Cartolarizzazione
di Massimo Zaccheo
Il neologismo cartolarizzazione designa, ellitticamente, una tecnica finanziaria, emersa nel mondo anglosassone, nota come securitization. Tale tecnica permette di smobilizzare poste attive illiquide di imprese attraverso la loro conversione in prodotti finanziari, rappresentati da titoli negoziabili sul mercato dei capitali. La tecnica si iscrive nel fenomeno della cosiddetta titolarizzazione dell'attività finanziaria, che conduce a un aumento di trasferimenti diretti di fondi tra gli operatori economici e a una contrazione dei flussi intermediati, almeno direttamente, dal sistema bancario e creditizio. Tale tecnica può essere indagata da molteplici prospettive: il profilo prescelto suppone, in modo arbitrario, la sinonimia dei due termini, c. e securitization, e favorisce, soltanto convenzionalmente, la riduzione delle molteplici forme utilizzate dalla prassi finanziaria a due tipologie.
La prima presuppone la costituzione di una società (SPV, Special Purpose Vehicle), il cui oggetto sociale è esclusivamente l'esecuzione di operazioni di cartolarizzazione. Se il termine veicolo indica il mezzo che realizza la tecnica finanziaria, il fine cui il veicolo tende è da altri fissato: in specie dal titolare di un portafoglio di crediti o altre attività dell'attivo di bilancio (originator), che voglia reperire, sul mercato dei capitali, somme di denaro dirette a finanziare l'impresa. A tal fine l'originator (in seguito società cedente) trasferisce verso corrispettivo alla società veicolo (in seguito cessionaria) un portafoglio crediti, che consenta a quest'ultima di emettere titoli sottoscritti dal mercato e rimborsati con i flussi finanziari derivanti dalla smobilizzazione del portafoglio. Tale tecnica conosce due varianti: in una versione la cessionaria, che acquista la titolarità del portafoglio, si obbliga a rimborsare il finanziamento esclusivamente con i flussi finanziari derivanti dagli incassi del portafoglio (pay trough); in altra versione la struttura dei pagamenti non risulta strettamente condizionata dai flussi finanziari derivanti dagli incassi, mancando un rapporto tra titoli emessi e crediti smobilizzati. La seconda forma utilizzata presuppone che la cessionaria gestisca il portafoglio crediti senza esserne titolare: in un'articolazione (pass trough), che si realizza attraverso lo strumento del trust, i crediti, pur gestiti dalla cessionaria in qualità di trustee, vengono acquistati pro quota dai sottoscrittori dei titoli; in altra ipotesi i titoli, sempre di proprietà dei sottoscrittori, vengono gestiti da un fondo comune; in altra ancora, i crediti restano di proprietà della società cedente, ma la cessionaria ne cura la gestione.
In ognuna delle articolazioni descritte la tecnica determina una profonda modifica della struttura finanziaria della società cedente, realizzata, in via esemplificativa, attraverso la rimozione dall'attivo di assets e dal passivo delle correlative riserve, nonché dall'abbandono di settori non strategici; dalla modifica della struttura del debito, attraverso un significativo spostamento dal tradizionale canale bancario in favore del mercato del risparmio, con l'ottenimento di finanziamenti strettamente correlati alle caratteristiche dell'attivo; dal miglioramento dei ratios patrimoniali (ossia il rapporto tra mezzi propri e impieghi) e degli indici di redditività. È intorno alla figura del cedente e alla sua struttura finanziaria che, dunque, si articolano la tecnica e i ruoli dei vari protagonisti: così l'advisor dovrà valutare l'idoneità degli assets della società cedente di generare flussi di cassa e, eventualmente, di ottenere un rating; l'arranger, ossia una banca, dovrà concedere alla cessionaria il finanziamento destinato all'acquisto del portafoglio crediti e idoneo ad assicurare anche il servizio di cassa e pagamento a beneficio dei sottoscrittori dei titoli per la durata dell'operazione; la società di rating dovrà formulare, a beneficio dei sottoscrittori, un giudizio sulla valutazione del portafoglio effettuata dall'advisor, che tuteli questi ultimi circa la soddisfazione del loro investimento. Emerge, in tal modo, l'altro interesse preminente della tecnica finanziaria: proporre forme di investimento al mercato con profili di rischio e rendimento più favorevoli rispetto ai normali canali di investimento. In simile prospettiva, la cessionaria, attraverso i diversi momenti in cui si articola l'operazione finanziaria, deve mettere a disposizione del mercato titoli con il profilo di rischio da questo atteso; e proprio una tale personalizzazione dei titoli emessi (assets back securities) consente di calibrare l'offerta, quanto a rischio e rendimento, sulla base della domanda del mercato. L'aver 'fermato' chiaramente gli interessi che giustificano la tecnica finanziaria consente di indirizzare l'indagine verso il nucleo insopprimibile di qualsiasi schema attraverso il quale viene articolata una operazione di c.: la conversione di attività finanziarie non negoziabili in titoli negoziabili sul mercato, che realizza il bisogno di certezza e semplificazione e garantisce rapidità nella circolazione. L'uso dello strumento cartolare soddisfa così, in un unico contesto, oltre agli interessi indicati, anche quello dell'acquirente del titolo, che può ignorare il rapporto originario, sottostante al medesimo, perché del tutto immune dal rischio dell'applicazione dei principi di buona fede e affidamento, ed estraneo anche alle eccezioni tratte dal rapporto sostanziale, non contemplate nel documento.
