CASALE
(lat. Vardacate; Sedula, Casale Sancti Evasii nei docc. medievali; od. Casale Monferrato)
Città del Piemonte (prov. Alessandria), già capoluogo della regione storica del Monferrato.La critica contemporanea ha ormai concordemente identificato nel sito pianeggiante alla destra del Po, sul quale si è andato configurando il nucleo medievale di C., quello del municipium romano di Vardacate - menzionato da Plinio (Nat. Hist., 3, 5, 49) nella Regio X Italica - anche se gli occasionali ritrovamenti antichi, per lo più di natura funeraria, nonché l'assetto viario quale risulta dalle prime iconografie 'scientifiche' del sec. 16° non consentono ancora di riconoscerne l'assoluta coincidenza fisica, l'eventuale continuità insediativa e le possibili stratificazioni.Abbandonato con le prime invasioni il centro antico, quello altomedievale appare citato, secoli dopo, sotto il leggendario toponimo di Sedula - accreditato perfino in taluni atti successivi della cancelleria imperiale - nella Vita vel Passio beatissimi Evasii (VII, 1; VIII, 10-11; Coppo, 1965), che, redatta credibilmente entro l'inizio del sec. 11°, riporta tuttavia spunti documentari riferibili al primo terzo dell'8°: a quell'epoca, infatti, già doveva esistere una chiesa forse plebana dedicata a s. Lorenzo, dinanzi alla quale il santo fu messo a morte e che in seguito gli sarebbe stata intitolata. Ma un'attestazione indubbia è fornita da una carta del 5 agosto 988 (BSSS, XL, 1907), in cui la chiesa viene ormai ricordata come "Canonica Sancti Evasii, quae est Plebs sita loco Casalis"; essa doveva avere già richiamato attorno alle sue coerenze il primo insediamento riconoscibile, un castrum a sviluppo ovoidale di oltre ha 5, cinto allora da un fossato e più tardi fortificato con mura.Tra i secc. 11° e 12° il burgus, ancora sottoposto al vescovo di Vercelli, sembra risultare in forte espansione, a sua volta aggregato intorno al nucleo altomedievale - dominato dalla canonica di S. Evasio da poco ricostruita - e probabilmente protetto anch'esso da un fossato esterno. La concessione dell'autonomia comunale, riconosciuta il 5 marzo 1186 con diploma di Federico I Barbarossa, diede tuttavia origine ad aspre controversie, dapprima con l'autorità vescovile, quindi con il comune di Vercelli, fino a sfociare nell'attacco congiunto (1215) di Vercellesi, Milanesi e Alessandrini, che irruppero nell'abitato, distruggendolo in parte, saccheggiandolo e allontanandone i residenti. Ripopolato nel 1219, per l'intervento di Onorio III, il borgo ottenne conferma delle sue libertà comunali il 12 ottobre 1220 e si assestò gradualmente nella duratura suddivisione in cantoni (Bregnanum, Monterionum, Lacus e Vaccarium) inseriti entro una cinta difensiva murata, di tracciato quadrangolare, compiuta verso la metà di quel secolo (Statuti, cap. 344), sulla quale si erano ormai attestate le porte (porta Laci e porta Nova, porta Vaccarii e porta Aquarolii) corrispondenti agli sbocchi delle principali direttrici di attraversamento N-S ed E-O, tuttora conservatesi nel tessuto urbano. Soltanto con il secolo successivo si affermò definitivamente sul borgo l'egemonia dei marchesi del Monferrato, non più garanti di un'autonomia tenacemente difesa - come era stato in passato con Guglielmo VII, eletto nel 1278 capitaneus generalis del comune - bensì impostisi con prerogative feudali nel fragile equilibrio politico, scosso dalla crescente penetrazione viscontea, sicché fu giocoforza che la comunità casalese si sottomettesse nel 1303 a Giovanni I, ultimo della dinastia aleramica, e nel 1316 a Teodoro I, con il quale si apre la stirpe bizantina dei Paleologi (Sangiorgio, 1639). Conseguenza dei mutati rapporti fra le parti fu la costruzione del castello, voluto da Giovanni II nel 1352 ca., presidio e dimora occasionale del principe - la cui sede peraltro restava ancora Chivasso -, posto a ridosso delle mura ai margini occidentali dell'abitato, in prossimità di un'ansa del Po.Se le vicende storiche e gli ampliamenti successivi di C. - divenuta capitale del marchesato con Gian Giacomo (1418-1445) ed elevata al