CARTOGRAFIA
. In senso proprio è oggi la scienza che si occupa della preparazione e costruzione delle carte: l'uso della parola è recente, perché recente è lo sviluppo della cartografia come scienza autonoma. In italiano carta, nel senso di disegno rappresentante tutta o parte della superficie terrestre, ha significato generico, si estende cioè a qualunque specie di disegno, e così è anche nelle altre lingue, neolatine, germaniche o slave; solo l'inglese oppone chart a map, la carta marina a quella terrestre.
Tanto carta quanto mappa risalgono all'uso latino; il primo discende a sua volta dal greco χάρτης, che, come i sinonimi πάπυρος (fusto del papiro) e βύβλος (midolla), è di origine egiziana; il secondo, a quanto attesta Quintiliano (I, 5, 57), è parola punica e vale "tovaglia", "tela" (nel senso che ci interessa è già presso gli antichi agronomi); ambedue alludono quindi alla materia su cui il disegno veniva fatto, e tale è anche il valore dei sinonimi πίναξ e tabula, con cui più propriamente Greci e Latini indicavano ciò che oggi intendiamo col nome di carta geografica.
Queste espressioni mostrano che necessità e uso di riprodurre sopra una superficie piana per mezzo del disegno tutta o parte della superficie terrestre sono antichissimi. In realtà, non solo popolazioni civili, ma anche semibarbare o addirittura selvagge posseggono carte; pur se naturalmente rudimentali, esse appaiono tanto più sviluppate quanto più ampio è l'orizzonte delle relazioni di ciascun popolo, e perciò più frequenti presso i nomadi che presso i sedentarî. Eschimesi e Indiani del Canada compongono rozze mappe itinerarie su scorze d'albero o sopra la roccia; i Polinesiani fanno uso di cannucce intessute, e non di rado disegni di questo genere sono stati di reale utilità anche agli esploratori. Gli Aztechi precolombiani possedevano piani di villaggi, di città e di coste; gli Incas avevano plastici e carte, non diversamente da quanto conosciamo dei Cinesi, degli Assiri, dei Babilonesi e degli Egiziani. Materiale come questo aveva del resto più d'una ragione nei bisogni della vita pratica: confinazioni, rilievi catastali, necessità della difesa, vie del commercio, ecc. I documenti più antichi di cui si abbia notizia ci permettono di risalire a circa trenta secoli a. C. Purtroppo, poco o nulla ci è rimasto di così vetusta origine, ma è indubbio che una parte almeno di quel materiale dovette essere conosciuto e utilizzato dagli scrittori dell'antichità classica.
Comunque, la cartografia come scienza nacque anch'essa in suolo greco, dove anzi il compito di disegnare la figura della superficie terrestre appare, nella scuola ionica, primo ed essenziale fra quelli imposti dalla nascente speculazione geografica. Già la poesia omerica ci mostra chiaro il concetto della terra come un complesso di isole a contorno circolare, ricinto da un oceano circonfluente. Questo concetto, che si attaglia del resto a credenze orientali (India), anche religiose (Bibbia), non solo si mantiene nella cultura classica, ma si tramanda attraverso il primo Medioevo, fino, si può dire, all'alba del Rinascimento. Nell'età omerica l'orizzonte della vita e della civiltà ellenica era limitato in sostanza al bacino orientale del Mediterraneo; con le navigazioni fenicie e il grande movimento di colonizzazione delle stirpi greche - fra il sec. VII e il VI a. C. - si allarga rapidamente la cornice, e vien completata la conoscenza del contorno del Mediterraneo, Mar Nero compreso, mentre giungono notizie, sia pur vaghe, di paesi e popoli entro terra così verso Oriente (Persia), come all'estremità occidentale del vecchio mondo (Tartesso). In armonia con lo sviluppo raggiunto da queste cognizioni e col tentativo, realizzato per la prima volta nella scuola ionica, di dar loro una sistemazione scientifica nel complesso di dottrine speculativamente dedotte dai dati dell'osservazione, sta anche il sorgere della cartografia greca, della quale Eratostene fa iniziatore il milesio Anassimandro, discepolo di Talete, attribuendogli il merito d'avere tentato per il primo il disegno di tutta la terra (metà, all'incirca, del sec. VI a. C.). Se a noi non consta che Anassimandro abbia avuto qualche precursore, è tuttavia presumibile che egli si giovasse di carte speciali, della cui esistenza non possiamo dubitare. Purtroppo questo antichissimo πίναξ è andato perduto, al pari di quasi tutte le carte che conosciamo attraverso gli scrittori classici: le ricostruzioni tentatene dagli studiosi moderni presentano fra di loro divergenze considerevoli, appunto perché costrette a poggiare per la massima parte su elementi incerti, o dibattuti, o addirittura ipotetici.
Alla carta di Anassimandro altre ne seguirono, fra le quali godette grande reputazione quella di Ecateo - anch'egli milesio, posteriore di una generazione ad Anassimandro e membro della stessa scuola - cui andava unito un ampio commentario descrittivo; in questa carta alcuni han creduto di riconoscere la famosa tavola di bronzo che, stando ad Erodoto (V, 49), Aristagora, tiranno di Mileto, avrebbe mostrato a Cleomene, re di Sparta (504 a. C.), per convincerlo a un'alleanza contro i Persiani: la prima carta, di cui si abbia ricordo, usata in suolo europeo.
A un ulteriore, decisivo sviluppo delle conoscenze geografiche, e quindi anche della cartografia, contribuirono nella seconda metà del sec. IV, insieme coi resultati delle spedizioni di Alessandro Magno (335-23), le scoperte di Pitea di Marsiglia (verso il 345 a. C.), spintosi navigando lungo le coste atlantiche fino all'estremità meridionale della Scandinavia; ma certo non meno efficace fu per quello sviluppo il progresso scientifico generale, che si riassume nella grande sintesi speculativa, cui è legato il nome di Aristotele. Già nel sec. V gl'insegnamenti della scuola pitagorica avevano diffuso in suolo greco il concetto della sfericità della terra (della conseguente divisione di questa in zone astronomiche è rimasta traccia nelle espressioni ancor oggi usate di "torrida", "glaciale" e "temperata"), della quale Aristotele porge più tardi le prime prove; non è senza ragione che ad uno dei discepoli dello Stagirita, il messinese Dicearco, fiorito intorno al 300 a. C., sia attribuito il primo tentativo di misurare le dimensioni della terra, problema fondamentale per chi si propone di costruire una carta geografica partendo dal concetto della terra sferica. Per quanto poco si conosca dell'opera di Dicearco, egli deve essere ricordato con onore nella storia della cartografia. Fino al suo tempo, il metodo seguito dai primi costruttori di carte era stato necessariamente empirico: mancando di punti fissi cui riferire le posizioni delle singole località e degli oggetti da rappresentare, queste carte erano in sostanza dei semplici piani, in cui i rapporti dei diversi elementi fra di loro e nell'insieme dovevano risultare tanto meno precisi e attendibili, quanto più i limiti del territorio rappresentato oltrepassavano quelli dell'orizzonte visibile. Solo con Dicearco si cominciò a far uso, se dobbiamo credere a Strabone (II, 5: 10-6), di un sistema che potremmo dire geometrico, il quale permetteva di ovviare a questi inconvenienti, consentendo un'esattezza almeno relativa, mancata ai πίνακες più antichi. Dicearco immaginò di dividere l'ecumene, o abitabile, per mezzo di una linea latitudinale che, partendo dalle Colonne d'Ercole, attraverso il Mediterraneo, l'Asia Minore e il Tauro, finiva all'estremità orientale del mondo conosciuto (Paropamiso o Caucaso indiano), linea alla quale - o dallo stesso Dicearco, come sembra ragionevole supporre, o, in ogni caso, non molto dopo di lui - ne fu aggiunta un'altra, perpendicolare, e perciò in senso longitudinale, attraverso Lisimachia e Siene; ambedue divise in stadî, sì che ne risultava una specie di reticolo, sul quale era facile riportare le distanze conosciute, dopo averle ridotte alla misura che serviva di base alla carta. La scarsezza di notizie rimasteci non ci permette di farci un'idea chiara di quello che dovesse essere la carta di Dicearco, che pure l'antichità ebbe in gran pregio; certo non si allontanarono dal metodo cui abbiamo accennato quanti gli tennero dietro per lo spazio di oltre quattro secoli, vale a dire fino all'epoca di Marino di Tiro.
Lo stesso Eratostene (276-196 a. C.), che a ragione è considerato il maggiore fra i geografi dell'antichità, non fece probabilmente che perfezionare la carta di Dicearco, pur estendendone assai i confini verso E. (Gange) e S. (Nilo) e sottoponendone gli elementi a un'attenta elaborazione critica, come aveva fatto pel materiale raccolto nella sua grande enciclopedia geografica. Sebbene l'attività del dotto bibliotecario alessandrino si sia volta anche alle questioni matematiche e astronomiche, come prova, non foss'altro, il celebre tentativo da lui fatto di misurare le dimensioni della terra, le basi teoriche della sua carta non mutano in confronto di quella del suo predecessore, ciò che non meraviglia, se si pensa alla scarsezza di osservazioni astronomiche di cui si poteva allora disporre, e di cui disponeva di fatto Eratostene; osservazioni che si limitavano, per giunta, ai valori di latitudine, ottenuti con l'aiuto dello gnomone o calcolati sulla base della durata del giorno (o della notte) più lungo. Per la stessa ragione, scarsa doveva rimanere per un pezzo anche l'efficacia delle critiche mosse da Ipparco (190-125 a. C.), uno dei più grandi astronomi dell'antichità, alla carta di Eratostene: negando ogni valore ai dati di distanza e di posizione relativa delle varie località, su cui si fondava, come s'è detto, la costruzione di quella, e raccogliendo egli stesso i materiali necessarî alla determinazione delle coordinate astronomiche (perciò, anche, di longitudine), sulle quali soltanto può poggiare, secondo Ipparco, un disegno esatto e fedele dell'ecumene, egli preparava la strada alla riforma della cartografia.
In sostanza, dunque, quando si confrontino fra di loro i più antichi tentativi di rappresentazioni cartografiche, quali risultano, pur attraverso non pochi elementi d'incertezza, dalle restituzioni proposte sulla base delle testimonianze giunte fino a noi, è facile accorgersi come due essenzialmente siano gli stadî che contrassegnano lo sviluppo della cartografia greca innanzi Marino di Tiro e Tolomeo: quello che risale alla scuola ionica, in cui la rappresentazione della terra è ancora, in misura maggiore o minore, subordinata a concetti cosmologici, e costretta perciò a superare speculativamente i limiti imposti dall'osservazione diretta; e quello che si conchiude con Eratostene, volto, non più al disegno di tutta la terra, ma della sola parte abitabile, e tendente perciò a un sempre maggior accordo con la realtà, sia pure non limitata ai meri dati di fatto, ma estesa e completata con quanto da questi è possibile dedurre per mezzo di procedimenti critici rigorosamente scientifici.
L'uno e l'altro indirizzo, anche se contrastanti, non si escludono: lo prova la lunga sopravvivenza delle carte più antiche, a contorno circolare, basate sul concetto della terra piana, accanto a quelle più recenti, nelle quali non solo il perimetro tende verso altre forme, ma del tutto diversi appaiono ormai così la suddivisione delle masse terrestri, come i loro rapporti di superficie. Comune alle une e alle altre, invece, l'asse di orientamento, che coincide com'è naturale, con l'asse del Mediterraneo, distendendosi all'ingrosso secondo il 36° lat. N.; perciò la cartografia pretolemaica, pur nella diversità delle sue conclusioni rispetto alla forma dell'ecumene - circolare per Anassimandro, oblunga per Democrito, semicircolare per Cratete, simile a una clamide per Eratostene, a una fronda per Posidonio, ecc. - dispone gli spazî abitati dai due lati di questa linea, rispetto alla quale varia, presso i diversi autori, la massima estensione da N. a S., che di regola si ritiene che si realizzi lungo una perpendicolare a quell'asse, press'a poco coincidente col meridiano di Rodi, dal Dnepr alla Nubia.
La fase conclusiva della geografia classica sta in rapporto con l'affermarsi e il dilatare della conquista romana, alla quale segue non solamente un considerevole ampliamento del mondo conosciuto, massime verso Oriente (Seres), ma anche l'acquisto di un sempre più ricco patrimonio di notizie sicure, oltre che su paesi e popoli, su prodotti e fenomeni relativi alle regioni interne (Gallia, Iberia, Germania, Atlante, Etiopia, Arabia, Armenia, ecc.) percorse e sottomesse dalle legioni vittoriose, tra la seconda metà del sec. II a. C. e l'inizio dell'era volgare. In pari tempo i mensores che accompagnano gli eserciti consolari forniscono allo stato un primo rilievo catastale dei territorî conquistati, preannunciando la grande impresa della misurazione dell'impero (44-19 a. C.), voluta da Cesare e compiuta sotto Augusto da M. Vipsanio Agrippa; impresa da cui deriva la monumentale mappa itineraria fatta incidere dallo stesso Agrippa e collocata, perché fosse mostrata al pubblico, sotto il portico ch'ebbe nome da Polla, sorella di lui.
La prevalenza, o almeno la larga diffusione, di questo tipo di carte itinerarie fra i Romani ben corrisponde alle loro tendenze essenzialmente pratiche, per le quali anche lo sviluppo delle dottrine geografiche prende, allora, una caratteristica assai diversa da quella mostrata per l'innanzi in suolo greco. Se a questo particolare genio romano si aggiunga quanto abbiamo accennato a proposito della riforma tentata da Ipparco, non deve stupire abbiano ancora a trascorrere ben tre secoli prima che si possa registrare un mutamento radicale nel campo della cartografia. Solo con Marino di Tiro, vissuto intorno al 120, s'introducono latitudini e longitudini calcolate non più in stadî, ma in gradi, secondo il principio, dunque, che regge tutta la cartografia moderna; riforma per cui si può dire che, a rigore, s'inizii solo allora, in questa, il periodo propriamente scientifico. Il tracciato delle linee di longitudine e di latitudine, eseguito mediante rette parallele le une alle altre, mantenendo le proporzioni solo sul meridiano di Rodi, introduceva naturalmente nel disegno deformazioni gravissime (specie nelle parti periferiche), anche a prescindere dal piccolo numero di dati astronomici di cui Marino disponeva, e del valore da lui attribuito al grado. Della sua opera, che è andata perduta, ma che gli Arabi del sec. X conoscevano e utilizzarono (e della quale del resto ci informa Tolomeo), è notevole soprattutto l'aver fissato a 225° la distanza fra il primo meridiano (delle Isole Fortunate) e l'estremità orientale dell'ecumene (distanza che Tolomeo riduce a 180°), ossia esagerato enormemente l'estensione dell'Asia verso E., fatto che doveva avere un'importanza decisiva per la scoperta del nuovo mondo.
Comunque, Marino di Tiro non solo è il creatore della prima proiezione che sia stata adoperata per le carte terrestri (per le celesti già Ipparco ne aveva insegnate delle altre, prima fra tutte la stereografica), la cilindrica equidistante, che si deve considerare come la naturale conseguenza, o, se si vuole, il perfezionamento matematico del metodo seguito dai più antichi cartografi, ma condiziona anche l'opera di Tolomeo, della quale si suol ripetere che chiude il ciclo della speculazione cosmografica antica: condiziona, più ancora che per il materiale somministratole, per averla diretta ai problemi fondamentali d'ordine astronomico, e, soprattutto, allo studio delle proiezioni. A evitare i difetti di quelle usate da Marino, Tolomeo escogitò infatti e applicò nelle sue carte due proiezioni nuove: la conica equidistante e l'omeotera, delle quali soprattutto la prima doveva determinare, più tardi, tutta una serie di ricerche intese a perfezionarla e ad allargarne le applicazioni.
