Casella
. Musico e cantore (sec. XIII), morto prima della primavera del 1300, protagonista del secondo canto del Purgatorio (vv. 76-117). La figura è certamente storica, anche se nulla di preciso si sa della sua vita. Designato per primo dall'Ottimo " finissimo cantatore " che " già intonò delle parole dello Autore ", è ritenuto fiorentino da Benvenuto, Buti, Chiose Cassinesi, Landino, Vellutello; l'Anonimo lo ritiene invece pistoiese.
Il D'Ancona notò che nei registri della Biccherna di Siena (vol. LXXVII, c. 1) risulta che in data 13 luglio 1282 fu pagata una multa " a Casella homine curiae quia fuit inventus de nocte post tertium sonum campanae Comunis ". Dato che negli stessi registri, in una carta successiva, risulta che venne pagata una multa " a Scarsella de Florentia homine curiae qui fuit inventus de nocte post tertium sonum campanae Comunis ", per il D'Ancona " è probabile che Scarsella sia una persona stessa con Casella, e ambedue designino l'amico di Dante ". Ma da alcuni documenti dell'Archivio di Stato di Bologna, studiati dal Papa, si ricava che in quella città soggiornò un C. fiorentino nel 1284 e nel 1290; anzi, forse v'era fin dal 1277 (in quell'anno infatti un suo figlio stipula un atto). Il Papa opina pertanto che il documento ricavato dai libri della Biccherna si riferisca non a C. ma a uno Scarsella. In ogni caso, alla professione di C. manca il minimò accenno.
L'unico riferimento attendibile al C. dantesco è invece costituito da un'annotazione a un madrigale contenuta nel codice Vaticano 3214: " Lemmo da Pistoia. Et Casella diede il sono ". Il che non deve però mutuare in senso stretto l'ipotesi che C. musicasse canzoni dantesche, anche se, come vedremo, intona in Pg II 112 l'incipit della seconda canzone del Convivio.
C. fa parte della schiera di anime giunte sul vasello dell'angelo, che D. incontra sulla spiaggia dell'Antipurgatorio. Appena riconosce D., corre per abbracciarlo, inducendo il poeta a far lo somigliante; ma l'abbraccio sarà vano perché la figura del musico è ormai solo un'ombra. Pregato di cantare, C. intona Amor che ne la mente mi ragiona. Ma mentre D., Virgilio e le altre anime sono attente ad ascoltare, interviene Catone che rampogna aspramente gli spiriti lenti, incitandoli a correre verso il luogo della purificazione, e la masnada fresca lascia il canto e fugge ver' la costa.
Il personaggio di C. riflette in sé tutte le motivazioni spirituali e squisitamente umane di Pg II, canto delle terrene amicizie e del sentimento, che sempre ritorna in D. lungo tutto il corso del poema, degli affetti lasciati o perduti in terra: sentimento, d'altronde, che è particolarmente intenso in questi canti dell'Antipurgatorio, ove il ricordo delle cose terrene è più immediato perché gl'incontri riflettono esperienze di vita recentissime nel pellegrino D. e quindi nel poeta. Ma, attraverso l'episodio di C., D. ha modo di esprimere, in modo particolarmente incisivo e in un'atmosfera lirica tra le più raffinate e pungenti di tenerezza umana, il riscatto etico da tutto quel complesso di dati e di fatti troppo contingenti che è in ogni amicizia di questo mondo, nel nome di una purificazione avviata liturgicamente dal rito propiziatorio di Catone e che, proprio a partire da questo Pg II, già possiede l'animo di D. viator, in attesa dell'acquisto pieno e totale di Dio.