rango di città e sede vescovile nel 1474 da Sisto IV - hanno contribuito a cancellare ogni resto apparente delle fortificazioni medievali, l'impronta di quell'epoca permane invece nella sua trama viaria e, oltre alla straordinaria presenza della cattedrale di S. Evasio, in numerosi lacerti di murature inglobate in strutture più recenti, nonché in talune fabbriche ecclesiastiche. Nella chiesa conventuale di S. Marco, già officiata dagli Umiliati, adattata poi nel 1522 a chiesa interna del monastero di S. Bartolomeo delle Agostiniane, un recente restauro ha consentito di individuare una navata unica del tardo sec. 13°, coperta da tre ampie crociere archiacute dai singolari costoloni torici in legname incurvato. Rimangono inoltre i resti di una parte della sala capitolare - con pilastri cilindrici in laterizio e capitelli calcarei a foglie, alcuni ancora romanici di recupero, altri trecenteschi - e di un chiostro (attualmente pressoché inaccessibili per l'abbandono dell'immobile), già pertinenti al complesso di S. Francesco dei Minori conventuali, soppresso il 22 febbraio 1801, parzialmente atterrato e trasformato in macello nel 1832. Secondo Saletta (Ducato del Monferrato descritto, I, I, c. 155r) la fabbrica originaria, dotata di una vasta e magnifica chiesa, era stata fondata dal marchese Giovanni II Paleologo e portata a termine nel 1346. Infine si conserva il muro settentrionale d'ambito - interamente in mattoni con il fregio di sottogronda ad archetti pensili - della chiesa conventuale a tre navate di Santa Croce, da tempo in abbandono, consacrata nel 1344 dal vescovo di Vercelli Emanuele Fieschi, quando essa apparteneva agli Agostiniani scalzi (De Conti, Ritratto della Città di Casale).L'attuale cattedrale di S. Evasio è un'imponente costruzione romanica che, per complessità d'impianto, soluzioni d'alzato e stratificazioni successive, presenta indubbie difficoltà intrinseche di lettura, rese più ardue dal disastroso ripristino condotto nel 1857-1860. Consacrata il 4 gennaio 1107 da papa Pasquale II, l'allora chiesa plebana e collegiata subì un incendio già nel 1175, fu quindi restaurata nel 1186, poi distrutta nel sacco del 1215 e risarcita qualche anno dopo, anche se di una sua distruzione totale sarebbe lecito dubitare risultando ancora preponderanti nelle strutture pervenute i caratteri architettonici del tardo 12° secolo. In ogni caso, a prescindere dalla leggendaria committenza di Liutprando sostenuta dalle fonti, l'edificio era sorto su una fabbrica preesistente, come appare confermato dalle più antiche sostruzioni del presbiterio attuale (probabilmente in origine una cripta), recentemente scoperte, e dalla torre campanaria fortemente deviata rispetto all'asse della chiesa, il cui piano inferiore va comunque assegnato all'11° secolo. Sviluppata su cinque slanciate navi di sei campate ciascuna tutte coperte a crociera nervata - interrotte dal transetto in corrispondenza della quarta campata dall'ingresso, ove la nave mediana era dominata da un alto tiburio, danneggiato da un fulmine nel 1544 e cimato nel 1635 - e provvista di un ampio atrio coperto, la fabbrica esprimeva il meglio della tradizione culturale lombarda, commista però ad altri elementi, formali e stilistici, di disparata estrazione: le profonde arcature cieche d'origine sui prospetti laterali a richiamare gli esempi pugliesi, le torri scalari in facciata (interamente rifatta in stile) di carattere nordico, lo straordinario vestibolo sovrastato da un sistema ad archi incrociati di chiara suggestione orientale. Allo stato attuale, è forse quest'ultima la parte più significativa della cattedrale casalese: uno spazio grandioso - in origine di uso semiprofano - stereometricamente scandito dalle strutture portanti, entro e attorno al quale si era esercitata assai meno l'opera del restauratore. Appare difficile, tuttavia, chiarirne l'origine, dal momento che i riscontri più aderenti si ritrovano nei gavit' armeni, documentati a partire dal sec. 13° avanzato, mentre resterebbe sempre oscuro il percorso di un'eventuale penetrazione di modelli tanto esterni.Un'eco