Abstract
Viene esaminata la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, le sue origini, la sua struttura, la sua natura giuridica nonché la funzione centrale che svolge nell’ambito dell’ordinamento dell’Unione europea dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. In particolare, si concentrerà l’attenzione sulla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea per verificare, da un lato, la portata della Carta dei diritti fondamentali e, dall’altro, il suo valore aggiunto sotto il profilo applicativo.
La consacrazione dei diritti fondamentali nell’Unione europea è avvenuta formalmente solo con il Trattato di Maastricht. L’art. F stabiliva infatti l’obbligo per l’Unione di rispettare i diritti fondamentali «quali garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali […] e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario» (art. F TUE). Le modifiche introdotte con il Trattato di Amsterdam sono state modeste e il Consiglio europeo di Colonia del 3 e 4.6.1999 ha sottolineato la necessità di offrire maggiore visibilità ai diritti fondamentali. Tra le varie opzioni possibili per perseguire l’obiettivo è prevalsa quella di procedere all’elaborazione di un documento distinto ed autonomo: la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
La codificazione dei diritti fondamentali garantiti nell’ordinamento comunitario e dell’Unione europea è stata affidata ad un organo ad hoc denominato Convenzione. Per garantire un’adeguata rappresentatività, il Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16.10.1999 ha stabilito che la Convenzione sarebbe stata composta di sessantadue membri e quattro osservatori. Tra i membri figuravano quindici rappresentanti dei Capi di Stato o di Governo degli Stati membri, un rappresentante del Presidente della Commissione, sedici membri del Parlamento europeo, trenta membri dei Parlamenti nazionali e quattro osservatori. I lavori della Convenzione si sono svolti in forma pubblica sotto la supervisione del Praesidium e tutti i documenti sono stati resi disponibili su internet (sulla composizione e il metodo di lavoro seguito dalla Convenzione, v., Jacqué, J.-P., La Charte des Droits Fondamentaux de l’Union européenne: présentation générale, in Rossi, L.S., a cura di, Carta dei diritti fondamentali e Costituzione dell’Unione Europea, Milano, 2002, 55 ss.).
La scelta di non includere il documento nel Trattato di Nizza rendeva quanto mai incerto il valore giuridico della Carta. Se il Consiglio, la Commissione e il Parlamento europeo erano comunque tenuti ad osservarne le disposizioni in virtù della proclamazione solenne avvenuta in occasione del Consiglio europeo di Nizza del 7, 8 e 9 dicembre 2000, la giustiziabilità dei diritti ivi affermati dipendeva dal rinvio operato dalle corti comunitarie ad una o più delle sue disposizioni (sull’applicazione della Carta da parte degli avvocati generali e della Corte di Giustizia prima e dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, v. Iglesias Sanchez, S., The Court and the Charter: the impact of the entry into force of the Lisbon Treaty on the ECJ’s approach to fundamental rights, in C.M.L. Rev., 2012, 1565 ss.).
Il dibattito sull’avvenire dell’Unione europea è proseguito anche dopo il Trattato di Nizza. Oltre alla semplificazione dei trattati e alla delimitazione più precisa delle competenze dell’Unione e degli Stati membri, occorreva definire lo status della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Ciò sarebbe avvenuto nell’ambito del processo di revisione dei trattati, culminato nell’ottobre del 2004 con la firma del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa (in GUUE C 310 del 16.12.2004, 1). Il compito di elaborare il testo da sottoporre alla conferenza intergovernativa (CIG) è stato affidato ad una Convenzione presieduta da Valerie Giscard d’Estaing e composta da rappresentanti dei governi e dei parlamenti nazionali degli Stati membri e dei paesi candidati nonché dai rappresentanti del Parlamento europeo e della Commissione. La seconda parte del Trattato era consacrata alla Carta, modificata rispetto alla versione del 2000 in considerazione della sua nuova collocazione gerarchica. Tuttavia, il fallimento del progetto costituzionale a seguito dei referenda tenutisi nella primavera del 2005 in Francia e nei Paesi Bassi lasciava la Carta priva di forza giuridica vincolante. Dopo una fase di riflessione (giugno 2005 - marzo 2007) i capi di Stato e di Governo affermavano di voler procedere nel rinnovamento dell’Unione e il Consiglio di Bruxelles del 21 e 22 giugno 2007 decideva di convocare una nuova CIG per definire il testo della riforma.
Il 12 dicembre 2007 Consiglio, Commissione e Parlamento hanno proclamato solennemente la Carta dei diritti fondamentali adattata alle modifiche apportate ai trattati. Il giorno successivo veniva firmato il Trattato di Lisbona (entrato in vigore, a seguito delle ratifiche nei diversi Stati membri, il 1 dicembre 2009). Sebbene estromessa dal testo dei trattati, la Carta viene equiparata ai medesimi ed acquisisce pertanto il rango di diritto primario (art. 6, par. 1, TUE), alla stregua delle disposizioni sulle libertà economiche. Quale fonte ‘interna’ all’Unione essa diviene il principale parametro di validità per le istituzioni insieme ai principi generali e alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri (v. in generale, Di Federico, G., a cura di, The EU Charter of Fundamental Rights. From Declaration to Binding Instrument, Dordrecht-Heidelberg-London-New York, 2011).
La Carta comprende un Preambolo e cinquantaquattro articoli suddivisi in sette capi: dignità; libertà; uguaglianza; solidarietà; cittadinanza; giustizia e disposizioni generali. Secondo il mandato del Consiglio di Colonia non si trattava di creare nuovi diritti, ma semplicemente di positivizzare quelli già esistenti illustrando le rilevanti fonti normative e giurisprudenziali (v. Dichiarazione n. 1 allegata al Trattato di Lisbona).
Ancorché la maggioranza dei diritti ivi affermati siano già rinvenibili nella CEDU, ovvero in altri strumenti elaborati nell’ambito del Consiglio d’Europa, e abbiano trovato riconoscimento nella giurisprudenza della Corte di giustizia, la Carta è più di una semplice codificazione. Oltre ai diritti civili e politici, ai diritti economici e sociali e a quelli di terza generazione, come il diritto all’ambiente (art. 37), sono stati presi in considerazione anche i diritti procedurali, come il diritto ad una buona amministrazione (art. 41). La Carta ha altresì il merito di delineare meglio, ricostruendone l’identità, la cittadinanza europea.
