CARTA ATLANTICA
. Tra Roosevelt e Churchill, che si incontrarono in mare nella baia di Argentia (isola di Terranova) nell'agosto del 1941, venne concordato il testo di una comune dichiarazione di principî "sugli scopi verso cui il Commonwealth britannico e gli Stati Uniti [allora non ancora belligeranti] pensano di dirigere le loro strade" (Churchill alla radio il 24 agosto). Atto non formale, senza firme né timbri, il suo testo porta la data del 14 agosto 1941. Comunicato per radio a Londra e a Washington e di qui diffuso in tutto il mondo, esso è del seguente tenore:
"Dichiarazione comune del presidente degli Stati Uniti d'America e del primo ministro sig. Churchill, rappresentante del governo di Sua Maestà nel Regno Unito, i quali, essendosi riuniti a convegno, ritengono opportuno render noti taluni principî comuni alla politica nazionale dei rispettivi paesi, sui quali essi fondano le loro speranze di un avvenire migliore per il mondo.
Primo: i loro paesi non aspirano a ingrandimenti territoriali o di altro genere; Secondo: essi non desiderano veder mutamenti territoriali che non siano conformi ai voti liberamente espressi dai popoli interessati; Terzo: essi rispettano il diritto di tutti i popoli a scegliersi la forma di governo sotto la quale vogliono vivere; e desiderano vedere restaurati i diritti sovrani e l'autonomia a coloro che ne sono stati privati con la forza; Quarto: essi, col dovuto rispetto dei loro obblighi attuali, cercheranno di promuovere il godimento da parte di tutti gli stati, grandi o piccoli, vincitori o vinti, dell'accesso in condizioni di parità al commercio e alle materie prime del mondo che sono necessarie per la loro prosperità economica; Quinto: essi desiderano attuare la collaborazione più completa fra tutti i popoli nel campo economico, al fine di assicurare a tutti migliori condizioni di lavoro, progresso economico e sicurezza sociale; Sesto: dopo la definitiva distruzione della tirannia nazista, essi sperano di veder ristabilita una pace che dia a tutte le nazioni i mezzi per vivere sicure entro i loro confini, ed assicuri che tutti gli uomini, in tutti i paesi, possano vivere la loro vita liberi dal timore e dal bisogno; Settimo: una tale pace dovrebbe permettere a tutti gli uomini di attraversare senza ostacoli i mari e gli oceani; Ottavo: essi sono convinti che tutte le nazioni del mondo, per ragioni tanto realistiche quanto ideali, debbano addivenire all'abbandono dell'impiego della forza. Poiché nessuna pace futura potrebbe essere mantenuta se armamenti terrestri, navali od aerei continuano ad essere impiegati da nazioni che minacciano o possono minacciare aggressioni fuori dei loro confini, essi ritengono che, in attesa che sia stabilito un più vasto e permanente sistema di sicurezza generale, il disarmo di tali nazioni sia essenziale. Analogamente essi aiuteranno ed incoraggeranno tutte le altre misure attuabili che possano alleggerire il peso schiacciante degli armamenti per i popoli amanti della pace".
Preceduta dalla dichiarazione di Palazzo San Giacomo, firmata a Londra il 12 giugno 1941, con la quale le potenze in guerra con la Germania e con l'Italia affermavano che "sola base vera per una pace duratura è la volonterosa cooperazione dei popoli liberi in un mondo, sollevato dalla minaccia di aggressione, in cui tutti possano godere sicurezza economica e sociale", l'iniziativa della Carta Atlantica spetta a Churchill, la cui preoccupazione di offrire a tutti i popoli, nel momento più oscuro della guerra, una dichiarazione semplice e pronta sugli obbiettivi di pace delle due maggiori potenze anglosassoni, si incontrò col desiderio di Roosevelt di allontanare "il pericolo che il governo britannico potesse aderire ad accordi segreti del tipo di quelli conclusi durante la prima Guerra mondiale". Inoltre, se Churchill intendeva impegnare l'America sempre più nel conflitto, sino a farla entrare definitivamente, per Roosevelt, capo di uno stato neutrale che già aiutava taluni paesi belligeranti, la Carta Atlantica costituiva un passo nuovo e sostanziale per avviare l'opinione pubblica americana all'idea di un conflitto. Tutta la Carta però è d'ispirazione nettamente americana e riecheggiano in essa molti motivi che Roosevelt più volte aveva sviluppato. Del resto è indubbio che, con altra formulazione, sia stata trasferita ad essa la sostanza dei Quattordici Punti di Wilson (1918), con una maggiore accentuazione delle condizioni economiche della pace.