Il linguaggio dell'episodio, nutrito di esperienze stilistiche che riprendono i toni della suavitas e della dulcedo dello stile tragico, e segnano lo stacco netto dal clima ‛ comico ' e realistico della prima cantica, si evidenzia in una serie di immagini colme di delicatezza: grande affetto, ovvero l'ombra sorrise, o soavemente, o io t'amai, o l'invocazione Casella mio (con quella posizione così intensa, e rara in D., del possessivo), e ancora amoroso canto, dolcemente, dolcezza: termini che già qualificano il timbro poetico del Purgatorio. Ebbene, questa raffinata scelta di vocaboli e di toni è soluzione letteraria voluta da D. per meglio esprimere il clima stilnovistico della giovinezza, sua e dei suoi amici, ricordata nell'episodio; ma, al tempo medesimo, concretamente simboleggia una nuova condizione spirituale o almeno l'oggettivarsi di un sollecitante appello a procedere per la via dell'acquisto della divinità, quantunque (ecco un altro elemento che caratterizza l'episodio, e lo pone in netto rilievo rispetto ad altri incontri danteschi con amici della giovinezza) la situazione umana sia ancora ricolma di dubbiosa incertezza e di smarrito senso di sospensione. Per tal motivo l'episodio di C. non ha soltanto una grande importanza nell'iter poetico della cantica (anzi è uno dei momenti di più alta vibrante liricità), ma offre inoltre un significato specifico nel viaggio dantesco nell'oltretomba: cioè rappresenta un atto fondamentale dello spirito dantesco, invitato a riflettere soprattutto sulle difficoltà nell'intraprendere il nuovo cammino se non ci si è completamente liberati dal peso dei rapporti con la terra. La condizione dello spirito s'amalgama fortemente coi modi dell'espressione letteraria, e quindi il caso morale s'identifica col tono poetico. Così che D., mai dimentico del fascinoso richiamo della memoria, nel risuscitare le voci degli antichi amici (Belacqua, Forese, ecc., accanto a C.) le riempie di straordinaria dolcezza, di struggente malinconia. Altro caso, dunque, e non ultimo, dí quell'analogia tra status morale e concretezza umana che è il segreto, o uno dei segreti, della poesia dantesca.
Ma il vano abbraccio del poeta al musico è il primo monito della nuova realtà offerta dall'esigenza di distaccarsi dalla terra. Per il momento il monito resterà inascoltato: troppo insistentemente si sono presentati dinanzi a D. i ricordi terreni nell'affettuosità dell'incontro e nella dolcezza del canto, fino a quando Catone non interverrà decisamente a ricordare alle anime quale sia il loro dovere.
Il De Sanctis, sintetizzando gli elementi essenziali di una tematica sulla quale insisteranno, con poche variazioni, i critici contemporanei, ha così illustrato l'episodio: " Questa intimità, questo tenere nel cuore un cantuccio chiuso al mondo, riservato alla famiglia, agli amici, all'arte, alla natura, è il mondo rappresentato nel Purgatorio ". Ma sostanzialmente più drammatico che lirico è considerato l'episodio da altri studiosi (Montanari, Marti), mentre il Flora scandisce, nella sua lettura, il ritmo musicale del canto e il senso d'oblio nella musica che rapisce i protagonisti dell'episodio, oblio " attenuato dall'amorosa presenza di una virtù artistica che affratella gli uomini ed è anch'essa una suprema forma di carità ". In realtà il dramma è ben vivo e presente. È il dramma di un'anima che pena alla ricerca di una sua consistenza, perché non ancora completamente staccata dal mondo dei vivi che non è più suo. È in certo qual modo la proiezione in senso cristiano del dramma di Palinuro. La dolcezza di certe descrizioni non rappresenta una momentanea evasione, uno squarcio lirico non strutturato nel senso morale del Purgatorio; rappresenta piuttosto la seduzione dell'ultimo ricordo, alla quale inesorabilmente C. deve essere strappato. La figura di C. pertanto, più che simbolo del mondo rappresentato nel Purgatorio, come voleva il De Sanctis, costituisce il dinamico punto d'incontro di due climi morali e poetici: solo in tal senso può considerarsi una naturale introduzione al mondo della redenzione.
Una serie di congetture è stata avanzata intorno al vano abbraccio di Dante.
Com'è noto, nella Commedia le ombre non sempre sono vaghe. Mostrano talora una certa consistenza; talvolta possono essere abbracciate e talvolta no. Tra i vari tentativi di dare una spiegazione logica, ricordiamo l'ipotesi del Tommaseo: D. figura " le ombre dei non reprobi ora palpabili ora no, come Cristo risorto: le ombre dei dannati palpabili sempre ".
