CARTOGRAFIA
La c. ha per oggetto la rappresentazione ridotta della superficie terrestre, in cui si riflettono, nelle varie poche, le diverse concezioni del mondo. Sebbene i documenti geografici dell'Antichità (pervenuti attraverso copie medievali) si limitino all'atlante di Tolomeo e alla tavola Peutingeriana, le fonti letterarie consentono comunque di ripercorrere le varie tappe della storia della cartografia. All'interno di quest'ultima il mondo greco si distingue per il suo atteggiamento speculativo, a partire dagli itinerari marittimi dell'età arcaica (Períploi), via via perfezionati con il progredire delle conoscenze matematiche e astronomiche, fino a raggiungere il livello di massima compiutezza nella rappresentazione dell'oikuméne di Tolomeo (ca. 140 d.C.); il mondo romano si caratterizza invece per l'impostazione eminentemente pratica e guarda alle carte solo nella misura in cui queste sostengono gli interessi dello Stato, guidando le operazioni militari (Vegezio, Epitoma rei militaris, III, 6) e facilitando l'amministrazione delle province. L'orbis pictus, ossia la raffigurazione dell'intera Terra conosciuta, che Augusto ordinò di compilare a Marco Agrippa e che fu esposto al pubblico nella porticus Vipsania in Campo Marzio, divenne il testo cartografico ufficiale della Roma imperiale (Plinio, Nat. Hist., 3, 1, 17; Dione Cassio, LV, 8, 4), costituendo la base grafica dei futuri atlanti. Un notevole esempio di questo genere di carte (itineraria picta) è offerto dalla celebre tavola Peutingeriana, che, con grande ricchezza di dettagli, fornisce ogni sorta di informazione utile per spostarsi all'interno dell'impero - le principali strade, le distanze fra le località, le catene montuose, le vie fluviali -, ma che contiene anche una serie di annotazioni fantastiche relative alla situazione antropica e ai luoghi misteriosi dove si diceva che nascessero per es. i cinocefali, gli elefanti o gli scorpioni. È soprattutto a questa carta, pervenuta in una copia del sec. 12°-13° (Vienna, Öst. Nat. Bibl., Vind. 324) ma risalente probabilmente al sec. 5°, che si riferisce la produzione geografica medievale e in particolare la mappa mundi, che perde ogni intento di esattezza o veridicità per divenire la summa in cui si compone visivamente il quadro di un'intera società, con i suoi motivi storici, leggendari, immaginari, i suoi particolari modi di esprimersi e di localizzarsi.In ambito medievale la concezione del mondo fu subordinata a una visione religiosa dell'esistenza che elesse la Bibbia a fonte di conoscenza. Questo atteggiamento, trasferito sulle carte geografiche, determinò una netta cesura nei confronti dell'Antichità, poiché la rappresentazione della Terra venne filtrata attraverso la lettura del testo sacro e perse qualsiasi finalità sia pratica sia speculativa per acquisire invece una valenza ideologica.Nell'Occidente cristiano la misurazione della Terra, che secondo tradizioni antiche avrebbe avuto origine proprio mentre nasceva Cristo (Lc. 2,1; Brincken, 1970, p. 250) - come ricordano una miniatura contenuta nel Liber floridus di Lambert de Saint-Omer (1120-1125; Parigi, BN, lat. 8865, c. 34r; Miller, 1895-1898, III, fig. 6, p. 44) e più tardi il mappamondo della cattedrale di Hereford, del 1285 ca. -, divenne lo specchio delle rappresentazioni mentali di chi la eseguiva: non più copia del mondo, ma imago mundi. Le conoscenze geografiche, filtrate attraverso la lezione divina, divennero codificate e la loro traduzione grafica non fu meno rigida e stereotipa, tanto che le immagini si ripeterono nelle carte per oltre mille anni, con una fissità iconografica pressoché assoluta. È dunque impossibile cercare di individuare nella produzione cartografica medievale un'evoluzione cronologica che rifletta il progressivo ampliamento degli orizzonti geografici, poiché il dato sperimentale o empirico non penetrò nelle mappe del mondo. Il testo biblico che più direttamente influenzò il pensiero geografico è, ovviamente, quello della Genesi, che, narrando l'origine del mondo e la suddivisione della Terra fra i tre figli di Noè, consolidò la visione tripartita dei continenti derivata dall'Antichità e suggerì il passaggio alla compilazione di diagrammi che schematizzarono tale visione in modelli rigidi e semplificati. A partire dal sec. 8° prese avvio la tradizione delle carte dette O-T, perché raffiguranti appunto una O con inscritta una T; la O individua l'orbis terrarum, la Terra abitata, mentre il braccio verticale della T rappresenta il Mediterraneo, che divide l'Europa dall'Africa, e quello orizzontale i fiumi Tanais e Nilo, che limitano inferiormente l'Asia, estesa all'intera metà superiore del cerchio (Andrew, 1924-1925, tav. VIII, fig. 1a; Frugoni, 1983, fig. 4). Questo tipo di carte, già contenute in forma schematica in manoscritti delle opere di Lucano (Pharsalia; Wolfenbüttel, Herzog August Bibl., Guelf. 325 Gud. lat., c. 109v; Ruberg, 1980, fig. 1, p. 586) e di Sallustio (Bellum Iugurthinum; per es. Lipsia, Universitätsbibl., 1607, c. 1), venne adottato dalle principali auctoritates medievali. Il diagramma O-T entrò così a far parte della cultura ufficiale del Medioevo, consolidando la propria fortuna iconografica.La tripartizione dell'orbis fu una sigla del mondo cristiano occidentale; ne sono testimonianza per es. Agostino d'Ippona, che interpretò lo schema in chiave spirituale e ne esaltò la perfezione (De civ. Dei, XVI, 17), e Isidoro di Siviglia, il quale aggiunse alla tripartizione della Terra i dati essenziali per la costituzione di una schematica etnografia che faceva capo alla divisione del mondo fra i figli di Noè (Etym., XIV, 3, 31; 3, 34; 4, 2; 5, 3; 6, 8; Miller, 1895-1898, III, p. 117). Alcuni diagrammi contenuti nelle Etymologiae manifestano una stretta aderenza al testo biblico, presentando anche i nomi dei figli di Noè all'interno di ciascun continente a essi assegnato.Talvolta, ma assai raramente, la suddivisione della Terra può essere rappresentata da una Y, come si vede, per es., in una raffigurazione del commento di Macrobio al Somnium Scipionis di Cicerone (Andrew, 1924-1925, tav. IX, fig. 1). Altre volte, invece, la forma del mondo si trasforma in un quadrato (Isidoro, Etym., XIII, 16, 7). L'idea del mondo, dunque, era assai confusa e l'ambivalenza delle raffigurazioni è imputabile proprio agli influssi del testo biblico, che definisce talvolta la Terra come orbis, cioè come cerchio, mentre in altri casi nomina i suoi quattuor cardines, che alludono al quadrato. La contraddizione fu notata da Rabano Mauro (De Universo, XII, 2; PL, CXI, col. 333) e risolta nell'immagine del quadrato entro il circolo. In alcune carte geografiche tale concezione traspare dalla disposizione della stessa figura di Cristo inscritta nel cerchio della Terra, con il capo, i piedi e le mani che individuano i quattro angoli del quadrato, tracciando idealmente una croce ("ipsa species crucis quid est nisi forma quadrata mundi?" argomentavano già alcune testimonianze diffusesi nel sec. 7°; Frugoni, 1983, p. 241).La stessa impostazione contrassegnava il gigantesco planisfero dell'abbaziale di Ebstorf, del 1240 ca. (distrutto nel 1943; già Hannover, Niedersächsisches Hauptstaatsarch.; Miller, 1896), e guidava l'intero trattato che Ugo di San Vittore dedicò all'ideazione di una machina universitatis: il De arca Noeh mystica (PL, CLXXVI, coll. 681-704). È evidente in ogni caso il carattere convenzionale dell'orbis terrarum, che viene rappresentato - secondo la visione biblica (Is. 40, 22) - come un disco piatto, anche quando il concetto della sua sfericità è ormai acquisito. Sebbene quasi tutti gli autori dell'Antichità, a partire dal sec. 5° a.C., ritenessero la Terra un globo (così i Pitagorici e Platone, quindi Aristotele; Tolomeo, Alm., I, 4; Plinio, Nat. Hist., 2, 64, 160) e la teoria della sfericità, attraverso Marziano Capella (De nupt. Merc. et Phil., VI, 590-698), fosse penetrata anche nel mondo medievale, con il consolidarsi del pensiero cristiano la fortuna di tale visione si arrestò. L'esistenza