Rispetto ad altri strumenti di protezione dei diritti umani, la Carta non distingue tra diritti civili e politici, diritti di cittadinanza e diritti sociali. L’intenzione dei redattori era quella di affermare il carattere indivisibile dei diritti fondamentali e declinare la protezione offerta ai singoli in funzione dei valori difesi e promossi dall’Unione (art. 2 TUE).
L’indivisibilità dei diritti legittima la presenza nella Carta di disposizioni che tutelano prerogative non direttamente ricollegabili alle competenze dell’Unione. Tuttavia, la Carta non estende l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione (art. 51, par. 2). L’assunto viene ribadito nelle Dichiarazioni n. 1, 53 (della Repubblica Ceca), 61 e 62 (della Polonia) allegate al Trattato di Lisbona.
La tutela approntata dalla Carta viene ancorata a quella offerta dalla CEDU (art. 52, par. 3) e l’interpretazione delle disposizioni riconducibili alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri deve risultare conforme a queste ultime (art. 52, par. 4). Inoltre, occorre tenere in debita considerazione le prassi e le legislazioni nazionali (art. 52, par. 6). Più in generale, i diritti affermati nella Carta dovranno essere interpretati conformemente agli «obblighi internazionali comuni agli Stati membri» (v. Preambolo della Carta e art. 53). Infine, merita sottolineare che – per esigenze di sintesi e contrariamente all’impostazione tradizionale – le deroghe sono regolate in una disposizione finale (art. 52) anziché essere previste singolarmente in relazione ad ogni diritto.
Destinatari della Carta sono le istituzioni e gli Stati membri quando danno attuazione al diritto dell’Unione (art. 51). Beneficiari dei diritti ivi affermati sono, invece, a seconda dei casi: i cittadini dell’Unione (artt. 39, 40, 42, 43, 44, 45, 46), le persone fisiche e giuridiche che risiedono ovvero hanno la sede sociale in uno Stato membro (artt. 42, 43, 44) nonché «ogni persona» (artt. 2, 3, 6, 7, 8, 10, 11, 12, 14, 15, 17, 33, 34, 35, 41, 47), eventualmente in qualità di lavoratore (artt. 29 e 31) o imputato (art. 48). Oltre ai diritti, la Carta enuncia principi, che diversamente dai primi possono essere invocati solo ai fini dell’interpretazione e del controllo di legittimità sugli atti legislativi ed esecutivi adottati per darvi attuazione da parte delle istituzioni, organi e organismi dell’Unione ovvero dalle autorità degli Stati membri allorché danno attuazione al diritto dell’Unione, nell’esercizio delle rispettive competenze (art. 52, par. 5).
I diritti vengono distinti nelle seguenti categorie: dignità; libertà; uguaglianza; cittadinanza; giustizia; disposizioni generali.
Il titolo dedicato alla dignità include cinque articoli. Esso si apre con la dignità umana (art. 1). La scelta, ispirata al modello tedesco, di includere la dignità in una specifica disposizione della Carta (anziché nel Preambolo) la rende opponibile, ad esempio, all’esercizio della libertà di espressione ovvero al diritto della proprietà intellettuale (C. giust., 18.10.2011, C-34/10, Brüstle e C. giust., 24.11.2011, C-70/10, Scarlet, non ancora pubblicate in Raccolta). Il diritto alla vita, con il naturale corollario del divieto di pena di morte (art. 2), la proibizione della tortura e delle pene o dei trattamenti inumani o degradanti (art. 4) sono ripresi dalla CEDU, mentre il diritto all’integrità fisica e psichica (art. 3), che comprende il diritto al consenso libero e informato dell’interessato, il divieto delle pratiche eugenetiche (specie se aventi come scopo la selezione delle persone), il divieto di fare del corpo umano o di sue parti una fonte di guadagno ovvero di clonare esseri umani, trovano la loro origine nella Convenzione sulla bioetica di Oviedo del 1997 elaborata nell’ambito del Consiglio d’Europa.
Il titolo sulle libertà consta di quattordici articoli. Il diritto alla libertà e alla sicurezza (art. 6), il rispetto della vita privata e familiare (art. 7 e C. giust., 12.5.2011, C-391/09, Runevič-Vardyn, in Raccolta, I-3787), il diritto di sposarsi e costituire una famiglia (art. 9), la libertà di pensiero, di coscienza e di religione (art. 10), di espressione e di informazione (art. 11), di riunione e di associazione (art. 12), delle arti e delle scienze (art. 13), il diritto all’istruzione (art. 14) e il diritto di proprietà (art. 17 e sentenza Scarlet, cit.) si fondano su disposizioni ovvero Protocolli addizionali della CEDU, con alcune significative modifiche e aggiunte imposte dagli sviluppi in ambito sociale e tecnologico. Sotto il primo profilo: si abbandona il riferimento al matrimonio tra uomo e donna e il diritto a costituire una famiglia è riconosciuto a prescindere dal sesso, in conformità con le legislazioni nazionali (art. 9); viene menzionato anche il diritto all’obiezione di coscienza (art. 10, par. 2); la libertà di riunione e di associazione sindacale non interessa solo la sfera politica e sindacale, ma si estende a livello europeo e a tutta la società civile favorendo l’attività delle associazioni culturali e delle organizzazioni non governative (art. 12, par. 2); si afferma la libertà accademica riconosciuta nelle più moderne costituzioni degli Stati membri (art. 13); il diritto all’istruzione ricomprende anche la formazione professionale continua (art. 14). Sotto il secondo profilo, invece: il rispetto della «corrispondenza» del singolo viene estesa a tutte le «comunicazioni» (art. 7); la protezione dei dati personali viene dettagliata in modo da riflettere il ‘modello europeo’ basato sui principi di lealtà, finalità, consenso e rettifica nonché sul controllo da parte di un’autorità indipendente (art. 8); la tutela del diritto di espressione viene ampliata con un rinvio esplicito alla libertà dei media e al pluralismo informativo (art. 11, par. 2). Il diritto di asilo (art. 18), invece, rinvia alla Convenzione ONU sullo status di rifugiato del 28.7.1951 (e al Protocollo del 1967), mentre il divieto di espulsioni collettive e il principio di non-refoulement (art. 19) sono mutuati, rispettivamente, dal Protocollo addizionale n. 4 alla CEDU (art. 4) e dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo relativa all’art. 3 della CEDU (v. Corte EDU, 7.7.1989, Soering c. Regno Unito, Serie A, 161). Più innovative – in quanto strettamente connesse al processo di integrazione europea – sono le disposizioni in materia di libertà professionale e di diritto al lavoro, che equiparano i cittadini dei paesi terzi che lavorano regolarmente nel territorio degli Stati membri ai cittadini dell’Unione (art. 15, par. 3), e in materia di libertà di impresa, con significative ripercussioni sulla politica di concorrenza (art. 16 e C. giust., 16.2.2012, C-360/10, SABAM, non ancora pubblicata in Raccolta).
