenti diplomatici culminati con la costituzione della Quadruplice alleanza fra l'Inghilterra, la Francia, l'Impero e l'Olanda, decisi ad una nuova, definitiva, sistemazione della penisola italiana. Vittorio Amedeo II, alla notizia dello sbarco e dell'ingresso degli Spagnoli in Palermo, si rivolse per aiuti alla Quadruplice, ricevendone ampie promesse purché aderisse egli stesso all'alleanza e al trattato di Londra, accettando inoltre di cambiare la ricca Sicilia con lapovera Sardegna. Il sovrano sabaudo allora si rivolse direttamente a Carlo VI: il 7 ag. 1718 il C. venne inviato a Vienna presso l'imperatore con precise istruzioni. In cambio della cessione della Sicilia Vittorio Amedeo chiedeva gli Stati del duca di Parma e la eventuale successione del granduca di Toscana, con il titolo di re di Liguria. Rinnovava inoltre la domanda di matrimonio di una delle due arciduchesse con il principe di Piemonte, Carlo Emanuele, offrendo una lega stabile fra le due corone.
Ma a Vienna la missione del C. non ottenne alcun successo: sia il principe Eugenio, presidente del Consiglio segreto e del Consiglio di guerra, sia il conte Zinzendorf, ministro degli Affari Esteri, gli risposero che il trattato della Quadruplice era già concluso e da osservarsi quale era. Sicché il sovrano sabaudo fu costretto a sottoscrivere, l'8 nov. 1718, le pesanti clausole del trattato della Quadruplice. Restava tuttavia la speranza di riuscire a concludere il sospirato matrimonio per il principe di Piemonte e a tale scopo il C. ricevette istruzioni dal sovrano di tentare ogni strada, non esclusa quella della corruzione.
La situazione politica alla corte di Vienna era assai complessa: da un lato lo stesso principe Eugenio, con tutta la sua grande influenza, si mostrava contrario al progettato matrimonio e propendeva, insieme al conte Zinzendorf, per il matrimonio dell'arciduchessa Amalia con il principe di Baviera. Dall'altro l'alleanza con casa Savoia era suggerita a Carlo VI dai consiglieri del partito spagnolo, il conte di Althan e il conte Stella. Entrambi, quindi, nel tentativo di calunniare il principe Eugenio, incaricarono il conte di Nimptsch, cognato del conte di Althan, e l'abate Tedeschi, un avventuriero toscano, di costruire false prove e documenti artefatti contro di lui e in tale impresa appare certa la partecipazione, assai imprudente, del Carron. Venuto alla luce tutto l'affare, l'imperatore, alla richiesta del principe Eugenio di una solenne riparazione, non poté che consentire. Il Tedeschi e il conte di Nimptsch furono condannati entrambi e banditi dagli Stati e il giorno stesso della sentenza, il conte di Zinzendorf, il 12 dic. 1719, scrisse a Torino, lamentandosi dell'atteggiamento del C. e chiedendone la sostituzione.
Di ritorno a Torino, nei primi mesi del 1720, il C., pur non ricevendo alcun rimprovero dal sovrano, venne progressivamente allontanato dalla vita politica attiva, pur conservando il suo incarico nelConsiglio del re. Ad accentuare inoltre l'isolamento contribuì non poco la rapida ascesa politica di quello che egli stesso considerava un temibile rivale: l'abile e fortunato Carlo Vincenzo Ferrero di Roasio, dal 1122 marchese d'Ormea. Abile diplomatico e quindi ministro degli Affari Interni, l'Ormea in effetti non gli lasciò più alcuno spazio.
Anche nei gravi momenti seguiti all'abdicazione di Vittorio Amedeo II e al suo successivo tentativo di riprendere il trono, nel 1731, il C. ebbe una parte di scarso rilievo.
Da un lato infatti, alla corte del nuovo sovrano Carlo Emanuele III, egli veniva indicato come l'unico ministro rimasto fedele al vecchio sovrano; dall'altro lo stesso Vittorio Amedeo, in una lettera del luglio 1731 al marchese d'Ormea, nella quale illustrava la nota proposta di istituire un nuovo Consiglio segreto, sul modello del Consiglio di conferenza esistente in Vienna, lo accusava di influenzare negativamente il figlio, di essere troppo attaccato ai privilegi feudali, "amico dei gesuiti e ossequiente alle pretensioni ecclesiastiche". Tanto che lo stesso d'Ormea, nella lettera di risposta, giustificava e scusava il C., non ritenendolo onestamente "meritevole dello sdegno del sovrano". Negli avvenimenti successivi, compreso l'arresto del vecchio sovrano, il C. non ebbe quindi alcuna parte, ricevendone notizia dallo stesso Blondel.
