DELAVIGNE, Casimir
Poeta francese, nato a Le Havre nel 1793, morto a Lione nel 1843. Fece i suoi primi studî a Parigi in compagnia del fratello Germain, che fu poi noto vaudevilliste, e di E. Scribe, a cui rimase legato tutta la vita. Cominciò presto a scrivere versi (cfr. il giovanile ditirambo sulla nascita del Re di Roma); ma richiamò su di sé l'attenzione generale con una lirica, La bataille de Waterloo, in cui manifestò il senso di rivolta e di fierezza da cui fu presa la Francia per la durezza con cui era stata trattata dopo la sconfitta napoleonica. Fu la prima di una serie di liriche (Les Messéniennes), a cui seguirono: Chants populaires, Derniers chants. Oltre ai principali fatti della vita contemporanea francese, D. canta la sua ammirazione per la Grecia (egli si esalta per la morte di Byron a Missolungi) e per l'Italia, da lui visitata con entusiasmo. Ma questo ufficio d'interprete dell'anima del suo popolo o, meglio, della parte liberale di questo, se gli diede larga notorietà, costrinse anche in lui quella vena poetica, delicata e quasi pudica che qua e là affiora, inducendolo a scrivere in un tono maggiore, assai poco affine al suo temperamento raccolto. Migliore è la sua produzione drammatica, sebbene viziata anche questa dagli stessi difetti fondamentali. Ottenuto un primo successo sulle scene, con Les Vêpres Siciliennes (1819), si diede al teatro con entusiasmo, e giunse ben presto a una celebrità che ebbe riflessi anche in Italia, ad esempio nell'opera di Giambattista Niccolini. Le sue produzioni, fra le quali ricorderemo soprattutto Le Paria (1811), Marin Faliero (1829), Louis XI (1832), Les Enfants d'Edouard (1833), si ricollegano, specialmente per certe preoccupazioni filosofiche, al Voltaire dell'ultima maniera; ma anche nel teatro gli nuoce l'eccessiva indulgenza ai gusti del pubblico, per cui verso il 1830, trovandosi di fronte a generazioni che avevano esigenze nuove e diverse da quelle del suo temperamento, tentò un compromesso non felice tra classicismo e romanticismo. Tuttavia non mancano nel suo teatro scene rappresentate con una certa forza, e qualche carattere disegnato con abilità tecnica, ma, come nelle liriche, si sente povertà di fantasia, si avvertono preoccupazioni estranee, i personaggi sono più visti nei loro tratti esteriori che scrutati nella loro profondità, la forma manca di rilievo e di colore, è sciolta o enfatica. La figura del D. fu di quelle che tramontano col proprio tempo; ma deve esser tenuta presente per la storia letteraria del sec. XIX.
Ediz. Øuvres complètes, Parigi 1843 e 1871.
Bibl.: Sainte-Beuve, Portraits contemporains, V; J. Lemaître, Impressions de théâtre, Parigi 1888-98, III; F. Vaucheux, C. D., Parigi 1893; A. Favrot, Étude sur C. D., Parigi 1894; Fauchier-Delavigne, C. D. intime, Parigi 1907.