di zone eventualmente abitate nell'altro emisfero sembrava contraddire la comune origine assegnata dalle Sacre Scritture (At. 17, 26) a tutto il genere umano. Non si riusciva infatti a comprendere come alcuni uomini avessero potuto penetrare in quelle terre superando la cintura dell'oceano, ritenuta invalicabile e, pure accettando tale eventualità, la supposta difformità di quegli esseri rimaneva inconciliabile con la discendenza da Adamo e dai figli di Noè (Agostino, De civ. Dei, XVI, 8). La concezione sferica della Terra diede così avvio alla spinosa 'questione degli antipodi' e al tormentato problema della 'redenzione impossibile' a essa connesso. I Padri della Chiesa negarono, quasi all'unanimità, l'esistenza degli antipodi e tentarono poi di mediare, con soluzioni anche fantasiose, le concessioni che talvolta riservarono alla sfericità della Terra. Una confusione etimologica, peraltro, si generò in ambito medievale proprio in relazione al termine antipodi. La parola era impiegata fin dall'Antichità nell'accezione etnografica e solo più tardi assunse il senso geografico che ancora conserva. Nel Medioevo i due significati del termine coesistettero e gli stessi autori che respingevano l'esistenza di quegli antipodi che, seguendo Isidoro di Siviglia, "contrarii esse vestigiis nostris putantur, ut quasi sub terra positi adversa pedibus nostri calcent vestigia" (Etym., IX, 2, 133), non ostacolavano poi, o addirittura avallavano le fantasie etnografiche che narravano di popoli mostruosi posti ai confini del mondo, ricettacolo di tutte le condizioni anormali e straordinarie. Significativa a tale riguardo fu la testimonianza dello stesso Isidoro, che, pur respingendo la teoria degli antipodi geografici, annoverava il popolo degli antipodi fra le proprie fantasie antropiche (Etym., XIV, 5, 15-17). Isidoro parla di un quarto continente posto oltre l'oceano, che costituisce il vincolo cosmico che avvolge l'intera ecumene, il limite estremo del mondo conosciuto, senza che ciò comporti di necessità la sfericità della Terra. Non è raro infatti il caso in cui la regione degli antipodi - posta talvolta a ridosso della lontana Etiopia e non ben separata dall'India, a definire un incerto Sud-Est pieno di meraviglie, oppure più nettamente staccata da questa tramite l'interposizione dell'oceano equatoriale - costituisca più un'entità mitica che un concetto geografico. Esempi di questo tipo sono forniti dal Salterio di Londra (BL, Add. Ms 28681) - che offre un ampio repertorio delle razze mostruose, rappresentando ai confini del mondo antropofagi, himantopodi, acefali e altri - e dai grandi planisferi dell'abbaziale di Ebstorf e della cattedrale di Hereford.A metà strada fra la concezione ecumenica delle mappe e la visione sferica del mondo si collocano le c.d. carte di Beato, quelle cioè derivate dai Commentari all'Apocalisse di Beato di Liébana. Qui il quarto continente non raggiunge le proporzioni di un secondo emisfero, ma una scritta al suo interno avverte che ci si trova nella parte "ab ardore solis incognita nobis et inhabitabilis"; in particolare in un codice di Burgo de Osma (Catedral, Bibl., 1, cc. 35v-36r), un solitario sciapodo, costretto a giacere supino e a farsi ombra portando l'unico piede sopra la testa, è scelto significativamente a rappresentare gli antipodi, come per tradurre visivamente una disinvolta etimologia (Frugoni, 1983, p. 239, fig. 7). Decisamente chiarificatore, infine, è l'esempio fornito da una carta nel Liber floridus di Lambert de Saint-Omer, del 1120 (Gand, Bibl. van de Rijksuniv., 92, cc. 92v93r), in cui la concezione sferica della Terra è resa evidente dalla presenza dei due emisferi: l'uno riservato alla raffigurazione del mondo conosciuto, tipicamente tripartito, e l'altro destinato alla "zona australis filiis Adae incognita temperata antipodorum". Ai limiti dell'emisfero boreale si trova però anche l'isola in cui "antipodes nostri habitant", e dunque l'ambivalenza del termine è risolta attraverso la compresenza di entrambe le soluzioni (Miller, 1895-1898, III, p. 45, fig. 8). In ambito ecclesiastico, comunque, la 'questione degli antipodi' non venne mai abbandonata e anche papa Zaccaria (741-752) intervenne nella polemica, definendo perversa et iniqua la teoria che ammetteva che "alius mundus, et alii homines sub terra sint, seu sol et luna" (Ep., XI; PL, LXXXIX, coll. 943-948: 946-947). Ciò non bastò però a chiudere il dibattito che, con un filo ininterrotto di asserzioni e negazioni, percorre tutto il Medioevo. Furono soprattutto le teorie di Macrobio e di Marziano Capella, ripristinate a qualche secolo di distanza, a suscitare confronti e a scatenare polemiche. Nell'Opusculum contra Wolfelmum Coloniensem di Manegoldo di Leutenbach (PL, CLV, coll. 149-176: 154-155), infatti, sono soprattutto le opinioni di Macrobio osteggiate come fonte di eresia. Secondo Macrobio il corso del Sole individua nel globo cinque zone: inabitabili i freddissimi poli e il torrido oceano, temperate e dunque abitate le altre due, ossia le parti conosciute della Terra e la Terra degli antipodi. L'influenza di questo autore, soprattutto nei secc. 11° e 12°, è evidente in alcune carte geografiche, come per es. quella inserita nel testo di Macrobio (Londra, BL, Harley 2772, c. 70v), le carte inserite nel Dragmaticon di Guglielmo di Conches, morto intorno alla metà del sec. 12° (Montpellier, Bibl. Interuniv., II, c. 145), e nel De sphaera di Giovanni da Sacrobosco, composto nel 1220 (Parigi, BN, lat. 10227, c. 77).In ogni caso, l'aspetto più significativo delle carte geografiche medievali è costituito dalla valenza ideologica sottesa alle loro rappresentazioni, che possono articolarsi in programmi complicati o limitarsi a esporre indicazioni selezionate, ma che svolgono quasi sempre una specifica azione di indottrinamento religioso. In alcune carte derivate dai Commentari all'Apocalisse di Beato di Liébana, per es., viene privilegiata la raffigurazione del passo dedicato alla diaspora degli apostoli (Miller, 1895-1898, I, p. 7). L'invito a catalogare le aree evangelizzate dagli apostoli favorisce gli excursus geografici e infatti nella carta contenuta nel citato codice di Burgo de Osma si trovano disseminati nei tre continenti i volti dei dodici apostoli e sotto a questi le loro tombe, poste a testimoniare dove essi furono sepolti.Talvolta dalla mappa mundi scompare addirittura ogni connotazione geografica all'interno dei tre continenti, per lasciare spazio esclusivamente alla storia sacra, sia essa scritta o raffigurata. È il caso di una miniatura della metà del sec. 11° che commenta l'inizio del Vangelo di Giovanni nella Bibbia di Londra (Colonia, Univ.- und Stadtbibl., Bibl. 94, c. 154v; Frugoni, 1983, fig. 8). L'immagine raffigura l'intero creato con i quattro elementi - ignis, aer, mare, terra - e il Cristo cosmocrator seduto fra il cielo e la Terra, secondo l'indicazione di Is. 66, 1; il disco piatto dell'ecumene, tipicamente tripartito, presenta in alto uomini e angeli che lodano il Signore e nella parte bassa i pagani che adorano un idolo, da un lato, e Giovanni che battezza le folle, dall'altro. Qualche volta le carte si trasformano addirittura in compendi teologici, come nel caso della Biblia tabulata - la Historia figuralis ab origine mundi usque ad 1272 - eseguita da Girardo di Alvernia per papa Gregorio X. Generalmente, però, l'intento didattico di una carta destinata a un pubblico vasto e indifferenziato emerge proprio dalla combinazione di note geografiche e di informazioni di altro genere, volte a illustrare la storia della redenzione, ma attente anche a motivi tratti da repertori diversi: la leggenda, il mito, il mondo meraviglioso dell'immaginario.Sono tre infatti i dati utili alla conoscenza dell'uomo medievale: i gesta con i loro protagonisti, i loca in cui si sono svolti e i tempora degli avvenimenti, come ricorda Ugo di San Vittore (Liber excerptionum, III, 1-7; PL, CLXXVII, coll. 191-284: 209ss.), che evidenzia, tra l'altro, l'utilità di individuare i loca proprio