Nella mappa eratostenica l'orizzonte geografico abbraccia una superficie di non più che 40 milioni di kmq., un tredicesimo, appena, della terrestre, e il Mediterraneo rimane sempre l'asse fondamentale del disegno. Con i viaggi dei Cartaginesi e le conquiste romane, volte non pure all'Asia orientale, ma anche all'Africa interna, il mondo conosciuto rappresenta circa un quinto di quella superficie (e Tolomeo difatti sposta l'asse d'orientamento al Tropico), tuttavia né Marino né Tolomeo hanno di mira altro che la costruzione di una mappa in cui figurino i limiti dell'ecumene. Insomma, la speculazione classica, pur proponendosi, affrontando e risolvendo, almeno teoricamente, i problemi della cartografia scientifica, si era dovuta di fatto limitare soltanto a una parte della superficie terrestre, e questo spiega perché le proiezioni escogitate si restringano alla cilindrica e alle coniche di Marino di Tiro e di Tolomeo, di cui la prima appare bene adatta alla rappresentazione di territorî non molto estesi, e le seconde tengono già conto della convergenza dei meridiani verso il Polo. Dal punto di vista pratico gli errori erano inevitabili, non perché le costruzioni poggiassero su basi teoriche errate, ma per l'imperfezione degli elementi astronomici e geografici che discendeva dalla deficienza di mezzi strumentali comune a tutta l'antichità; e, d'altronde, preoccupazioni scientifiche non presiedevano certo alla costruzione di carte per gli usi più comuni, come si può vedere avvicinando alle mappe tolemaiche documenti quali, per es., la nota Tabula Peutingeriana, che risale a un prototipo del sec. IV, e può essere presa a modello delle carte itinerarie di cui s'è detto.
L'alto Medioevo ha scarso interesse per chi consideri la cartografia da un punto di vista strettamente scientifico. Contro le speculazioni dell'antichità classica, quasi del tutto neglette, la Bibbia, tenuta dai più in conto di somma del sapere, contribuì a richiamare in vita concetti cosmografici ormai sorpassati, mentre il predominio della fantasia sulla critica, che caratterizza il pensiero medievale, fece convergere l'attenzione su quanto vi fosse di favoloso. Le carte di questo periodo, pur rappresentando una derivazione da fonti romane, stilizzano i loro prototipi secondo uno schema assai semplice, che risale ai πίνακες degli Ionî, e che è ben riassunto nei noti versi della Sfera del Dati (1435):
Un T dentro ad un O mostra il disegno
come in tre parti fu diviso il mondo,
e la superiore è il maggior regno,
che quasi piglia la metà del tondo,
Asia chiamata: il gambo ritto è segno
che parte il terzo nome dal secondo:
Affrica, dico, da Europa; il mare
Mediterranco tra esse in mezzo appare.
Tuttavia la varietà dei disegni, rivelata pur dalle poche carte giunte fino a noi, indica chiaramente la persistenza di più tipi, ciascuno dei quali mantiene, attraverso le successive deformazioni, le proprie caratteristiche, anche se in complesso queste finiscono col determinare figure dell'abitabile appena concepibili in un'età in cui non doveva essere del tutto dimenticata, non foss'altro, l'opera di Tolomeo. Così, per es., la stessa concezione cosmografica di Cosma Indicopleuste (sec. VI), che può sembrare alla prima la più bizzarra e originale di tutte - Cosma immaginava l'abitabile come una massa quadrilatera, ricinta dall'oceano circonfluente: oltre questo è un'altra terra, anteriore al diluvio e da allora non più abitata, le cui pareti s'innalzano a sostenere la volta celeste - mentre si riconnette a concetti che ritroviamo in Eforo e, attraverso i filosofi ionî, risalgono addirittura alla speculazione indiana, racchiude in germe elementi d'origine bizantina, che riappaiono sviluppati e portati all'esagerazione nelle carte arabe più antiche, caratterizzate dalla suddivisione delle diverse parti della terra mediante linee e contorni rigidamente geometrici. Delle due forme di carte in uso nell'età imperiale, la quadrata e la rotonda, quest'ultima appare di preferenza scelta a rappresentare tutto l'orbe, la prima il disegno delle singole regioni (ma le carte speciali si van facendo più rade nei bassi tempi, fino a scomparire del tutto); le due forme si evolvono nell'alto Medioevo ai tipi quadrilatero e ovale, che si alternano indifferentemente, e dei quali ci offrono esempio le cosiddette carte del Beato (un religioso spagnolo, morto nel 798), che conosciamo in più copie eseguite tra il sec. X e il XIII, e che rappresentano la più antica grande mappa dell'abitabile pervenutaci dai secoli di mezzo. Mentre questo disegno discende evidentemente da un originale romano dei più comuni del sec. IV, il mappamondo di Lamberto, per es., che è del sec. XII, ci riconduce al concetto della terra quadrifida di Cratete di Mallo, concetto che si continua fino nei tardi tempi della latinità, ciò che basta a mostrare la filiazione di queste carte dal ceppo classico, la cui tradizione, dunque, non può considerarsi mai spenta del tutto neppure nei secoli più oscuri del Medioevo.
Per rozzi e semplici che siano tali disegni, e altri dello stesso periodo, come l'Imago mundi argentoratense del sec. IX, la Cottoniana della fine del successivo (o dei primi dell'XI), il mappamondo di Guido del XII, quelli che corredano il noto trattato di Onorio d'Autun (sec. XII), ecc., il loro tracciato non presuppone necessariamente il concetto della terra piana, quale tornò a essere sostenuto dalla patristica; ma il disegno si limita di regola all'abitabile, il cui centro da Roma si trasferisce a Gerusalemme nelle carte occidentali - nelle arabe, come, per es., in quella di Masudi (che è del sec. X), il contorno terrestre s'identifica con la figura della fenice, le cui ali corrispondono all'Europa e all'Asia, la coda all'Africa e il capo indica la Mecca, al centro della mappa - orientandosi le carte col levante in alto, contro l'uso dei Greci (settentrione in alto, come i moderni) e dei Romani (levante o mezzogiorno).
In conclusione, dunque, la cartografia del primo Medioevo si limita a riprodurre la figura dell'orbis romanus, quale appariva presso i tardi compendiatori dell'epoca imperiale, trasformandola e alterandola con l'apporto di un certo numero d'innovazioni e di particolari, che trovano la loro ragione non in un ulteriore ciclo evolutivo delle conoscenze geografiche o della speculazione scientifica, ma nelle necessità imposte dai presupposti dogmatici che stavano a base del sapere medievale, se non addirittura nella fantasia capricciosa di qualche disegnatore. D'altronde le condizioni sociali e politiche dell'Occidente europeo durante quest'epoca e soprattutto l'angustia delle loro reciproche relazioni economiche e culturali non avrebbero potuto produrre di meglio; questo stato di cose si modifica più tardi in seguito a un complesso di circostanze, delle quali vogliono essere qui ricordate la persistenza della tradizione classica attraverso le opere dei Bizantini e degli Arabi, il movimento delle Crociate, i grandi viaggi in Oriente, l'introduzione della bussola nel Mediterraneo. Con quest'ultima causa è certo in rapporto, se non l'origine, almeno l'evoluzione di quello che, nel campo che c'interessa, è il prodotto più originale del Medioevo, e può servire a caratterizzarlo: la carta nautica (o marina, o portolanica; non portolano, che è l'istruzione nautica scritta, da cui le carte stesse erano talora accompagnate), che sappiamo in uso fra i naviganti del Mediterraneo almeno dalla seconda metà del sec. XIII e i cui più antichi esemplari sicuramente datati risalgono ai primi anni del successivo. Queste carte, generalmente miniate su pergamena, non di rado con elegante e colorita ornamentazione, sorprendono per l'esattezza delle posizioni reciproche che vi occupano le varie località e soprattutto per la precisione con cui vi è delineato il contorno costiero, a cui si limita di regola il disegno. Tipico è in esse (sebbene non costante, né identico in tutte) il tracciato di linee che fan capo a una o più rose dei venti e che, intrecciandosi, finiscono col formare una specie di reticolo: da questo, in cui non entrano per nulla le graduazioni, è possibile farsi un'idea della costruzione di tali carte, basata sul calcolo delle direzioni e delle distanze, secondo un adattamento che ricorda la proiezione azimutale equidistante, realizzata sull'orizzonte della rosa centrale. Qualunque sia la loro origine, le carte nautiche rappresentano il risultato di procedimenti pratici, che non possono non aver subito una lunga evoluzione prima di toccare un grado così alto di esattezza; quanto gravi errori avrebbe dato in pratica il metodo delle coordinate in tanta imperfezione di mezzi atti a determinarle, si vide dopo la diffusione della geografia tolemaica, venuta in Occidente col movimento umanistico. Rinnovatrice in quanto tornò a dare una base scientifica alla cartografia, richiamando gli studî al problema delle proiezioni e alla determinazione delle latitudini e delle longitudini, l'opera dell'alessandrino nocque più che non giovasse alla conoscenza del disegno e dell'estensione dell'abitabile e delle dimensioni del globo, sì che fra i compiti della geografia del Rinascimento vi fu, anzitutto, la conciliazione fra i dati tolemaici e quelli dell'esperienza.
Se il rifiorire della cultura antica fu non ultima fra le cause che determinarono la rivoluzione operatasi nella cartografia del Cinquecento, la spinta decisiva all'emancipazione dalle fonti classiche venne come conseguenza delle grandi imprese dell'epoca delle scoperte. Non solo l'immagine della terra si trovò allora rapidamente trasformata e ingrandita di fronte a quella dell'ultimo Medioevo - già considerevolmente più ampia che non presso gli antichi - ma la navigazione, abbandonati gli angusti limiti del Mediterraneo e dei mari europei per affrontare la sconosciuta immensità degli oceani, si trovò di fronte a bisogni e problemi nuovi, primo fra tutti quello di determinare il punto, vale a dire la posizione della nave durante la sua rotta, ciò che rese necessario l'uso di strumenti e di metodi nuovi, per il calcolo dei percorsi e delle coordinate geografiche. Alla fine del sec. XVI, quantunque un intero continente non fosse ancora scoperto e il contorno di quello scoperto di recente fosse ancora lontano dal potersi dire definito, il rapporto fra noto e ignoto si era rovesciato in confronto a ciò che era presso gli antichi: donde l'opportunità, non sentita da questi ultimi, di figurare non più il solo abitabile, ma l'intera superficie terracquea. Alla copiosa produzione di globi, che caratterizza il Cinquecento, si accompagna così tutta una serie di tentativi volti alla costruzione di mappamondi, e per questo appunto i cosmografi dell'epoca delle grandi scoperte si applicarono così intensamente ai problemi delle proiezioni, i cui principî - nell'ipotesi, universalmente ammessa, della terra sferica - si possono dire fin d'allora stabiliti. Tutti gli assi di orientamento erano stati spostati, anzi non ve ne fu più, a rigore, nessuno di fisso: a quello del Mediterraneo si venne sostituendo dapprima l'equatoriale, il che portò allo sviluppo delle proiezioni equatoriali (Fineo, 1540) e cilindriche (Apiano, 1522).
Già dopo la diffusione della geografia tolemaica s'era cominciato a segnare sulle carte i gradi di latitudine e più tardi anche di longitudine, creando così un tipo che ricorda la proiezione cilindrica quadrata, nella quale la rosa dei venti perdeva ormai il suo significato: i naviganti non tardarono ad accorgersi che la lossodromia corrispondente a un angolo di direzione costante dava anche qui, come sui globi, una curva difficile a disegnarsi. La cilindrica isogona, che porta il nome di Mercator (1569), ma i cui principî rimontano a oltre mezzo secolo addietro (Etzlaub), ovviando a questo inconveniente col rappresentare per mezzo di rette i percorsi delle navi, permetteva anche un facile calcolo delle distanze. Ai primi anni dello stesso secolo risalgono del pari gli studî di J. Staub, di J. Werner (1514) e di P. Apiano (1520), che iniziano le proiezioni cordiformi, le quali ebbero larghissimo uso all'epoca delle scoperte (Frisius, Fineo; doppia cordiforme di Mercator, ecc.): a questi autori sono perciò dovute le prime proiezioni equivalenti, in cui i meridiani curvi tagliano i paralleli nel rapporto giusto dei gradi di longitudine decrescenti, conservando cioè le lunghezze dei paralleli. Accanto alla omeotera (Tolomeo; Stobnicza, 1512) e alla trapeziforme (Niccolò Germanico, Ortelio, Mercator, L. Sanuto), fa la sua prima comparsa la polare equidistante (Mercator, 1569), raramente usata allora (che Lambert trasformerà poi nell'azimutale), mentre la globulare meridiana, praticata fin dal principio del sec. XV e modificata nel corso del successivo (mappamondo Tramezzini, 1554, Tolomeo Ruscelli), verrà perfezionata da G. B. Nicolosi a mezzo il Seicento, con l'introduzione dei paralleli circolari.
Fra le proiezioni prospettiche il massimo sviluppo ebbero le stereografiche, i cui principî aveva già fissato Ipparco: i cartografi del Cinquecento, modificandole, ne estesero l'applicazione, nel che va ricordato soprattutto Mercator (1606), la cui proiezione meridiana incontrò favore durante il sec. XVII. Né meno notevole fu l'uso dell'ovale distante per la costruzione dei mappamondi (Bordone, Roselli, Agnese, Münster, Porcacchi, Magini, ecc.); basti ricordare il notissimo Typus di Abramo Ortelio (1570) e le carte di Giacomo Gastaldi: in queste tuttavia i paralleli non sono più equidistanti, ma condotti per punti di uguale divisione del circolo descrittivo sul diametro minore dell'ovale (meridiano 90°). I mappamondi del cosmografo piemontese, cui la critica moderna ha riconosciuto uno dei primi posti nella storia della cartografia, spiccando per l'accuratezza del disegno non meno che per l'eleganza della tecnica, godettero tanta fama, da meritare a questa proiezione il nome di "mappa del Gastaldo". Né meno notevoli furono i progressi tecnici realizzati dalla cartografia terrestre, nella quale, sempre ai primi del sec. XVI, si hanno già tentativi di applicare la bussola al rilievo (S. Münster, 1528, P. Apiano, 1530); mentre la ricognizione del terreno in molte parti dell'Italia e dell'Europa centrale portò alla costruzione di tutta una serie di mappe speciali da cui doveva uscire completamente rinnovata la cartografia dei paesi più civili. Questo è dato riconoscere, più ancora che negli atlanti di quel secolo e del successivo, da alcune delle prime carte topografiche a grande scala, come, per es., quella della Baviera (1 : 144.000 in 24 fogli), venuta in luce nel 1568 a Ingolstadt per opera di Filippo Apiano, e, per quanto riguarda l'Italia, dalla raccolta di carte topografiche curata da G. A. Magini, che riassume in sé tutto il lavoro di preparazione compiuto nel secolo precedente, cospicuo anche in grazia dell'impulso dato dai governi dei varî stati alla migliore conoscenza delle condizioni topografiche dei rispettivi territorî.
In conclusione, l'epoca delle scoperte non solo aveva gettato le basi della teoria delle proiezioni, ma ne aveva esaminati e definiti i problemi fondamentali; gli sviluppi successivi mirano quindi soprattutto a estendere l'applicazione dei tipi proposti, più perfezionando che innovando; conseguenza anche del fatto che al chiudersi di quell'epoca la posizione relativa delle masse terrestri e oceaniche poteva dirsi ormai definitivamente fissata nelle sue linee generali e sistemata perciò, anche nelle rappresentazioni cartografiche, l'immagine complessiva del pianeta. Un ulteriore sviluppo non era possibile se non in armonia col progresso di tutte le scienze di osservazione, e, in primo luogo, dell'astronomia e della geodesia; e così avvenne di fatto, dopo che quest'ultima ebbe dimostrato erroneo il concetto di una terra esattamente sferica e la prima chiarito che, non la terra, ma il sole si trova al centro del sistema planetario. Già al principio del sec. XVII l'olandese W. Snellius (1591-1626) mette in opera, per la misurazione del grado (che formerà oggetto nel secolo successivo di ricerche assai minute), il sistema della triangolazione, che il tedesco W. Schickhart applica fra il 1624 e il 1635 al rilevamento del Württemberg; innovazione radicale da cui ha inizio l'età moderna della scienza cartografica.
