MARCHESE, Cassandra
Nacque da Paolo e da Luisa Cossa, probabilmente nel 1480, a Napoli, città d'origine della famiglia paterna.
La professione del padre, giureconsulto e consigliere particolare del re Ferdinando I d'Aragona, consentì alla M. di trascorrere la giovinezza a contatto con la corte napoletana, ma non si hanno notizie al riguardo. L'episodio saliente della sua vita risale ai primi mesi del 1499, quando andò sposa ad Alfonso Castriota marchese di Atripalda, con il favore di re Federico d'Aragona ma con il parere contrario della regina Giovanna d'Aragona, vedova di Ferdinando I, protettrice della famiglia Castriota. Le notizie sulla M. si concentrano su questo evento, che riempì dolorosamente la sua vita.
Una luce di mistero sul matrimonio getta un documento datato 29 ag. 1499 (Nunziante, Un nuovo documento, pp. 703 s.) relativo alla ratifica del primo contratto nuziale, avvenuta il 27 agosto davanti a un notaio, in una casa della famiglia Cossa nelle vicinanze di Sant'Erasmo, appena fuori le mura di Napoli. Tra i quattro testimoni, figura anche il letterato pontaniano Girolamo Carbone. Dal documento risulta che la M. e Castriota fecero le dichiarazioni necessarie per convalidare la loro unione, ma non quali fossero le ragioni che avevano reso indispensabile quell'atto formale. Nella ratifica risulta anche la garanzia data da Castriota di condurre nella casa coniugale la moglie nell'aprile dell'anno seguente, cosa che evidentemente non era ancora avvenuta, né si verificò in seguito. Invece già sotto il pontificato di Alessandro VI, dunque entro il 18 ag. 1503, Castriota intentò presso la Curia la causa di annullamento del matrimonio e, non avendolo ottenuto, ritentò con Giulio II, di nuovo senza risultato.
Quando nel 1516, sotto Leone X, Castriota reiterò la richiesta di annullamento, un ruolo decisivo nella difesa della M. assunse Iacopo Sannazaro. Alcuni biografi (come G.B. Crispo, Vita di Giacopo Sannazaro, Roma 1593, cfr. Percopo, p. 160) hanno ipotizzato che la causa del ripudio fosse proprio la gelosia di Castriota per l'amicizia della M. con il poeta o che, comunque, tra i due ci fosse rivalità. In realtà è possibile che Sannazaro avesse conosciuto la M. prima del suo matrimonio o comunque prima del 1505, non tanto alla corte di Giovanna d'Aragona (sulla frequentazione tra Giovanna e la M. sono stati avanzati molti dubbi, cfr. Nunziante, Un divorzio, pp. 32 s.), quanto attraverso Paolo Marchese. Sannazaro, infatti, partecipava al circolo di Federico d'Aragona già prima che questi divenisse re, nell'ottobre 1496, e a partire da quella data fu al suo servizio. Nel 1501, in seguito all'occupazione francese, lo seguì in esilio e tornò in patria solo dopo la sua morte (9 nov. 1504). Andrebbe quindi letto come un topos letterario l'incipit del sonetto Se fama al mondo mai sonora e bella (Opere volgari, p. 138) nel quale Sannazaro si professa innamorato della M. per fama.