mediante tabula o pictura (Destombes, in Mappemondes, 1964, p. 145, n. 129). Le imprese e i luoghi "in quibus geste sunt" che ricorrono più frequentemente sono legati alla storia religiosa, anche se alcuni elementi mitici o leggendari non vengono trascurati, ma entrano con discontinuità nella produzione cartografica, presentando una quantità di citazioni diverse all'interno delle singole mappe. I luoghi fondamentali che segnano il percorso della salvazione umana diventano invece nelle carte geografiche un tópos ricorrente per tutta l'età medievale. La città di Gerusalemme diviene così il centro del creato (Isidoro di Siviglia, Etym., XIV, 3, 21; XV, 1, 5) e, ovviamente, le testimonianze della storia sacra pervadono soprattutto l'Asia. Il paradiso terrestre con i suoi quattro fiumi, il peccato dei progenitori, il monte Ararat con l'arca di Noè, Babilonia, Gog e Magog costituirono per secoli parte integrante della rappresentazione della Terra, definendo un itinerario preciso che dal peccato conduce alla fine del tempo umano, per schiudere poi l'animo dell'osservatore a una speranza di salvezza, all'attesa della redenzione. Un esempio significativo è fornito dalla citata carta di Hereford, dove le immagini che incorniciano la raffigurazione della Terra ritraggono un Giudizio universale e le quattro lettere disposte intorno al cerchio della Terra suggeriscono la lettura mors, alludendo alla precarietà della vicenda umana. Ai luoghi e alle azioni della tradizione sacra si univano le testimonianze lasciate dagli uomini; città e luoghi della storia e della leggenda erano posti sullo stesso piano: si raffiguravano Roma, le colonne d'Ercole, Troia e Alessandria, rappresentata dal suo faro. Né si trascuravano i prodigi, gli esseri meravigliosi, i luoghi favolosi, con i leoni e i serpenti. Ricca di stratificazioni si presenta allora la connotazione temporale: nelle carte, alla scansione cronologica degli eventi si sostituiscono immagini simultanee, accostate le une alle altre a rendere compresenti gli avvenimenti. L'unico tempo che scorre nella carta è dato dalla vicenda umana che inizia con il peccato e si conclude con il Giudizio, ma sarebbe impossibile collocare le singole azioni in un quando preciso, poiché è in Cristo che si compone la storia universale. Come ricordano alcune didascalie della perduta carta di Ebstorf, Cristo infatti è "alpha et omega, primus et novissimus", "usque ad finem fortiter et suaviter disponensque omnia". È dunque evidente la dipendenza da Dio - non solo in senso spaziale, ma anche temporale - che simili concezioni cosmografiche presuppongono (Frugoni, 1983, pp. 242-244). È significativa la raffigurazione di Cristo, che in certi casi sembra inglobare l'intera ecumene, mentre in altri casi troneggia come cosmocrator o come giudice (Londra, BL, Add. Ms 28681, c. 9r).La scelta dei motivi impiegati all'interno delle carte non segue regole prefissate; talvolta una singola raffigurazione o una didascalia valgono a rinviare verso mondi misteriosi e sconosciuti: così in una carta di un manoscritto custodito a Londra (BL, Cott. Tib. B.V, c. 56v; sec. 11°-12°) l'unico animale rappresentato è il leone, mentre nella carta dell'Imago mundi di Enrico di Magonza (Cambridge, C.C.C., 66, p. 2), il basilisco è posto a rappresentare le bestie meravigliose. Quando mancano le illustrazioni il compito di evocare luoghi ed esseri fantastici è affidato esclusivamente alle scritte, che ricordano, per es., i cinocefali, gli antropofagi e il bosco del pepe (silva piperis) nella carta di Enrico di Magonza o il leggendario oraculum solis et lunae e i meravigliosi Hipodes che equina crura habent nella carta inserita nel De situ di Girolamo (Londra, BL, Add. Ms 10049, c. 64r). Quando però la carta si rivolge a un pubblico più vasto e viene addirittura esposta all'interno di una chiesa, le immagini e le scritte si moltiplicano e rinviano a tutti i diversi reperti che compongono la storia universale del Medioevo: è il caso delle carte di Ebstorf e di Hereford, vere e proprie summae di un'intera epoca.È ovvio, naturalmente, che le varie mappae mundi non aiutavano il mercante o il pellegrino a spostarsi attraverso i territori, né gli uomini di mare durante la navigazione. Per i viaggiatori, che chiedevano alla carta di essere guidati entro spazi concreti e di poter valutare il tempo effettivo del loro percorso, vennero tracciati itinerari precisi con viaggi diretti a Roma, a Gerusalemme o a Santiago de Compostela, e per i marinai, che viaggiavano lungo le coste, si compilarono carte di uso specifico. Nella produzione cartografica relativa a interi paesi o regioni si distingue l'opera di Matthew Paris, che elaborò mappe di diverso genere, dimostrando sempre una particolare attenzione al dato reale. Oltre a una carta del mondo e a una carta dell'Inghilterra, egli tracciò anche alcuni itinerari - quello da Londra all'Apulia e quello da Tortona a Roma (Londra, BL, Royal 14.C.VII, c. 1r e v) - con l'indicazione delle varie località che si incontravano durante il viaggio, componendo una carta a strisce in cui si susseguono le diverse città, con le loro torri, le mura merlate, le cattedrali.In campo nautico si moltiplicarono, e via via si perfezionarono - con l'aggiunta di informazioni sempre più aggiornate - le carte marittime del Mediterraneo, dette portolani. L'origine di queste carte è incerta e non è possibile stabilire una loro derivazione diretta dai Períploi del mondo antico, ma è logico supporre che esse venissero impiegate molto prima della metà del sec. 12°, quando l'attività economica del Mediterraneo aveva ormai raggiunto punte di grande intensità e il loro uso doveva essere pertanto consolidato. Queste carte, pur parziali e redatte per scopi pratici, attestano i confini del mondo realmente conosciuto e, raccogliendo le testimonianze del passato, le aggiornano alla luce del progressivo ampliamento degli orizzonti geografici. I dati forniti dai marinai italiani in primo luogo e da quelli provenzali, catalani e portoghesi in seguito consentirono la raccolta di informazioni particolareggiate relative alle rotte e alle distanze reciproche delle località del bacino del Mediterraneo, delle coste occidentali dell'Europa e dell'Africa settentrionale. Si costituirono così vere e proprie scuole di c., fra le quali primeggiarono quella genovese e veneziana, divenute famose per la compilazione delle c.d. carte al compasso, ossia strutturate in base alle direzioni della rosa dei venti, impiegate come linee di riferimento fondamentali per il calcolo delle distanze itinerarie. La più antica carta nautica conosciuta è la c.d. Carta pisana (ma forse di autore genovese), che risale alla metà del sec. 13° (Parigi, BN, rés. Ge B III 8). I portolani aggiungono alla carta nautica la descrizione delle coste e degli approdi. Il più antico esempio medievale di questo genere di carte è il Compasso da navigare, composto in Toscana intorno alla metà del sec. 13°; assai significative sono anche le carte eseguite dai genovesi Pietro Vesconte (1311; Roma, BAV, Pal. lat. 1362A, cc. 5v-6r, all'interno del Liber secretorum fidelium Crucis di Marin Sanudo) e Angelino Dalorto (1325; Parigi, BN, lat. 4939, c. 9). I geografi catalani, istallati a Maiorca, privilegiarono la descrizione delle rotte dell'oceano e delle vie dell'Estremo Oriente; nel 1375 elaborarono una tavola comprensiva di tutti i mari del mondo, il c.d. Atlante catalano, offerto in dono al re di Francia Carlo V (Parigi, BN, esp. 30, cc. 3v-4r; Les fastes du Gothique, 1981, p. 360). A partire dal Trecento si iniziarono a compilare anche le c.d. carte continentali o di terraferma, che, oltre alle coste, rappresentavano con intento veridico anche le aree interne di singoli paesi o del mondo intero. In questo settore si distingue l'opera di Paolino Minorita, che fra il 1334 e il 1339 eseguì una carta d'Italia. Con il sec. 14°, peraltro, prese avvio l'età moderna nella redazione delle carte, basata essenzialmente sul ripristino dei principi geometrici e matematici di Tolomeo.