Se però il Seicento è caratterizzato ancora, in sostanza, dall'opera di sintesi che si traduce in grandi raccolte di carte (Homann, Moll, Blaeu, Sanson, Dudleo), elaborate per lo più nel secolo precedente, corrette e completate mediante più o meno accurata revisione e inserzione di dati nuovi, il Settecento riprende in pieno lo studio delle proiezioni, destinate ora soprattutto alla rappresentazione di territorî a latitudine media con orizzonte variabile, a territorî, cioè, dell'Europa centrale, dove di fatto si ha in tale periodo il massimo fiorire di questi studî. Accanto alle proiezioni stereografiche sono le coniche e le derivate, che occupano, specie per opera dei Francesi (Delisle, Bonne), il posto d'onore: il recente sviluppo di queste ultime (la conica semplice e una pseudoconica sono già in Tolomeo, una conica semplificata aveva utilizzato anche Mercator) essendo dovuto al fatto che solo molto tardi si ricobbero adatte a rappresentare territorî a latitudine diversa (conica secante di Delisle, 1768, isogona di Lambert, 1772, pseudoconica di Bonne, 1787). Ma forse, ancora più che per questa ricerca, estesa del resto ad altre specie di proiezioni (azimutale equivalente, cilindrica propria equidistante di Lambert, 1772, ecc.), il sec. XVIII va segnalato per lo sforzo d'introdurre nella cartografia metodi più precisi di rappresentazione, massime per ciò che riguarda le forme del rilievo terrestre. Fin dal 1728 l'ingegnere olandese M. S. Cruquius aveva fatto uso di curve di livello per disegnare il letto del Merwede, seguito in ciò ben presto da F. Buache (1737) e più tardi (1791) da J. L. Dupain-Triel (1722-1805), che per il primo diede alla luce una carta della Francia con isoipse di 10 in 10 tese. Non molto dopo, i tedeschi L. C. Müller (1788), e J. G. Lehmann (Theorie der Bergzeichnung, 1799) proponevano, per raffigurare le superficie inclinate, il sistema del tratteggio e dell'ombreggiatura, tentativo da cui ha inizio una fase nuova nella storia della cartografia, in quanto introduce nella rappresentazione della superficie terrestre un elemento, il rilievo, che fino allora era trascurato del tutto o accennato solo schematicamente e di maniera.
Lo stesso problema delle proiezioni si presenta, in quello e nel secolo successivo, sotto un aspetto nuovo: determinando le caratteristiche di ognuna di esse, si cerca di applicarle in modo da attenuare più che è possibile, caso per caso, le inevitabili deformazioni apportate al disegno geografico, il quale, nel rapido sviluppo delle scienze della natura, cessa di essere un elemento accessorio di descrizione, e non solo diventa fine a sé stesso, ma porge aiuto alle indagini di carattere geografico. Per questo appunto la somiglianza di figura è spesso subordinata all'opportunità di conservare i valori di superficie; da qui il prevalente sviluppo delle proiezioni equivalenti sulle isogoniche.
La metà del sec. XVIII può essere assunta come inizio del periodo contemporaneo della cartografia, in quanto proprio in quest'epoca viene messa in opera la costruzione della prima carta topografica a grande scala (1: 86.400), basata su triangolazioni e misure geodetiche: quella della Francia, diretta da C. F. Cassini, conchiusa proprio all'aprirsi della grande rivoluzione. Da allora il progresso della scienza cartografica ha seguito un ritmo sempre più celere (tutte le nazioni civili hanno proceduto a un accurato rilevamento topografico del proprio territorio), in armonia col grande sviluppo delle altre scienze e delle discipline ausiliarie (geodesia, astronomia, nautica, fotogrammetria, ecc.). Il problema delle proiezioni, in cui è caratteristica, dal Tissot (1878) in poi, la ricerca dei limiti d'errore di ciascun tipo, non è se non un elemento, e non il più importante, dei compiti del cartografo. Come ormai non sarebbe più possibile, per le forze di un singolo studioso, la preparazione di carte originali secondo le esigenze della tecnica moderna, così una sempre più larga divisione del lavoro si è andata imponendo in questi ultimi tempi, oltre e più che per la preparazione scientifica del disegno, per la sua traduzione pratica e per la riproduzione, data la varietà e la complessità dei sistemi usati. Se anche il contenuto di una carta ha un limite che non è possibile oltrepassare, senza danneggiarne l'espressività e l'evidenza, la maggiore perfezione non sta solo in rapporto con una cernita metodica degli elementi da rappresentare e dei simboli scelti a rappresentarli, ma anche con l'inserzione del massimo numero possibile di elementi diversi. Da questa tendenza, che è anche una necessità per gli studiosi, ha origine un altro carattere per cui la produzione cartografica contemporanea si diversifica dalla precedente: la varietà delle carte speciali che si aggiungono alle geografiche o topografiche propriamente dette: carte itinerarie, ferroviarie, automobilistiche, ciclistiche, aviatorie, marittime, geologiche, fisiche, meteorologiche, antropiche, ecc., ognuna delle quali, rispondendo a scopi determinati, ha assunto o viene assumendo forme e procedimenti tecnici suoi proprî. Infine una vera rivoluzione è stata operata dai primi del sec. XIX con l'introduzione dei sistemi cromoplastici, ignoti ai nostri anche non lontani predecessori. A questi sistemi è dovuta in gran parte, la, per dir così, maggior capacità espressiva che le carte moderne hanno in confronto a quelle del passato, alle quali pure spesso non mancano veramente singolari pregi tecnici e artistici.
Bibl.: H. C. W. Berghaus, Kritischer Wegweiser im Gebiete der Landkartenkunde, Gotha 1829-35; Vicomte de Santarem, Essai sur l'histoire de la cosmographie et de la cartographie pendant le moyen-âge, ecc., Parigi 1849-52 (con atlante 1842-53); J. Lelewel, Géographie du moyen-âge, Bruxelles 1850-57; A. von Humboldt, Cosmos; essai d'une description physique du monde, trad. fr., Parigi 1846-59, II, pp. 121-428; M. d'Avezac, Coup d'oeil historique sur la projection des cartes de géographie, Parigi 1863; N. A. Tissot, Mémoire sur la représentation des surfaces et les projections des cartes géographiques, Parigi 1881; M. Forini, Le projezioni delle carte geografiche, Bologna 1881; A. E. Nordenskjöld, Facsimile Atlas, Stoccolma 1889; L. Gallois, Les géographes allemands de la Renaissance, Parigi 1890; S. Finsterwalder, Die Terrainaufnahme mittelst Photogrammetrie, Monaco 1891; S. Ruge, Die Entwickelung der Kartographie von America bis 1570, Gotha 1892; K. Kretschmer, Die Entdeckung Amerikas in ihrer Bedeutung für die Geschichte des Weltbildes, Berlino 1892; H. E. Wauwermans, Histoire de l'école cartographique belge et anversoise du XVIe siècle, Bruxelles 1895; W. Wolkenauer, Leitfaden zur Geschichte der Kartographie in tabellarischer Darstellung, Breslavia 1895; A. E. Nordenskjöld, Periplus, Stoccolma 1897; K. Peucker, Schattenplstik und Farbenplastik, Vienna 1898; H. Zondervan, Allgemeine Kartenkunde, Lipsia 1901; W. Schmiedeberg, Zur Geschichte der geographischen Flächenmessung bis zur Erfindung des Planimeters, Gottinga 1906; V. Wessely, Lehrbuch der Kartographie, Bremerhaven 1907-09; M. Eckert, Die geographische Brauchbarkeit einiger Projektionen, in Geogr. Zeitschr., XVI (1910), pp. 441-514; L. Bagrov, Storia della carta geografica (in russo), Pietrogrado 1917 (con una copiosa bibliografia); G. Günther, Die indirekten Ortbestimmungsmethoden in der Entwicklung der mathem. Geographie, Monaco 1919 (Sitzungsber. d. Bayer. Akad. Wissensch. Mat.-phys. Klasse, pp. 295-351); H. G. Fordham, Maps, their history, characteristics and use, Cambridge 1921; M. Groll, Kartenkunde, 2ª ed., curata da O. Graf, Berlino-Lipsia 1922; K. Cebrian, Geschichte der Kartographie: ein Beitrag zur Entwicklung des Kartenbildes und Kartenwesens, Gotha 1923; G. A. Weber, The Coast and Geodetic Survey, its history, activities and organisation, Baltimora 1923; F. Gräbner, Das Weltbild der Primitiven: eine Untersuchung der Urformen weltanschaulichen Denkens bei Naturvölkern, Monaco 1924; M. Eckert, Die Kartenwissenschaft, Berlino 1921-25; R. Almagià, L'"Italia" di G. A. Magini, Napoli-Firenze 1922; O. Bustamante-P. C. Sánchez, Apuntes sobre cartog., Messico 1928; E. D. Laborde, Popular Map Read., Cambridge 1928.
La cartografia dei primitivi. - Tutti i popoli naturali hanno mostrato d'aver molto sviluppato il senso dell'orientamento e quindi la capacità di distinguere le principali direzioni dell'orizzonte, in base all'osservazione degli astri, e di saper stimare in modo approssimativo le distanze fra i luoghi frequentemente visitati. Perciò non può far meraviglia che essi, anche per la pratica (assai comune nelle fasi di cultura che ignorano la scrittura) di esprimere fatti e concetti con segni e simboli grafici, si siano mostrati pure capaci di disegnare rozzamente per il viaggiatore europeo la carta della regione da loro conosciuta. Ciò si è verificato anche per popolazioni assai primitive come gli Andamanesi, gli Australiani, i Fuegini.
Il diverso sviluppo di questa capacità cartografica, che è del resto molto di rado messa in pratica dagl'indigeni per uso loro, dipende dall'ampiezza del territorio conosciuto. L'orizzonte geografico ouò essere molto ristretto anche per popoli essenzialmente nomadi come gli Australiani, e può raggiungere invece ampiezza notevole presso le popolazioni che hanno sviluppata la navigazione marittima e fluviale. I popoli artici pescatori, per i quali l'idrografia costiera o fluviale ha una grande importanza, sono apparsi particolarmente dotati di questa sommaria abilità cartografica, che può dare, come nei saggi pubblicati da P. von Stenin per i Jukaghiri (in Globus, LXXVI, 1899, pp. 171-2), rappresentazioni assai complesse ed esatte, anche se mancanti di una scala costante per le distanze, e aventi valore approssimativo per le direzioni. Questi disegni, eseguiti su fogli di corteccia d'albero, servono ai Jukaghiri anche per messaggi nell'interno della tribù e si può parlare perciò, in questo caso, non solo di capacità ma anche di produzione cartografica. Questa si è rinvenuta in misura notevole fra gli Eschimesi, dei quali sono state pure raccolte e riprodotte carte, scolpite in tavolette di legno, di gruppi di isole e di certi tratti di costa. L'esattezza della figurazione (vedi Deniker, Races et peuples de la Terre, Parigi 1926, p. 285), vi lascia molto a desiderare, specialmente per quel che riguarda la scala, e manca del tutto l'orientamento generale: si rilevano invece l'intenzione di rendere con fedeltà la successione delle accidentalità costiere, e il tentativo d'indicare i più evidenti contrasti altimetrici. Ma ai navigatori inglesi del secolo XIX gli Eschimesi diedero più volte prova, con grande utilità per lo sviluppo delle scoperte, di conoscere e di saper ritrarre con semplici schizzi cartografici estensioni notevolissime di coste: come la carta pubblicata da Hall, indicante le coste artiche dal Forte Churchill nella baia di Hudson al Lancaster Sound, su circa 15 gradi di latitudine.
La stessa abilità cartografica congiunta a un vasto orizzonte geografico è stata trovata dai navigatori europei presso i popoli più civili dell'Oceania. E questi ci offrono anzi il solo esempio di una abilità cartografica regolare e continua con le carte marine degli abitanti delle isole Marshall, nella Micronesia. Si tratta d'un intreccio di bastoncini (costole di foglie di palma) fissati con fibre di palma nei punti d'incrocio ai quali sono attaccati in alcuni punti delle conchiglie. Queste rappresentano le isole: le canne indicano la direzione delle correnti e soprattutto quella del moto ondoso secondo i venti predominanti. D'interpretazione assai difficile per noi, pare che tali carte fossero molto apprezzate dagl'isolani, presso i quali costituivano la proprietà e il segreto di alcune famiglie privilegiate. È notevole il fatto che esistevano anche carte più semplici e schematiche a scopo d'istruzione. La produzione e l'uso di tali carte è ora del tutto cessata. Per la cartografia araba v. islamismo; per quella cinese v. cina.
Bibl.: R. Andree, Ethnographische Parallelen und Vergleiche, Stoccarda 1878, p. 197; W. Drober, Die Kartographie bei den Naturvölkern, Erlangen 1903; A. Schück, Die Stabkarten der Marshallinsulaner, Amburgo 1902; H. Lyons, The Sailing Charts of the Marshall Islanders, in Geographical Journal, LXXII (ottobre 1928).
Cenni sulla teoria della costruzione delle carte.
1. Preliminari. - In geodesia la superficie terrestre viene considerata, in prima approssimazione, identica a quella di un ellissoide di rotazione avente come asse quello del moto diurno; ma per gli scopi cartografici basta, in generale, sostituire allo ellissoide una sfera di raggio uguale al raggio medio del geoide, o, se si tratta di rappresentare soltanto una parte della superficie terrestre, una sfera, il cui raggio sia la media dei due raggi di curvatura del meridiano e del parallelo del geoide in un punto centrale rispetto alla regione da rappresentare (e in tal caso codesta sfera si dice osculatrice all'ellissoide nel punto considerato). Nell'una e nell'altra ipotesi, i singoli punti della superficie terrestre s'immaginano proiettati sulla sfera dal rispettivo centro; ed è questa sfera terrestre ideale S, che la cartografia si propone di rappresentare.
È manifesto che per avere di S un'immagine esatta basta rappresentarla per similitudine su di una sfera G di raggio convenientemente piccolo, come si avrebbe, se, pensando questa sfera G concentrica ad S, s'immagmasse di proiettare ogni punto della superficie di S su quella di G dal loro centro comune. Questa sfera G, su cui siano tracciate le immagini dei contorni dei continenti, dei corsi dei fiumi, dei crinali delle catene montuose, ecc., è ciò che si dice un globo. Come già si è accennato, fra le figure tracciate su S e le loro immagini su G intercede una similitudine. Così le immagini su G di due linee qualunque di S, passanti per uno stesso suo punto, formano sempre un angolo uguale a quello obbiettivo, cioè la corrispondenza fra S e G è conforme o isogonica. Se il raggio di G sta a quello di S nel rapporto 1:n (scala della rappresentazione), è pur questo il rapporto fra una qualsiasi lunghezza misurata su G e quella obbiettiva su S, mentre è 1:n2 il rapporto fra due aree corrispondenti.
Ma lo scopo precipuo della cartografia è di rappresentare la superficie terrestre su di un foglio (carta geografica), cioè, astrattamente, su di un piano. È manifesto che questa rappresentazione va in ogni caso eseguita in piccolo, cioè con una conveniente riduzione di scala; e qui, per semplificare le considerazioni teoriche seguenti, supporremo che una tale riduzione sia stata eseguita preventivamente sulla superficie terrestre: in altre parole immagineremo sostituita alla superficie terrestre S la sua immagine su di un conveniente globo e ci proporremo di rappresentare questo globo, o una sua parte, su un foglio piano con la migliore approssimazione.
Se la regione che si vuol rappresentare è così piccola (rispetto al raggio del globo) da potersi sensibilmente confondere con una regione di piano (tangente a G in un punto centrale rispetto alla regione da rappresentare), ogni punto di codesta regione coincide praticamente con un punto del piano tangente considerato, onde le figure di G si trasportano tali e quali sulla carta, come accade nelle cosiddette piante o mappe (v. topografiche, carte). Ma se l'estensione della regione da rappresentare è tale che non sia lecito prescindere dalla sfericità, sorge la difficoltà che la sfera non è una superficie sviluppabile, cioè tale che, realizzata con un tessuto flessibile e inestendibile, si possa svolgere su di un piano senza strappi e senza duplicature; onde consegue che, in ogni possibile rappresentazione del globo su di un piano, le immagini delle figure tracciate su G si presentano necessariamente deformate. Tuttavia, come ognuno sa per pratica e qui sarà chiarito sistematicamente, si possono escogitare metodi di rappresentazione, in cui non solo le accennate deformazioni riescono lievi (e talvolta addirittura trascurabili di fronte alle inevitabili inesattezze, da cui, per molte e ovvie ragioni, risulta affetta ogni rappresentazione grafica, anche accuratissima), ma si conservano esattamente inalterati taluni caratteri essenziali delle figure obbiettive. Questi caratteri possono essere di natura diversa. Quanto alle distanze, non è possibile conservarne inalterati i rapporti in tutte le direzioni, giacché se così accadesse, si conserverebbero di conseguenza anche gli angoli e i rapporti fra le aree, e si avrebbe una rappresentazione per similitudine, che non è possibile in quanto la sfera non è sviluppabile sul piano. Ma si possono conservare i rapporti delle distanze misurate lungo linee speciali, oppure si può fare in modo che si conservino tutti gli angoli (rappresentazione conforme o isogonica), o infine si può ottenere che restino conservati i rapporti fra le aree (rappresentazione proporzionale o anche equivalente), ecc. Giova sin d'ora notare incidentalmente che non si può avere una rappresentazione, che sia insieme conforme e proporzionale, perché (come è intuitivo e si dimostrerà al n. 6) la coesistenza di queste due condizioni implicherebbe la similitudine fra globo e carta geografica.
