CARTOGRAFIA
La c. costituisce da sempre uno dei mezzi più efficaci di informazione sui fenomeni fisici e antropici, essendo trasmessa dalla percezione visiva. È per questo che l’idea della rappresentazione grafica di un insediamento e del suo contesto territoriale viene attuata molto presto, pur risultando difficile dire quando si possa parlare di carte vere e proprie.
Benché venga da alcuni proposto di inserire come discriminante la presenza di un rapporto dimensionale grafico (Dilke, 1985), sarebbe arduo non considerare come il più antico esempio di c. conservatoci una pittura parietale del 6200 a.C. scoperta a Çatal Hüyük (Anatolia centrale): un agglomerato di case disposte ortogonalmente e sovrastate da un vulcano in eruzione. I dubbi sull’identificazione con l’insediamento di Çatal Hüyük non inficiano il valore della rappresentazione, che sembra conservare un rapporto scalare approssimativo ma costante.
La Mesopotamia risulta la regione più ricca di documentazione cartografica, con ovvia relazione al materiale usato: per lo più tavolette d’argilla per piante di edifici (sia privati, sia religiosi) e di terreni, dal periodo accadico al tardo sumerico (seconda metà del III millennio), ovvero pietra, per delimitazioni particellari incise su cippi di confine, circoscrivibile al periodo post-cassita (XII sec. a.C.). L’aggiunta di misure, supplente alla mancanza di scala, e l’associazione con descrizioni particolareggiate delle proprietà sia immobiliari, sia agricole, individuano proprio nell’aspetto legale la funzione primaria della c., come sarà desumibile anche successivamente e in aree geografiche diverse.
Riguardo ad ambiti tematici differenti, è ovvia la considerazione che le spedizioni militari, o le esplorazioni a scopo commerciale, abbiano offerto un forte impulso alla redazione sia di carte topografiche e geografiche - anche se appare relativamente tarda (600 a.C. circa) la «Carta del Mondo» con le regioni fino ad allora conosciute (Babilonia) - sia di elenchi di siti ed elementi fisici, che sostituissero eventualmente le prime, anticipando di vari secoli la realizzazione di itinerari.
Al 2300 a.C. risale una mappa corografica di un’area a N di Babilonia (Gar-Sur); ma forse l’esempio più interessante è posteriore di circa dieci secoli e riguarda la città di Nippur, con la raffigurazione delle mura e delle porte della città, il tèmenos rincipale, l’Eufrate, i canali. Dalla Mesopotamia proviene anche uno dei primi esempi (c.a 2150 a.C.) di pianta con scala grafica: la statua seduta di Gudea di Lagaš, dedicata a Ningirsu, reca sulle ginocchia una tavoletta; su di essa è scolpita una cinta muraria, provvista di contrafforti e di 6 porte, che delimita una superficie completamente vuota ed è inquadrata da riga e monaco. L’aggiunta di questi ultimi elementi deve essere però più probabilmente riferita alla fervida attività di costruttore svolta da Gudea, testimoniata dall’iscrizione che copre quasi tutta la statua. Nel IX sec. a.C. la documentazione cartografica si arricchisce di schizzi di accampamenti su bassorilievi assiri.
Dal punto di vista tecnico sembra già evidenziarsi una simbologia univoca che resterà sostanzialmente uguale anche in seguito (p.es. la linea doppia per lo spessore murario e per fiumi o canali distinti dal nome, uno spazio per le porte, una X per indicare un errore, come si può osservare sulla pianta di una casa nel papiro n. 2406 di Ossirinco, del Il sec. d.C.); invece l’orientamento, che in area babilonese sembra per lo più definito a NO (Unger, 1935; a S secondo altri studiosi), risulta specifico per ogni differente ambito geografico. Il supporto argilloso utilizzato in Mesopotamia ha generalmente costretto l’esecutore a evitare il più possibile linee curve, che risultano quindi limitate a poche esemplificazioni di campiture interne di fiumi e canali (come nel frammento della mappa di Babilonia con il sobborgo Tuba, del IV sec. a.C.).