Negli anni seguenti egli si ritirò definitivamente dalla politica attiva dedicandosi alla famiglia e agli affari privati. Nel 1702 aveva sposato a Torino Vittoria Teresa Saluzzo di Valgrana, figlia del presidente Filiberto Gabriele, dama d'onore della principessa di Piemonte, dalla quale aveva avuto cinque figlie e due figli: Maria Teresa, moglie del conte Ponte di Scarnafiggi; Anna Teresa, moglie del conte Cravetta di Villanovetta; Maddalena Gabriella, che sposò il marchese Ottavio Falletti di Barolo; Maria Elisabetta; Paola Maria, maritata con il conte Provana di Collegno; dei due maschi, Giuseppe Vittorio, nato nel 1716, detto il conte di Avigliana, ereditò il titolo e il patrimonio paterni; Giuseppe Augusto Maria, invece, nato nel 1718, detto il marchese d'Aigueblanche, fu inviato straordinario in Polonia e nominato, il 22 apr. 1773, ministro primo segretario di Stato per gli Affari esteri.
Il C. morì a Torino il 12marzo 1748.
Fonti e Bibl.: Presso l'Arch. di Stato di Torino, dopo la morte del C., nel 1749, vennero raccolte tutte le sue lettere e carte concernenti gli uffici svolti; si vedano:Archivio di Corte, le serie: Casa Reale, Protocolli dei notai ducali, e Minutari Carron di San Tommaso, per gli anni 1696-1717;inoltre, Lettere particolari, C, mm. 36-37, per gli anni 1696-1725, e, per l'attività diplomatica svolta a Vienna, Lettere ministri Impero, mm. 45-47, anni 1718-20, e Negoziazioni Vienna, 1718-1720, dove si conservano anche le lettere del suo successore, marchese di Breglio, con un giudizio sull'operato del C. e le accuse mossegli dal principe Eugenio. Altre lettere del C. si conservano infine presso la Bibl. reale di Torino, mss. Varia 549, 1690-96, cc. 541-43. Pur non essendo stata oggetto di studi particolari la figura del C. è ricordata in molte opere. Varie notizie di carattere generale sono reperibili in L. Cibrario, Notizie geneal. di fam. nobili degli antichi Stati della mon. di Savoia, Torino 1866, I, p. 94;A. Manno, Il patriziato subalpino, dattiloscritto conservato presso la Biblioteca reale di Torino, sub voce;G. Galli della Loggia, Cariche del Piemonte e Paesi uniti…, Torino 1798, III, pp. 53 s.;Ch.-A. de Gerbaix de Sonnaz, Quelques diplomates savoyards et niçards au service de la maison de Savoie, de France, de l'Empire, du St. Siège, in Miscellanea A. Manno, Torino 1912, I, pp. 276 ss.;G. Quazza, Le riforme in Piemonte nella prima metà del Settecento, Modena 1957, I, pp. 24, 26, 39, 98.Sull'attività diplom., cfr., per i rapporti con il marchese di Priero e le relazioni con la S. Sede, G. Claretta, Sulla legazione a Roma… del marchese Ercole di Priero, Genova 1887, pp. 9 ss.;per quella svolta durante la guerra di successione spagnola e le trattative di pace, Relazioni diplom. della monarchia di Savoia dalla prima alla seconda Restaurazione (1559-1814). Francia. Periodo III, a cura di A. Manno-E. Ferrero-P. Vayra, I (1713-1715), Torino 1886(sono riportate numerose lettere del e al C.); D. Carutti, Storia del regno di Carlo Emanuele III, Torino 1859, II, p. 292; Id., Storia del regno di Vittorio Amedeo II, Firenze 1863, pp. 248, 272, 384-387, 434 ss., 521-526;Id., Storia della diplomazia della corte di Savoia, Torino-Firenze 1880, III, pp. 234, 548-554, 556-559, 561-565, (dove vengono riportati i giudizi del Blondel). La relazione del Blondel è stata pubbl. inoltre in Miscell. di storia ital., XIII (1871), a cura di V. Promis: Memorie aneddotiche sulla corte di Sardegna… del conte di Blondel…, pp. 459, 509, 566, 693;a cura di A. Manno, Relazione del Piemonte… del segretario francese Sainte-Croix, ibid., XVI (1877), pp. 4ss. Sull'azione svolta dal C. in relazione alla Quadruplice infine, numerosi riferimenti in A. Tallone, Vittorio Amedeo II e la Quadruplice alleanza, Torino 1914, passim.