La carta contenuta nel Bellum Iugurthinum di Sallustio (Miller, 1895-1898, III, pp. 111-114, figg. 43-46), ripresa nei secc. 10°-14°, privilegia la raffigurazione delle città e dedica una particolare attenzione al continente africano.La carta O-T dell'Oriente compresa in un manoscritto di Girolamo risalente al sec. 12° è in realtà una raffigurazione del mondo, con simboli che alludono a fiumi, monti e città, frammisti ad alcune note che richiamano citazioni bibliche, ricordi leggendari o aspetti favolosi (Londra, BL, Add. Ms 10049, c. 64r).Nella carta di Orosio contenuta nel manoscritto di Albi (Bibl. mun., 29, c. 487, sec. 8°), all'interno del mondo tripartito, sono evidenziati il monte Sinai e la città di Babilonia (Miller, 1895-1898, III, pp. 57-58, fig. 12).Nella carta delle Etymologiae di Isidoro (Parigi, BN, lat. 7592, c. 120, sec. 8°; Miller, 1895-1898, III, pp. 116-118) la Terra è tripartita, ha forma rotonda o quadrata (Andrew, 1924-1925, tav. VIII, fig. 1b) con i nomi dei figli di Noè all'interno dei continenti.Nella carta di un manoscritto custodito a Londra (Cott. Tib. B.V, c. 56v), risalente al sec. 11°-12° (Miller, 1895-1898, III, pp. 29-37; II, tav. 10), il mondo, quadrato, è tripartito con all'interno simboli e vignette che alludono a fiumi, montagne, città. In Asia è raffigurato un leone con la scritta hic abundant leones; alcune note rinviano ai diversi repertori sacri e profani del Medioevo.Nella carta contenuta nel manoscritto di Enrico di Magonza, eseguita intorno al 1110 (Cambridge, C.C.C., 66, p. 2; Miller, 1895-1898, III, pp. 21-29, tav. 2; II, tav. 13; Ruberg 1980, fig. 3), quattro angeli posti agli angoli presentano il mondo ovale e tripartito; oltre a fiumi, montagne e città, è raffigurato un animale favoloso con la scritta che lo identifica come basiliscus. In alto, a E, uno schema circolare allude al paradiso con i suoi quattro fiumi; alcune note ricordano la storia sacra e particolari fantastici.Nei Geographica di Guido da Pisa, del 1119 (Bruxelles, Bibl. Royale, 3897; Miller, 1895-1898, III, p. 56, figg. 10-11), sono inserite una rappresentazione del mondo e una dell'Italia (cc. 51r, 1v), nelle quali l'autore si limita a fornire indicazioni topografiche e concede un'insolita importanza alla raffigurazione del Mediterraneo.Nella carta contenuta nel De statu Saracenorum di Guglielmo di Tripoli, del sec. 13° (Parigi, BN, lat. 5510, c. 109r; Miller, 1895-1898, III, pp. 121-122, fig. 53), il mondo è tripartito e all'interno dei continenti compaiono solo i nomi delle località.Varie carte corredano le opere di Matthew Paris (Miller, 1895-1898, III, pp. 68-94); in una carta dei Chronica maiora redatta intorno al 1250 (Londra, BL, Cott. Nero D.V, c. 1v) particolare attenzione viene dedicata alle indicazioni topografiche; nella Historia Anglorum è inserita una carta dell'Inghilterra (Londra, BL, Cott. Claud. D.VI, c. 1r); in un altro manoscritto della stessa opera figurano alcuni itinerari (Londra, BL, Royal 14.C.VII, cc. 2r-5r, 7r) e, in un secondo codice dei Chronica maiora, una carta della Palestina (Londra, BL, Cott. Tib. E.VI, c. 2r).Alcune carte ecumeniche presentano anche la regione degli esseri deformi. Tra queste va ricordata la miniatura del Salterio di Londra, databile agli inizi del sec. 13° (Londra, BL, Add. Ms 28681, c. 9r; Miller, 1895-1898, III, pp. 39-43; II, tav. 1; Ruberg, 1980, fig. 4a-b; Frugoni, 1983, figg. 12-13), dove compaiono in alto, fuori della carta, il Cristo cosmocrator con in mano il globo tripartito, fra due angeli incensanti, e in basso due draghi; intorno alla Terra si dispongono i dodici venti. Numerose sono le raffigurazioni tratte dai repertori sacri e profani del Medioevo; al centro del mondo è posta Gerusalemme, in alto una vignetta allude al paradiso con i suoi quattro fiumi e al peccato di Adamo ed Eva; nella regione a ridosso dell'Etiopia si susseguono, entro scomparti, figure di uomini mostruosi; le scritte presenti nella carta hanno essenzialmente carattere topografico.Nella gigantesca carta di Ebstorf, databile intorno al 1240 e ora perduta (Miller, 1893-1898, V; Frugoni, 1983, figg. 9, 11, 19), dai punti cardinali emergono il capo, i piedi e le mani di Cristo, associati a quattro didascalie. La carta è costellata di episodi sacri, bestie meravigliose, uomini favolosi, luoghi famosi e leggendari, accompagnati da lunghe didascalie. Verso E, nel giardino dell'Eden, sono rappresentati i quattro fiumi e il peccato dei progenitori; al centro del mondo si colloca Gerusalemme, all'interno della quale compare la Risurrezione di Cristo, mentre ovunque si trovano monstra e prodigi. Sul margine destro della carta, un denso catalogo di esseri favolosi, accompagnati da scritte esplicative, è presentato da una didascalia: "Hic sunt desertae solitudines et inhumanae monstruosarum gentium facies".La carta di Hereford, del 1285 ca. (Miller, 1893-1898, V; Frugoni, 1983, figg. 10, 15, 17, 21), venne eseguita da Riccardo di Haldingham e fornisce un ricco repertorio di scritte e di illustrazioni tratte dalle fonti del sapere medievale. Fuori dalla carta, in alto, è raffigurato un Giudizio universale; in basso, a sinistra l'imperatore Augusto con tre esploratori e la scritta: "Lucas in evangelio: Exiit edictum ab Augusto Cesare, ut describeretur huniversus orbis", a destra un cavaliere con un levriero e un aiutante, con la scritta pase avant. Al centro del mondo è posta Gerusalemme, in alto il paradiso con i quattro fiumi, il peccato e la cacciata di Adamo ed Eva; ai confini meridionali della Terra si collocano gli esseri deformi, ciascuno con una scritta di identificazione.Nella carta del Polychronicon di Ranulfo di Higden, redatta intorno al 1350 (Londra, BL, Royal 14.C.IX, cc. 1v-2r; Miller, 1895-1898, III, pp. 94-109, figg. 34-37; II, tavv. 14-15), il mondo, di forma ovale, è tripartito; la componente scritta predomina su quella figurativa e alcune note rinviano a luoghi fantastici e leggendari.Per ciò che riguarda le carte che presentano il quarto continente posto oltre l'oceano equatoriale, va ricordato come il prototipo di questo gruppo sia rappresentato dall'originale, oggi perduto, dei Commentari all'Apocalisse di Beato di Liébana (776), che fu oggetto di numerose copie e derivazioni tra i secc. 9° e 13° (Miller, 1895-1898, I). Le c.d. carte di Beato seguono due linee evolutive: da un lato compare la raffigurazione ovale della Terra che fa capo all'Apocalisse di Saint-Sever, del 1050 (Parigi, BN, lat. 8878, c. 45bis.v-ter.r), ed è ripresa nella carta del citato codice di Burgo de Osma, databile al 1086 (Miller, 1895-1898, II, tav. 3b; Frugoni, 1983, fig. 7), e in un manoscritto della fine del sec. 12° conservato a Parigi (BN, nouv. acq. lat. 1366, cc. 24v-25r; Miller, 1895-1898, II, tav. 2); dall'altro la raffigurazione rettangolare o rotonda del mondo, la prima delle quali, già presente nella carta di Valcavado (Valladolid, Bibl. Univ., 433, cc. 36v-37r; 970), è ripresa nelle carte di Valladolid (Bibl. Univ., 22, cc. 36v-37r), del 1035, di Madrid (Bibl. Nac., Vit. 14-2, c. 7), del 1047, e di Londra (BL, Add. Ms 11695, cc. 39v-40r), del 1109, mentre la seconda è adottata in un manoscritto della stessa opera custodito a Parigi (BN, nouv. acq. lat. 2290, cc. 13v-14r), del sec. 12°, e nella carta di Torino (Bibl. Naz., I.II.1, cc. 38v-39r), del sec. 12° (Miller, 1895-1898, II, tavv. 4-9). La carta più ricca di note, fornita di ampie didascalie, capaci di descrivere le caratteristiche di interi paesi, è quella di Saint-Sever; la più illustrata è invece la carta di Burgo de Osma, con le figure dei dodici apostoli e di uno sciapodo, oltre ai consueti simboli di fiumi, montagne e città.Per ciò che riguarda le carte emisferiche, le più rappresentative sono quelle dette a zone, che si basano sulla concezione di Macrobio (Miller, 1895-1898, III, fig. 59; Andrew, 1924-1925, fig. 2), le cui idee vennero più volte riprese nel corso del Medioevo; fra i principali autori che aderirono a questa teoria si devono ricordare Beda il Venerabile, che nel De temporum ratione (34; PL, XC, coll. 450-457) tratta delle cinque parti del mondo (Londra, BL, Cott. Tib. B.V, cc. 28v-29r; Miller, 1895-1898, III, fig. 58), Lambert de Saint-Omer, che nel Liber floridus raccolse le carte di Macrobio e compose intorno al 1120 una carta emisferica accurata e ricca di particolari (Parigi, BN, lat. 8865, c. 45r; Miller, 1895-1898, III, pp. 43-53, fig. 8), Herrada di Hohenburg, che inserì una carta a zone nell'Hortus deliciarum, redatto nel 1180 (già Strasburgo, Bibl. Mun., c. 11v; The Hortus Deliciarum, 1979). Un esempio particolare di carte a zone è fornito dalla Biblia tabulata eseguita nel 1272 da Girardo di Alvernia per papa Gregorio X (Utrecht, Bibl. der Rijksuniv., 737, c. 49v), dove, se si esclude una sommaria tripartizione dell'ecumene, l'interno della Terra abitata è privo di qualsiasi contorno geografico e sono invece riportati i nomi dei paesi e i riferimenti leggendari (Brincken, 1970, tav. 4).Dall'impostazione delle carte a zone derivano le carte climatiche; esempi significativi di questo gruppo sono forniti da Pietro Alfonso, che nel 1110 fissò sette diversi climi della Terra nel Dialogus contra Iudeos (Oxford, Bodl. Lib., Laud. Misc. 356; Miller, 1895-1898, III, pp. 126-127, fig. 63), da Giovanni di Wallingford nella Chronica, della fine del sec. 13° (Londra, BL, Cott. Jul. D.VII, c. 46v; Brincken, 1970, tav. 5), e da Pierre d'Ailly nell'Epilogus super mappam mundi, tra la fine del sec. 14° e gli inizi del 15° (Bruxelles, Bibl. Royale, 21198, c. 4r; Miller, 1895-1898, III, pp. 127-128, fig. 64).