Al contrario, la base cartografica utilizzata dai cartografi egiziani - il papiro - non presentava problemi di risoluzione grafica. E però da rilevare che la maggior parte della documentazione più antica conosciuta riguarda raffigurazioni dell’aldilà (sarcofagi dipinti da el-Borša, c.a 2000 a.C.) o cosmografiche (tombe reali della XVIII-XX dinastia e pitture dal XV sec. a.C. in poi). Quasi unica resta la carta della «Miniera d’Oro» del 1300 a.C., che illustra con l’ausilio dei colori, su papiro, la regione tra il Nilo e il Mar Rosso con definizione di elementi fisici (colline, wādī) e antropici (strade, monumenti, case). Si ha tuttavia documentazione dell’attività agrimensoria egiziana svolta a fini fiscali in relazione ai terreni inondati sistematicamente dalle acque del Nilo (affreschi della Tomba di Menna a Šeikh ‘abd el-Qurna - Tebe, della Tomba di Mes a Saqqara). Sono inoltre documentati anche esempi di piante di tombe con elementi misurati tracciate su papiri od òsrtaka.
Esulano forse dall’ambito strettamente cartografico rappresentazioni grafiche ottenute dalla contaminatio fra pianta e prospetto, tra cui si possono annoverare, tra il 1500 e il 1000 a.C., disegni di edifici o di città sempre dall’Egitto, e il noto affresco dalla «Casa dell’Ammiraglio» da Akrotiri, Thera.
Il legame tra il mondo greco e quello egiziano attestato da Erodoto (II, 109) per il sistema di rilevamento e di registrazione di appezzamenti di terreno, è con ogni probabilità estendibile alla redazione di cartografie. Il lessicografo Arpocrazione annota che in periodo classico ad Atene i demarchi avevano copie dei catasti particellari dei propri demi; conferma ne sarebbe anche il ricordo di piante di lotti agrari nelle Nuvole di Aristofane. Hòroi iscritti di età classica e atti di vendita di terreni del periodo seleucide, così come la definizione regolare delle città greche, non sono anch’essi che elementi indiretti per la ricostruzione di un’attività cartografica in ambito urbano. Rilevante è dunque la presenza della pianta di una miniera su roccia, all’ingresso della stessa, risalente al IV sec. a.C. (Thorikos, Attica).
Per quanto riguarda le carte geografiche è certo comunque che anche nel caso della Grecia le spedizioni militari (principalmente quella di Alessandro Magno) abbiano contribuito alla diffusione della conoscenza delle nuove regioni tramite rappresentazioni cartografiche (Herodot., V, 49, 51). Nello stesso ambito greco si riscontra una continuità della tradizione di studi geografici che soprattutto attraverso l’opera di Anassimandro (riconosciuto redattore della prima carta del mondo: Strab., I, I, 4, Il e 38; Diog. Laert., Il, 1-2; Agathem., I, I) ed Ecateo ma anche di Erastotene, Strabone, Marino di Tiro, Tolemeo (dal VI sec. a.C. al Il d.C.) viene perpetuata nelle epoche successive.
Tali conoscenze che sicuramente prevedevano redazioni cartografiche (πίνακες) ripetutamente rettificate e piuttosto diffuse (Aristoph., Nub., 200 ss.; Aristot., Meteor., II, 6; Gem., Phaen., XVI, 5-6; Herodot., IV, 36; Plut., Alc., XVII, 6, e Nic., XII, I; Ptol., Geog., I, 6 e 19; Strab., Il, I, 2; Il, 4, I; lI, 5), sono giunte solo attraverso le interpretazioni medievali: dalle carte T in O (Terra completamente circondata dall’Oceano) - di cui la più fine è senza dubbio l’articolato esemplare della Mappa Mundi (XIII sec.) conservato nella cattedrale di Hereford (Gran Bretagna) - alle carte che corredano i manoscritti della Geographia di Tolemeo dal XII sec. in poi.
Particolare documentazione di tale settore cartografico sono a diverso livello la «carta» di Eforo - uno schema della quadripartizione della terra e del cielo riportato da Cosma Indicopleuste nel VI sec. d.C. - e una moneta coniata a Efeso nella seconda metà del IV sec. a.C. da Memnone di Rodi, sulla quale è leggibile una carta della regione interna efesina. In Italia le incisioni rupestri che costituiscono la c.d. Mappa di Bedolina (Val Carnonica) delle Età del Bronzo e del Ferro, riconfermano l’autonomia del mezzo informativo cartografico dalla scrittura. Il salto cronologico fino alla documentazione presente nel mondo romano non è sicuramente un plausibile argomento ex silentio per stabilirne l’inesistenza.