Altre teorie ci appaiono più sottili e ingegnose, quale quella di G. Gargano Cosenza, per cui " le ombre sono più salde, quanto è più grave la colpa che le macchia; la quale, come aggrava moralmente l'anima, così materialmente rende più saldo il corpo fittizio ". Ma mentre Virgilio e Sordello si abbracciano, D. non può abbracciare C. " perché un'ombra del Purgatorio, per quanto salda essa sia, cede all'urto di un corpo vivo; ma due ombre si abbracciano e non ritornano colle mani al petto ". Secondo una teoria, non meno ingegnosa, di R. Petrosemolo, le ombre hanno un corpo di aria condensata, formato cioè " coagulando le particelle dell'aria... accrescendone la densità ". Pertanto " riescono più salde dove l'aria che le circoscrive è più crassa. Saranno perciò saldissime, e dotate di tutte le proprietà dei corpi solidi nell'Inferno, posto nella sfera della massima crassizie; dotate di una saldezza minore, che cede alla pressione dei corpi solidi, ma resiste a quella di corpi di ugual consistenza nell'Antipurgatorio, posto nella sfera dell'aria crassa; sottili, e di appena tanta saldezza che basti alla vista, nel Purgatorio ".
L'enigma forte dell'episodio è però costituito dal ritardo di Casella. L'angelo veramente da tre mesi... ha tolto / chi ha voluto intrar, con tutta pace. Escluso che il viaggio durasse tre mesi (ricordiamo che il muover dell'imbarcazione guidata dall'angelo nessun volar pareggia, v. 18), come possiamo spiegare tale ritardo? Senza voler avere la pretesa di nominare tutti i critici che si sono interessati del problema, cercheremo di tracciare un panorama delle ipotesi formulate.
Si può, anzi tutto, notare una tendenza a svincolare l'episodio da ogni riferimento teologico: pertanto C. sarebbe stato fatto giungere dopo tre mesi nell'isola del Purgatorio semplicemente perché D. avesse in tal modo l'occasione di ritrarre l'incontro con lui (Agnoletti, Pranzetti, Pistelli). Interpretazione simile è quella data dal D'Ovidio e dallo Scartazzini (commento lipsiense) e accettata parzialmente dal Pistelli: D. avrebbe avuto in mente l'episodio virgiliano di Palinuro. Secondo il Federzoni, invece, le anime, a causa della loro moltitudine e della lunghezza del viaggio, dovevano osservare un turno.
Una spiegazione teologica del problema si può già trovare nei primi commentatori: il Lana e l'Ottimo attribuiscono il ritardo di C. al fatto che egli si sarebbe pentito solo in punto di morte. A. Cimmino, invece, ritiene che " le anime destinate a star per certo tempo nell'Antipurgatorio " sarebbero state " aderendo al loro naturale e razionale desiderio, eccezionalmente per quel tempo alle foci del Tevere, e di là " sarebbero state " colla navicella tolte con tutta pace, cioè a seconda che venivano applicate ad esse le indulgenze... le quali sarebbero valse ad espiare la pena di stare nell'Antipurgatorio ". Secondo G. Schiavo, C., prima di essere stato traghettato dall'angelo, sarebbe andato e venuto parecchie volte dalla foce del Tevere in luoghi da lui conosciuti, sperando di procurarsi preghiere di anime buone; per sostenere tale ipotesi pensa che il poeta abbia adattato alla leggenda dei due Purgatori, così diffusa ai suoi tempi, quella di due Antipurgatori: l'uno sarebbe quello cantato nel poema e l'altro sarebbe invece formato dai luoghi attraverso i quali C. andò errando, prima di essere accolto dalla navicella dell'angelo. Non molto dissimile ci appare la tesi più recentemente avanzata dal Pézard: C., per aver troppo amato tutte le cose belle della terra, non poteva subito staccarsene.
Lo Zingarelli ritiene che " non tutte le assoluzioni sono irreprensibili; e per quelle non perfette l'Angelo applica un suo particolare provvedimento, lasciando che le anime, col desiderio e colla preghiera, suppliscano al pentimento ". Un'ipotesi simile è stata avanzata recentemente dal Caligaris: il ritardo di C. sarebbe spiegabile col fatto che, per la sua negligenza, non aveva potuto avere in punto di morte tre sacramenti: Confessione, Viatico, Estrema Unzione. Il Poletto, il Mondolfi e il Parodi sostengono che C. non ha voluto entrare nel vasello non sentendosene ancora degno (cfr. quanto è scritto sulla liberazione delle anime dalla pena del Purgatorio, in Pg XXI 61 ss. De la mondizia sol voler fa prova, / che, tutto libero a mutar convento, / l'alma sorprende, e di voler le giova). Similmente A. Camilli osserva che l'angelo ha sì accolto da tre mesi chi ha voluto intrar, con tutta pace, " ma le anime sottoposte ad una mora hanno voluto entrare solo alla scadenza della mora stessa, perché solo allora sentono questa volontà ".
