CARTOCETO
Il nome della località è diventato noto dopo il ritrovamento del gruppo bronzeo di quattro figure dorate, venuto alla luce fortuitamente nel giugno 1946 in una fossa di deposito antica in località Santa Lucia di Calamello della frazione C. del comune marchigiano di Pergola in provincia di Pesaro e Urbino (da distinguere dall'omonimo comune nella valle del Metauro).
Il gruppo fu restaurato in varie tappe successive e in parte già esposto nel Museo Nazionale di Ancona. Esso costituisce una rarità, in quanto già nell'antichità le statue di metallo, generalmente, o prima o poi, erano soggette a rifusione e quindi sono andate perdute. Tanto più rara quindi l'occasione di recuperare un gruppo intero. Le analisi quantitative sulla composizione delle leghe di tutte le figure trovate e la tecnica della doratura usata, identica in tutte, fanno concludere che nella fossa sono stati trovati i resti, ridotti a pezzi, di un gruppo unitario di figure − e solo di quello −, escludendosi quindi che la fossa abbia contenuto il frutto di una razzia indiscriminata di sculture eterogenee fatta in una o più località. L'analisi della terra di fusione recuperata all'interno delle sculture indica per l'officina in cui è stato allestito il gruppo una sede laziale, e quindi probabilmente romana, escludendosi perciò una fattura marchigiana per le statue.
Il gruppo era costituito, nell'ideazione propagandistica e artistica, da quattro figure, due maschili equestri, in abito militare del tempo di pace, e due femminili stanti, in ricchi vestimenti. Poiché le statue sono state modellate in antico tenendo conto delle leggi dell'ottica fisica, al fine di presentare ciascuna di esse nella miglior veduta possibile, oggi possiamo ricostruire la composizione originaria dell'intero gruppo, usufruendo principalmente delle statue meglio conservate.
Al centro erano previste, sui loro cavalli, le due statue maschili, col braccio destro alzato nel gesto d'imporre la quiete; quella alla sinistra, su un cavallo leggermente più grande, rappresentava l'imperatore Tiberio. Di lui mancano purtroppo la testa e il tronco, ma all'imperatore si addicono per valenza simbolica le rappresentazioni delle due falere circolari anteriori della testiera del suo cavallo: in alto Giove tonante, rappresentato quale protettore e ispiratore della politica dell'imperatore; in basso una protome di leone, quale simbolo della potenza e della preminenza dell'imperatore in terra. La statua alla destra, pervenutaci quasi per intero, rappresenta Nerone Cesare, figlio di Germanico e di Agrippina: a lui, presentato da Tiberio al Senato nel 23 d.C. quale unica speranza della patria, e quindi indicato come suo successore, si addice la falera rotonda posta in alto, che reca un'immagine di Venere, la protettrice della famiglia Giulia, da cui si faceva discendere, e quindi, nel caso particolare, del nuovo virgulto presentato al Senato e al popolo. Quella più in basso non reca rappresentazioni: il potere del giovane appena pronosticato erede è ancora nullo rispetto a quello dell'imperatore-leone.
Le due falere ovali hanno invece un'identica rappresentazione, quella del dio Marte in riposo, a simboleggiare che la direttiva ispiratrice della futura attività politica del neo-presentato Nerone Cesare sarà quella stessa indicata da Tiberio fin dalla sua assunzione all'impero: niente più guerre di conquista, nel solco dell'insegnamento di Augusto. All'esterno, ai lati dei due cavalieri, erano pensate le due figure femminili più legate, almeno formalmente, ai due personaggi maschili: a sinistra Giulia, figlia di Druso Minore e moglie di Nerone Cesare, della quale resta solo la parte inferiore della statua; a destra la madre di Tiberio, Livia, vedova di Augusto e quasi simbolo della continuità del suo impero, la cui statua ci è pervenuta in buone condizioni.
Le sculture dell'intero gruppo imperiale creato tra il 23 e il 29, probabilmente nel 27-28 d.C., e trovato frantumato nella fossa di Calamello, non furono però mai innnalzate nel sito per cui erano state destinate: manca infatti nelle sculture stanti e negli zoccoli delle zampe equine posate a terra ogni traccia dei tenoni, i perni con cui comunemente le statue erano fissate alla base affogandoli nel piombo. Esse dunque dovettero essere state vittime, nella Gola del Furlo o in quei paraggi, di predoni che saccheggiarono il convoglio che le trasportava, ancora fresche di bottega, lungo la via Flaminia verso la loro destinazione finale − marchigiana o nord-italiana o transadriatica − e quindi sotterrate a pezzi in quell'angolo fuori mano dell'attuale comune di Pergola e dai banditi stessi parzialmente − le parti attualmente mancanti − riciclate.
Bibl.: S. Stucchi, Gruppo bronzeo di Cartoceto. Gli elementi al Museo di Ancona, in Bollettino d'Arte, 45 (1960), pp. 7-42; Atti della tavola rotonda su I bronzi dorati di Pergola, 7 giugno 1986, Pergola 1986; L . Braccesi, Il problema storico dei bronzi da Cartoceto, in Rivista di Filologia e d'Istruzione Classica, 116 (1988), fasc. i, pp. 60-75; S. Stucchi, Il gruppo bronzeo tiberiano da Cartoceto, Roma 1988.