Il ricordo delle fonti di varie carte regionali appese alle pareti dei templi o portici riporta alla particolare funzione celebrativa che aveva la rappresentazione del mondo conosciuto nell’ambito romano e chiarisce l’impossibilità di ritenerla corredo grafico di un volume sia per il supporto scelto (legno, pareti) sia per le sue dimensioni. Così d’altra parte era stato anche nel mondo ellenistico che aveva visto i πίνακες geografici appesi alle pareti dei portici (Diog. Laert., V, 51; Apoll. Rhod., IV, 272-281; Paneg., 9, 20). Appare perciò naturale la collocazione della carta della Sardegna nel Tempio di Mater Matuta (da Tiberio Gracco nel 174 a.C.: Liv., XLI, 22, 8-9), di una forma agrorum della Campania nell’Atrium Libertatis (da P. Cornelio Lentulo nel 162 a.C.: Gran. Lic., 28), di una Italia Picta nel Tempio di Tellus (Varro, Rust., I, 2, I), oltre alla ben nota carta del mondo di Agrippa all’interno della porticus Vipsania (Plin., Nar. hist., III, 17). La monumentalità di tali raffigurazioni ribadisce dunque che la c. geografica tra il I e Il sec. è ancora una scienza di tradizione greca, adattata gradualmente alla mentalità romana. Si pensi p.es. all’orientamento - a E per i Greci, quasi univocamente a S per i Romani (Castagnoli, 1975; Prontera, 1986) - o allo sviluppo che avrà la c. itineraria.
I versi di Ovidio (Met., V, 189; XIII, 110) che ci informano sull’abitudine dei soldati di decorare il proprio scudo con le mappe dei luoghi attraversati, appaiono riecheggiati circa due secoli dopo dall’itinerario disegnato su uno scudo rinvenuto a Dura Europos e preannunciano la diffusione che avrebbero avuto questi tipi cartografici.
La rappresentazione di percorsi, tale da fornire attraverso una serie di segni convenzionali un insieme corposo di informazioni, costituirà un sistema pratico di guida, spesso sganciato dalle distanze reali, che non verrà più abbandonato (v. oggi analogamente i grafici per i percorsi stradali, ferroviari, sotterranei, ecc.).
Tra gli itineraria picta, come furono definiti da Vegezio alla fine del IV sec. (Mi., III, 6), senza dubbio il modello più complesso è la Tabula Peutingeriana, copia medievale (XIII sec. ?) di un originale che nella tarda età imperiale presenta il mondo conosciuto dai Romani. Le originarie caratteristiche di esecuzione (un rotolo lungo probabilmente m 7,40 nella sua interezza e alto cm 34) ne chiariscono la finalità e l’uso pratico, spiegando nel contempo le cause deformanti della raffigurazione; è bene però ricordare che la sproporzione illustrativa tra terre più o meno note deriva direttamente da un concetto greco: l’approfondita conoscenza di alcune aree ne giustifica la minuziosa e ampia raffigurazione, al contrario la sommarietà delle notizie per altre ne giustifica il limitato spazio grafico (Strab., I, I, 16, 9 e 19, II; Ptol., Geogr., VIII, I, 2-5).
Su questa linea si pongono anche alcune «vignette» della Notitia Dignitatum (fine IV sec. d.C.) e i successivi itineraria picta sia marittimi sia terrestri, tra cui vale la pena ricordare quello di Matteo Paris sul percorso da Londra all’Apulia della seconda metà del XIII secolo.
Sul piano delle mappe urbane (parcellari, globali o di singole proprietà) la notevole attenzione dello spirito romano all’aspetto legale deve aver spinto a utilizzare molto presto lo strumento grafico per la definizione di problemi giuridici nei rapporti privati o con lo Stato. Benché la menzione di eborea o lignea (modelli) di città vinte eseguiti per i trionfi (Cic., Phil., VIII, 6; 18; Quint., Inst., VI, 3, 61) non sia perfettamente attinente al tema, pure dà prova di una certa familiarità con la riproduzione in scala dell’elemento urbano. Sempre nell’ambito della prima metà del I sec. a.C. la Tabula di Heraclea lascerebbe individuare per il settore della manutenzione urbana una base cartografica in aggiunta alla registrazione delle proprietà (Nicolet, 1987). La parola forma, che definisce la carta disegnata dagli agrimensori, è documentata dall’età della legge agraria (III a.C.) fino alla fine dell’impero romano; dalle fonti letterarie che più ampiamente ne trattano, il Corpus Agrimensorum, risulta essere un documento ufficiale dell’assegnazione dei lotti coloniali, redatto in scala e in doppia copia bronzea (una conservata localmente, l’altra presso il Tabularium imperiale). Il Corpus Agrimensorum, raccolta di scritti di differente cronologia (I-VI sec. d.C.), ci è giunto attraverso vari manoscritti (tra i principali e più antichi, Arcerianus A e B del VI sec., Palatinus e Gudianus del IX sec.) corredati da illustrazioni che presentano un’associazione di piante e vedute prospettiche, e mancano delle caratteristiche tecniche delle formae quali si possono dedurre dalle fonti. E probabile che siano state aggiunte al testo a scopo didattico o dimostrativo, ma restano comunque tra le rare testimonianze della c. romana, poiché sono andati ovviamente perduti i documenti originali in bronzo.