locale di siffatta struttura è comunque riconoscibile anche in una sala del piano terreno nel vicino castello aleramico di Trino, databile fra il sec. 13° e il 14°, coperta analogamente da due coppie di archi incrociati. Perduta la decorazione pittorica originaria, restano invece numerose testimonianze scultoree nelle gallerie dell'atrio, sul prospetto meridionale, nei sottotetti, a riprova di radicali riplasmazioni intervenute già durante il 13° secolo. Si tratta soprattutto di bei capitelli a fogliame, di foggia e disegno estremamente variato, nelle polifore, che ostentano inoltre ricchi archivolti a girali e lunette figurate, oppure della ghiera centinata di una bellissima finestra e di vari frammenti di cornici, tutte nascoste nel sottotetto, ove prevale un'ornamentazione di sapore classicheggiante, con fasce di dentelli e di ovoli alternati a frecce.Una tale trattazione dell'echino figura anche sul portale mutilo dell'antica parrocchiale di S. Clemente (sec. 12°) nel nucleo rurale di Torcello, oggi in territorio comunale di Casale. Infine, un interessante frammento recuperato dalla facciata, ove occupava la sommità del timpano, e adattato ora a basamento del leggio dell'epistola, mostra un medaglione con un Agnus Dei fortemente sbalzato, sovrapposto a un lacunoso bacino maiolicato a lustro con fondo figurato, forse opera d'arte fatimide del sec. 12°, che rappresenta probabilmente l'unica testimonianza dell'originario apparato decorativo.In occasione dei restauri ottocenteschi vennero in luce, sotto due strati successivi dell'impiantito, resti significativi dei mosaici pavimentali originari. Di questi, i più danneggiati non superarono l'azione di strappo, mentre i restanti - ripartiti in dieci frammenti di media grandezza per un'estensione totale di m2 22 ca. - furono murati alle pareti esterne dell'ambulacro dell'abside centrale, ove si trovano tuttora. I pannelli conosciuti, superstiti o perduti, sono tutti figurati - incorniciati entro larghe bande percorse da motivi geometrici (nastri intrecciati, cerchi concatenati, greche, zig-zag) o vegetali (palmette e girali) - e si possono suddividere in due gruppi per forma, dimensioni e tematiche: quelli rettangolari illustrano generalmente episodi dell'Antico Testamento (Giona e la balena, Abramo sconfigge gli Elamiti, Supplizio di Nicanore, ecc.), fuorché il profano, ma non meno moraleggiante, Duello; quelli circolari invece, campiti entro quadrati, rappresentano scene e personaggi simbolici o favolistici (l'Antipodes, corrispondente al pliniano sciapodo, il Septemcapita, ossia la bestia apocalittica, un Acephalus, ecc.), a eccezione del riferimento aneddotico del Pescatore, che la scritta esplicativa in volgare rimanda inequivocabilmente alla quotidianità locale: "Qua l'è / l'arca / de san / Va[x]" (Coppo, 1965-1966, pp. 239-244). Il ciclo, ancorché lacunoso, offre comunque motivo di grande interesse anche per la qualità dell'esecuzione, condotta con un disegno sciolto ed efficace, vieppiù sottolineato dai contorni rigorosamente in nero, ma sfumato nelle campiture dei corpi e delle vesti mediante una gamma variata di tessere multicolori. Assegnato dalla critica a date oscillanti tra il sec. 11° e la prima metà del 13°, il litostroto casalese può tuttavia attribuirsi credibilmente alla seconda metà del 12° secolo.Sempre nella cattedrale di S. Evasio si trova, sospeso in corrispondenza dell'arcata presbiteriale, un magnifico crocifisso (cm. 230150 ca.) databile alla seconda metà del sec. 12°, in legno interamente rivestito di lamina argentea nel corpo del Cristo e con guarnizioni in bronzo dorato, pietre dure e cristalli lungo i bordi della croce. Appartenuto un tempo alla cattedrale di Alessandria, esso ne fu asportato nel 1403 da Facino Cane quale bottino di guerra in occasione del recupero delle reliquie dei santi patroni casalesi. La figura riproduce il tipo iconografico triumphans, incoronato, con il capo e il corpo eretti e frontali, le braccia leggermente rilassate, le gambe appena distanziate: piuttosto stante sul suppedaneo che appeso ai chiodi. Il modellato