La separazione dei rapporti, cartolare e sostantivo, rende il primo autonomo rispetto al secondo in virtù dell'astrattezza del titolo e dell'incorporazione del diritto nel documento. Il neologismo cartolarizzazione ipostatizza proprio questo profilo decisivo, ossia la trasformazione di un'entità immateriale in un bene materiale suscettibile di possesso e di custodia. In tale prospettiva il documento, attributivo di un diritto (a una prestazione o all'attribuzione di una situazione giuridica complessa) è designato strumento finanziario dall'art. 2, i° co., nella l. 30 apr. 1999, nr. 130 (Disposizioni sulla cartolarizzazione dei crediti), e a esso trovano applicazione le norme del d. legisl. 24 febbr. 1998, nr.58, recanti il Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n.52 (TUF). La richiamata l. 130/99, che ha coniato il neologismo e reso tipico il fenomeno della securitization, persegue un obiettivo ambizioso: prevedere una disciplina generale astraendo dalle diverse tecniche con le quali questa forma di finanziamento dell'impresa si è sviluppata all'estero. Pur se l'art. 1, 1° co., specifica che la legge trova applicazione "alle operazioni di cartolarizzazione realizzate mediante cessione a titolo oneroso di crediti pecuniari" alla società cessionaria che abbia come oggetto esclusivo la realizzazione di operazioni di c. (art. 3), sia cioè una società veicolo, la disciplina prevista nella legge trova applicazione anche "alle cessioni a fondi comuni" (art. 7, 1° co., lett. b). Inoltre, la disciplina prevista dalla legge si applica anche alle "operazioni di cartolarizzazione dei crediti realizzate mediante l'erogazione di un finanziamento al soggetto cedente da parte della società per la cartolarizzazione dei crediti emittente i titoli" (art. 7, 1° co., lett. a). La pluralità di elementi, soggettivi e oggettivi, induce a riflettere, oltre che sulle differenze specifiche, sugli elementi comuni a ogni tipo di cartolarizzazione. Se sotto un profilo oggettivo è possibile distinguere una c. effettuata mediante finanziamento da una c. effettuata mediante cessione, da un punto di vista soggettivo, ove la c. abbia a oggetto quest'ultima ipotesi, è possibile distinguere una cessione a una società veicolo da una cessione a un fondo comune di investimento.
La l. 130/99 ha, dunque, perseguito l'obiettivo di dettare una disciplina comune a ogni ipotesi di c., a prescindere dalle differenze specifiche. In realtà l'ambizioso obiettivo è stato raggiunto con una tecnica legislativa che prevede la descrizione di una fattispecie e della disciplina a essa riferibile, salvo poi estendere quest'ultima a ipotesi diverse nei limiti del criterio della compatibilità, lasciando all'interprete di fissarne il perimetro. È, dunque, logico che sinora l'attenzione dei commentatori si sia concentrata sul modello descritto dall'art. 1 della l. 130/99. La destinazione della somma corrisposta dai debitori ceduti al soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli emessi ha spinto a ricostruire il fenomeno in duplice direttrice: muovendo dall'art. 3, 2° co., della stessa legge, secondo cui "i crediti relativi a ciascuna operazione costituiscono patrimonio separato […] da quello della società" veicolo "e da quello relativo alle altre operazioni", sempre di c., si è concluso che tra portatori di titoli e società cessionaria si costituisca un rapporto obbligatorio, nel quale la seconda assuma la posizione logica di debitore e la cui prestazione consista nel destinare tutte le somme a lei corrisposte per il soddisfacimento dell'interesse del creditore. In altra prospettiva, invece, si è sottolineato che la società cessionaria non 'destina' tutto il suo patrimonio alla soddisfazione dei creditori-portatori di titoli, bensì soltanto ciò che la legge qualifica come patrimonio separato. Pertanto, se il rapporto che si costituisce non è tra portatori di titoli e società cessionaria, ma tra portatori di titoli e patrimonio separato, viene logicamente meno la possibilità di qualificare quel rapporto come obbligatorio, quanto piuttosto di ravvisare in esso una comunione pro quota sulla massa dei crediti costituenti il patrimonio separato e destinata alla soddisfazione del diritto incorporato nel titolo.