Il titolo relativo all’uguaglianza si compone di sette articoli. Viene anzitutto affermata l’eguaglianza di ogni individuo dinanzi alla legge (art. 20), già inclusa nel Patto sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite (1966) e riconosciuta espressamente dall’ordinamento comunitario e dell’Unione europea in relazione alle discriminazioni fondate sulla nazionalità (cfr. art. 6 TCEE, art. 12 TCE, artt. 9 TUE e 18 TFUE). La positivizzazione del principio generale di non discriminazione (art. 21 e C. giust., 11.4.2013, C-401/11, Soukupová, non ancora pubblicata in Raccolta) ha comportato un ampliamento del novero di situazioni protette, sia rispetto all’art. 14 CEDU, sia con riferimento all’art. 13 TCE (nella versione consolidata dei trattati successiva all’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam), tra le quali vanno annoverate – oltre al sesso, la razza, il colore della pelle, l’origine etnica, la religione, le convinzioni personali, il patrimonio, la nascita, l’handicap, l’età (C. giust., 26.9.2013, C-476/11, HK Denmark, non ancora pubblicata in Raccolta) e le tendenze sessuali – anche l’origine sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura e l’appartenenza ad una minoranza nazionale (particolarmente importante in vista dell’allargamento). Viene altresì codificata la giurisprudenza della Corte di giustizia in materia di diversità culturale, religiosa e linguistica (art. 22 e sentenza Runevič-Vardyn, cit.). Quanto alla parità tra uomini e donne (art. 23 e C. giust., 11.11.2010, C-232/09, Danosa, in Raccolta, I-11405), la Carta estende la protezione offerta dai trattati (v. artt. 137 e 141 TCE, inseriti in occasione del Trattato di Amsterdam e ora rifluiti negli artt. 153 e 157 TFUE) precisando che essa si applica anche (e non più solo) in materia di occupazione, di lavoro e di occupazione. Oggetto di specifica attenzione sono i bambini (art. 24 e C. giust., 23.12.2009, C-403/09 PPU, Detiček, in Raccolta, I-12193 e C. giust., 1.7.2010, C-211/10 PPU, Povse, in Raccolta, I-6673), gli anziani (art. 25) e i disabili (art. 26), spesso oggetto di comportamenti discriminatori. Quanto ai primi, la Carta riprende quanto stabilito nella Convenzione ONU di New York sui diritti del fanciullo del 1989 (cfr. spec. artt. 3, 9, 24 e 25), ma non offre una nozione di bambino (v. art. 1 della Convenzione di New York). In particolare, vengono ribaditi: il diritto al benessere del fanciullo, il principio di preminenza dell’interesse del bambino e il diritto ai genitori. Sono evidenti le potenziali ricadute sul diritto di famiglia e sul diritto internazionale privato. Gli anziani e i disabili, dal canto loro, hanno il diritto ad una esistenza dignitosa e autonoma, che presuppone, tra l’altro, la possibilità di partecipare alla vita professionale, sociale e culturale.
Il titolo sulla solidarietà comprende dodici articoli, alcuni dei quali molto controversi. Nell’elaborazione di queste norme sono emerse le profonde differenze tra gli Stati membri in materia di protezione dei diritti sociali. Più segnatamente, mentre il Regno Unito non riconosce i diritti sociali come diritti fondamentali, i paesi scandinavi temevano che l’inclusione di tali diritti nella Carta avrebbe determinato, per effetto del (presunto) trasferimento di competenze in capo all’Unione, un abbassamento del livello di protezione assicurato dalle leggi nazionali. Da parte britannica le resistenze si sono tradotte nell’adozione di un Protocollo (n. 30) sulla Carta, con particolare riferimento al titolo IV. Per altro verso, deve rilevarsi un pressoché sistematico riferimento alle legislazioni e prassi nazionali. La prima parte del titolo IV, modellata sulla Carta sociale europea (rivista) e sulla Carta comunitaria, è dedicata ai lavoratori: diritto dei lavoratori all’informazione e alla consultazione nell’ambito dell’impresa (art. 27); diritto di negoziazione e di azioni collettive (art. 28 e C. giust., 15.7.2010, C-271/08, Commissione c. Germania, in Raccolta, I-7091); diritto di accesso ai servizi di collocamento (art. 29), tutela in caso di licenziamento ingiustificato (art. 30), condizioni di lavoro giuste ed eque (art. 31 e C. giust., 19.9.2013, Commissione europea c. G. Stavok, C-579/12, RX-II, non ancora pubblicata in Raccolta), divieto del lavoro minorile e protezione dei giovani sul luogo di lavoro (art. 32), vita familiare e vita professionale (art. 33 e C. giust., 16.9.2010, C-140/10, Chatzi, in Raccolta, I-8489). La seconda parte del titolo IV riguarda aspetti largamente disciplinati dal diritto derivato dell’Unione europea grazie alle basi giuridiche da tempo presenti nei trattati (cfr. artt. 152, 153 e 174 TCE e artt. 168, 169 e 191 TFUE): sicurezza sociale e assistenza sociale (art. 34 e C. giust., 24.4.2012, C-571/10, Kamberaj, non ancora pubblicata in Raccolta), protezione della salute (art. 35 e C. giust., 1.6.2010, C-570/07, Blanco Pérez, in Raccolta, I-4629), accesso ai servizi d’interesse economico generale (art. 36), tutela dell’ambiente (art. 37), protezione dei consumatori (art. 38). Tra le principali novità introdotte, occorre segnalare, da un lato, il riconoscimento della funzione di coesione sociale dei servizi di interesse generale (ma v. oggi anche l’art. 14 TFUE e il Protocollo n. 26 del Trattato di Lisbona) e, dall’altro, il fatto che per la prima volta in un documento sui diritti umani si condiziona il potere pubblico al rispetto del principio di sviluppo sostenibile (v. Preambolo della Carta, Preambolo e art. 3, par. 2, TUE).