Le prime carte geografiche medievali, contenute in manoscritti, pur se eseguite in periodi diversi, sono contrassegnate da un aspetto fondamentale, quello di essere portatrici di pochi, specifici concetti, prescelti di volta in volta all'interno del variegato panorama di motivi rappresentabili. La destinazione stessa delle miniature, rivolte a un circolo ristretto di fruitori, condiziona ovviamente il loro carattere e al tempo stesso assegna loro il ruolo di schema chiarificatore e rappresentativo dell'opera che le comprende. Con il trascorrere del tempo cambiarono il luogo e i destinatari della carta geografica, che si andò progressivamente allontanando dalle piccole tabelle miniate per conquistare una propria autonomia. È il caso delle monumentali carte geografiche di Ebstorf e di Hereford, collocate in posizione preminente all'interno di una chiesa. La mappa assume ora grandi dimensioni e si rivolge a un pubblico indifferenziato. La raffigurazione della Terra si arricchisce a questo punto di immagini e didascalie, in modo da offrire possibilità di lettura stratificate, a seconda delle capacità dell'osservatore, e di dare al tempo stesso a chiunque il modo di riconoscere al suo interno almeno le vicende rese più familiari dall'insegnamento religioso.La storia della mappa mundi è segnata, peraltro, anche dall'evoluzione del rapporto fra testo e immagine che si svolge al suo interno. Negli esempi più antichi, infatti, la carta esemplifica il testo dell'opera che la comprende e in essa, pertanto, la componente scritta è sempre schematica, limitandosi a indicare i nomi dei tre continenti o dei figli di Noè, o addirittura è completamente assente. Man mano però che la carta acquista validità anche come rappresentazione a sé stante, il rapporto fra parola e immagine diventa al suo interno sempre più articolato. La mappa inizia pian piano a fornire dati che vanno oltre la semplice indicazione topografica e, come già avveniva nella tavola Peutingeriana, si trovano didascalie e annotazioni che illustrano regioni e popoli misteriosi, esseri meravigliosi, prodigi, o ricordano eventi biblici e condanne morali.Quando la carta raggiunge una completa autonomia, la parola e l'immagine diventano al suo interno perfettamente equivalenti, come attesta esplicitamente Paolino Minorita (1331) all'inizio della sua Chronologia magna (Brincken, 1970, p. 261). Si giunge così alle complesse carte di Ebstorf e di Hereford, dove la parola e l'immagine si sostengono e si rafforzano reciprocamente e compongono un denso catalogo di motivi tratti da ogni fonte del sapere medievale. È proprio sulla carta geografica, infatti, che l'osservatore si forma la propria idea del mondo, apprende il corso degli eventi umani e religiosi, la storia naturale tramandata attraverso i bestiari. Le didascalie che accompagnano le figure divengono allora ampie, serrate, citano autori specifici: "Yperborei ut dicit Solinus gens est beatissima" (carta di Hereford) e suggeriscono addirittura la possibilità di allargare il sapere: "si quis plus nosse desiderat de animalibus bestiis volucribus piscibus serpentibus lapidibus arboribus et aromatibus Ysidorum legat" (carta di Ebstorf).
Bibl.: P. Gilbert, Le pape Zacharie et les antipodes, Revue des questions scientifiques 12, 1882, pp. 478-503; K. Miller, Mappaemundi. Die ältesten Weltkarten, 6 voll., Stuttgart 1895-1898; id., Kurze Erklärung der Weltkarte des Frauenklosters Ebstorf, Köln 1896 (trad. it. La carta Ebstorfiana (mappamondo del XIII secolo), Torino 1902); G. Boffitto, La leggenda degli antipodi, in Miscellanea di studi critici edita in onore di Arturo Graf, Bergamo 1903, pp. 583-601; P. Gribaudi, Per la storia della Geografia nel medioevo, Torino 1906; I. Hallberg, L'Extrême Orient dans la littérature et la cartographie de l'Occident des XIIIe, XIVe et XVe siècles. Etude sur la géographie historique, Göteborg 1906; M.C. Andrew, The Study and Classification of Medieval Mappae Mundi, Archaeologia 75, 1924-1925, pp. 61-76; R. Uhden, Gervasius von Tilbury und die Ebstorfer Weltkarte, Jahrbuch der geographischen Gesellschaft zu Hannover, 1930, pp. 185-200; R. Almagià, Planisferi, carte nautiche e affini dal sec. XIV al XVII esistenti nella Biblioteca Apostolica Vaticana (Monumenta cartographica Vaticana, 1), Città del Vaticano 1944; G.R. Crone, The World Map by Richard of Haldingham in Hereford Cathedral A. D. 1285, London 1954; W.H. Stahl, By their Maps You Shall Know Them, Archaeology 8, 1955, pp. 146-155; N. Denholm-Young, The Mappa Mundi of Richard of Haldingham at Hereford, Speculum 32, 1957, pp. 307-314; A. Wolf, Die Ebstorfer Weltkarte als Denkmal eines mittelalterlichen Welt- und Geschichtsbildes, Geschichte in Wissenschaft und Unterricht 8, 1957, pp. 204-215; J. Kirtland Wright, The Geographical Lore of the Time of the Crusades. A Study in the History of Mediaeval Science and Tradition in Western Europe, New York 1964; Mappemondes A.D. 1200-1500, a cura di M. Destombes (Monumenta cartographica vetustioris aevi, 1), Amsterdam 1964; G.R. Crone, New Light on the Hereford Map, The Geographical Journal 131, 1965, 4, pp. 447-462; A.D. von den Brincken, Mappa Mundi und Chronographia. Studien zur imago mundi des abendländischen Mittelalters, DAEM 24, 1968, pp. 118-186; id., ''... Ut describeretur universus orbis''. Zur Universalkartographie des Mittelalters, in Methoden in Wissenschaft und Kunst des Mittelalters, a cura di A. Zimmermann, R. Hoffmann (Miscellanea mediaevalia, 7), Berlin 1970, pp. 249-278; L. Moir, M. Letts, The World Maps in Hereford Cathedral, Hereford 1975; B. Maurmann, Die Himmelsrichtungen im Weltbild des Mittelalters. Hildegard von Bingen, Honorius Augustodunensis und andere Autoren (Münstersche Mittelalter Schriften), München 1976; A.D. von den Brincken, Die Kugelgestalt der Erde in der Kartographie des Mittelalters, AKultG 58, 1976, pp. 77-95; Der katalanische Weltatlas vom Jahre 1375, a cura di H. C. Freiesleben (Quellen und Forschungen zur Geschichte der Geographie, 11), Stuttgart 1977; G.C. Garfagnini, Cosmologie medievali, Torino 1978 (19872); The Hortus Deliciarum of Herrad of Hohenbourg, a cura di R. Green, M. Evans, C. Bischoff, M. Curschmann (Studies of the Warburg Institute, 36), 2 voll., London-Leiden 1979 (ed. in facsimile); U. Ruberg, Mappae mundi des Mittelalters im Zusammenwirken von Text und Bild. Mit einem Beitrag zur Verbindung von Antikem und Christlichem in der principium - und finis Thematik auf der Ebstorfkarte, in Text und Bild. Aspekte des Zusammenwirkens zweier Künste im Mittelalter und früher Neuzeit, a cura di C. Meier, U. Ruberg, Weisbaden 1980, pp. 550-592; Les fastes du Gothique. Le siècle de Charles V, cat., Paris 1981; L. Bosio, La Tabula Peutingeriana. Una descrizione pittorica del mondo antico (I monumenti dell'arte classica, 2), Rimini 1983; C. Frugoni, La figurazione basso-medioevale dell'Imago Mundi, in ''Imago Mundi'': la conoscenza scientifica nel pensiero bassomedievale, "Atti del XXII Convegno del Centro di studi sulla spiritualità medievale, Todi 1981", Todi 1983, pp. 225-269; F. Prontera, Geografia e geografi del mondo antico, Roma-Bari 1983; A. D. von den Brincken, Kartographische Quellen Welt-, See- und Regionalkarten (Typologie des Sources du Moyen Age occidental, 51), Turnhout 1988.M. Chiellini Nari
I fondamenti ideali della c. bizantina sono indubbiamente da individuarsi negli autori antichi, in particolare Strabone e Tolomeo, conosciuti e copiati lungo tutto il millennio bizantino; tuttavia una parte di rilievo fu svolta anche da Períploi e Itineraria di vario genere, dalle Peregrinationes, dalla tradizione cristiana, sia ortodossa sia eretica, dagli scritti geografici di autori quali Stefano di Bisanzio (sec. 5°) e Ierocle (sec. 6°), purtroppo pervenuti in maniera assai frammentaria.Questi testi non erano necessariamente corredati di tabulae pictae, anzi si deve supporre che l'uso di carte geografiche per fini pratici dovesse essere piuttosto desueto (Janni, 1984, p. 39), pur non mancando realizzazioni di carattere votivo o celebrativo. A quest'ultimo filone appartiene verosimilmente la tavola Peutingeriana (Vienna, Öst. Nat. Bibl., Vind. 324), giunta in una copia medievale del sec. 12°-13°, della quale non è stato ancora possibile definire con assoluta certezza data e luogo di produzione del prototipo. Essa potrebbe essere stata realizzata, riprendendo un archetipo forse del sec. 1° a.C., per celebrare il quindicesimo consolato di Teodosio II nel 435 (Weber, in Tabula Peutingeriana, 1976). Si tratta di un itinerarium pictum pergamenaceo di forma estremamente allungata (cm. 67434), che copre l'ecumene, seguendo la rete viaria, dal lato più orientale della Britannia ai confini con la Cina. Le distanze tra i luoghi sono espresse in miglia romane, leugae gallicae, parasanghe persiane, miglia indiane e stadi; i municipi sono identificati con cinquecentocinquantacinque vignette, di diversa qualità, dipendenti dall'importanza del centro urbano. Roma, Costantinopoli e Antiochia sono personificate da figure femminili; Aquileia, Ravenna, Tessalonica, Nicomedia, Nicea e Ancyra, identificate con una cinta muraria turrita; il porto di Ostia e quello di Fossis Marianis, alla foce del Rodano, attraverso un emiciclo colonnato. La tavola è inoltre vivacemente colorata. La sua forma, la ricca decorazione, l'estensione territoriale considerata e la complessità del computo delle distanze, che deriva