Le trattative si svolsero a bordo della nave presidenziale Augusta e, su un abbozzo preparato da Churchill, intervennero nella discussione, oltre al primo ministro inglese e al presidente Roosevelt, sir Alexander Cadogan, segretario permanente al Foreign Office, il sottosegretario di stato Sumner Welles e Harry Hopkins. Formulata su linee aderenti alla concezione rooseveltiana dei rapporti internazionali, i varî punti non diedero materia a divergenze sostanziali. L'unico paragrafo su cui la concezione americana della "porta aperta" si scontrò con quella britannica, attenta a non toccare il sistema delle preferenze imperiali stabilite con gli accordi di Ottawa del 1932, fu il quarto. Mentre Roosevelt insistette sino all'ultimo perché l'articolo esprimesse la volontà di abolire "tutte quelle restrizioni e controlli artificiali al commercio internazionale che nella passata generazione avevano condotto a una tale energica distruzione dell'economia mondiale", Churchill oppose la possibilità di un rifiuto da parte dei dominions di accettare la Carta Atlantica ove fosse stabilito tale principio. Venne così inserita la riserva "col dovuto rispetto dei loro obblighi attuali". Di più, a proposito dei punti I e II, sir Alexander Cadogan non mancò di comunicare a Sumner Welles che l'Inghilterra aveva già preso impegni con i Senussi per l'attribuzione ad essi della Cirenaica.
Il documento uscito dall'incontro di Argentia costituì però il lato affatto esteriore e, si dica pure, propagandistico delle conversazioni anglo-americane. In realtà, come rivelò Sumner Welles nella sua relazione dinanzi alla commissione di inchiesta per Pearl Harbour, tra Churchill e Roosevelt venne raggiunto: a) un accordo per una azione "parallela e ultimativa" nei confronti del Giappone e in genere per tutto l'Estremo Oriente; b) un accordo per l'occupazione comune delle Azzorre, per prevenire un'analoga mossa tedesca. Ultimo argomento infine, che costituì naturalmente la facciata delle conversazioni impegnative per il Giappone e le Azzorre, fu quello che portò alla redazione della Carta Atlantica. Questa tuttavia fu l'unico strumento che cementò l'alleanza di guerra fra Gran Bretagna, S. U. e Unione sovietica - insieme agli altri paesi in guerra con l'Asse -attraverso quella dichiarazione delle Nazioni Unite (1° gennaio 1942), firmata dai rappresentanti di 26 paesi che ne richiamò esplicitamente tutti i principî.
La Carta, pur col suo carattere di dichiarazione di principî liberamente sottoscritti e accettati, non cessò mai di essere considerata un efficace strumento di propaganda di guerra. E ben presto cominciarono a profilarsi i tentativi di infirmarne la lettera e lo spirito.
Il 7 dicembre 1941 (la domenica di Pearl Harbour) Eden, nella sua prima conversazione con Stalin a Mosca, si trovò di fronte a precise richieste territoriali. Poiché esse avrebbero menomato la Carta Atlantica, con effetti disastrosi sui piccoli stati, nelle trattative per l'alleanza anglo-sovietica, poi conclusasi il 26 maggio 1942, non vennero prese i, considerazione clausole territoriali. Dopo l'entrata in guerra degli S. U. da parte di questi si sottolineò presso i Sovietici il carattere di fiduciosa collaborazione che stava alla base della Carta Atlantica e venne più volte messo in chiaro come questa cooperazione fosse incompatibile con qualsiasi genere di appoggio ad attività sovversive nell'ambito di qualsiasi delle Nazioni Unite. In ordine a queste pressioni la Russia decise di sopprimere il Comintern (23 maggio 1943). Già nel corso della guerra poi vi fu, tra Inglesi e Americani, una diversa interpretazione del termine "autodeterminazione". Mentre gli S. U. - ostili ad ogni forma di colonialismo - sostenevano il principio dell'eventuale autogoverno di tutti i popoli coloniali, applicando la Carta a tutto il mondo, da parte inglese si mise più volte in chiaro (9 settembre 1942, Churchill ai Comuni, ecc.) che tale autogoverno per i popoli dell'impero, doveva essere raggiunto soltanto nell'ambito del Commonwealth. In particolare Churchill escluse specificatamente l'India e la Birmania dall'applicazione della Carta Atlantica sostenendo che essa era diretta solo alle nazioni europee.