2. Problema generale della rappresentazione. - Il problema della rappresentazione del globo su di un piano rientra come caso particolare nel problema generale della rappresentazione di una qualsiasi superficie (o regione di superficie) S su di un'altra superficie (o regione di superficie) S′. Si dice rappresentazione di S su S′ ogni corrispondenza fra i punti dell'una e quelli dell'altra, la quale sia biunivoca e continua, cioè tale che a ogni punto di ciascuna delle due superficie corrisponda sull'altra un punto e uno solo, e, di più, a un punto mobile sull'una, che si avvicini indefinitamente o tenda a un punto P, corrisponda sull'altra un punto, che tenda al punto P′, corrispondente a P. Qui, come premessa all'enumerazione dei più comuni metodi di rappresentazione cartografica, svolgeremo qualche considerazione sulle proprietà generali delle rappresentazioni, riferendoci, per semplicità, al caso in cui s'intenda rappresentare una generica superficie S su di un piano π; e, al fine di usare mezzi, per quanto è possibile, elementari, ci varremo dapprima di osservazioni intuitive e piuttosto euristiche, che rigorosamente probative. Daremo poi un cenno della impostazione matematica del problema generale della rappresentazione di due superficie, l'una sull'altra.
3. Linee principali di una rappresentazione. - Supposta stabilita una rappresentazione di una superficie S su un piano π, fissiamo P′ di π. Se per P conduciamo una qualsiasi tangente PA alla S, alle infinite curve che si possono tracciare su S per P, in modo che ivi tocchino la PA, corrispondono su π altrettante curve per P′, le quali hanno tutte in P′ una medesima tangente P′A′. Si ha così una corrispondenza (pur essa biunivoca e continua) fra le tangenti a S per P e le rette di π per P. Considerata, accanto alla PA la tangente PB, ad essa ortogonale, e indicata con P′B′ la retta corrispondente per P′, può darsi che anche l'angolo A′P′B′ sia retto; escluso questo caso, esso sarà acuto o ottuso. Riferendoci per fissare le idee alla prima ipotesi, avremo che l'angolo adiacente B′P′C′, corrispondente all'angolo BPC, adiacente a APB, sarà ottuso (fig. 1). Se allora immaginiamo, nel piano tangente a S in P, un angolo retto col vertice in P, il quale parta dalla posizione APB e, mantenendosi rigido, ruoti sempre in uno stesso verso intorno a P, fino a sovrapporsi a BPC, l'angolo corrispondente su π, il quale inizialmente è sovrapposto all'angolo acuto A′P′B′ e finisce col sovrapporsi all'angolo ottuso B′P′C′, dovrà necessariamente, a un certo momento, diventare anch'esso retto; e anzi si dimostra (v. sotto) che questa circostanza si verifica una volta sola, a meno che ad ogni coppia di tangenti ortogonali per P alla S corrisponda su π una coppia di rette ortogonali, nel qual caso la rappresentazione risulta fra i punti P e P′ senz'altro conforme. Così, escluse le rappresentazioni conformi (su tutta la superficie considerata), abbiamo che a ogni punto P di S vengono associate due direzioni tangenti, fra loro ortogonali, caratterizzate dalla proprietà che anche le corrispondenti direzioni su π sono ortogonali. Queste due coppie di direzioni si dicono, tanto su S quanto su π, principali (rispetto ai corrispondenti punti P e P′). Manifestamente al variare di P e P′ variano in generale, tanto su S quanto su π, le rispettive direzioni principali. Se allora s'immagina su S un punto mobile, che partendo da una qualsiasi posizione iniziale P0, si avvii in una delle corrispondenti direzioni principali, e poi, posizione per posizione, vada sempre in quella delle due direzioni principali locali che si riattacca per continuità a quella iniziale, si ottiene su S una curva, che si dice principale, in quanto in ogni suo punto è tangente a una delle due direzioni principali corrispondenti. A partire dalla stessa posizione iniziale P0 si ha un'altra curva principale, se il punto mobile si avvia nell'altra direzione principale relativa a P: e poiché tutto ciò si può ripetere a partire da qualsiasi punto di S, si conclude che questa superficie risulta ricoperta da un reticolo di linee principali o sistema doppio ortogonale principale. Anche le corrispondenti linee principali di π costituiscono un sistema doppio ortogonale.
4. Deformazioni lineari, areali, angolari. - Presi su S due punti P, Q, consideriamo il quadrangolo PHQK, formato dalle due linee principali passanti per P e dalle altre due passanti per Q. Se Q è abbastanza vicino a P perché gli archetti PH, PK (e quindi anche HQ, KQ) si possano sensibilmente confondere con le rispettive corde, otteniamo un rettangolo PHQK, che possiamo addirittura considerare giacente nel piano tangente a S in P. Sul piano π a questo rettangolo corrisponde un analogo rettangolo P′H′Q′K′, che per comodità di ragionamento, immaginiamo portato ad avere il vertice P′ in P e i lati P′H′, P′K′ lungo le corrispondenti semirette PH, PK (fig. 2). Posto PH′/PH = n1, PK′/PK = n2, i due numeri n1, n2 restano sensibilmente costanti, quando i punti H, K variano nell'immediata prossimità di P, lungo le rispettive linee principali. Poiché forniscono i rapporti in cui si alterano, nella rappresentazione, le distanze da P in prossimità di questo punto, secondo le corrispondenti direzioni principali, questi due numeri si dicono moduli lineari principali, relativi a P. Ciascuno di questi moduli caratterizza una dilatazione se (come in fig. n1) è maggiore di 1, una contrazione se (come in fig. n2) è minore di 1.
Possiamo riferirci al caso n1 ≷ n2, giacché, se fosse n1 = n2, il punto Q′ risulterebbe allineato con P e Q e ricadremmo sul caso escluso di una rappresentazione conforme intorno a P e P′. Supposto, per fissare le idee, che, come in fig., sia n1 > n2, completiamo il rettangolo PH′Q1K1, simile (e anzi omotetico, rispetto al centro P) al rettangolo PHQK. Abbiamo manifestamente
e quindi
Poiché n2/n1 〈 1, esiste un angolo acuto ψ tale che sia cos ψ = n2/n1 e quindi, per la seconda delle (1), H′Q′ = H′Q1 cos ψ; onde si riconosce che si può passare dal punto Q al corrispondente Q′, eseguendo successivamente le seguenti tre costruzioni: 1. omotetia (o dilatazione isotropa) di centro P e modulo lineare n1, con che si passa da Q a Q1; 2. rotazione rigida del rettangolo PH′Q1K1, intorno all'asse P H′, di ampiezza ψ, con che il punto Q1, restando a distanza costante da H′ va a collocarsi sulla perpendicolare in Q′ al piano della figura; 3. proiezione ortogonale di Q1, dalla posizione dianzi indicata, sul piano di figura.
Ciò che si è detto di Q si può ripetere di ogni altro punto di S prossimo a P, cosicché si conclude che qualsiasi rappresentazione di una superficie S su un piano, considerata nella prossimità di due punti corrispondenti (o, come si dice in matematica, negli intorni di codesti punti) è realizzabile, per approssimazione, combinando (oltre un moto rigido), un'omotetia con una proiezione ortogonale sul piano.
Tornando alla fig. 2, immaginiamo descritto, con centro in P, su S o, meglio, sul suo piano tangente un circolo γ di raggio estremamente piccolo. La curva corrispondente su π, quale si ottiene eseguendo le tre costruzioni dianzi indicate, è un'ellisse (v. coniche) pur essa piccolissima, γ′, di centro P′, i cui assi, diretti secondo le corrispondenti direzioni principali, sono proporzionali a n1, n2. Per chiarezza conviene pensare tanto il cerchio quanto l'ellisse ingranditi in una scala opportuna e precisamente sottoposti entrambi a un'omotetia di centro P e di modulo tale che il raggio del cerchio diventi uguale a 1. Con ciò i semiassi dell'ellisse diventano n1, n2, e, se si denotano ancora con Q, Q′ i punti che così si ottengono sul nuovo circolo Γ e sulla nuova ellisse Γ′ da due punti di γ, γ′ corrispondentisi nella rappresentazione, il rapporto P Q′/P Q, che, in quanto è P Q = 1, si riduce alla lunghezza di P Q′, fornisce il modulo lineare, a partire da P, nella direzione PQ′, corrispondente alla P Q. Insomma l'ellisse Γ′ dà, con i suoi semidiametri, i moduli lineari della rappresentazione, a partire da P, nelle varie direzioni, e perciò si chiama l'ellisse indicatrice dei moduli lineari. Fra questi infiniti moduli i due principali costituiscono il massimo e il minimo.
Osserviamo poi che il rapporto delle aree dell'ellisse γ e del cerchio γ′, corrispondentisi nella rappresentazione, dà il cosiddetto modulo areale nel punto P, cioè il rapporto che intercede fra un'areola di π intorno a P′ e l'areola di S intorno a P, cui essa corrisponde. Poiché il rapporto delle aree di γ′, γ è uguale a quello delle aree di Γ′, Γ e l'area di Γ′ è πn1n2, mentre quella di Γ (che ha il raggio 1) è π, il modulo areale m è dato da
Vediamo così, in particolare, che affinché la rappresentazione sia equivalente in P, cioè vi conservi le aree, occorre e basta che sia n1n2 = 1; e, se si vuole che la rappresentazione sia equivalente su tutta la superficie, è necessario e sufficiente che questa condizione sia soddisfatta in tutti i suoi punti.
Restano da esaminare le deformazioni angolari. Se, riprendendo la fig. 2, denotiamo con ω, ω′ gli angoli QPH, Q′PH, che due generiche direzioni corrispondentisi formano con una medesima direzione principale (in questo caso con quella di modulo lineare n1) si ha
e quindi, dividendo membro a membro,
Di qui risulta intanto che affinché la rappresentazione sia in P conforme (cioè l'altera2ione angolare sia nulla in ogni direzione uscente da P), occorre e basta che sia n2/n1 = 1, vale a dire che l'ellisse indicatrice dei moduli si riduca a un cerchio, o, in altre parole, che il modulo lineare sia lo stesso in tutte le direzioni. Notiamo che in questo caso l'angolo ψ della proiezione ortogonale, che, come poc'anzi vedemmo, s'incontra in generale nella costruzione della rappresentazione in prossimità del punto considerato, risulta nullo, cosicché una rappresentazione che in un punto sia conforme è costruibile, per approssimazione, nell'intorno di esso (a meno di un moto rigido) per mezzo di una semplice omotetia.
Tornando al caso generale, riprendiamo per un momento l'ellisse Γ′ indicatrice dei moduli lineari, di cui, essendo n1, n2 i semiassi, l'equazione, riferita alle tangenti principali relative a P, è data (v. coniche) da
Se, considerato il cerchio di centro P e raggio n1 (bitangente all'ellisse negli estremi dell'asse maggiore), s'introduce l'anomalia eccentrica HPQ del generico punto Q′ dell'ellisse, di coordinate x, y (fig. 3), si ha
e di qui, in base alle
si deduce l'equazione
la quale s'identifica con la (3), quando si ponga HPQ = ω, HPQ′ = ω′. Si ha così un modo di determinare graficamente in un punto P l'angolo ω′ corrispondente a un angolo ω qualsiasi, quando si sia tracciata l'ellisse indicatrice dei moduli: ω′ non è altro che l'anomalia ordinaria di quel punto dell'ellisse, che ha ω come anomalia eccentrica.
Notiamo che, quadrando e sommando membro a membro le (4) e tenendo conto che x2 + y2 = PQ′2 dà il quadrato del modulo lineare n relativo alla direzione di anomalia ω, si ottiene la formula notevole
che, ove si tenga conto della (3) e delle note identità cos2 ω = 1/(1 + tang2 ω), sen2 ω = tang2 ω/(1 + tang2 ω) assume l'aspetto
Dal fatto che il valore di n2 fornito dalla (5) non dipende dal segno di ω, risulta che a due direzioni ugualmente inclinate, da una parte e dall'altra, rispetto a una direzione principale, corrisponde lo stesso modulo lineare. Inoltre, se s'indica con N il modulo lineare relativo alla direzione inclinata di ω + 90° sulla direzione principale di modulo n1, si ha dalla (5)
e quindi, sommando membro a membro con la (5),
È dunque costante, nel generico punto P, la somma dei quadrati dei moduli lineari relativi a due direzioni fra loro ortogonali.
Dalla (3) si deducono altre importanti conseguenze. Introdotta la cosiddetta deformazione angolare, relativa alla direzione ω, cioè la differenza δ = ω′ − ω, si trova, in base all'identità
e alla (3), la relazione
la quale permette di determinare le direzioni, in cui la deformazione risulta massima, in valore assoluto. Con un calcolo del tutto elementare (cioè uguagliando a zero la derivata di tang δ rispetto a tang ω) si trova che esistono due direzioni, ugualmente inclinate sulle linee principali, per cui si verifica codesta proprietà di massimo; esse corrispondono ai valori di ω dati da
e le rispettive deformazioni angolari hanno entrambe, come risulta dalla (7), il valore assoluto Δ definito da
In modo analogo si può riconoscere in quale posizione un angolo di vertice P e di data ampiezza α subisca una deformazione angolare massima o minima. Designati con w1, ω2 gli angoli che i lati di α formano con la linea principale di modulo lineare n1, talché sia α = ω2 − ω1, avremo che l'ampiezza α′ dell'angolo corrispondente sarà data, ove ω1′, ω′2 siano gli angoli corrispondenti di ω1, ω2, da
ossia, in virtù della (3),
Se di qui, per mezzo della α = ω2 − ω1, si elimina ω2, si ottiene
e basta introdurre l'angolo β = ω1 + α/2, che la bisettrice di α forma con la solita linea principale di modulo n1, per giungere, con qualche trasformazione, alla formula finale
Da essa risulta che l'angolo obbiettivo di ampiezza α, quando si fa rotare intorno al suo vertice P, subisce, nella rappresentazione, la massima o minima deformazione quando risulta 2β = 0 o 2β = π, cioè quando la bisettrice si dispone nell'una o nell'altra direzione principale; e i corrispondenti valori estremi di tang α′ sono dati da
In ogni caso, assumendo come modulo di deformazione dell'angolo α il rapporto ν = tang α′/tang α, si ha per la (8)
Denotati con ν1, ν2 i moduli principali, cioè quelli relativi agli estremi or ora considerati, si ha
e quindi
cioè la somma delle inverse dei moduli angolari principali in un dato punto P non dipende dall'ampiezza dell'angolo considerato.
Inoltre dalla (9), tenendo conto delle (10), si deduce l'equazione
la quale, come la (5) o (6) pei moduli lineari, dà il modulo angolare generico, espresso per mezzo dei moduli angolari principali.
Un'ultima questione: si può chiedere se per la bisettrice d'un angolo di vertice P e di data ampiezza α esista qualche direzione, tale che, nella rappresentazione, l'angolo risulti non deformato. Perché ciò accada, occorre e basta che, per quel dato α, l'angolo β renda ν = 1, cioè, in virtù della (9), si abbia
ossia
Poiché a secondo membro si ha un numero, che è sempre, in valore assoluto, minore di 1, si hanno, per ogni α, due valori di 2β, fra loro opposti (e naturalmente, determinati ciascuno a meno di un multiplo di 360°), soddisfacenti alla (13). Ciò vuol dire che per il dato angolo α esistono, intorno a P, quattro posizioni, a due a due opposte al vertice, e a due a due simmetriche rispetto a una direzione principale, in cui esso, nella rappresentazione, si conserva inalterato.