dall'utilizzo di diverse unità di misura, fanno pensare a un'opera di carattere aulico, di un tipo noto alla tradizione romana e testimoniato, per es., dalla carta di Agrippa a Roma, di età augustea (Plinio, Nat. Hist., 3, 1, 17), o dalla carta, descritta da Eumenio (Pro instaurandis scholis oratio, 20-21), che si trovava nel 297 ad Augustodunum (od. Autun).Databile alla piena età giustinianea è invece la carta di Mādabā, in Giordania, mosaico pavimentale eseguito tra il 542 e il 562 ca. nella chiesa bizantina sulla quale oggi sorge S. Giorgio. Tale carta, le cui dimensioni originali non dovevano estendersi molto oltre i punti limite degli ampi frammenti sopravvissuti, è innanzitutto un documento di geografia biblica, destinato presumibilmente a illustrare l'Onomasticon di Eusebio, come testimoniano i suoi centocinquantasette toponimi, quasi tutti identificati e in buona parte dipendenti dall'Onomasticon, ma con il concorso di fonti diverse, cristiane e non, quali Giuseppe Flavio, Antonino da Piacenza, Teodosio, Eteria, e altre ancora, che sovente ne aggiornano criticamente i dati geografici. Dal punto di vista cartografico il mosaico di Mādabā è costruito secondo gli stessi criteri della tavola Peutingeriana, con le località disposte lungo la rete viaria in una visione allungata che va dal delta del Nilo alla costa fenicia; tali località sono evidenziate da modellini assai vari e accurati, di maggiore o minore rilievo a seconda dell'importanza dei siti. Centro ideale della composizione è la raffigurazione di Gerusalemme, nella quale è possibile identificare con una certa sicurezza i monumenti maggiori della città: la porta della Colonna, il complesso costantiniano del Santo Sepolcro, la Santa Sion, la Nea Theotokos giustinianea, la basilica di Betesda. Il mosaico rende con cura cromatica e ricercatezza chiaroscurale fiumi, mari, rilievi ed è arricchito da notazioni floreali e faunistiche di una certa finezza esecutiva; tali caratteristiche stilistiche e iconografiche permettono di attribuirne la realizzazione a una bottega attiva in quei decenni nella regione di Mādabā (Piccirillo, 1989, pp. 91-93).Dipendente da un prototipo del sec. 6°, ma databile al sec. 9°, è il codice vaticano della Topographia christiana (Roma, BAV, Vat. gr. 699) di Cosma Indicopleuste, autore anche di perduti scritti geografici. L'opera nasceva probabilmente corredata di grafici e illustrazioni e il manoscritto conservato contiene una ricca serie di miniature a soggetto cosmologico e geografico. Derivano evidentemente da fonti cartografiche la carta della Terra (c. 40v) e la carta di Eforo (c. 19r). La prima presenta una ecumene di forma rettangolare, circondata dall'oceano e dalle personificazioni dei venti entro clipei, limitata sul lato orientale dal paradiso terrestre. Questa carta è, a suo modo, accurata, pur nel quadro di una estrema semplificazione; basti notare la dislocazione dei mari, dei fiumi, dei golfi, delle penisole, non troppo lontana dalla realtà. Nella sua formulazione essa trae origine da una tradizione cartografica che può essere fatta risalire fino a Eratostene. La carta di Eforo, al contrario, è assai schematica: di forma rettangolare allungata, sui quattro lati vi sono semplicemente inscritti i venti e i popoli (Etiopi, Sciti, Celti, Indiani). Questa illustrazione è da mettere in relazione alla citazione che Cosma Indicopleuste fa del medesimo autore per sostenere la tesi che nega la sfericità della Terra (Top. christ., II, 80). Altre miniature rivelano poi la conoscenza da parte dell'autore della Topographia di fonti cartografiche diverse, quali Períploi, Itineraria adnotata e picta, Peregrinationes e altro materiale di viaggio. Ciò vale soprattutto per la c. 15v, raffigurante la regione di Axum in Etiopia; i municipi, identificati da modellini di diversa fattura e da monumenti tipici di quell'area, si dispongono lungo la costa, con rapporti spaziali sostanzialmente corretti. Si è indubbiamente in presenza della medesima tradizione iconografica e tecnica della tavola Peutingeriana e della carta di Mādabā; le copie postulabili tra il prototipo e il codice vaticano spiegano alcune incomprensioni di quella che in detto prototipo poteva essere una vera e propria carta geografica. Oltre al suddetto codice vaticano, sono pervenuti altri due manoscritti della Topographia christiana (Firenze, Laur., Plut. 9.28; S. Caterina sul monte Sinai, Bibl., gr. 1186), ambedue del sec. 11°, dipendenti dal prototipo attraverso una diversa copia intermedia (Winstedt, 1909, p. 29). In tali codici, oltre alle carte della Terra, di Eforo e della regione axumita, si conservano tracce evidenti di altre carte geografiche che forse si potevano trovare nel prototipo. Si tratta delle miniature alle cc. 103v-104r del manoscritto laurenziano e 73v-74r del manoscritto sinaitico, che illustrano il viaggio degli ebrei nel deserto, delle quali il codice vaticano è attualmente privo, e per cui è lecito ipotizzare una dipendenza da tabulae pictae, oltre che da fonti letterarie.Miniature che denunciano remote origini cartografiche sono presenti anche negli ottateuchi dei secc. 11°-13°, ma in questi l'aspetto decorativo prevale sul dato cartografico; ne è esempio evidente la miniatura alla c. 32v di un codice di Istanbul (Topkapı Sarayı Müz., 8), chiaramente appartenente alla medesima tradizione della carta della Terra della Topographia christiana, che qui diventa semplice supporto alla scena della creazione degli animali. D'altronde, se ancora nei secc. 9° e 10° l'interesse degli eruditi per gli scritti a carattere geografico appare in certo qual modo vivo - come testimoniato, per es., da alcuni codici della Bibliotheca di Fozio (810 ca.-893 ca.), da un codice di Strabone in minuscola (Parigi, BN, gr. 1397), copiato nella seconda metà del sec. 10° (Diller, 1937), o dalle compilazioni di Costantino VII Porfirogenito (905-959) -, con l'enciclopedismo del sec. 10° si chiude un ciclo volto soprattutto alla conservazione di quanto restava del patrimonio scientifico dell'Antichità.Per assistere a una rinascita della c. nel mondo bizantino, destinata a vastissimi sviluppi sia nell'area orientale sia in quella occidentale, bisogna attendere lo scorcio del sec. 13°, quando il monaco Massimo Planude (1255-1305), del convento costantinopolitano di Chora, riscoprì la Geographia di Tolomeo e ne disegnò le carte, come egli stesso ha tramandato nei suoi scritti. Si è discusso ampiamente sull'esistenza o meno delle carte geografiche nel prototipo tolemaico e se Planude abbia in realtà trovato codici corredati di carte attribuendosi poi il merito di averle disegnate. Non sembra però ci siano fondati motivi per dubitare di quanto egli afferma: da un lato infatti il lungo elenco di dati matematici, latitudini e longitudini fornito da Tolomeo avrebbe consentito di disegnarle in qualsiasi momento, dall'altro nella tradizione bizantina non sembra esservi nulla che dipenda da tali eventuali carte, pur considerando la scarsità dei monumenti cartografici noti. I codici più antichi, tutti del sec. 13°, sono conservati a Copenaghen (Universitetsbibl., Fabr. Havn. gr. 23), a Roma (BAV, Urb. gr. 82) e a Istanbul (Topkapı Sarayı Müz., Const. Ser. gr. 57). L'affascinante ipotesi avanzata da Diller (1940, p. 66) che il codice di Istanbul sia la copia che Planude teneva per sé mentre il vaticano, di raffinata fattura, sia quella realizzata per l'imperatore Andronico II necessita forse di essere ulteriormente dimostrata. Da questi tre codici ha origine la c.d. redazione A, inizialmente con ventisette carte, a cui appartengono altri otto manoscritti greci; tra questi vanno citati almeno quelli dell'Athos (Vatopedi, 655) e di Venezia (Bibl. Naz. Marciana, gr. 516), ambedue degli inizi del 14° secolo. Il secondo non presenta l'orbis terrarum tradizionale ma, alla c. 4v, compare il cosmo, di forma circolare, con Sole e Luna che intersecano la circonferenza; uno spicchio è l'ecumene, raffigurato in forme e modi che, forse tramite Cosma Indicopleuste, risalgono agli albori della c. greca. Il manoscritto oggi a Firenze (Laur., Plut. 28.49), del primo Trecento, è invece il più antico codice della c.d. redazione B, che consta di sessantaquattro-sessantotto carte. Le carte contenute nei manoscritti della Geographia, costruite su una griglia di meridiani e paralleli, sono ampiamente e vivacemente colorate: i fiumi, i mari, i laghi, in turchino di diverse gradazioni, i rilievi in ocra; le città maggiori sono individuate da modellini turriti, estremamente semplificati e schematici, talvolta da semplici quadratini; mancano quasi del tutto le caratterizzazioni monumentali, floreali e faunistiche tipiche della c. precedente. Solo l'orbis terrarum è spesso arricchito dai venti, personificati da teste virili giovani e vecchie, e dai segni zodiacali.Da segnalare infine un diverso tipo di illustrazione cartografica, che si incontra frequentemente nei codici dei secc. 13°-14° delle Tavole facili di Tolomeo, breve compendio dei dati contenuti nell'Almagesto, e che risale a un prototipo realizzato nell'Egitto romano tra i secc. 2° e 3°; si tratta di carte universali in forma di diagrammi circolari, decorate con volute e girali disposti come antefisse. Nella fascia esterna sono inscritti i venti, nella metà superiore l'ecumene, con al centro, in un rettangolo, alcune località dell'Egitto; in quella inferiore il mondo degli antipodi e il catactonio.