Il titolo relativo alla cittadinanza dell’Unione contiene otto articoli, che riflettono (e sistematizzano) i diritti sanciti dal Trattato di Maastricht: diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo (art. 39) e alle elezioni comunali (art. 40), diritto ad una buona amministrazione (art. 41), diritto d’accesso ai documenti (art. 42), diritto di rivolgersi al Mediatore europeo (art. 43), diritto di petizione (art. 44), libertà di circolazione e di soggiorno (art. 45; sentenza del 7.10.2010, C-162/09, Lassal, in Raccolta, I-9217) e tutela diplomatica e consolare (art. 46). Conformemente a quanto previsto nei trattati (cfr. artt. 17 e 255 TCE e artt. 15, par. 3 e 20 TFUE), molti diritti non sono riservati ai cittadini, ma si estendono a «qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro» (v. artt. 42, 43, 44) ovvero a «ogni persona» (art. 41). Inoltre, su espressa richiesta del Mediatore europeo, è stata codificata la giurisprudenza sull’applicazione, anche in ambito amministrativo, del principio dell’audi et alteram partem. Ciò implica un trattamento imparziale, equo ed entro termini ragionevoli delle questioni che attengono alla sfera giuridica dei singoli. Questi ultimi devono poter conoscere gli addebiti mossi nei loro confronti, accedere al fascicolo (senza tuttavia pregiudicare la riservatezza e il segreto professionale) ed essere ascoltati prima che venga adottato nei loro confronti un atto pregiudizievole. Ai fini di una eventuale impugnazione, l’amministrazione è tenuta a motivare i propri provvedimenti, mentre rimane salva la possibilità di agire ed ottenere il risarcimento dei danni cagionati dalle istituzioni dell’Unione ovvero dai suoi agenti nelle esercizio delle loro funzioni (art. 41).
Il titolo concernente la giustizia comprende quattro articoli. I diritti qui affermati trovano un fondamento nella CEDU e nella giurisprudenza della Corte di giustizia. Il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale (art. 47 e C. giust., 22.12.2010, C-279/09, DEB, in Raccolta, I-13849; C. giust., 28.7.2011, C-69/10, Samba Diouf; C. giust., 6.11.2012, C-199/11, Otis NV e a. e C. giust., 26.2.2013, C-399/11, Melloni, non ancora pubblicate in Raccolta), il diritto ad un processo equo entro un termine ragionevole e la presunzione di innocenza (art. 48; C. giust., 14.9.2010, C-550/07, Akzo Nobel Chemicals, in Raccolta, I-8301 e sentenza Melloni, cit.) corrispondono agli artt. 6 e 13. Da segnalare, però, che a livello di Unione il diritto di cui all’art. 47 della Carta può essere invocato a prescindere dal carattere civile o penale della controversia. Quanto al principio della legalità (art. 49), esso risulta più dettagliato rispetto all’art. 7 CEDU contenendo un riferimento esplicito alla proporzionalità della pena rispetto al reato commesso. Assai rilevante è anche la disciplina del ne bis in idem (art. 50). Se confrontata con l’art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU, infatti, la portata della protezione risulta più estesa, ricomprendendo anche le situazioni in cui il singolo è stato assolto o condannato per il medesimo reato «nell’Unione».
Le disposizioni transitorie (cosiddette clausole orizzontali) includono quattro articoli. Oltre a definire l’ambito di applicazione della Carta, sia rispetto ai suoi destinatari, sia in relazione al principio di attribuzione (art. 51), si precisa la portata delle sue disposizioni materiali per quanto riguarda: le possibili limitazioni che possono essere apportate ai diritti e alle libertà; le condizioni di esercizio di tali diritti e libertà; la distinzione tra principi e diritti, i rapporti con la CEDU, le tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri nonché con le legislazioni e prassi nazionali (art. 52). Inoltre, viene fissato il livello di protezione offerto rispetto al diritto dell’Unione, al diritto internazionale generale e convenzionale – inclusa la CEDU – e alle costituzioni degli Stati membri (art. 53). Infine, viene espressamente affermato il principio di divieto di abuso del diritto (art. 54).
In base all’art. 6, par. 3, TUE: «I diritti, le libertà e i principi della Carta sono interpretati in conformità delle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni». La regola è affermata anche dall’art. 52, par. 7, della Carta.
Le spiegazioni sono state elaborate sotto l’autorità del Praesidium che ha redatto la Carta e successivamente modificate nel corso della Convenzione sul futuro dell’Europa (in GUUE C 303 del 14.12.2007, 2). Esse intendono chiarire il significato delle disposizioni della Carta: da un lato, ove opportuno, effettuano un rinvio esplicito alle corrispondenti norme CEDU; dall’altro, richiamano le pertinenti fonti giurisprudenziali e normative. Benché non sempre in grado di rendere pienamente intellegibili le singole norme, le spiegazioni hanno il merito di indicare per ogni diritto, la fonte che ne ha determinato l’inserimento nella Carta.
La versione adattata della Carta stabilisce che i giudici dell’Unione e degli Stati membri devono tenere in debito conto le spiegazioni: «Benché non abbiano di per sé status di legge, esse rappresentano un prezioso strumento d’interpretazione destinato a chiarire le disposizioni della Carta» (art. 52, par. 7). Le spiegazioni offrono un’interpretazione autentica delle disposizioni della Carta: nell’esercizio delle rispettive competenze, la Corte di giustizia e i giudici nazionali non potrebbero, almeno in linea di principio, discostarsene (per una ricostruzione delle diverse posizioni assunte in dottrina, v. Lenaerts, K., Exploring the limits of the EU Charter of Fundamental Rights, in European Constitutional Law Review, 2012, 377 ss., spec. 401). In altri termini, le spiegazioni limitano la discrezionalità dell’interprete evitando soluzioni ultra vires (cfr. art. 6, par. 1, TUE e art. 52, par. 7 nonché Von Bogdandy, A.-Schill, S., Overcoming Absolute Primacy: Respect for National Identity under the Lisbon Treaty, in C.M.L. Rev., 2011, 1417 ss., spec. 432).