5. Impostazione matematica del problema della rappresentazione. - Per giustificare rigorosamente le considerazioni intuitive, su cui abbiamo fondato le precedenti deduzioni, possiamo, senza danno di maggiore difficoltà concettuale, riferirci al caso generale, in cui si tratti di rappresentare l'una sull'altra due superficie S ed S′ quali si vogliano. Si adottino su S ed S′ due sistemi generici di coordinate curvilinee u, v e rispettivamente, u′, v′ (v. coordinate), talché siano
le corrispondenti equazioni parametriche nello spazio riferito a coordinate cartesiane ortogonali x, y, z. Per definire una rappresentazione della S sulla S′ bisogna assegnare fra le u, v da una parte e le u′, v′ dall'altra un sistema di equazioni
dove le funzioni a secondo membro si supporranno, in tutto il campo in cui verranno considerate, continue insieme con le loro derivate parziali (fino al 2° ordine almeno); e ad assicurare la biunivocità della rappresentazione basterà che, nel campo considerato, il determinante funzionale o Jacobiano
si mantenga diverso da zero. Il significato di questa condizione appare manifesto se si considerano le equazioni, che dalle (16) si deducono per differenziazione:
Queste equazioni, sotto la condizione indicata (v. determinanti), sono univocamente risolubili rispetto a d u, d v, e, poiché le coppie di differenziali d u, d v e d u′, d v′ definiscono i generici spostamenti infinitesimi simultanei, che su S e S′ subiscono due punti corrispondentisi, la suindicata condizione assicura la biunivocità della corrispondenza fra gli spostamenti infinitesimi sulle due superficie.
Per lo studio delle deformazioni che le figure tracciate su S subiscono nella loro rappresentazione su S′, conviene adottare anche sulla S′, come coordinate curvilinee, le stesse u, v scelte sulla S, al che si perviene, sostituendo nelle equazioni parametriche (15) della S′, al posto delle u′, v′ le loro espressioni (16) in termini delle u, v. Si ottengono così per la S′ certe nuove equazioni parametriche.
In tal modo ogni coppia di valori di u, v determina un punto P di S - di coordinate cartesiane x (u, v), y (u, v), z (u, v) - e il corrispondente punto P′ di S′ - di coordinate cartesiane x′ (u, v), y′ (u, v), z′ (u, v) -. Se a partire dalla prefissata coppia di valori di u, v, si dànno a u e v due incrementi infinitesimi arbitrarî (dello stesso ordine) du, dv, i due punti P, P′ subiscono, ciascuno sulla sua superficie, uno spostamento infinitesimo, le cui componenti secondo gli assi cartesiani sono date rispettivamente da
dove con xu, xv, ..., xu′, xv′, ... si sono denotate le derivate parziali delle x, y, z e delle x′, y′, z′ rispetto alle u, v. Così, per ogni scelta del rapporto d v/d u restano individuate, sulle due superficie, a partire da P e P′ rispettivamente, due direzioni tangenziali, corrispondentisi nella rappresentazione considerata, onde codesto rapporto si può chiamare il parametro delle direzioni tangenziali omologhe su S e S′.
I quadrati delle lunghezze ds, ds′ dei due spostamenti infinitesimi dianzi considerati (elementi lineari corrispondentisi sulle due superficie) risultano definiti a meno di infinitesimi di ordine superiore al 1° rispetto a du, dv, dalle
dove, secondo l'uso, si è posto
e giova ricordare che, trattandosi di superficie reali, E, G, E′, G′ sono, per la loro stessa definizione, essenzialmente positivi. Se si considerano su S, a partire da un generico punto u, v, le due direzioni tangenziali di parametri dv : du e δv : δu, il loro angolo α è dato da
onde l'angolo α′ delle direzioni corrispondenti su S′ è analogamente dato da
Infine va ricordato che il quadrato dell'elemento superficiale dS o dS′ della S o S′ (cioè l'area del quadrangolo limitato su S o S′ dalle due coppie di linee coordinate passanti per i due punti u, v e u + du, v + dv) è dato, a meno di infinitesimi di ordine superiore al secondo rispetto a du e dv, da
e va tenuto presente che, in quanto entrambe le superficie sono reali i binomî E G − F2, E′ G′ − F′2 sono essenzialmente positivi.
Ciò premesso, cominciamo col riprendere le (18). Quando si prestabiliscono i valori di u, v, cioè si fissa l'attenzione su di una ben determinata coppia di punti P, P′, corrispondentisi su S, S′ le (18) definiscono le due terne di infinitesimi dx, dy, dz e dx′, dy′, dz′, come funzioni lineari omogenee, a coefficienti costanti, dei due parametri omogenei du, dv. Ora le dx, dy, dz e dx′, dy, dz′ si possono interpretare come coordinate omogenee di due direzioni tangenziali ad S ed S′, fra loro corrispondenti, e il fatto che esse siano esprimibili come funzioni lineari omogenee di due parametri d u, d v basta perché si possa concludere che la corrispondenza, che così risulta definita fra i due fasci di direzioni di centri P, P′, nei rispettivi piani tangenti ad S ed S′, è proiettiva. Ora un noto teorema di geometria proiettiva assicura che, quando fra due fasci di rette è data una proiettività, la quale non sia una congruenza o uguaglianza (cioè non faccia corrispondere a ogni angolo dell'un fasc o un angolo uguale dell'altro e quindi a ogni angolo retto un angolo retto), esiste in ciascun fascio una coppia di rette ortogonali ed una sola, cui corrisponde nell'altro una coppia di rette pur essa ortogonale. Sono queste, nel nostro caso, le direzioni principali (relative ai punti P e P′) della rappresentazione considerata (n. 4).
È facile caratterizzarle analiticamente. A due direzioni di parametri dv/du e δv/δu su S, le quali siano ortogonali, corrispondono su S′ due direzioni pur esse ortogonali, sempre e solo quando codesti due parametri rendano simultaneamente nulle le espressioni (20), (21) di cos α e cos α′, cioè quando si abbia, ponendo dv/du = k, δv/δu = κ,
Può darsi che queste due equazioni siano equivalenti, cioè sussista la proporzionalità
In tal caso dalla omogeneità delle espressioni (20), (21) di cos α, cos α rispetto alle due terne E, F, G ed E′, F′, G′ discende senz'altro che a ogni angolo α. di vertice P, su S corrisponde su S′ un angolo uguale, talché la rappresentazione è isogonica (tra P e P′, se la proporzionalità (24) sussiste solo per i rispettivi valori di u, v, sulle intere superficie, se essa vale per ogni scelta di u, v). Escluso questo caso, dalle (23) si trae
cosicché k e κ sono radici di una stessa equazione di 2° grado in un'incognita K
la quale, ove si rimetta K = dv/du, si può scrivere
o anche
Il fatto già certo a priori, che le due radici della (25) o (26) sono reali e distinte, risulta confermato dalla circostanza che il relativo discriminante (G E′ − E G′)2 − 4 (E F′ − F E′) (F G′ − G F′) si può scrivere
ed è quindi essenzialmente positivo
Se le u, v si lasciano variare liberamente, la (25) o (26) costituisce un'equazione del 1° ordine (e di 2° grado in dv/du), la quale definisce, tanto su S quanto su S′, il sistema doppio ortogonale delle linee principali.
Possiamo ormai immaginare assunte su entrambe le superficie, come linee coordinate, le linee principali (o due sistemi doppî ortogonali corrispondentisi quali si vogliono, se la rappresentazione è isogonica). Con ciò gli elementi lineari delle due superficie assumono entrambi la forma ortogonale (v. superficie)
dove, per non moltiplicare le notazioni, si sono designati con E, G ed E′, G′ i nuovi coefficienti (sempre positivi) di du2, dv2. Il modulo lineare n, a partire da un generico punto u, v′e in una generica direzione dv/du, è dato dal rapporto dei corrispondenti elementi lineari onde si ha
e, in particolare, i moduli lineari principali n1, n2 (cioè quelli relativi alle linee principali u, vale a dire v = cost., e v, vale a dire u = cost.) sono dati da
Per il coseno dell'angolo ω, che una generica direzione dv/du su S forma con la linea principale u (δ v = 0), la (20), in quanto è ora F = 0, dà
onde risulta
e per l'angolo ω′, corrispondente su S′, si ha analogamente
cosicché, eliminando fra le due ultime equazioni dv/du, si ottiene
cioè, in base alle (29), la
ed è questa appunto la (3) del n. 4, che risulta così stabilita in modo generale e rigoroso.
Similmente, eliminando dv/du dalla (28) per mezzo della (30) e tenendo conto delle (29), si ritrova la
cioè la (5) del n. 4; e si è condotti al concetto di ellisse indicatrice dei moduli lineari, indipendentemente dalle considerazioni intuitive, usate al n. 4 nel caso di una rappresentazione di una superficie sul piano. Invero, se per mezzo della (31), oramai stabilita rigorosamente, si introduce in luogo dell'angolo ω il corrispondente ω′, la (32) si può scrivere
e basta interpretare n ed ω′ come coordinate polari (sul piano tangente alla S′ nel generico punto P′ che si considera) per riconoscere nella (33) l'equazione di un'ellisse, che con i suoi semidiametri fornisce, nelle singole direzioni tangenziali uscenti da P′, i corrispondenti moduli lineari.
Infine si osservi che qui gli elementi superficiali corrispondenti di S ed S′ sono dati, in virtù delle (22) ed in quanto è ora F = F′ = 0 da
cosicchè il modulo areale m vale
e, tenendo conto delle (29), si trova, come al n. 4,
Stabilite così in modo rigoroso e generale tutte le formule giustificate al n. 4 in via intuitiva, possiamo senz'altro concludere che tutte le conseguenze, che là ne furono tratte, valgono non soltanto nel caso di una rappresentazione di una superficie sul piano, bensì anche quando si rappresentino l'una sull'altra due superficie quali si vogliano.
6. Rappresentazioni isometriche, equivalenti, e conformi. - Sinora la rappresentazione di due superficie S, S′ l'una sull'altra si è studiata solo nella prossimità di due punti corrispondentisi. Importa considerarla sulle intere superficie, e qui si presenta spontanea una domanda: si può rappresentare la S sulla S′ in modo che si conservi inalterata la lunghezza di ogni linea tracciata su S? Perché ciò accada occorre e basta che sia possibile scegliere sulle due superficie le coordinate curvilinee u, v in modo che, a partire da ogni punto u, v e in ogni direzione dv/du, risultino uguali i rispettivi elementi lineari ds, ds′, cioè si abbia identicamente
Quest'equazione, in quanto deve sussistere per qualsiasi scelta di du e dv, equivale alle
e, quando queste tre condizioni sono soddisfatte, risultano uguali, in virtù delle (20), (21), (22), anche gli angoli e le aree corrispondenti; cioè la rappresentazione di S su S′ è anche conforme ed equivalente.
Due superficie, su cui sia possibile scegliere le coordinate curvilinee in modo che risultino soddisfatte le (34), si dicono isometriche. È manifesto che sono isometriche due superficie applicabili, cioè tali che, quando una di esse sia realizzata per mezzo di un tessuto flessibile e inestendibile, si possa, con una deformazione continua, adagiare, senza strappi e senza duplicature, sull'altra. Ma non sempre, date due superficie isometriche, è possibile ridurle l'una all'altra con una siffatta deformazione continua; ma, in ogni caso, le superficie isometriche a una data costituiscono, nell'insieme di tutte le superficie, una classe particolare ben definita. Lo studio di queste superficie isometriche a una data costituisce uno dei problemi fondamentali della geometria differenziale (v. superficie). Per quello che interessa la cartografia, giova notare che le sole superficie isometriche al piano sono le sviluppabili: tali non sono né la sfera, né, tanto meno, l'ellissoide rotondo.
Data l'impossibilità di rappresentare isometricamente, l'una sull'altra, due generiche superficie, si può porre quest'altro problema: è possibile rappresentarle l'una sull'altra, in modo che si conservino le aree, cioè la rappresentazione sia equivalente? A tal fine occorre e basta che sia possibile scegliere su S, S′ le coordinate curvilinee in modo che in ogni punto u, v risultino uguali gli elementi superficiali dS, dS′, cioè si abbia, in base alle (22),
Un tale problema è sempre risolubile comunque siano state scelte, l'una indipendentemente dall'altra, le due superficie; e anzi ammette infinite soluzioni (dipendenti da funzioni arbitrarie), in quanto si traduce in una sola equazione a derivate parziali del 1° ordine fra due funzioni incognite di due variabili indipendenti. In particolare, tutte le possibili rappresentazioni equivalenti di una data superficie di rotazione, quali sono la sfera e l'ellissoide di rotazione, sul piano si possono determinare con sole quadrature (v., ad es., G. Scheffers, Einführung in die Theorie der Flächen, 2ª ediz., Lipsia 1913, pp. 52-67).
Al problema delle rappresentazioni equivalenti è riducibile quello delle rappresentazioni proporzionali (o, come dice il Fiorini, quantitative), cioè delle rappresentazioni che alterano le aree in un rapporto costante. Basta evidentemente sostituire a una delle due superficie una superficie simile. In cartografia ogni rappresentazione implica di necessità una tale riduzione di scala, onde l'uso corrente di chiamare equivalenti anche quelle rappresentazioni che in realtà sono proporzionali.
Si può infine chiedere se, date due superficie quali si vogliono S, S′ sia possibile rappresentarle l'una sull'altra in modo conforme, cioè in modo che si conservino in ogni punto gli angoli. A tal fine occorre e basta che sia possibile riferire entrambe le superficie a coordinate curvilinee u, v, tali che, comunque si scelgano i parametri dv/du, δv/δu, risultino uguali gli angoli α, α′, formati dalle corrispondenti direzioni tangenziali a S e S′, a partire da una qualsiasi coppia di punti omologhi, cioè risultino uguali le espressioni (20), (21) di cos α, cos α′. Ora si dimostra che affinché ciò accada è necessario e sufficiente che si abbia identicamente
cioè
dove ρ denota una funzione di u, v; e, comunque siano state scelte le due superficie, è sempre possibile riferirle a coordinate curvilinee, per le quali codeste condizioni (36) siano soddisfatte.
Anche queste rappresentazioni conformi di due date superficie, l'una sull'altra, dipendono da funzioni arbitrarie. Precisamente, per determinarle basta riferire ciascuna superficie a un sistema di coordinate isoterme isometriche, o, come taluno dice più semplicemente, termiche (cioè tali che le corrispondenti linee coordinate dividano la superficie in quadrati infinitesimi), con che i due elementi lineari assumono la forma
dove λ, λ′ sono due determinate funzioni dei rispettivi argomenti. Dopo di ciò, la più generale rappresentazione conforme di S su S′ è definita dalle due equazioni reali, in cui si spezza l'equazione fra variabili complesse
in cui i denota al solito l'unità immaginaria √−1 e ϕ una qualsiasi funzione monogena di u + i v (v. funzione). In particolare, su di una qualsiasi superficie di rotazione un sistema doppio isotermo è costituito dai paralleli e dai meridiani, cosicché con una sola quadratura (quella che occorre per rendere isometriche le coordinate distese lungo i paralleli e i meridiani) si determina la più generale rappresentazione conforme di una superficie di rotazione sul piano (v., ad es., L. Bianchi, Lezioni di geometria differenziale, 3ª ed., Pisa-Bologna 1922, p. 141).
Tornando al caso generale, si osservi che se si cercano tra due date superficie le eventuali rappresentazioni, che siano al tempo stesso equivalenti e conformi, bisogna far coesistere le condizioni (35) e (36), onde risultano senz'altro le (34): ciò vuol dire che non è possibile rappresentare due superficie, l'una sull'altra, in modo che si conservino le aree e gli angoli, se non quando si tratta di due superficie isometriche.
7. Rappresentazioni geodetiche. - Come connesso agli sviluppi teorici della cartografia, va pure ricordato il seguente problema di geometria differenziale, la cui soluzione è dovuta a matematici italiani: date due superficie S, S′, riconoscere se esse siano rappresentabili l'una sull'altra geodeticamente, cioè in modo che si corrispondano le rispettive geodetiche. Il Beltrami ha dimostrato (1866) che sul piano (le cui geodetiche sono le rette) sono rappresentabili geodeticamente tutte e sole le superficie a curvatura costante (v. curvatura), fra le quali compare, come unica superficie di rotazione a curvatura costante positiva, la sfera. Subito dopo il Dini ha affrontato il problema generale della rappresentazione geodetica, e ha dimostrato (1869) che le sole superficie, per cui una tale rappresentazione sia possibile sono le cosiddette superficie del Liouville, fra cui naturalmente ricompaiono, come casi particolari, le superficie a curvatura costante e il piano (v. liouville). Il problema della rappresentazione geodetica, esteso al caso di varietà a quante si vogliono dimensioni, costituisce una forma geometrica del problema della trasformazione delle equazioni differenziali della dinamica. In questo campo si debbono importanti risultati a T. Levi-Civita.
