cassa rurale e artigiana
Società cooperativa a responsabilità limitata o illimitata istituita in Italia negli anni 1880 per l’esercizio del credito a favore di agricoltori e artigiani e dal 1993 confluita nella tipologia delle banche di credito cooperativo (➔).
La prima c. r. sorse nel 1849 in Prussia, per opera di F.W. Raiffeisen, e a partire dal 1880 l’istituzione si diffuse in altri Paesi europei. In Italia, fu L. Wollenborg nel 1883 a fondare a Loreggia (Padova) il primo istituto del genere e il suo esempio fu largamente seguito, grazie alle caratteristiche di economia familiare proprie dei clienti della c., alle condizioni particolari in cui versava l’agricoltura italiana, bisognosa di capitali liquidi, e all’interessamento del clero, che ne divenne uno dei promotori. Il credito cooperativo, nella forma delle c. r. e a., ebbe dunque un forte sviluppo in Italia, come risposta a un’idea economica profondamente radicata nel contesto sociale di fine Ottocento. Infatti, il movimento della cooperazione di credito ebbe grande impulso in ambito cattolico, in seguito all’emanazione dell’enciclica Rerum Novarum di papa Leone XIII, che formulò i primi elementi della dottrina sociale della Chiesa.
Le c. r. e a. ebbero uno sviluppo notevole nei primi anni del 20° sec. con un picco massimo nel 1922, anno in cui ne risultavano 3540, con una particolare concentrazione in Trentino e nell’Alto Adige. Il testo unico 1706 del 26 agosto 1937, modificato con l. 707/4 agosto 1955, ha esteso la loro attività anche all’artigianato, cambiando di conseguenza la loro denominazione. Dal 1947 sono riunite nella federazione nazionale Federcasse. Con la riforma della legge bancaria (d. legisl. 385/1993), hanno assunto la denominazione di banche di credito cooperativo - casse rurali e artigiane.
A questi soggetti, unitamente alle banche popolari, è riservato, per espressa previsione dell’art. 28 del Testo Unico Bancario (➔ TUB), l’esercizio dell’attività bancaria da parte di società cooperative, integrate attraverso il disposto legislativo in un sistema che ha come modello di riferimento quello della banca universale. Pur condividendo, in ragione della medesima forma cooperativa, talune connotazioni di struttura, tipiche delle società della specie, quali il voto capitario e il principio della ‘porta aperta’ (per il quale non è necessario modificare l’atto costitutivo dopo l’ammissione di nuovi soci), le banche di credito cooperativo - c. r. e a. differiscono notevolmente dalle banche popolari sia per l’evoluzione storica dei rispettivi modelli istituzionali sia per quanto riguarda l’operatività che le caratterizza. Nel mutato contesto del Testo unico bancario, le ex c. r. e a., abbandonata la specializzazione per settori economici (agricoltura e artigianato), rinvengono nel localismo e nella mutualità prevalente le basi su cui fondare la loro operatività.
Nell’ordinamento bancario italiano, sono assoggettate a una disciplina normativa specifica. Per poter diventare soci è necessario risiedere, ovvero operare con continuità, nel territorio di competenza della banca; rispetto alla precedente disciplina relativa alle c. r. e a., è venuto tuttavia meno il criterio dell’appartenenza dei soci a specifici settori economici, con lo scopo di consentire una più agevole e diffusa partecipazione della comunità geografica di riferimento al capitale sociale.
Il numero minimo di soci deve essere pari a 200 e ciascuno può detenere una partecipazione nominale non superiore a 50.000 euro, restando fermi il principio cardine del voto capitario e quello della clausola di gradimento (➔ gradimento, clausola di). Il TUB prevede inoltre che l’attività debba essere esercitata prevalentemente a favore dei soci e solo qualora sussistano ragioni di stabilità, la Banca d’Italia può autorizzare, per periodi limitati, singole banche a un’operatività prevalente a favore di soggetti terzi. Le banche di credito cooperativo devono inoltre dichiarare nello statuto la zona geografica di competenza. In virtù di queste peculiarità, la dottrina economica e giuridica ha accomunato le banche di credito cooperativo a enti specializzati al servizio delle comunità locali, ultimo esempio di specializzazione presente nell’ordinamento bancario nazionale, per il resto ampiamente improntato alla despecializzazione istituzionale.