Sotto il profilo contenutistico, le spiegazioni rappresentano un importante strumento per il legislatore e l’interprete. Esistono ipotesi in cui le potenzialità espansive del diritto sancito nel testo della Carta risultano limitate (v., ad esempio, art. 47, che in base alle spiegazioni è incapace di alterare il sistema di accesso alle giurisdizioni dell’Unione). Di contro, è possibile che una formulazione apparentemente restrittiva venga smentita dalla giurisprudenza indicata nelle spiegazioni relative alla norma di cui trattasi (si pensi all’espressione «esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione» utilizzata dall’art. 51, par. 1, della Carta rispetto alla giurisprudenza menzionata nelle relative spiegazioni).
Non sempre le spiegazioni sono di ausilio e le corti potranno (e dovranno) fare ricorso ad altri strumenti ermeneutici tipici della funzione giurisdizionale. Inoltre, è verosimile ritenere che il rapido evolversi del diritto dell’Unione determinerà ben presto l’esigenza di aggiornare le spiegazioni per dar conto degli sviluppi giurisprudenziali, specie in materia di diritti di ‘nuova generazione’. Una prima conferma del valore delle spiegazioni viene proprio dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, che le ha utilizzate per discostarsi dal tenore letterale delle norme della Carta ed offrire una lettura estensiva del diritto in questione (sentenza DEB, cit.) ovvero del campo di applicazione della Carta medesima (C. giust., 26.2.2013, C-617/11, Åklagaren, non ancora pubblicata in Raccolta).
Le diposizioni della Carta «si applicano alle istituzioni, organi e organismi dell’Unione» (art. 51, par. 1, prima frase). Nell’esercizio delle proprie competenze tali soggetti rispettano i diritti e osservano i principi affermati nella Carta e ne promuovono l’applicazione.
Il dovere di rispettare la Carta riguarda pertanto l’attività legislativa, esecutiva e giurisdizionale. La Commissione garantisce una verifica sistematica e rigorosa del rispetto dei diritti fondamentali durante le consultazioni preparatorie, le valutazioni d’impatto e le proposte di atto; successivamente, compie le opportune verifiche circa l’effettività della tutela approntata (Strategia per un’attuazione effettiva della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea COM(2010) 573 def., ma v. Butler, I., Ensuring compliance with the Charter of Fundamental Rights in legislative drafting: the practice of the European Commission, in ELR, 2012, 397 ss.). Allo stesso modo, nell’assolvimento della loro funzione legislativa e di conclusione dei trattati internazionali, il Consiglio e il Parlamento europeo sono tenuti a compiere le opportune verifiche e, se necessario, proporre gli opportuni emendamenti. Anche gli atti delegati (art. 290 TFUE) ed esecutivi (art. 291 TFUE) adottati dalla Commissione nonché i provvedimenti amministrativi emanati dalla stessa, dagli organi od organismi dell’Unione e le misure adottate dal Consiglio europeo e dal Consiglio UE nell’ambito della Politica estera e di sicurezza comune (Pesc) o della Politica europea di difesa (Pesd) dovranno risultare compatibili con le disposizioni della Carta. Eventuali violazioni potranno essere fatte valere in giudizio dinanzi alla Corte di giustizia, salvo per quanto attiene agli atti PESC che non prevedano «misure restrittive nei confronti di persone fisiche e giuridiche» (cfr. artt. 25 TUE e 275 TFUE).
La questione di legittimità può emergere nell’ambito di ricorsi diretti ovvero di un rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE. In particolare, il mancato rispetto di una o più disposizioni della Carta potrà determinare l’annullamento di atti vincolanti dell’Unione (v. C. giust., 9.11.2010, C-92/09 e C-93/09, Volker und Markus Schecke GbR e Hartmut Eifert, non ancora pubblicata in Raccolta, riguardante un regolamento e C. giust., 1.3.2011, Association Belge des Consommateurs Test-Achats ASBL, in Raccolta, I-773, relativa ad una direttiva) o la responsabilità extra-contrattuale dell’Unione.
Gli Stati membri sono tenuti ad osservare le disposizioni della Carta, ma solo quando attuano il diritto dell’Unione. La nozione di Stato è assai ampia e ricomprende tutte le articolazioni interne, centrali o decentrate, indipendentemente dalla funzione legislativa, amministrativa o giurisdizionale esercitata in base al diritto nazionale. Più problematica è l’espressione «esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione» (art. 51, par. 1, seconda frase). A riguardo, le spiegazioni menzionano i precedenti Wachauf (C. giust., 13.7.1989, 5/88, in Raccolta, 2609), ERT (C. giust., 18.6.1991, C-260/89, in Raccolta, I-2925) e Annibali (C. giust., 18.12.1997, C-309/96, in Raccolta, I-7493), dove la Corte di giustizia ha espressamente affermato l’obbligo per lo Stato di osservare i diritti fondamentali ogni qualvolta la situazione rientri nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione nonché quando le autorità interne intendano derogare alle libertà fondamentali garantite nei trattati. A prescindere dalle diverse formulazioni considerate dai redattori (su cui v. de Búrca, G., The Drafting of the EU Charter of Fundamental Rights, in ELR, 2001, 126 ss.), la lettera della norma è ambigua. Le più recenti sentenze della Corte di giustizia indicano che la Carta troverà applicazione quando gli Stati membri «agiscono nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione» (sentenza Åklagaren, cit., ma v. anche C. giust., 22.12.2010, C-279/09, DEB, in Raccolta, I-13849; C. giust., 5.10.2010, C-400/10 PPU, McB., in Raccolta, I-8965, nonché C. giust., 15.9.2011, C-483/09 e C-1/10, Gueye e Sánchez; C. giust., 15.11.2011, C-256/11, Dereci; C. giust., 21.12.2011, C-411/10, N.S.; C. giust., 8.11.2012, C-40/11, Iida, sentenza Melloni, cit., non ancora pubblicate in Raccolta), e anche quando, nel derogare al diritto dell’Unione, gli Stati membri rischiano di pregiudicare il godimento dei diritti fondamentali (sentenza Runevič-Vardyn, cit.).