Altra glossa interpretativa, che apriva la strada alla Russia per incoraggiare o instaurare regimi comunisti nell'Oriente europeo, fu quella formulata dall'ambasciatore a Londra, Maiskij, il 24 settembre 1942, quando parlò del diritto di ogni nazione a "stabilire un tale ordine sociale e una tale forma di governo che sembrino opportune e necessarie per il migliore progresso della sua prosperità economica e culturale". Così venne pure inteso che la rinuncia a ingrandimenti territoriali non doveva precludere misure atte a migliorare la sicurezza degli S. U. e delle altre Nazioni Unite (accordo anglo-americano per l'affitto agli S. U. di basi a Terranova e nelle Indie occidentali, agosto 1942). Così nella dichiarazione comune fra il presidente del Brasile, Vargas, e Roosevelt del 29 gennaio 1943 venne affermato che in nessun caso sarebbe permesso che le coste dell'Africa occidentale divenissero base di blocco o di invasione contro le Americhe. In senso analogo si espresse Attlee ai Comuni il 15 luglio 1943, sostenendo che la Carta Atlantica non poteva proibire agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna di mantenere in proprio possesso, anche dopo la guerra, taluni punti già in mano a potenze dell'Asse. E il 24 febbraio 1943 Eden affermava che "in nessun caso" la Cirenaica sarebbe tornata all'Italia.
In realtà, man mano che ci si avvicinava al te mine del conflitto e si profilavano le concrete pretese territoriali dei singoli stati, molti dei principî della Carta Atlantica venivano abbandonati, ne era alterato lo spirito o quanto meno limitata l'applicazione. Il destino delle popolazioni baltiche - cui non si è applicato il principio di autodeterminazione - la questione dei confini orientali della Polonia, la mutilazione di Trieste e della Venezia Giulia, l'accoglimento delle richieste francesi al confine occidentale italiano, il laborioso contendere intorno alle colonie italiane, le equivoche elezioni organizzate nei paesi dell'Europa orientale (che parvero sostanzialmente, se non formalmente, in contrasto con i principî della Carta Atlantica), tutto questo ed altro ancora sembrò dimostrare come l'aspetto propagandistico di guerra della Carta Atlantica prendesse il sopravvento, alla fine del conflitto, sul valore sostanziale delle affermazioni di principio in essa contenute. Le riserve sulla Carta Atlantica cominciarono, si può dire subito, all'indomani stesso della sua enunciazione ed essa rimase come una meta ideale di convivenza internazionale di una umanità perfetta. La delusione, fra i vinti, e fra alcuni dei vincitori, usciti sacrificati dalle sistemazioni del dopoguerra, è stata grande e si sono udite parole forti, come tradimento dei principî, ritorno alla politica di forza che sembrava dovesse essere abbandonata. La crisi sempre più aspra tra Oriente e Occidente ha fatto passare ormai nella preistoria della guerra le formulazioni della Carta Atlantica.
Unico punto o principio direttivo che è rimasto in vita sino ad oggi e si è trasferito nella stessa Carta delle Nazioni Unite è stato quello del direttorio delle potenze, riaffermato a interpretazione del paragrafo 8 della Carta (Eden ai Comuni, 8 maggio 1942; Cordell Hull, 23 luglio 1942; sumner Welles, 17 novembre 1942; Herbert Morrison, 24 febbraio 1943).
Bibl.: S. Arne, United Nations Primer, New York 1945; Cordell Hull, Memoirs, New York 1948; H. V. Morton, Atlantic Meeting, Londra 1943; Peace and War, U. S. Foreign Policy 1931-1941, Washington 1943; S. Welles, Where Are We Heading, New York 1946 (trad. ital., Dove andiamo a finire, Milano 1947); C. A. Beard, President Roosevelt and the Coming of the War 1941, New Haven 1948; A. Giannini, La cabala degli otto punti, in Rivista di studi politici internazionali, 1942.