Seri dubbi sono stati avanzati sulla possibilità che effettivamente la canzone Amor che ne la mente mi ragiona possa essere stata ‛ intonata ' da Casella. Già l'Anonimo osservava che le canzoni morali non era 〈〈 usanza d'intonarle " e perciò opinava che tale verso potesse anche essere 〈〈 principio di qualche ballata o suono ". Ai nostri giorni una tesi simile è stata avanzata da Stefania Plona, secondo cui C. probabilmente non avrebbe mai rivestito di note la canzone di D.; infatti, già al tempo di D., in Italia la canzone sarebbe stata composta solo per essere letta e scarsissime sarebbero le eccezioni. La tesi della Plona è stata peraltro controbattuta dal Marti, che ha poggiato le sue argomentazioni su alcuni significativi passi del De vulg. Eloquentia.
Bibl. - N. Scarano, La saldezza delle ombre nella D.C., in " Nuova Antologia " 10 settembre 1895, 127-151; A. D'Ancona, rec. all'Enciclopedia dantesca di G.A. Scartazzini, in " Rass. bibliografica lett. ital. " V (1897) 84 (a proposito di Casella-Scarsella nei libri della Biccherna); D. Marzi, Rassegna critica degli studi danteschi, in " Bull. " V (1897-98) 95 n. 2 (riferimento a B. Agnoletti); A. Cimmino, Il Giubileo del 1300 e D.A., Roma 1900; E. Pranzetti, L'indugio di C., Arpino 1900; G. Schiavo, L'indugio di C., Sondrio 1901; G. Albini, Il canto II del Purgatorio, Firenze 1902; G. Gargano Cosenza, La saldezza delle ombre nel poema dantesco, Castelvetrano 1902; R. Petrosemolo, La saldezza delle ombre nella D.C., Massa 1902; O. Bacci, Rassegna critica degli studi danteschi: P. Papa, Di un C. fiorentino, in " Bull. " XI (1904) 313; C. Perinello, C., Firenze 1904; E. Pistelli, Il canto di C. (per nozze Bosshard Baldi), ibid. 1907; E.G. Parodi, rec. a Dantes Fegeberg, der göttlichen Komòdie zweiter Teil. Uebersetz von A. Basserman, Monaco e Berlino 1909, in " Bull. " XVI (1909) 146; A. Mondolfi, Il tardo venir di C. alla piaggia del Purgatorio, in A V. Cian i suoi scolari dell'Università di Pisa (1900-1908), Pisa 1909, 29-34; B. Pinchetti, Ombre vane fuor che nell'aspetto, in " Nuovo Giorn. d. " IV (1920) 33-43; G. Lipparini, Il canto II del Purgatorio, in Studi critici in onore di G.A. Cesareo, Palermo 1924, 253 ss.; L. Tonelli, Il canto II del Purgatorio, in " Giorn. d. " XXXIV (1931) 158 ss.; F. D'ovidio, Nuovi studi, II III, Napoli 1931; Zingarelli, Dante 1035; G. Federzoni, I viaggi dell'angelo della pace, in Studi e diporti danteschi, Bologna 1935, 278 ss.; A. Camilli, La bolla giubilare di Bonifacio VIII, le indulgenze giubilari ed il ritardo di C., in " Studi d. " XXX (1951) 207-209; P. Caligaris, Note dantesche, in " Lettere ital. " III (1951) 28-30; S. Plona, Forse C. non cantò, in "Nuova Antol. " settembre 1953, 93-96; F. Montanari, Il canto Il del Purgatorio, in "Humanitas " X (1955) 359-363; A. Pézard, Le chant deuxième du Purgatoire, in " Annales du Centre Univ. Méditerr. " IX (1955-56) 23-32; F. Flora, Il canto 11, in Lett. dant. 685 ss.; C. Angelini, Il canto di C., in " Il Veltro " IV (1960) 3-10; A. Chiari, Il canto secondo del Purgatorio, in " L'Alighieri " III (1962) 8-16; M. Marti, La tematica del canto di C., in Dal certo al vero, Roma 1962, 75-100; Id., Il canto Il del Purgatorio, Firenze 1962 (rist. in Lect. Scaligera II 45-73); L. Cicchitto, Il canto Il del Purgatorio, Torino 1964; V. Russo, Il canto Il del Purgatorio, in Nuove lett. III 229-265.