Le diposizioni della Carta sono invocabili a prescindere dalla natura verticale ovvero orizzontale della controversia (cfr. sentenza DEB, cit., e C. giust., 8.9.2011, C-297/10 e C-298/10, Sabine Hennigs, non ancora pubblicata in Raccolta nonché Cannizzaro, E., Diritti “diretti” e diritti “indiretti”: i diritti fondamentali tra Unione, CEDU e Costituzione italiana, in Il Diritto dell’Unione europea, 2012, 41 ss.). Incombe sulle autorità nazionali, ivi compresi i giudici, il compito di assicurare il rispetto del diritto dell’Unione, e più segnatamente della Carta, tramite l’obbligo di interpretazione conforme. Se del caso, sussiste il dovere di disapplicare le norme interne incompatibili (v. sentenza Åklagaren, cit.).
Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la Carta è stata oggetto di crescente attenzione da parte delle corti nazionali: in alcuni casi è stata richiamata per avallare una interpretazione estensiva dei diritti e delle libertà riconosciuti nella costituzione ovvero nella CEDU; in altri le sue disposizioni hanno trovato applicazione diretta o indiretta. L’art. 9 della Carta e le relative spiegazioni, ad esempio, sono stati evocati dalla Corte Costituzionale spagnola (C. giust., 6.11.2012, n. 198/2012) nonché dalla nostra Suprema Corte di Cassazione (Cass., 15.3.2012, n. 4184) per giustificare una nozione più ampia di famiglia rispetto a quella risultante da una interpretazione letterale dell’art. 12 CEDU. Tale possibilità, tuttavia, deve essere prevista dalla legislazione nazionale (presupposto che non si realizzava nel caso concreto).
In alcuni casi i giudici nazionali hanno deciso la controversia sulla base della Carta, anche senza utilizzare lo strumento pregiudiziale (Upravno sodišče Republike Slovenije, sentenza del 21.4.2011, che annulla un provvedimento di espulsione sulla base dell’art. 18 e Raad van State, sentenza del 18.7.2012, n. 201101617/1//V4, che sancisce l’illegittimità di un provvedimento di diniego di una domanda di asilo nella misura in cui non ha tenuto nella debita considerazione l’interesse del minore ai sensi dell’art. 24); in altri le disposizioni della Carta hanno trovato applicazione per il tramite delle sentenze della Corte di giustizia richiamate dalle corti in via analogica (v. TAR Lazio, Roma, 6.6.2012, n. 5128, che richiama il passaggio della sentenza N.S., cit., relativa all’art. 4; Bundesverwaltungsgericht, sentenza del 10.7.2012, 1 C 19/11, che si fonda sulla sentenza Samba Diouf, cit., per affermare che il principio della tutela giurisdizionale effettiva di cui all’art. 47 attribuisce al singolo il diritto di adire un giudice, e non il diritto a più gradi di giudizio; Outer House, sentenza del 15.1.2013, CSOH 6, che ha ammesso la possibilità di limitare il diritto di cui all’art. 47 sulla base della sentenza DEB, cit.). Con riferimento alle disposizioni orizzontali, le corti nazionali hanno a volte interpretato in senso restrittivo l’espressione «esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione» utilizzata dall’art. 51, par. 1, seconda frase (v. Högsta domstolen, ordinanza del 29.6.2011, n. B5302-10 e Bundesverfassugsgericht, sentenza del 24.4.2013, BvR 1215/07). In altre occasioni le decisioni sono state più in linea con le spiegazioni (v. Ústavný súd Slovenskej republiky, ordinanza del 5.4.2011, III S 141/2011).
Infine, conviene segnalare che non sono mancati casi in cui i giudici nazionali hanno ritenuto opportuno interpellare la Corte di giustizia sull’efficacia diretta orizzontale della Carta (causa C-176/12, attualmente pendente e relativa all’invocabilità dell’art. 27 in una causa tra privati).
Con l’intento di giustificare la scelta di non indire un referendum sulla ratifica del Trattato di Lisbona e di evitare qualsiasi pericolosa deriva giurisprudenziale in materia di diritti sociali, il Governo del Regno Unito ha preteso un Protocollo sull’applicazione della Carta. La richiesta del Regno Unito ha spinto la Polonia, desiderosa di affermare la propria forza negoziale, ad aderirvi. I due Stati membri, a cui si aggiungerà la Repubblica Ceca con l’ingresso nell’Unione della Croazia (v. Conclusioni del Consiglio europeo del 29 e 30.10.2009, Allegato n. 1, Risoluzione del Parlamento europeo del 22.5.2013 e Parere della Commissione, COM/2012/0197final), hanno ottenuto un Protocollo specifico relativo alla Carta (n. 30). Nei considerando si ribadisce quanto affermato dall’art. 6 TUE nonché dal Preambolo e dall’art. 51, par. 2, della Carta, ovverosia che quest’ultima non modifica, estendendole, le competenze dell’Unione definite nei trattati. Altrettanto tautologici appaiono i richiami alla necessità di interpretare le disposizioni della Carta in conformità con le spiegazioni, all’obbligo di rispettare i trattati, alla circostanza che la Carta offre maggiore visibilità ai diritti, ma non crea nuovi diritti o principi. Quasi paradossale è poi la Dichiarazione 62 allegata al Trattato di Lisbona, in cui la Polonia ricorda il proprio attaccamento ai diritti sociali e del lavoro quali risultano dal titolo IV. A ben vedere, non si è in presenza di un vero e proprio opt-out, come peraltro riconosciuto in un documento della stessa House of Lords (European Union Committee, The Lisbon Treaty: an impact assessment, Tenth Report Fifth Session, 2007-2008, I, 102 ss.) nonché, più di recente, dalla Grande Sezione della Corte di giustizia (N.S., cit.). Nulla cambia rispetto all’acquis communautaire, non mutano le responsabilità degli Stati membri vis-à-vis l’Unione e rimane inalterata la possibilità di invocare in giudizio i diritti fondamentali garantiti dalla Corte di giustizia in quanto principi generali di diritto dell’Unione, ai sensi dell’art. 6, par. 3, TUE e in ossequio agli artt. 13 e 19 TUE e 263 TFUE.