appare schematico, con brusche giustapposizioni dei piani sbalzati e un'accentuata stilizzazione nell'espressione del volto emaciato, tanto da contribuire a isolare stilisticamente quest'opera, seppure tipologicamente affine, dagli altri esempi noti dell'area lombarda: il crocifisso della cattedrale di Vercelli e quello c.d. di Teodote nella chiesa di S. Michele Maggiore di Pavia.Al nucleo cospicuo di oggetti costituenti il tesoro della cattedrale appartiene poi un enigmatico, quanto notevole, reliquiario del piede di s. Margherita, pervenuto alla sede attuale nel 1804 dalla soppressa abbazia lateranense di Crea in Monferrato. Si tratta di una teca in forma di piede (lunga cm. 26 e alta cm. 10), con anima lignea rivestita in lamina d'argento dorato e parte anteriore, corrispondente alle dita, in cristallo di rocca, finemente modellata in schietti termini naturalistici. Offerto secondo le fonti nel 1382 dai marchesi Paleologhi - anche se sull'identità dei donatori permangono ambiguità e anacronismi nelle testimonianze più antiche (Massino, 1590, p. 17) -, questo singolare reliquiario è stato attribuito (Gabrielli, 1974, p. 220) all'ambito antiocheno del sec. 4°-5° in virtù delle sue peculiarità formali e stilistiche.Presso l'Arch. capitolare si conserva un passionario frammentario in centotrentaquattro carte del sec. 11° dal titolo spurio Antiqui Evasianae Basilicae Martyrologii Analecta, arricchito da numerose iniziali miniate. Il codice, membranaceo e di grande formato (mm. 440325), presenta il testo redatto in elegante scrittura carolina distribuito su due colonne ed è stato assegnato dubitativamente a uno scriptorium locale. Dei vari capilettere, alcuni sono a intrecci di nastri multipli, in bianco, rosso e verde, come la grande I dell'incipit della vita di s. Evasio (c. 125r), altri a motivi teratologici (la T di c. 1r), ma le iniziali più complesse (alte oltre mm. 70) risultano ottenute mediante eleganti figurazioni opportunamente atteggiate, come il veltro che forma l'occhiello di una P (c. 78r), il pescatore che regge un pesce al di sopra della testa (T, c. 40r), le due svelte figurine muliebri che si tendono reciprocamente le mani (H, c. 26r). Resta infine da ricordare una pagina smembrata di un breviario (mm. 329234), probabile opera bolognese del sec. 14°, con una bella B iniziale policroma (con Davide citaredo) e un fregio marginale a perline e racemi.
Bibl.:
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Fonti edite. - Vita vel Passio beatissimi Evasii confessoris Christi atque Pontificis simul et Martyris, in A. Coppo, Il culto a S. Evasio di Casale vescovo e martire nelle testimonianze più antiche, Rivista di storia della Chiesa in Italia 19, 1965, pp. 301-377: 344-350; Le carte dello Archivio Capitolare di Casale Monferrato fino al 1313, a cura di F. Gabotto, U. Fisso, in BSSS, XL-XLI, 1907-1908; Necrologium Ecclesiae Beati Evasii Casalensis, in MHP. SS, V, 1848, coll. 449-510; Gli statuti medievali di Casale: codici e tradizione erudita, a cura di P. Cancian, Rivista di storia arte e archeologia per le province di Alessandria e Asti 87, 1978, pp. 93-599: 105-599; C. Massino, Trattato dell'antichissima divotione nel sacro monte di Crea posto nel Ducato di Monferrato. Dove Iddio ad intercessione della Beata Vergine opera continuamente molti miracoli, Pavia 1590; M.A. [Coltella] da Livorno, Breve historia, et descrittione della miracolosa Madonna del Sacro Monte di Crea in Monferrato, Vercelli 1612; B. Sangiorgio, Cronica del Monferrato, Casale 1639 (rist. Torino 1780; rist. anast. Bologna 1975, pp. 82, 101-102); F.M. Emiglio, Istoria, e Vita di Sant'Evasio Vescovo, e Martire, Vercelli 1708; G. De Bono, De Casalensis Ecclesiae Origine, atque Progressu, Torino 1734 (nuova ed. Casale Monferrato 1986); G.A. Irico, De Sancto Evasio Astensium primo Episcopo, et Martyre, Casalensis Urbis Patrono Dissertatio historico-critica, Milano 1748; G. De Conti, Ritratto della Città di Casale scritto nell'anno 1794, a cura di G. Serrafero, Casale Monferrato 1966, p.24.
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