Le linee di pensiero indicate, che riducono a una rigida alternativa il rapporto (diritto reale-diritto di credito), non sono apparse ad alcuni commentatori del tutto persuasive. La logica, che connota entrambe, muove dal presupposto della titolarità del patrimonio separato: società veicolo in un caso, comproprietà tra gli investitori nell'altro. Il dato sul quale occorre riflettere è, dunque, il concetto di patrimonio separato, con il portato di ambiguità semantica che lo denota. Se si muove dall'assunto (caro alla pandettistica) che ogni soggetto è titolare di un patrimonio (anche il nullatenente) e di uno soltanto, è logicamente errato affermare che lo stesso soggetto possa risultare titolare di due patrimoni, perché il patrimonio non è altro dal suo titolare, è il soggetto stesso. Non è opportuno criticare la tesi di origine pandettistica; piuttosto conviene riflettere sul fatto che il rifiuto di questa posizione impone di configurare il patrimonio come oggetto, che si pone di fronte al soggetto, mero lemma che, ellitticamente, indica il complesso di beni di titolarità del soggetto. Da qui la logica seguita: scorgere comunque un titolare del patrimonio, il quale, tuttavia, in virtù dell'art. 3 della l. 130/99, non risponda dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri (art. 2740 c.c.), né debba offrire i suoi beni alla soddisfazione dei diritti dei suoi creditori (art. 2741 c.c.). L'identità persona-patrimonio nega il concetto di patrimonio separato; al contrario la diversità impone di considerare eccezionale la norma che ne fissa la sua segregazione dal resto degli altri beni e riduce il fenomeno soltanto alla mancata applicazione degli artt. 2740 e 2741 del codice civile.
Il risultato conseguito è stato da più parti valutato inappagante perché fondato sulla rigida alternativa (diritto reale-diritto di credito) che muove comunque dalla necessità logica di ricercare un criterio di imputazione del patrimonio: in un caso coincidente con la persona, in altro a questa riferibile. Si è osservato che la norma contenuta nell'art. 3 della legge e l'art. 2447 bis c.c., lett. b, sembrano prefigurare un nuovo sistema, non più fondato sulla logica statica dell'appartenenza, ma su quella dinamica dell'impresa, attraverso la valorizzazione della società intesa "come forma di esercizio collettivo di impresa" che svaluta al tempo stesso "il profilo di persona, se pur giuridica, dunque di soggetto di diritto della società" (Ferro-Luzzi 2005 [a], pp. 79-88). In questa diversa prospettiva, l'impresa è considerata come fenomeno economico e sociale, che può diventare il centro di imputazione di un sistema di norme, affatto diverso da quello fondato sulla persona. Se la società, intesa come esercizio collettivo dell'impresa, istituisce un patrimonio separato, la figura non dovrà essere costruita in negativo, ossia muovendo dalla sua natura eccezionale, che giustifica la mancata applicazione delle norme in tema di responsabilità, ma in positivo, attraverso le regole proprie dell'istituto disciplinato. In tal guisa, l'operazione descritta in ipotesi dagli artt. 1 e 3 della legge non 'distacca' una parte del patrimonio dalla restante parte, né istituisce una comproprietà, ma descrive un complesso rapporto che, muovendo dalla centralità del profilo finanziario e del divenire che, ontologicamente, denota l'impresa, prescinde affatto dal criterio dell'imputazione a un soggetto o a una pluralità di essi di quella serie di rapporti, rilevando esclusivamente lo scopo al quale quei beni risultano destinati. Si determina, così, una contrapposizione tra il divenire dell'impresa, alla cui base è il profilo finanziario che non necessita di garanzie in senso tecnico, trovando fondamento su piani finanziari che ripagano l'investimento attraverso i flussi, e la staticità della persona, il cui sistema è fondato "sul valore dei beni e non sulla loro redditività" (pp. 79-88). La trasformazione di entità immateriali in titoli configura un rapporto, i cui elementi, pur nel divenire, sono perfettamente individuati e in quanto tali immutabili, consistendo, da un lato, in un finanziamento e, dall'altro lato, nei flussi di denaro destinati al rimborso del finanziamento effettuato; cosicché il finanziamento è ripagato con quei flussi che spezzano il meccanismo proprio dell'obbligazione, fondato sul rapporto di debito e quello di responsabilità. In questa prospettiva si giunge alla negazione dell'attuale sistema della responsabilità, non più funzionale alle esigenze dell'impresa, visto che il rapporto di debito è fissato 'preventivamente' attraverso il criterio mobile rappresentato dai proventi. In questo diverso sistema è assente il rapporto di responsabilità, non nel senso che il debitore assicura solo i proventi (ciò che farebbe rivivere l'eccezione all'art. 2740 c.c.), quanto piuttosto che non risponde affatto dell'inadempimento; in tal modo l'obbligo assunto dal debitore-impresa non è di risultato, ma esclusivamente di mezzo, cioè di garanzia della destinazione dei flussi finanziari verso il finanziatore.
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