8. Linee isoperimetre. - Ancora in relazione alla cartografia si è presentato il problema seguente: una rappresentazione di due superficie (non isometriche) S, S′, l'una sull'altra, determinare le eventuali linee, che conservano la loro lunghezza (linee isoperimetre). Queste linee sono caratterizzate dalla condizione che lungo di esse risulti uguale a 1 il modulo lineare, cosicché, se sulle due superficie si adottano come linee coordinate le linee principali della rappresentazione (o, nel caso di una rappresentazione conforme, due generici sistemi doppî ortogonali corrispondentisi), si è condotti in base alla (28) all'equazione differenziale del 1° ordine (e di 2° grado in dv/du)
Affinché le linee integrali di quest'equazione siano reali, occorre e basta manifestamente che sia, per ogni scelta di u, v nel campo che si considera,
e questa condizione, ove si tenga conto delle (29), si può scrivere
Si vede così che, affinché nella rappresentazione considerata esistano linee isoperimetre reali, occorre e basta (in quanto E e G sono essenzialmente positivi) che dei due moduli principali n1, n2 l'uno sia maggiore di 1 (dilatazione), l'altro minore (contrazione). Restano perciò escluse (e l'osservazione è intuitiva) le rappresentazioni conformi, per le quali è n1 = n2, mentre l'indicata condizione è sempre soddisfatta da una rappresentazione equivalente, in cui, per la (2), si ha n1 n2 = 1.
In ogni caso, in cui la (38) sia soddisfatta, le linee isoperimetre costituiscono, tanto su S quanto su S′, un sistema doppio; e in ciascun punto le due linee isoperimetre, che vi passano, sono ugualmente inclinate sulle linee principali, in quanto sono opposti i due valori forniti per dv/du dalla (37).
Principali tipi di rappresentazioni cartografiche.
9. Preliminari. - Dei metodi di rappresentazione, che a scopo cartografico furono nelle varie epoche escogitati e applicati, è difficile dare una classificazione in tutto soddisiacente. Si possono, ad es., classificare secondo che corrispondono a rappresentazioni equivalenti o conformi o geodetiche, ecc. Ma queste proprietà sono insufficienti a caratterizzarli in modo espressivo dal punto di vista grafico, e conviene meglio raggrupparli a seconda delle costruzioni e delle convenzioni, che permettono di attuarli graficamente. Più particolarmente importa fissare l'attenzione sui procedimenti, con cui si perviene, caso per caso, a determinare il sistema doppio di linee, che sulla carta rappresentano il reticolo geografico, cioè i meridiani e i paralleli. Determinate queste immagini dei meridiani e dei paralleli (le quali usualmente si designano senz'altro con questi stessi nomi), ogni punto del globo si riporta sulla carta nell'intersezione del meridiano e del parallelo corrispondenti alle rispettive coordinate geografiche; ed è notorio che sulla carta si disegnano effettivamente soltanto i meridiani e i paralleli, che si susseguono a una prefissata distanza costante, rispettivamente in longitudine e in latitudine, la quale si sceglie maggiore o minore a seconda della scala adottata. Va pur notato che talvolta, in relazione a un generico punto C, del globo, il quale non sia uno dei poli, torna comodo considerare i circoli massimi passanti per esso e i circoli (di cui uno solo è massimo) giacenti nei piani ortogonali al diametro che da C va al suo antipodo. I primi si dicono, rispetto a C, circoli verticali (o azimutali), i secondi circoli orizzontali (o almucantarat, v.), riservando il nome di orizzonte di C a quello di questi ultimi circoli che è massimo. Si può dire che rispetto al generico punto C i circoli verticali e orizzontali stanno come i meridiani e i paralleli rispetto all'uno o all'altro polo.
Parecchi dei più antichi metodi di rappresentazione cartografica si riducono a semplici proiezioni della superficie del globo (o di una sua regione) da un dato centro di vista V su di un dato piano π (carta), non passante per V; onde è invalso l'uso (oggidì da molti criticato e da taluni abbandonato) di chiamare proiezioni tutti i metodi di rappresentazione cartografica, anche quando in realtà la loro costruzione non è eseguibile con semplici proiezioni nel preciso senso geometrico della parola. Quei metodi, che si fondano su di una vera e propria proiezione, si chiamano correntemente prospettive piane.
10. Prospettive piane. - Esse si distinguono in centrografiche (o centrali od anche gnomoniche), stereografiche, scenografiche, ortografiche, secondo che il centro di vista V è scelto nel centro del globo o sulla sua superficie o esterno o, addirittura, a distanza infinita (fig. 4). In questi tre ultimi casi il piano π di proiezione si sceglie sempre ortogonale al diametro del globo che passa per il centro di vista V. In ogni caso il piede C della perpendicolare da V su π (asse della prospettiva) si chiama centro della carta e il meridiano e il parallelo passanti per C si dicono talvolta centrali. Giova osservare che se il piano si sposta parallelamente a sé stesso (purché non vada a passare per V), la carta subisce semplicemente una trasformazione per similitudine, cioè un cambiamento di scala; e nelle seguenti considerazioni tornerà comodo approfittare di questa circostanza per immaginare, una volta per tutte, che il piano π sia tangente al globo, con che il punto di contatto coinciderà con il centro C della carta. Secondo che l'asse VC è l'asse del globo o una sua retta diametrale giacente nel piano dell'equatore o infine una retta diametrale di latitudine diversa da 0° e 90°, la prospettiva si chiama rispettivamente polare (o normale) oppure meridiana (o equatoriale o inversa) o infine orizzontale (o intermedia o trasversa). Combinando questi tre modi di scelta dell'asse con ciascuno dei quattro modi di scelta, pocanzi indicati, per il centro di vista V sull'asse, si hanno dodici tipi di prospettive piane. In tutte la costruzione del reticolo geografico, la determinazione delle formule di rappresentazione, il calcolo delle deformazioni (moduli) sono particolarmente semplici, onde basteranno poche osservazioni.
In ogni caso le linee principali di una prospettiva piana sono i circoli verticali e orizzontali relativi al centro C della carta (i meridiani e i paralleli, se si tratta di una prospettiva polare). I primi hanno come immagini rette (o segmenti di retta) uscenti da C, i secondi invece circoli di centro C; e intorno a C la rappresentazione è conforme (cioè l'angolo delle immagini rettilinee di due circoli verticali quali si vogliono è uguale all'angolo obiettivo). In altre parole si conservano gli azimut intorno a C, e, di più, le distanze sferiche dei vari punti del globo da C (cioè le distanze misurate lungo i circoli azimutali, ossia, nelle prospettive polari, le colatitudini) si riducono tutte nel medesimo rapporto. Per questa duplice proprietà le prospettive piane rientrano, come caso particolare, in quella più ampia classe di rappresentazioni cartografiche, che si chiamano azimutali (n. 11).
Si può anche notare che una qualsiasi prospettiva equatoriale od orizzontale si può sempre immaginare ottenuta da una prospettiva polare, facendo subire al globo una conveniente rotazione intorno al suo centro, cosicché ogni rappresentazione prospettica equatoriale od orizzontale si può sempre dedurre da un'analoga rappresentazione polare in base a noti ed elementari procedimenti di geometria descrittiva (v. descrittiva, geometria). Ma in cartografia conviene meglio procedere, caso per caso, alle costruzioni dirette.
Per quello che riguarda la posizione del centro di vista, le prospettive scenografiche, non trovano applicazioni notevoli. Le prospettive centrografiche o gnomoniche offrono un interesse teorico, in quanto sono (a meno di un'arbitraria omografia sul piano π) le sole rappresentazioni geodetiche (n. 7) della sfera sul piano, cioè le sole rappresentazioni che dànno come immagine di ogni circolo massimo della sfera una retta, cosicché permettono di giudicare, dalla semplice consultazione della carta, quali punti sul terreno siano disposti su di un allineamento geodetico. Esse peraltro non possono essere impiegate se non nella rappresentazione di regioni limitate del globo, non solo per la rapidità con cui cresce la deformazione, al crescere della distanza dal centro C, ma anche perché si sovrappongono le immagini dei due emisferi del globo, separati dall'orizzonte di C (fig. 5). Nemmeno la prospettiva ortografica è oggidì molto usata; si adopra generalmente nelle carte lunari o anche nella rappresentazione della Terra o dei corpi celesti nello spazio. Il modulo lineare lungo ogni raggio a partire da C varia. Nella fig. 1 della tavola annessa (p. 244) è rappresentato il reticolo geografico di una prospettiva ortografica equatoriale (o meridiana), costituito da semiellissi fra loro bitangenti nei poli (meridiani) e da segmenti di rette (paralleli).
Di gran lunga le più importanti fra le prospettive piane sono quelle stereografiche. Riferiamoci, per fissare le idee, al caso di una prospettiva polare, e supponiamo scelto come centro di vista il polo Sud del globo, come piano di proiezione il piano tangente nel polo Nord (fig. 6). Il globo risulta rappresentato sull'intero piano e, precisamente, l'emisfero boreale nell'interno del circolo immagine dell'equatore, l'emisfero australe all'esterno di codesto circolo; ma in cartografia si suole utilizzare soltanto la rappresentazione stereografica del primo di codesti due emisferi. Similmente nel caso di una proiezione equatoriale od orizzontale si utilizza solo la rappresentazione dell'emisfero al di sopra dell'orizzonte del punto scelto come centro della carta (antipodo del centro di vista).
L'importanza di questa famiglia di rappresentazioni dipende essenzialmente dalle seguenti due loro proprietà: 1. sono conformi in tutti i punti; 2. dànno come immagine di ogni circolo (massimo o no) del globo un circolo, salvo che per i meridiani nel caso polare, e per i circoli verticali nel caso equatoriale od orizzontale, i quali, come in ogni prospettiva piana, risultano rappresentati dai raggi uscenti dal centro della carta.
Per quest'ultima proprietà le immagini dei meridiani e dei paralleli, si costruiscono, in ogni caso con riga e compasso.
Se si denotano con ϑ e ϕ la longitudine e la latitudine di un generico punto P del globo (l'una e l'altra misurate in radianti), con α il raggio di questo, con ρ (raggio vettore) e ω (anomalia o azimut) le coordinate polari (v. coordinate) dell'immagine P′ di P rispetto al centro C, preso come polo, e all'immagine del meridiano fondamentale, presa come asse polare, le equazioni della prospettiva stereografica polare sono, come risulta immediatamente dalla fig. 6,
dove si è posto ψ = π/2 − ϕ, cioè si è indicata con ψ la colatitudine di P. II modulo lineare in un generico punto (il quale, trattandosi di una rappresentazione conforme, non varia con la direzione) si ottiene facilmente, calcolandolo lungo un meridiano; poiché l'elemento di meridiano è α dψ, mentre l'elemento lineare corrispondente è dρ, si ha
e quindi, per il modulo areale,
Questo modulo cresce rapidamente a partire da C; a 30° di colatitudine è già quasi 1,5 e al contorno dclla carta (ψ = 90°) raggiunge il valore 4. Perciò le prospettive stereografiche sono oggi assai meno usate di un tempo, salvo che nelle carte stellari. Tuttavia esse conservano un notevole interesse per le loro importanti proprietà e perché talvolta sono usate come ausiliarie nella costruzione di proiezioni azimutali più soddisfacenti.
Nel caso di una prospettiva stereografica equatoriale si ottiene come contorno della carta (e immagine del meridiano completo, che costituisce l'orizzonte di C) il circolo (di raggio 2a), che ha per diametro N′S′ (fig. 7); e questo diametro e il suo ortogonale rappresentano rispettivanente il meridiano centrale NCS e l'equatore dell'emisfero considerato. I meridiani sono rappresentati dagli archi circolari (interni al cerchio or ora detto) che passano per N′ ed S′, i paralleli da un secondo sistema di archi circolari; e questi due sistemi di archi appartengono rispettivamente a due fasci di circoli, l'uno all'altro ortogonali, di cui il primo ha per punti base N′ ed S′ (v. cerchio). V. fig. 3 della tavola.
Consideriamo, infine, una prospettiva stereografica orizzontale, e sia ϕ0 la latitudine del centro C della carta, supposto, per fissare le idee, nell'emisfero boreale (fig. 8). Anche qui la carta è limitata dall'immagine dell'orizzonte di C (circolo di diametro H′K′ = 4 a), e i meridiani e i paralleli sono ancora rappresentati da archi circolari, appartenenti a due fasci ortogonali; ma dei due punti base del fascio dei meridiani, uno (cioè nella nostra ipotesi l'immagine N′ del polo Nord) è dentro i limiti della carta, l'altro esterno. Fra i paralleli quello di latitudine 90° − ϕ0 il quale è il primo, a partire dall'equatore, che sia rappresentato per intero entro la carta, risulta tangente in H′ al contorno di essa.
11. Proiezioni coniche e loro casi limiti. - Questa classe comprende parecchie delle proiezioni praticamente più importanti. A prescindere da ulteriori convenzioni, che poi preciseremo, il fondamento comune di queste proiezioni è dato dal seguente procedimento. Si assuma come ausiliaria una superficie conica di rotazione, di cui il vertice sia esterno al globo e l'asse passi per il centro di esso, e, dopo avere rappresentato su codesta superficie, in base a opportune costruzioni e convenzioni, il globo, la si sviluppi sul piano, Come praticamente si otterrebbe, se, avendo realizzato la superficie conica con un tessuto flessibile e inestendibile, la si tagliasse lungo una generatrice (fig. 9). Le rappresentazioni, cui così si perviene, si dicono proiezioni coniche e, analogamente alle prospettive piane, si distinguono in polari (o normali), meridiane (o equatoriali o inverse), orizzontali (o trasverse), secondo che l'asse del cono coincide con l'asse polare del globo o giace nel piano dell'equatore o ha una latitudine intermedia. Ma bisogna precisare come si effettui la rappresentazione del globo sulla superficie conica ausiliaria. Nel caso delle proiezioni polari, cui conviene riferirsi dapprima, si assume come immagine di ogni meridiano la semiretta (generatrice), secondo cui il suo semipiano (uscente dall'asse del globo, che è al tempo stesso asse del cono) sega la superficie conica. Perciò nello sviluppo piano, cioè sulla carta, i meridiani sono rappresentati sulle semirette, che costituiscono l'angolo in cui si sviluppa la superficie conica, e il vertice di quest'angolo, o punto di concorso delle immagini dei meridiani, è il punto V su cui si adagia, nello sviluppo, il vertice del cono. Gli angoli delle immagini dei meridiani sono proporzionali agli angoli obiettivi e il rapporto risulta, così, sempre 1.
Per rappresentare sul cono i paralleli si potrebbe fissare sull'asse un punto di vista e poi proiettarli da esso sul cono, con che si otterrebbero su questo altrettanti paralleli (pur essi circolari, i quali sul piano si svilupperebbero in certi ben determinati archi circolari di centro V. Ma ai fini cartografici le rappresentazioni così ottenute risulterebbero poco soddisfacenti; e perciò si è trovato opportuno di fissare la sola norma che i paralleli del globo siano rappresentati sui circoli, aventi il centro nel punto V di concorso delle immagini rettilinee dei meridiani, con la riserva di fissare convenzionalmente, in modo cartograficamente opportuno, la legge di corrispondenza fra le latitudini dei singoli paralleli del globo e i raggi delle rispettive immagini sulla carta (legge dei raggi). Insomma le proiezioni coniche polari si possono caratterizzare (indipendentemente dal procedimento costruttivo da cui siamo partiti) come quelle, in cui i meridiani sono rappresentati su semirette concorrenti in un punto V e formanti angoli proporzionali agli obiettivi, mentre i paralleli sono rappresentati su circoli di centro V.
Tutto ciò che dianzi, nel caso polare, si è detto dei meridiani dei paralleli, va riferito, nel caso equatoriale od orizzontale ai circoli verticali e orizzontali relativi ai due punti antipodi, in cui il globo è segato dall'asse del cono. Resteranno, caso per caso, da determinare le immagini dei meridiani e dei paralleli, e queste soltanto (a opportuna equidistanza in longitudine e in latitudine) verranno conservate sulla carta. Si avverta che le linee principali della rappresentazione sono costituite nel caso polare dai meridiani e dai paralleli e, in ogni altro, dai circoli verticali e orizzontali.
Va inoltre notato che le proiezioni coniche dànno luogo a due importanti casi limiti. In primo luogo, se il vertice va a distanza infinita, il cono ausiliare si riduce a un cilindro di rotazione (fig. 10) e si hanno, con le stesse norme stabilite pocanzi, le cosiddette proiezioni cilindriche, in cui, nel caso polare, meridiani e paralleli sono rappresentati su due sistemi di rette parallele, l'uno all'altro ortogonali. Le mutue distanze delle rette rappresentative dei meridiani sono proporzionali alle rispettive distanze in longitudine, restando arbitrario il rapporto di proporzionalità; ed è pure arbitraria la legge delle distanze in latitudine, cioè la legge di corrispondenza fra le latitudini dei singoli paralleli e le distanze delle rispettive immagini rettilinee dalla retta rappresentativa dell'equatore. Analogamente nell'ipotesi equatoriale od orizzontale.