Il carattere indivisibile dei diritti e, quindi, l’impossibilità di modulare le conseguenze giuridiche delle singole disposizioni in funzione della natura, civile o politica, economica o sociale, del diritto o della libertà in questione, ha determinato l’introduzione della dicotomia tra principi e diritti. Le disposizioni della Carta che contengono principi possono essere invocate dinanzi a un giudice solo come parametro interpretativo o di validità degli atti legislativi ed esecutivi adottati dalle istituzioni per darvi attuazione ovvero dagli Stati membri quando agiscono nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione (art. 52, par. 5).
Le spiegazioni contribuiscono a chiarire la distinzione tra principi e diritti. Mentre i diritti sono direttamente invocabili dai singoli a tutela delle loro posizioni giuridiche, i principi – tra cui rientrano la tutela della dignità degli anziani (art. 25), l’inserimento sociale e professionale dei disabili (art. 26) e la protezione dell’ambiente (art. 37) – non legittimano un’azione diretta ad ottenere un intervento delle istituzioni. Inoltre, anche in presenza di un provvedimento attuativo (legislativo o esecutivo) è indubitabile che le istanze giudiziarie competenti (a livello di Unione o nazionale) godranno di un certo margine di apprezzamento nel determinare il rispetto di un principio affermato nella Carta. Il quadro giuridico è tuttavia complicato dal fatto che in talune circostanze si ammette un cumulo delle due funzioni. È questo il caso, ad esempio, dell’art. 23 sulla parità tra uomini e donne, dell’art. 33 relativo alla vita familiare e professionale nonché della sicurezza e assistenza sociale riconosciuta dall’art. 34. Spetterà alla Corte di giustizia apportare le dovute precisazioni.
Qualsiasi limitazione dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Carta dovrà essere prevista per legge, rispettare il contenuto essenziale di tali diritti e libertà, risultare necessaria e giustificata da finalità di interesse generale ovvero dall’esigenza di rispettare i diritti e le libertà altrui (art. 52, par. 1).
Le spiegazioni non esplicitano cosa debba intendersi per «legge». Più utili sono le indicazioni che provengono dalla giurisprudenza della Corte di giustizia successiva all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Secondo i giudici di Lussemburgo, non è necessario che si tratti di un atto adottato dal Consiglio e dal Parlamento secondo la procedura legislativa ordinaria essendo sufficiente che si tratti di un provvedimento vincolante (T., 28.5.2013, non ancora pubblicata in Raccolta), anche se adottato dalla Commissione sulla base di un regolamento del Consiglio (C. giust., 1.7.2010, C-407/08P, Knauf Gips, in Raccolta, I-6371). Quando si tratta di un atto di diritto interno attuativo del diritto dell’Unione, invece, la natura della misura sarà determinata, seguendo un approccio di tipo sostanziale, sulla base dell’ordinamento nazionale interessato.
L’origine legale è condizione necessaria ma non sufficiente: la limitazione deve «rispettare il contenuto essenziale dei diritti e libertà» (cfr. art. 19, par. 2, della Costituzione tedesca, sentenza della Corte EDU, 23.9.1982, Sporrong e Lönnroth c. Svezia, Serie A n. 52 e, per una applicazione concreta nell’ordinamento dell’Unione europea, C. giust., 3.9.2008, C-402/05 P e C- 415/05 P, Kadi e Al Barakaat International Foundation, in Raccolta, I-6351). Vieppiù, le limitazioni dovranno risultare proporzionate e perseguire obiettivi di interesse generale ovvero essere imposte dalla necessità di tutelare i diritti e le libertà di altri soggetti. Nella prima tipologia rientrano gli obiettivi generali di cui all’art. 3 TUE, la moralità pubblica, l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza, la tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali nonché la protezione del patrimonio artistico, storico, o archeologico nazionale ovvero della proprietà industriale e commerciale (artt. 36 e 45, par. 3, TFUE) e la sicurezza nazionale (art. 346 TFUE).
Quanto alle condizioni di esercizio di tali diritti e libertà, occorrerà fare riferimento ai trattati (art. 52, par. 2) e, ove, opportuno, al diritto derivato. Così, i diritti connessi alla cittadinanza dell’Unione andranno esercitati in conformità con l’art. 20 TFUE (nonostante l’art. 45, par. 1, della Carta) e, quindi, con la Direttiva 2004/38/CE (relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, in GUUE L 158 del 30.4.2004, 77). Occorre però rilevare che non sempre le spiegazioni individuano le rilevanti disposizioni dei trattati (v. artt. 11, par. 2, 18, 21, par. 2, 22, 23, 32, 34, par. 1, 35, 37).
Taluni diritti devono ritenersi assoluti e, quindi, inderogabili. È il caso della dignità, che non può «subire pregiudizio, neanche in caso di limitazione di un diritto». In mancanza di chiarimenti sul punto – e a prescindere dai vincoli derivanti dagli artt. 52, par. 3 e 53 della Carta – deve inferirsi dalla giurisprudenza della Corte di giustizia successiva alle spiegazioni che tra questi diritti rientrano sicuramente il diritto alla vita e all’integrità fisica, il divieto di tortura e il divieto di trattamenti disumani e degradanti (C. giust., 12.6.2003, C-112/00, Schmidberger, in Raccolta, I-5659).
Infine, è d’uopo enfatizzare che l’art. 54 della Carta, ispirato all’art. 17 della CEDU, vieta ogni interpretazione suscettibile di imporre limitazioni ultronee rispetto a quanto indicato dall’art. 52, par. 1.
La Carta stabilisce il livello minimo di protezione dei diritti fondamentali nell’ordinamento dell’Unione europea. Per garantirne il rispetto vengono identificate alcune fondamentali regole interpretative, che variano in funzione del diritto in questione. In primo luogo, le disposizioni della Carta non possono essere interpretate come limitative o lesive dei diritti umani sanciti, per quanto di competenza, «dal diritto dell’Unione, dal diritto internazionale, dalle convenzioni internazionali delle quali l’Unione o tutti gli Stati membri sono parti, in particolare dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, e dalle costituzioni degli Stati membri» (art. 53). Parimenti, è vietata «ogni interpretazione suscettibile di ledere i diritti e libertà altrui» (art. 54).