Il significato eminentemente giuridico delle piante nel mondo romano viene richiamato costantemente dalle fonti. In particolare, iscrizioni del periodo di Vespasiano riportano alla conoscenza della forma per il ripristino dei giusti confini tra area pubblica e privata per Arausio, Pompei, ager Cannensis, ager Dianae Tifatinae (Piganiol, 1962; CIL, X, 1018; Epigraphica, lI, 1940, p. 63; CIL, X, 3828). Collegati all’iscrizione di Arausio sono i vari frammenti che compongono il c.d. Catasto di Orange, del 77 d.C. Tali planimetrie, sia per il rapporto scalare (1: 6130), sia per le sigle e i numeri presenti, costituiscono uno dei rari documenti di pianta redatta a scopo fiscale, ma che lascia trasparire quale doveva essere la forma originaria del territorio assegnato alla colonia.
L’attenzione di Vespasiano per il recupero delle aree pubbliche usurpate dai privati induce a riconsiderare seriamente l’esistenza di una «carta» della città di Roma antecedente alla Forma Urbis severiana.
La Forma Urbis Romae, anch’essa su marmo, eseguita tra il 203 e il 211, resta il più completo tra i documenti cartografici antichi. Il rapporto dimensionale (1: 240) la assimila ai parcellari odierni, cioè alle carte che danno, a livelli differenti, la suddivisione interna dei singoli edifici, entro ogni isolato componente il centro urbano. Ben più vicino alle moderne rese cartografiche è il frammento di un’altra lastra marmorea relativa a una zona del Ghetto di Roma (Vicolo de’ Cenci) che, per la sua cronologia (prima metà del II sec. d.C.), dovrebbe costituire un antecedente operativo settoriale della Forma Urbis severiana. L’identico rapporto scalare (1: 240) con la specifica grafica degli spessori murari, la presenza di misure di riferimento alla riva del Tevere e di nomi dei proprietari rendono plausibile che si tratti, in questo caso, di uno strumento cartografico per l’amministrazione del fiume.
Analoga simbologia grafica presentano due piante di edifici incise su marmo, provenienti da Via Labicana e dall’Isola Sacra. Schemi più vicini a quelli della Forma Urbis offrono invece la c.d. Pianta di Urbino e un’altra del museo di Perugia corredata da indicazioni modulari. È da ricordare inoltre la pianta di un edificio termale (da Via Marsala, Roma) risolta in mosaico e con numeri di riferimento alle dimensioni degli ambienti. Peraltro, gran parte della documentazione pervenutaci sul tema cartografico non sembra essere il prodotto del rigore tecnico delle formae, bensì risulta più assimilabile al concetto di adattamento del soggetto reale alla funzione decorativa e su questo argomento le esemplificazioni sono numerose. Le più pertinenti e aderenti alla topografia reale del centro cui si riferiscono restano alcuni mosaici (Madaba, Gerasa) e i vasi vitrei della serie Puteoli, che nella presentazione prospettica degli elementi urbani o territoriali documentano una certa aderenza ai canoni cartografici.
Esulano dal tema specifico altre rappresentazioni di edifici, città e paesaggi che utilizzano i più vari supporti per fini propagandistici, commemorativi, decorativi, ecc., ma mancano delle caratteristiche tecniche cartografiche (dalla Colonna di Traiano ai piatti d’argento di Kaiseraugst, dalla Tomba degli Haterii al Larario di L. Cecilio Giocondo a Pompei, alle monete neroniane e traianee con la raffigurazione del porto di Ostia, ecc.).
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