Si può, in secondo luogo, immaginare che l'angolo di apertura del cono ausiliare diventi retto, sicché la superficie conica si appiattisca in un piano, che supporremo senz'altro tangente al globo in un suo punto C (centro della carta). In questo caso limite e sempre nell'ipotesi polare, i meridiani risultano rappresentati dalle semirette uscenti da C, con conservazione degli angoli obbiettivi, mentre i paralleli hanno come immagini i circoli di centro C, restando arbitraria la legge dei raggi. Sono queste le cosiddette proiezioni azimutali, che comprendono come casi particolari le prospettive piane (n. 10) e debbono il loro nome alla circostanza che in esse si conservano inalterati gli azimut, rispetto al centro C, di tutti i punti del globo.
Degli elementi arbitrarî che intervengono nelle proiezioni coniche e nei loro casi limiti (coefficiente di proporzionalità delle longitudini e legge dei raggi o delle distanze in latitudine) si può disporre per soddisfare a opportune condizioni, p. es. all'equivavalenza o all'isogonicità, ecc. Saranno nei numeri 12-14 indicati successivamente i tipi più usati di proiezioni azimutali, cilindriche e coniche, mettendo in ogni classe al primo posto le proiezioni equivalenti, poi quelle conformi e infine quelle che non godono né l'una né l'altra di queste due proprietà.
12. Esempî di proiezioni azimutali. - a) Proiezione azimutale polare equivalente del Lambert. Per assicurare l'equivalenza basta che si conservi l'area di ogni calotta del globo avente il centro nel polo (centro della carta); poiché l'area di una calotta sferica è uguale a quella del cerchio, che ha per raggio la corda che va dal centro della calotta a un punto qualsiasi del circolo base (fig. 11), il raggio dell'immagine di ogni singolo parallelo va preso uguale alla corda dell'arco di meridiano compreso fra il polo e il parallelo, cioè, con le notazioni del n. 10,
I moduli lineari np e nm, lungo i paralleli e i meridiani, e la massima deformazione angolare Δ in un punto generico sono dati da
Quando si rappresenta un emisfero, la deformazione angolare raggiunge al contorno i 39°, mentre i moduli lineari sono ivi 1,4 e 0,7. Se ci si limita a una calotta di 30°, la massima deformazione angolare resta al di sotto di 4 e i moduli lineari non superano il 4%.
b) Proiezioni azimutali conformi. - Non sono altro che le prospettive stereografiche (n. 10).
c) Proiezione azimutale equidistante. - Si ottiene, imponendo la condizione che lungo ogni meridiano il modulo lineare sia costantemente uguale a 1. Se sulla carta il grado di latitudine s'intende rappresentato per mezzo del corrispondente arco di meridiano rettificato, codesta condizione, nel caso polare, si traduce, per i raggi, nella legge ρ = a ψ, dove ψ denota ai solito la colatitudine valutata in radianti (fig. 12). Nei casi equatoriale e orizzontale va sostituita ad essa la distanza angolare dal centro della carta.
Si ha, in quanto la lunghezza dell'immagine di un parallelo sta a quella del parallelo obbiettivo come i rispettivi raggi,
Fra le proiezioni azimutali di un emisfero l'equidistante è caratterizzata dalla notevole proprietà di rendere minima la massima deformazione lineare. Si veda nella fig. 4 a pag. 244 il reticolo geografico di una proiezione azimutale equidistante equatoriale o meridiana.
d) Proiezione azimutale per compenso di errori (Projection by balance of errors) dell'Airy. - Si perviene ad essa cercando fra tutte le possibili leggi dei raggi quella che su di una data calotta sferica Δ rende minimo l'integrale (errore totale)
H. James e A. R. Clarke, correggendo un'inesattezza dello stesso Airy, hanno dimostrato (in Philosophical Magazine, serie 4ª, XXIII, 1862, p. 308) che, per una calotta di raggio sferico Θ, la legge dei raggi è
13. Esempî di proiezioni cilindriche. - Le proiezioni cilindriche dànno rappresentazioni soddisfacenti per le zone non troppo estese da una parte e dall'altra di un dato circolo massimo.
a) Proiezione cilindrica equivalente del Lambert. - La costruzione geometrica è molto semplice. Considerando al solito il caso polare, si prenda come ausiliare il cilindro tangente al globo lungo l'equatore (fig. 13) e su di esso, come immagine di un generico parallelo, si assuma il circolo in cui è segato dal piano del parallelo. L'equivalenza della rappresentazione è assicurata da un noto teorema di Archimede (l'area di una zona sferica è uguale a quella del cilindro, che ha per base il cerchio massimo della corrispondente sfera e per altezza l'altezza della zona). Se sulla carta si adotta un sistema di assi cartesiani, di cui l'asse x rappresenti il meridiano fondamentale (ϑ =0) e l'asse y l'equatore (con che la disposizione degli assi risulta opposta a quella usata in geometria), si ha
dove, come più volte si è notato, le longitudini ϑ vanno valutate in radianti (salvo poi sostituire sulla carta le corrispondenti valutazioni in gradi sessagesimali). La fig. 7 della tavola mostra il reticolo geografico di questa proiezione.
Se si vuole la più generale proiezione cilindrica polare equivalente, si osservi che, con le notazioni precedenti, la più generale proiezione cilindrica è definita da due equazioni del tipo
dove c e f denotano una costante e una funzione quali si vogliono Poiché le equazioni parametriche del globo (rispetto a un sistema cartesiano ortogonale, di cui l'asse Z sia l'asse polare e quello X la traccia sul piano equatoriale del meridiano ϑ = 0) sono
i quadrati dei ds, ds′ del globo e del piano cartografico sono dati da
talché i moduli lineari principali e il modulo areale valgono (n. 5)
Ponendo m = 1 si è condotti (nell'ipotesi che la f sia crescente) all'equazione differenziale
dalla quale risulta (se si vuole che per ϕ = 0 sia x = 0)
cosicché la più generale proiezione cilindrica equivalente, nel caso polare è data da
dove resta arbitraria la costante c. Se si richiede che si conservino le distanze lungo l'equatore, si deve scegliere c = a e si ricade sulla proiezione considerata da principio; se invece si vogliono conservate le distanze sul parallelo di latitudine ϕ0 (e quindi anche sul simmetrico rispetto all'equatore) bisogna prendere c = a cos ϕ0.
Il Lambert ha considerato questa proiezione anche nel caso equatoriale.
b) Proiezione cilindrica conforme o carta di Mercatore. - Essa è definita, nel caso polare, dalle equazioni
È questa, astrazione fatta dalla scelta dell'unità di misura, la sola pioiezione cilindrica (polare) conforme. Infatti la condizione np = nm, si traduce, in base alle (30), nell'equazione differenziale
da cui, imponendo la condizione iniziale f = 0 per y = 0, si trae f = log tang (ϕ/2 + π/4), cosicché le equazioni della più generale proiezione cilindrica (polare) conforme sono date da
dove la costante arbitraria c, comparendo a fattore in entrambe le coordinate x, y, non influisce che sull'unità di misura. Per c = a si ottengono appunto le equazioni date da principio.
Il modulo lineare n = sec ϕ cresce, in modo molto sensibile, dall'equatore ai poli, onde le carte di Mercatore sono anche dette a latitudini crescenti; e cresce anche più rapidamente il modulo areale m = sec2 ϕ. Inoltre, queste carte, mentre sono limitate nel senso dei paralleli, non sono più tali nel senso dei meridiani, cosicché risultano utilizzabili solo fino ai 60° o 70° gradi di latitudine. Tuttavia esse hanno avuto una grande diffusione e ancora oggi talvolta si usano, specialmente nei planisferi. Ciò si deve, oltre che alla semplicità delle costruzioni richieste da questo tipo di proiezioni, alla loro importante proprietà di mutare in rette le lossodromiche (v.) della sfera (e anche dell'ellissoide rotondo), il che appare evidente se si riflette che per il carattere conforme della rappresentazione, ogni lossodromica, la quale incontra sotto angolo costante i successivi meridiani, deve, in proiezione, segare sotto il medesimo angolo le rette parallele, immagini dei meridiani: Ne consegue l'aiuto prezioso, che dalle carte di Mercatore può trarre il navigante, per determinare la sua rotta: congiunti sulla carta con una retta i punti immagini del luogo di partenza e del luogo d'arrivo, egli rileva dal grafico l'angolo costante, che, col sussidio della bussola, deve imporre alla rotta della nave rispetto alla direzione dei meridiani, che man mano attraversa. Si veda la fig. 8 della tavola a pag. 244.
Questa propiezione cilindrica conforme fu considerata nel caso equatoriale dal Lambert (proiezione cilindrica ortomorfa), e fu poi usata dal Gauss, tenendo conto dell'ellitticità del meridiano terrestre, nel rilevamento topografico del Hannover, onde, in questo caso, si chiama anche proiezione isogonica del Gauss.
c) Proiezioni cilindriche equidistanti. - Si ottengono, nel caso polare, prendendo le distanze delle immagini dei paralleli dall'immagine dell'equatore proporzionali alle rispettive latitudini. Se si vogliono conservate le distanze lungo i meridiani e lungo l'equatore, si hanno le equazioni
e si perviene alla cosiddetta proiezione quadrata, la quale, nel caso equatoriale, prende il nome di proiezione di Cassini-Soldner.
Giacomo Cassini propose di scegliere, come coordinate di un generico punto della superficie terrestre, la sua distanza sferica dal meridiano principale (che assume qui l'ufficio spettante nel caso polare all'equatore) e l'arco di meridiano principale, compreso tra un'origine arbitraria, scelta su di esso, e il piede del circolo massimo, che passa per il punto considerato ed è ortogonale al meridiano principale. Col sussidio di queste coordinate egli si accinse alla costruzione di una carta della Francia, assumendo come origine l'osservatorio di Parigi. Il lavoro, lasciato da lui interrotto, fu condotto a termine dal figlio Domenico, che nel 1709 presentò all'Assemblea la carta nella scala di 1/86400 e in 180 fogli. Fu detta la carta dell'Accademia. J. von Soldner si valse della stessa proiezione, perfezionando i procedimenti del Cassini, nel rilievo topografico della Baviera; e ancora è usata in lavori catastali.
Se s'impone la condizione che si conservino le lunghezze sui meridiani e su due paralleli prefissati di latitudini ±ϕ0, si ha la cosiddetta proiezione rettangolare, di equazioni
14. Esempî di proiezioni coniche. - a) Proiezioni coniche equivalenti del Lambert. - Se al solito si considera il caso polare, i meridiani e i paralleli sono rappresentati in ogni proiezione conica sulle semirette uscenti da un punto V (ad angoli proporzionali agli obiettivi) e sui circoli di centro V. Volendo realizzare l'equivalenza, si tenga conto che l'area della calotta sferica limitata dal parallelo di latitudine ϕ (e colatitudine ψ), la quale è data (n. 12) da 4πa2 sen2 (ψ/2), si può scrivere, qualunque sia il numero positivo (e minore di 1) c, sotto la forma
cioè risulta uguale all'area del settore circolare di raggio
che corrisponde all'angolo al centro 2πc. Perciò se nel piano della carta si adottano coordinate polari ρ, ω (di polo V e di asse polare lungo l'immagine del meridiano ϑ = o) le equazioni
definiscono una rappresentazione equivalente del globo. Essa è nota sotto il nome di proiezione conica equivalente del Lambert, (v. fig. 16 a p. 244) e, nel caso equatoriale, fu proposta e studiata (per l'Africa) da K. Zöppritz. Della costante c si può disporre per conservare le distanze lungo un dato parallelo o, ad es., per rendere minima la massima deformazione angolare nella zona compresa fra due dati paralleli.
Per avere la più generale proiezione conica equivalente, si osservi che ogni proiezione conica è definita da equazioni della forma
dove la costante c e la funzione f sono entrambe arbitrarie. Poiché gli elementi d'arco di parallelo e di meridiano sul globo sono a sen ψ dϑ e a dψ, mentre i corrispondenti elementi lineari sul piano sono c ρ dϑ e dρ, si ha
e di qui consegue che la condizione di equivalenza si traduce nell'equazione differenziale
che, integrata, dà
dove k denota la costante arbitraria d'integrazione.
Per k = a2 si ricade sulla proiezione del Lambert; ed è questo il solo caso, in cui per ψ = 0 si ha ρ = o, talché al polo corrisponda sulla carta un punto (cioè il punto V). Per k > a2, al polo (punto eccezionale della rappresentazione) corrispode sulla carta il circolo di centro V e di raggio
Le proiezioni, che così si ottengono, si dicono troncoconiche.
Delle due costanti c e k si può disporre in modo che risultino conservate le lunghezze su due paralleli di date colatitudini ψ0, ψ1. Si trova in tal caso
talché il raggio ρ0 del circolo che rappresenta il polo è dato da
e la legge dei raggi assume la forma
È questa la proiezione troncoconica di H. C. Albers, la quale fornisce rappresentazioni molto soddisfacenti, anche per interi continenti.
b) Proiezioni coniche conformi. - Esse sono date dalle equazioni
dove k e c denotano due costanti (positive) arbitrarie.
Invero la condizione d'isogonicità, è espressa, in base alle (40), dall'equazione differenziale
il cui integrale generale è dato appunto dalla prima delle (41), dove k è la costante mbitraria d'integrazione.
Si avverta che in V (punto eccezionale della rappresentazione), viene meno l'isogonicità. Delle due costanti arbitrarie k e c, la prima dà il raggio del circolo su cui risulta rappresentato l'equatore (ψ = 90°); e dal modo con cui essa compare nelle (41) risulta che il suo valore è legato soltanto alla scelta dell'unità di misura. Invece la costante c influisce sui caratteri del reticolo dei meridiani e dei paralleli. Per c = 1 si ottiene, come caso limite, una proiezione azimutale; per c 〈 1 le immagini dei meridiani costituiscono un angolo minore di 360°, mentre per c > 1, quest'angolo supera 360° e si ha sovrapposizione.
Per realizzare il secondo caso, s'immagini assunto come cono ausiliare quello che tocca il globo lungo il parallelo di data colatitudine ψ0. Dalla fig. 14 risulta che codesto parallelo, avendo il raggio QH = a sen ψ0, viene rappresentato, nello sviluppo del cono sulla carta, dall'arco circolare di lunghezza 2πa sen ψ0 e di raggio VH = a tang ψ0, cosicché il corrispondente angolo al centro è dato da 2π cos ψ0; e, poiché questo angolo deve risultare uguale a 2πc, si trova c = cos ψ0; dopo di che, uguagliando all'espressione a tang ψ0, già trovata per VH, quella data dalla prima delle (41), si riconosce che va preso
e si perviene alla rappresentazione
Essa è la cosiddetta proiezione conica conforme di Lambert-Gauss, che è stata usata largamente in carte russe. Questa proiezione, quando si tenga conto dell'ellitticità dei meridiani, vien detta dagli Inglesi proiezione del Boole.
Si può anche disporre della costante essenziale c, in modo che risulti minima l'alterazione areale, entro la zona compresa tra due paralleli dati; e ciò si ottiene imponendo, lungo codesti paralleli, l'uguaglianza dei moduli lineari. Si perviene così, per zone non troppo estese in latitudine (p. es. non oltre i 30° o 40°), a rappresentazioni molto soddisfacenti.
c) Proiezioni coniche equidistanti. - Si prendono le distanze delle immagini dei singoli paralleli uguali alle distanze sferiche obbiettive sul globo, cosicché si hanno le equazioni
dove c e k denotano due costanti arbitrarie.
Se, come nel caso delle proiezioni conformi, si assume come cono ausiliare quello che tocca il globo lungo il parallelo di colatitudine ψ0, si è condotti a porre c = cos ψ0, k = a (tang ψ0 − ψ0) e si perviene alla cosiddetta proiezione conica ordinaria o semplice, o anche di Tolomeo o di Mercatore, di equazioni
Se invece, avendo da rappresentare la zona compresa tra due dati paralleli, s'impone la conservazione delle distanze sui due paralleli equidistanti sul globo dai paralleli dati e da quello mediano della zona, si ottiene la proiezione conica detta di J. N. de l'Isles, perché fu da questi per il primo applicata in una carta della Russia (1745). V. fig. 17 della tavola a p. 244.