Inoltre, nella prospettiva della futura adesione dell’Unione alla CEDU (v. Jacqué, J.-P. , The accession of the European Union to the European Convention on Human Rights and Fundamental Freedoms, in C.M.L. Rev., 2011, 995 ss.), occorre assicurare piena coincidenza di significato e portata tra i diritti affermati nella Carta e i corrispondenti diritti della Convenzione europea (compresi, se del caso, i protocolli), quali interpretati dalla Corte di giustizia e dalla Corte di Strasburgo. Particolarmente significative a riguardo sono le spiegazioni relative all’art. 52, par. 3, che individuano i diritti affermati anche nella CEDU. Piena corrispondenza tra, rispettivamente: l’art. 2 e l’art. 2; l’art. 4 e l’art. 3; l’art. 5, parr. 1 e 2 e l’art. 4; l’art. 6 e l’art. 5; l’art. 7 e l’art. 8 (v. anche C. giust., 5.10.2010, C-400/10 PPU, McB., cit., nonché conclusioni dell’avvocato generale Trstenjak del 27.6.2012, causa C-245/11, K c. Bundesasylamt, non ancora pubblicata in Raccolta); l’art. 10, par. 1 e l’art. 9; l’art. 11 e l’art. 10, senza pregiudizio per le limitazioni che l’Unione può imporre agli Stati membri in relazione alla possibilità di instaurare i regimi di autorizzazione di cui all’art. 10, par. 1, terza frase della CEDU (v. anche conclusioni dell’avvocato generale Bot del 12.6.2012, causa C-283/11, Sky Osterreich GmbH, non ancora pubblicata in Raccolta); l’art. 17 e l’art. 1 del Protocollo addizionale; l’art. 19, par. 1 (ibid.) e l’art. 4 del Protocollo n. 4; l’art. 19, par. 2, e l’art. 3; l’art. 47, par. 1 e l’art. 13 (sentenza del 28.2.2013, causa C-334/12 RX-II, Jaramillo, non ancora pubblicata in Raccolta); l’art. 47, par. 2 e l’art. 6, par. 1 (ibid.); l’art. 48 e l’art. 6, parr. 2 e 3 (v. sentenza Melloni, cit.); l’art. 49, parr. 1 (fatta eccezione per l’ultima frase) e 2 e l’art. 7.
In altri casi, la corrispondenza è solo parziale. Infatti, benché il significato delle diposizioni in questione sia analogo, il campo di applicazione della Carta risulta più ampio: il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia è previsto anche dall’art. 12 della CEDU, ma l’art. 9 della Carta è suscettibile di ricomprendere anche il matrimonio omosessuale, se previsto dalla normativa dello Stato membro di cui trattasi (v. sentenza della Corte EDU dell’11.7.2002, Goodwin c. Regno Unito, 2002-VI); la libertà di riunione e associazione stabilita dall’art. 12, par. 1, riflette il contenuto dell’art. 11 della CEDU, ma è applicabile anche a situazioni transfrontaliere; pur corrispondendo all’art. 2 del Protocollo addizionale della CEDU sul diritto all’istruzione, l’art. 14, par. 1, della Carta tutela anche l’accesso alla formazione professionale e continua; l’art. 47, parr. 2 e 3, rispecchia l’art. 6, par. 1, della CEDU senza richiedere che si tratti di controversie vertenti sui diritti e obblighi di carattere civile ovvero relative alle accuse in materia penale (v. anche sentenza del 22.12.2010, causa C-279/09, DEB, in Raccolta, I-13849); l’art. 50 sul ne bis in idem ricalca l’art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU con la differenza che «la sua portata è estesa al livello dell’Unione europea tra le giurisdizioni degli Stati membri» (cfr. però sentenza della Corte di giustizia del 14.2.2012, causa C-17/10, Toshiba, non ancora pubblicata in Raccolta e sentenza della Corte EDU del 10.2.2009, Zolotukhin c. Russia); infine, per effetto del divieto di discriminazioni fondate sulla nazionalità, le restrizioni previste dall’art. 16 della CEDU in relazione agli stranieri non risultano applicabili ai cittadini dell’Unione europea.
Da quanto precede discende che un innalzamento del livello di protezione offerto dalla CEDU determinerà un obbligo di adeguamento nell’interpretazione e applicazione delle corrispondenti disposizioni della Carta. Di contro, un eventuale abbassamento dello standard in ambito convenzionale non solleverà le istituzioni e gli Stati membri quando danno attuazione al diritto dell’Unione dall’obbligo di assicurare il pieno rispetto delle disposizioni Carta. È fatta salva, naturalmente, la possibilità di riconoscere «una protezione più estesa» (art. 52, par. 3) e la Corte di giustizia ha già avuto modo di insistere su tale eventualità nell’interpretare l’art. 7 sul rispetto della propria vita privata e familiare (C. giust., 5.10.2010, C-400/10 PPU, McB., non ancora pubblicata in Raccolta) e l’art. 47 sul diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale (sentenza DEB, cit.).
Ove i diritti riconosciuti nella Carta vengano mutuati dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, dovranno essere interpretati «in armonia» con queste ultime (art. 52, par. 4). L’art. 52, par. 4, della Carta riprende quanto già affermato dall’art. 6, par. 3, TUE e deve essere interpretato alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia. Non si tratta di individuare un minimo comune denominatore (v. sentenza Akzo Nobel Chemicals, cit.), ma, piuttosto, di assicurare un elevato livello di tutela senza pregiudicare, da un lato, l’effetto utile del diritto dell’Unione europea e, dall’altro, le prerogative costituzionali degli Stati membri (sentenza Kamberaj, cit.).
Tenendo conto della posizione assunta dalla nostra Consulta nonché da altre Corti costituzionali degli Stati membri, in particolare dal Bundesverfassungsgericht, l’art. 53 della Carta fa salvo il livello di tutela dei diritti fondamentali a livello nazionale, ma non autorizza ad applicare lo standard di protezione dei diritti fondamentali garantito dalla Costituzione «quando questo è più elevato di quello derivante dalla Carta e ad opporlo, se del caso, all’applicazione di disposizioni di diritto dell’Unione» (sentenza Melloni, cit.).
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; Trattato sull’Unione europea e Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, come modificati dal Trattato di Lisbona, Protocolli n. 8, 26 e 30 allegati al Trattato di Lisbona, Dichiarazioni n. 1, 53, 61 e 62, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea allegate al Trattato di Lisbona e relative spiegazioni.
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