Bibl.:
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La c. islamica medievale, seppur nata dalla grande tradizione astronomica e in possesso dei dati della scienza geografica, non riuscì a seguire lo sviluppo di queste ultime e a elaborare, nel corso del tempo, gli strumenti atti a renderla una disciplina autonoma nel vasto panorama delle scienze nell'Islam. Confinata ai margini dell'intensa attività astronomica e subordinata alle influenze greche, indo-iraniche e arabe, da cui era dipeso in parte lo sviluppo delle conoscenze geografiche degli studiosi musulmani, la c. preferì il dato decorativo a quello tecnico-scientifico nella raffigurazione in piano della Terra (Santarem, 1849-1852, I, pp. 189-190, 336-349; Lelewel, 1852, I, pp. 36-37, 52-53; Kish, 1980, p. 20). Risulta sorprendente così constatare come, malgrado gli astronomi conoscessero il modo di utilizzare le molteplici proiezioni cartografiche a loro note e i geografi possedessero informazioni più esatte di quelle dei loro predecessori circa l'estensione dell'ecumene e l'esatta ubicazione degli elementi geografici, la gran parte dei cartografi musulmani sia rimasta fedele alla concezione classica del pianeta e alle sue suddivisioni convenzionali (Lelewel, 1852, II, pp. 15-159; Gabrieli, 1975; Berggren, 1982, pp. 65-68).Occorre innanzi tutto notare che le carte islamiche presentano un orientamento diverso da quelle europee a esse contemporanee. I punti cardinali sono infatti costantemente invertiti, con il S in alto e l'O a destra. Tale inversione sarebbe causata, secondo alcuni studiosi, dalla peculiarità della scrittura araba che, correndo da destra verso sinistra, fece sì che anche l'immagine della Terra ne risultasse capovolta (Santarem, 1849-1852, I, pp. 421-424); secondo altri, invece, la sua origine risalirebbe a un più antico sistema d'orientamento arabo, che associava i punti cardinali ai quattro venti principali (Géographie d'Aboulféda, 1848-1853, I, pp. 192-193).Le carte non si discostano dalle coeve concezioni cosmologiche sulla forma della Terra. Difatti, accompagnando le descrizioni del pianeta che sono contenute nei compendi geografici medievali, esse illustrano soltanto il suo quarto abitato a N, il quale, porzione del più grande globo terrestre, appare tuttavia come un disco piatto circondato dalla fascia anulare dell'oceano e dall'immensa catena dei monti Qāf (Caruso, 1985). All'interno di questa raffigurazione della Terra in forma di disco, i continenti si presentano talvolta bombati, altre volte piatti, arrotondati oppure allungati. Avrebbero causato tali deformazioni la noncuranza dei cartografi nei confronti dei valori di longitudine, l'indeterminatezza delle latitudini e il calcolo non sempre accurato delle distanze tra i luoghi (Lelewel, 1852, I, pp. 35, 129-133; Nallino, 1944, pp. 408-457).Alla classicità greca si ricollega la ripartizione dell'ecumene in sette bande longitudinali (climi) che si ritrova sovente nella c. islamica. I sette climi, che dal circolo equatoriale si estendono verso N fino al sessantatreesimo parallelo, non sono altro che suddivisioni artificiali del quadrante abitato, tracciate nell'Antichità allo scopo di fornire informazioni sulle frontiere dei paesi e dei regni e, quindi, sugli itinerari da seguire (al-Qazwīnī, Kitāb ῾ajā᾽ib al-makhlūqāt). Il migliore esempio di raffigurazione della Terra suddivisa in climi è fornito, secondo al-Mas῾ūdī (sec. 10°), dalla c.d. carta Ma῾mūniana (817-826), alla quale lavorarono numerosi dotti della corte del califfo abbaside al-Ma῾mūn (813-833) e "in cui fu disegnato il mondo con le sue sfere e i suoi astri, la terra, il mare, le zone copiose e quelle desertiche, i luoghi abitati delle sue genti, le città e altro" (al-Mas῾ūdī, Kitāb al-tanbīh wa᾽l-ishrāf).Ciascun clima risulta dunque caratterizzato dal proprio rilievo oro-idrografico e dalla presenza di centri urbani, sicché ogni elemento geografico acquista sulla carta un'appropriata colorazione e una determinata figura geometrica che ne riassumono le forme. Dalle gradazioni del viola e del rosso, del giallo e del nero per le montagne, le mappe si colorano di verde pistacchio per i mari, di ambra e di azzurro per i fiumi, di giallo zafferano per le zone sabbiose, di rosso porpora per le città e di grigio fumo per le strade. Linee e forme geometriche spezzano poi lo spazio laddove si registrano le sporgenze o le insenature delle coste, l'esistenza di città e di villaggi, le anse dei fiumi o le catene montuose. Le carte si arricchiscono, così, di strisce a serpentina per le insenature regolari e non molto profonde dei litorali, di rondelle per le sporgenze considerevoli delle coste marine, di triangoli per le loro profonde insenature, di volute per i fiumi e di quadrati per le città (Miller, 1926-1927, I, tav. IV; V, tavv. LXVI, LXIX, 16; Nallino, 1944, pp. 478-479; Miquel, 1967-1988, II, pp. 19-20; Berggren, 1982, p. 60).Le caratteristiche del clima, siano esse geografiche o umane, dipendono tuttavia dalle influenze astrali che su di esso si esercitano. Ogni clima è posto sotto l'influsso di alcuni astri che determinano sia la sua configurazione geografica sia i caratteri prevalenti delle genti che lo abitano. La superiorità di un clima rispetto a un altro è sancita dalla confluenza equilibrata degli effetti astrali e planetari, dal carattere temperato delle stagioni, dalle virtù delle sue popolazioni e, infine, dall'eccellenza della loro civiltà. Costituendo la zona temperata della Terra, che dalla Cina e dal Tibet attraversa la Transoxiana, la Corasmia, il Khorasan, l'Iraq, l'Iran e l'Azerbaigian per poi estendersi all'isola di Cipro, a Rodi, alla Sicilia e allo stretto di Gibilterra, il quarto clima giustifica così la sua posizione centrale nella geografia e nella storia. Equilibrata dal punto di vista climatico e naturale, nonché eccellente quanto a cultura e civiltà, la regione iranico-mesopotamica può ancor più giustamente ergersi a quintessenza della Terra e Babilonia riprendere il suo antico ruolo di centro dei centri (Yāqūt al-Rūmī, Mu῾jam al-buldān; al-Mas῾ūdī, Kitāb al-tanbīh wa᾽l-ishrāf; Miquel, 1967-1988, II, pp. 32, 60-70).La nozione di centro permane nella raffigurazione dell'ecumene suddivisa in sette kishvarāt; tale scansione, di antica origine persiana, presuppone un kishvar centrale (Īrānshahr) attorno a cui si dispongono a forma di stella le sei rimanenti regioni. Secondo la notizia riportata da Yāqūt (sec. 13°): "I Persiani distribuivano i regni circondanti l'Īrānshahr in sette kishvarāt e tracciavano attorno a ciascun regno un cerchio, chiamato kishvar o kushkhar. L'etimologia del termine, secondo la tradizione, deriva da kushaste, che significa, nella loro lingua, linea. Si sa che cerchi uguali non ne circondano uno tangenzialmente se non quando di sette, sei ne accerchiano uno. Divisero così l'Īrānshahr in sei kishvarāt mentre tutta l'ecumene in sette". La suddivisione geopolitica in kishvarāt sottende anch'essa l'influenza astrale che ne è all'origine: "Gli uomini non hanno discordato l'un l'altro fuorché riguardo al numero dei pianeti. Si sono poi orientati