15. Proiezioni pseudoconiche e pseudocilindriche. - Si designano con questi due nomi quelle rappresentazioni del globo, in cui le immagini dei paralleli sono rispettivamente circolari e concentriche oppure rettilinee e parallele (qualunque poi sia la natura delle immagini dei meridiani). Si può dire che in queste due categorie rientrano quasi tutte le rappresentazioni cartografiche usuali, anche talune a cui veramente non si sogliono applicare siffatte qualifiche.
a) Proiezioni cordiformi del Werner e proiezione del Bonne. Conveniamo di rappresentare i paralleli sui circoli aventi il centro comune in un punto V, conservando le mutue distanze sferiche (in colatitudine) come nelle proiezioni coniche equidistanti (n. 14, c), cioè, coi soliti simboli, poniamo ρ = k + a ψ, dove k denota una costante da determinare poi in modo opportuno; e prendiamo come immagine del meridiano fondamentale (ϑ = 0) una semiretta uscente da V, su cui esso risulterà rappresentato con conservazione delle distanze sferiche. Infine su ciascun circolo di centro V rappresentiamo il corrispondente parallelo, metà per parte del meridiano fondamentale, in mndo che le lunghezze degli archi siano proporzionali a quelle degli archi di parallelo obbiettivi, essendo costante da parallelo a parallelo il rapporto c di proporzionalità.
Se sul parallelo generico di colatitudine ψ (e quindi di raggio a sen ψ) consideriamo l'arco compreso fra i due meridiani di longitudine 0 e ϑ, la corrispondente immagine è data da un arco circolare di centro V, di lunghezza a ϑ sen ψ e di raggio k + a ψ, onde il rispettivo angolo al centro si ottiene dividendo a ϑ sen ψ per k + a ψ. Perciò, tenendo conto anche della legge dei raggi, otteniamo come equazioni della rappresentazione le
dove restano da determinare le costanti c e k. Si può verificare agevolmente che si tratta in ogni caso di rappresentazioni equivalenti (o, per essere più precisi, proporzionali).
Se si vuole che un polo del globo, p. es., il polo Nord, risulti rappresentato dal punto V, bisogna che per ψ = 0, sia ρ = 0 cioè k = 0; e si perviene alle equazioni
delle proiezioni del Werner. Il Werner ha considerato più precisamente i tre casi c = π/2, π/3, 1, corrispondenti rispettivamente, alla condizione supplementare che il semiequatore (da ϑ = − π/2 a ϑ = π/2) risulti rappresentato sulla carta dalla metà oppure da un terzo del corrispondente circolo immagine (di raggio a π/2) o infine da un arco di codesto circolo la cui lunghezza sia uguale al rispettivo raggio. Nei primi due casi l'immagine di ciascun parallelo, a partire da una certa latitudine boreale fino al polo Nord, si sovrappone a sé stessa, talché le corrispondenti proiezioni sono utilizzabili per rappresentare, al massimo, un fuso sferico (non estendentesi in longitudine, da ciascuna parte del meridiano fondamentale, più di 2.36o°/π o, rispettivamente, 3.360°/π). Invece il terzo tipo di proiezione si presta alla rappresentazione dell'intera superficie del globo (v. fig. 15 a p. 244). In ogni caso queste proiezioni forniscono carte, che hanno forma di cuore; cioè le proiezioni del Werner rientrano nella classe delle cosiddette proiezioni cordiformi, che nel sec. XVI furono molto usate nei mappamondi. Ma, soprattutto nell'emisfero australe, dànno luogo a deformazioni enormi.
Per rappresentare regioni terrestri non molto estese intorno a un dato parallelo e per raggiungere maggiore precisione, conviene scegliere c e k in base ad altre condizioni, p. es., in modo che lungo il parallelo di colatitudine ψ0, la rappresentazione risulti conforme.
Per tener conto di questa condizione, si osservi anzitutto che, affinché essa sia soddisiatta, occorre che l'immagine del parallelo prefissato sia incontrata ortogonalmente dalle immagini dei meridiani o, in altre parole, che nella espressione del quadrato dell'elemento lineare dρ2 + ρ2 dω2 della carta, quale risulta in termini di ϑ, ψ in base alle (42), si annulli il coefficiente di dϑ dψ, quando vi si ponga ψ = ψ0. Ora, differenziando le (42) e sostituendo in dρ2 + ρ2 dω2, si trova che codesto coefficiente è dato da
talché si è condotti a porre intanto
Dopo di ciò sarà necessario e sufficiente che lungo il prefissato parallelo sia np = nm (n. 4); e, poiché in tutta la carta, per il modo stesso in cui è stata costruita la rappresentazione (42), si ha np = c, tutto si riduce a imporre la condizione nm = c. Ma, tenendo conto del valore trovato per k, si riconosce agevolmente che, a partire da ogni punto del parallelo ψ = ψ0, l'elemento lineare dell'immagine del meridiano risulta uguale ad a dϑ, cioè all'elemento lineare obbiettivo, cosicché si ha ivi nm = 1. Si dovrà dunque scegliere c = 1.
Si perviene così alle equazioni
della proiezione del Bonne (v. fig. 13 a p. 244); ma va notato che questo nome si riserva più precisamente al caso, in cui si tenga conto dell'ellitticità dei meridiani. Con questa proiezione è stata costruita la carta d'Italia in 35 fogli e di scala di 1/500.000 (anno 1889); vi si è preso ψ0 = 42° (Roma). La stessa proiezione è stata usata nella carta topografica della Francia (1818-1878) all'1/80.000, onde è anche nota come la proiezione del Dépôt de la guerre.
b) Proiezione sinusoidale di Mercatore-Sanson. - Nell'uso si chiama, meno correttamente dal punto di vista storico, di Sanson-Flamsteed; e, per la semplicità della sua costruzione, si dice anche proiezione naturale. Essa si può considerare ottenuta come caso limite della proiezione del Bonne, pensando questa legata al cono tangente al globo lungo il parallelo di colatitudine ψ0 e immaginando che questo parallelo vada a coicidere con l'equatore; si tratta dunque di una proiezione pseudocilindrica. Il meridiano fondamentale è rappresentato su di una retta e i varî paralleli sulle rette perpendicolari, l'uno e gli altri con conservazione delle lunghezze obbiettive. Adottando sulla carta un sistema di coordinate cartesiane, in cui l'asse x sia il meridiano fondamentale, l'asse delle y l'equatore, si ha
cosicché le immagini dei meridiani (per ϑ ≥ 0) sono altrettante curve sinusoidali (v. fig. 12 a p. 244). Si tratta ancora di una rappresentazione equivalente, e anche in essa è facile tener conto dell'ellitticità dei meridiani. In questo senso è stata adottata dall'Istituto geografico militare nella carta d'Italia dell'1/100.000. La superficie del Regno è stata divisa, a questo scopo, in trapezî sferoidici, di 30′ di ampiezza in longitudine e 20′ in latitudine, a ciascuno dei quali corrisponde un foglio della carta.
c) Proiezione del Mollweide od omalografica del Babinet. - È una rappresentazione equivalente dell'intera superficie del globo, su di un'ellisse, di cui l'asse maggiore è doppio di quello minore, per es., uguali rispettivamente a 4 √2 a, 2 √2 a (con che l'area dell'ellisse risulta uguale a quella della superficie del globo). L'asse maggiore e quello minore si assumono come immagini rispettivamente dell'equatore e del meridiano fondamentale, il primo con conservazione delle distanze sferiche obbiettive. Gli altri meridiani si rappresentano per mezzo di semiellissi, bitangenti fra loro e all'ellisse di contorno nei poli, ed aventi come assi principali l'equatore e il meridiano fondamentale; i due meridiani di longitudine ±45° risultano rappresentati, nel loro insieme, da un circolo. Come immagini dei paralleli vengono assunte le corde dell'ellisse di contorno, parallele all'asse maggiore, e le loro distanze da queste vengono fissate in modo che siano conservate le aree delle zone sferiche obbiettive, limitate dai corrispondenti paralleli. Siffatte distanze sono state calcolate, una volta per tutte, in tavole (v. fig. 9 a p. 244).
d) Planisferi dell'Aitof e del Hammer. - Il reticolo dei meridiani e dei paralleli del primo si ottiene da quello di un emisfero, rappresentato in proiezione azimutale equidistante equatoriale (n. 12, c), riducendo a metà le ordinate di tutti i punti rispetto all'equatore e raddoppiando la numerazione dei singoli meridiani (il che equivale a eseguire sul reticolo di partenza due affinità omologiche di rapporti ½ e 2, la prima rispetto all'immagine dell'equatore, la seconda rispetto all'immagine del meridiano centrale). Così l'intera superficie del globo risulta rappresentata su di un'ellisse, di cui gli assi principali sono l'uno il doppio dell'altro; e la rappresentazione si conserva manifestamente equidistante. Il reticolo del planisfero del Hammer si deduce nello stesso modo da quello di un emisfero, rappresentato in proiezione azimutale orizzontale equivalente (n. 12, a); ed è manifesto che l'equivalenza risulta conservata.
e) Proiezioni equivalenti dell'Eckert. - Sono di data piuttosto recente (1906). In esse si prendono come immagini dell'equatore e del meridiano fondamentale due segmenti fra loro perpendicolari nei rispettivi punti medî, il primo doppio del secondo, per esempio uguali rispettivamente a 2c e c; i poli si rappresentano per mezzo di due segmenti, di lunghezza pur essi uguale a c, perpendicolari ciascuno nel rispettivo punto medio all'immagine del meridiano fondamentale in uno dei suoi estremi (fig. 15); le immagini degli altri meridiani si ottengono, congiungendo ciascun punto dell'equatore con quei due punti, che dividono nel medesimo rapporto i segmenti rappresentativi dei poli, per mezzo di due segmenti rettilinei, oppure di una semiellisse tangente a ciascuno di codesti due segmenti o infine di una curva sinusoidale, per modo che vi è già proporzionalità fra le aree dei fusi sferici del globo e quelle delle corrispondenti immagini. Infine, in tutti e tre questi tipi di proiezioni, si assumono come immagini dei paralleli i segmenti (contenuti entro i limiti della carta) paralleli all'equatore e numerati in modo che vi sia proporzionalità, nello stesso rapporto dei fusi, fra le aree delle zone sferiche comprese fra paralleli e le rispettive immagini. Si tratta dunque di rappresentazioni equivalenti. Esse sono adatte alla costruzione dei planisferi, in quanto mantengono abbastanza basse in tutta la carta le deformazioni (v. per il tipo ellittico la fig. 14 a p. 244).
16. Proiezioni policoniche o policentriche. - Anziché rappresentare un'intera zona del globo su di un'unica superficie conica, si può immaginare suddivisa codesta zona in un certo numero di zone parziali, e poi rappresentare ciascuna di queste su di una zona di superficie conica, di angolo di semiapertura variabile dall'una all'altra. Queste zone ausiliarie di superficie coniche si possono sempre scegliere in modo che ciascuna abbia comune con le contigue i suoi paralleli estremi; ma, quando si passa allo sviluppo sul piano, le immagini delle varie zone coniche non combaciano lungo i loro tratti circolari di contorno (fig. 16). Per ridurre le soluzioni di continuità che così si verificano nella carta, si possono prendere le altezze delle zone parziali molto piccole, o addirittura passando al limite, infinitamente piccole. Ciò equivale a convenire di rappresentare i varî paralleli su archi di circolo, aventi tutti il centro su di una stessa retta, immagine del meridiano fondamentale, ma in modo che la posizione del centro su codesta retta e il raggio varino con continuità dall'uno all'altro parallelo, secondo leggi da determinare, caso per caso. Le rappresentazioni, cui così si perviene, sono dette proiezioni policoniche o, meglio, policentriche. Fra esse il Tissot ha studiato tutte le equivalenti e le conformi. Noi qui ci limiteremo a indicare tre esempî di proiezioni policentriche, che per altro non sono né equivalenti né conformi.
Un primo esempio è fornito dalla proiezione globulare del Nicolosi, in cui si rappresenta l'emisfero del globo, limitato da un dato meridiano, su di un cerchio di raggio πa/2. Come immagini del semiequatore e del meridiano passante per il suo punto medio (centro della carta) si prendono due diametri ortogonali, ciascuno con conservazione delle distanze obbiettive; il contorno circolare della carta (immagine dell'orizzonte del centro) si gradua proporzionalmente alle lunghezze obiettive (con che il modulo lineare lungo di esso risulta eguale a π/2). In questo modo risultano determinati tre punti di ciascun meridiano (un punto dell'equatore e i due poli) e tre punti di ciascun parallelo (un punto del meridiano centrale e due punti del contorno, simmetrici rispetto a codesto meridiano). Come immagini di ciascun meridiano e di ciascun parallelo si assume l'arco circolare, contenuto entro la carta, che passa per i tre punti dianzi indicati (v. fig. 5 a p. 244).
Ricordiamo in secondo luogo la proiezione policonica ordinaria o americana o della Coast Survey e la proiezione policonica rettangolare del War Office inglese. In entrambe si conservano le distanze lungo l'immagine rettilinea del meridiano centrale, e si rappresentano i paralleli sui circoli, aventi i centri su codesta retta e i raggi a cotang ϕ. Ma mentre nella prima si conservano le distanze anche su tutti i paralleli, talché dei meridiani solo quello centrale sega i paralleli sotto angolo retto, nella proiezione rettangolare inglese si rinuncia alla conservazione delle lunghezze lungo i paralleli, per far sì che tutti i meridiani seghino sotto angolo retto tutti i paralleli. Conseguentemente le lunghezze restano inalterate soltanto lungo il meridiano centrale e l'equatore.
17. Cenni di cartometria. - Si designa con questo nome l'insieme di quei procedimenti grafici e numerici, che permettono di rilevare, in base a misurazioni sulla carta (e, naturalmente, in via approssimata), le misure di grandezze obbiettive sulla sfera terrestre (distanze, angoli, aree). In codeste misurazioni bisogna tener conto della scala, che, per lo più anche in forma grafica, è segnata sulla carta. Ma ben si comprende, che poiché la rappresentazione della sfera terrestre o di una sua regione sulla carta non è mai isometrica (n. 6), questa scala vale soltanto per le distanze lungo linee speciali (linee isoperimetre per la rappresentazione del globo), cioè lungo linee, su cui si conserva costante il rapporto fra distanze obbiettive e loro immagini. Tale è spesso, come si è visto negli esempî di proiezioni considerati pocanzi, il meridiano centrale. Quando poi si tratta di distanze lungo altre linee, bisogna tener conto, oltre che della scala, anche del modulo lineare della proiezione adottata, il quale, come si è chiarito dapprincipio, varia in generale da punto a punto, e, in un medesimo punto (se la rappresentazione non è conforme), dall'una all'altra direzione.
Risulta altresì dal n. 4 come dalla conoscenza dei moduli lineari si possa risalire a quella dei moduli angolari e areali e quindi alla determinazione di angoli e di aree terrestri in base alla misurazione diretta sulla carta delle rispettive immagini. A tale scopo si ricorre nella pratica a procedimenti approssimati, sufficientemente spediti; ma su ciò, come pure sulla struttura e sull'uso di tavole numeriche ausiliarie, che per le proiezioni più importanti sono state calcolate una volta per tutte, rimandiamo il lettore ai trattati speciali.
V. tavv. LXXI-LXXIV.
Bibl.: Oltre i trattati di geometria differenziale (v. superficie): M. Fiorini, Le proiezioni delle carte geografiche, Bologna 1881; P. Pizzetti, Trattato di geodesia teoretica, Bologna 1905; A. Germain, Traité des projections des cartes géographiques, Parigi 1866; A. Tissot, Mémoire sur la représentation des surfaces et les projections des cartes géographiques, Parigi 1881: rifacimento tedesco di E. Hammer, Stoccarda 1887; Th. Craig, A treatise on projections, Washington 1882; N. Herz, Lehrbuch der Landkartenprojektionen, Lipsia 1885; K. Zöppritz e A. Bludau, Leitfaden der Kartenentwurfslehre, 2ª ed., voll. 2, Lipsia 1899, 1908; H. Wagner, Lehrbuch der Geographie, 7ª ed., I, Hannover 1903: traduzione ital., Torino 1911; R. Bourgeois e Ph. Furtwangler, Kartographie (1909), in Encyklopädie der mathematischen Wissenschaften, VI, i, Lipsia 1906-25; C. H. Deetz e O. S. Adams, Elements of map projection with applications to map and chart construction, Washington 1921; E. Bortolotti, Sulle carte geografiche, in periodico di matematiche, s. 4ª, III (1923).