sul numero di essi con i giorni della settimana, attorno a cui non esistevano divergenze" (Yāqūt al-Rūmī, Mu῾jam al-buldān).La rappresentazione stellare dell'ecumene fu ampiamente utilizzata dai geografi e dai cartografi musulmani, che, nel rispetto della propria nazionalità, ponevano ora l'Iraq, ora l'Iran al centro delle loro mappe (al-Mas῾ūdī, Kitāb al- tanbīh wa᾽l-ishrāf). Ma se all'interno del territorio islamico gli studiosi si facevano portavoce dei singoli nazionalismi culturali, l'Islam ritrovava comunque la sua unità dinanzi al mondo esterno quando esso stesso, con le sue tradizioni immemorabili, veniva a costituire il fulcro dell'intero sistema. Il comune vincolo della fede e l'appartenenza a una civiltà che ebbe origine con la sua rivelazione e con la cui lingua si modellò nel corso del tempo sono messi in risalto dalla trasposizione del centro del mondo nel territorio sacro della Mecca. L'introduzione del fenomeno umano della fede nella c. islamica diede così origine a una distribuzione dell'ecumene attorno ai luoghi santi d'Arabia, con la Ka῾ba come ombelico terrestre. Ne conseguì che anche il concetto di centro acquistò la nuova valenza di origine della Terra, di luogo di comunicazione tra il mondo sublunare e quello celeste e, infine, di fonte di nutrimento e di fertilità (Wensinck, 1916, p. 13). Nell'adempimento di queste funzioni indispensabili al benessere umano e alla Terra nel suo insieme, la Ka῾ba occupa il centro della mappa verso cui volgono tutte le regioni del quadrante abitato (Yāqūt al-Rūmī, Mu῾jam al-buldān).Anche la ripartizione dell'ecumene in quattro quadranti si adegua alla nozione di centro e trae le sue origini dall'analoga suddivisione della volta celeste. Nel foggiare quest'immagine della Terra, Hamadhānī (sec. 10°) tentò di applicare un rigoroso metodo scientifico in cui l'astrologia greca era interpretata alla luce della visione islamica del mondo e dell'ordine che lo pervade. L'immagine terrestre rispecchiava la divisione del cerchio dello Zodiaco in quattro parti, ognuna costituita di tre segni zodiacali (triade) e dipendente da uno dei quattro elementi naturali. Le triadi, orientate a N-O, S-O, N-E e S-E, erano poi poste sotto l'influenza siderale dei due pianeti che ne dominavano i rispettivi punti cardinali.Seguendo questo schema celeste, l'unico quadrante abitato della Terra era suddiviso a sua volta in altri quattro quadranti, ognuno dei quali era subordinato alla triade celeste corrispondente e, quindi, all'elemento naturale e ai pianeti a essa preposti. Le regioni di ciascun quadrante più vicine al centro dell'ecumene subivano, di contro, l'attrazione del settore opposto a quello di appartenenza e, inoltre, l'influenza di Mercurio, che rivestiva una posizione centrale e comune.Come nella raffigurazione stellare, così anche nella ripartizione in quadranti la Mecca e Medina rappresentano definitivamente il cuore dell'ecumene e si ergono a garanti sia dell'unità dell'insieme terrestre che a esse volge sia dell'integrità cosmica che si manifesta attraverso la polarizzazione di tutte le influenze astrali e planetarie.Gli schemi cartografici del primo Medioevo islamico continuarono a essere utilizzati fino al 16° secolo. Tra le carte geografiche conservate, poche sono quelle databili tra la fine del sec. 11° e gli inizi del 13° e ciò non consente di esprimere un giudizio definitivo sulla produzione cartografica islamica di quel tempo. Gli esemplari pervenuti, che sembrano sancire un arresto delle conoscenze nel settore della c., potrebbero infatti non rispecchiare il lavoro più originale di ignoti cartografi.Considerando tale lacuna, le deformità presenti nel planisfero e nella carta itinerante di al-Idrīsī (sec. 12°), che conservano la ripartizione classica dell'ecumene in sette climi con la Mecca al centro del sistema, sarebbero verosimilmente un prodotto di sua invenzione. La carta itinerante, priva di scala, presenta i due terzi del mondo abitato notevolmente ridotti, mentre non considera affatto la reale estensione dei mari (Lelewel, 1850, tavv. X-XII; 1852, I, pp. 57-75; Kish, 1980, tav. XX).Le carte del sec. 13° non differiscono da quelle precedenti, fatta eccezione per la mappa del granadino Ibn Sa῾īd (m. nel 1274), nella quale nuove conoscenze arricchiscono la vecchia rappresentazione cartografica del mondo (Miller, 1926-1927, V, tav. LXXI).Priva di lavori originali è anche la c. islamica dal 14° al 16° secolo. La carta di Abū᾽l-Fidā' (sec. 14°) presenta elementi eterogenei, mentre le mappe mongole del sec. 15° ricalcano la c.d. carta Ilkhanide disegnata due secoli prima dall'astronomo Naṣīr ῾al-dīn al-Ṭūsī (Lelewel, 1850, tav. XIX). Infine, i mappamondi di ῾Alī ibn Aḥmad al-Sharafī (1579) e di suo figlio Muḥammad (1592) ignorano i progressi della scienza geografica nonché lo sviluppo della c. nautica turca, modellandosi sui lavori cartografici del sec. 12°: la carta di ῾Alī al-Sharafī, riccamente colorata, riprende infatti l'antica immagine del mondo racchiuso dall'oceano e dai monti Qāf (Nallino, 1944, pp. 533-548), mentre il planisfero di Muḥammad fallisce nel curioso tentativo di conciliare il sistema cartografico di al-Idrīsī con quello delle carte nautiche europee del Tardo Medioevo (Miller, 1926-1927, V, pp. 175-177; Kish, 1980, tav. XXIII).
Bibl.:
Fonti. - Yāqūt al-Rūmī, Mu῾jam al-buldān [Il dizionario dei paesi], a cura di F. Wüstenfeld, 5 voll., Leipzig 1866-1870: I, pp. 27, 36, tavv. III, V; alMas῾ūdī, Kitāb al-tanbīh wa᾽l-ishrāf [Il libro dell'avvertimento e della revisione], a cura di M.J. De Goeje (Bibliotheca geographorum Arabicorum, 8), Leiden 1894; al-Qazwīnī, Kitāb ῾ajā᾽ib al-makhlūqāt [Il libro delle meraviglie delle creature], a cura di F. Wüstenfeld, I, Göttingen 1848, p. 148; Géographie d'Aboulféda, a cura di M. Reinaud, 2 voll., Paris 1848-1853.
Letteratura critica. - Le Vicomte de Santarem, Essai sur l'histoire de la cosmographie et de la cartographie pendant le Moyen-Age et sur le progrès de la géographie après les grandes découvertes du XVe siècle, 3 voll., Paris 1849-1852; J. Lelewel, Géographie du Moyen Age. Atlas, Bruxelles 1850; id., Géographie du Moyen Age, 2 voll., Bruxelles 1852; A.J. Wensinck, The Ideas of the Western Semites Concerning the Navel of the Earth (Verhandelingen der Koninklyke Akademie van Wettenschappen te Amsterdam. Afdeeling Letterkunde, niewe Reek, 17, 1), Amsterdam 1916; K. Miller, Mappae Arabicae, 6 voll., Stuttgart 1926-1927; C.A. Nallino, Raccolta di scritti editi ed inediti, a cura di M. Nallino, V, Roma 1944; A. Miquel, La géographie humaine du monde musulman jusqu'au milieu du 11e siècle (Civilisations et sociétés, 7, 37, 68, 78), 4 voll., Paris 1967-1988; F. Gabrieli, Viaggi e viaggiatori arabi, Firenze 1975; G. Kish, La Carte, Paris 1980; J.L. Berggren, al-Bīrūnī on Plane Maps of the Sphere, Journal for the History of Arabic Science 6, 1982, pp. 47-80; A. Caruso, La forma della Terra nella letteratura geografica musulmana del Medioevo, in Studi in onore di Ugo Monneret de Villard, a cura di B.M. Alfieri, U. Scerrato, Rivista degli studi orientali 59, 1985, pp. 23-45.A. Caruso