In ogni caso, quando Sannazaro tornò a Napoli, al principio del 1505, trovò la M. nel pieno della vertenza per il ripudio e in quel frangente si rinsaldarono i loro rapporti, anche perché Sannazaro, nelle difficoltà seguite alla perdita delle concessioni elargite da Federico e revocate dagli Spagnoli e nell'orgoglioso isolamento che ne derivò, trovò nella M. una delle poche persone che gli rimase vicina. Tra i due nacque un sentimento profondo e sincero, e Sannazaro si impegnò nella battaglia per fare riconoscere la validità del matrimonio della Marchese. Ne sono testimonianza le lettere scritte ad amici influenti: Antonio Seripando, segretario del cardinale Ludovico d'Aragona, Pietro Bembo, all'epoca segretario de' brevi di Leone X, allo stesso pontefice. Tuttavia, il 9 genn. 1518 un breve papale sembrò accogliere le richieste di Castriota, ma poi fu "tagliato" (lettera del 19 apr. 1518, in Opere volgari, p. 326) perché estorto con l'inganno. Sannazaro tentò la strada di una inibitoria che impedisse a Castriota di contrarre un nuovo matrimonio - come era sua dichiarata intenzione - con Camilla Gonzaga, figlia di Gianfrancesco e di Antonia Del Balzo. Un breve papale del 10 aprile concesse la dispensa per un eventuale nuovo matrimonio solo se quello con la M. non fosse stato consumato, e Castriota lo interpretò senz'altro come un annullamento. Sannazaro fece sentire il suo risentimento in una lettera scritta al Bembo contro Leone X (19 apr. 1518) e chiese con forza una inibitoria che non consentisse il nuovo matrimonio se non a processo concluso, ma ad agosto la situazione precipitò: Castriota accelerò i tempi e nel settembre 1518 celebrò le nuove nozze. Sannazaro non si arrese: ancora il 16 ottobre scrisse a Seripando che aspettava di vedere una copia del breve per appellarsi al re di Spagna e ricominciare il processo davanti al Tribunale del Regno. Invano: una sentenza non ci fu mai a chiarire la vicenda e il matrimonio della M., dopo quasi venti anni, fu sciolto nei fatti, dal momento che, nel frattempo, il nuovo matrimonio contratto da Castriota era stato consumato.
Quasi nulla si sa della vita della M. nel periodo successivo. Quando, nel 1527, a Napoli scoppiò la peste, si rifugiò a Somma, alle falde del Vesuvio, nel feudo del duca Alfonso Sanseverino; Sannazaro era riparato a Sant'Anastasio, poco distante. All'arrivo dell'esercito francese condotto da Odet de Foix visconte di Lautrec tornarono a Napoli e andarono a vivere nella casa di lei, davanti al monastero di Regina Coeli.
Sannazaro la cantò nei suoi epigrammi (III, 2), nelle elegie (III, 2: traccia il bilancio della sua intera vita) e nella quinta delle Eglogae piscatoriae. Dopo la morte del poeta (6 ag. 1530), nello stesso anno, uscirono a Napoli, per G. Sultzbach, i Sonetti, e canzoni, risultato di una lunga revisione. Alla M. è dedicata la seconda parte della raccolta, malgrado in tutto il canzoniere il suo nome sia taciuto (tranne che in IV, 5, Opere volgari, p. 138: "Cassandra, oggi il provo io, che da mia stella") e spesso nelle liriche sia rievocato, invece, l'amore giovanile per Carmosina Bonifacio, morta a quindici anni. La celebrazione più alta della M. è contenuta nella dedicatoria, nella quale Sannazaro le affida la sua opera e la nomina giudice delle sue composizioni poetiche. Interessante la menzione della M. in due poemetti celebrativi di donne napoletane: il Tempio d'Amore di Iacopo Campanile (detto Capanio), composto intorno al 1520 e pubblicato ad Alife nel 1536, e l'Amor prigioniero di Mario Di Leo, pubblicato a Napoli nel 1538.
Nel 1534 Alfonso Castriota morì; nel 1543 la M. si ritirò nel convento delle domenicane di S. Maria alla Sapienza, retto da suor Maria Carafa, sorella di Giovanni Pietro, futuro Paolo IV, prendendo il nome di Lisabetta. Sulla sincerità della sua vocazione garantì direttamente il cardinale Carafa con una lettera alla sorella (28 luglio 1543, in Maggio, p. 206). Fece la professione nel settembre 1544; come confessore ebbe padre Giovanni Marinonio.
Nel convento napoletano la M. morì nell'agosto 1569.
Fonti e Bibl.: I. Sannazaro, Opere volgari, a cura di A. Mauro, Bari 1961, passim; P. Fiorini, Lettere inedite di Jacopo Sannazaro, in Italia medioevale e umanistica, XIII (1980), pp. 321, 330, 337; F.M. Maggio, Vita della venerabile madre Maria Carafa, Napoli 1670, p. 206; E. Nunziante, Un divorzio ai tempi di Leone X da XL lettere inedite di Jacopo Sannazaro, Roma 1887; Id., Un nuovo documento sul matrimonio di C. M. con Alfonso Castriota, in Arch. stor. per le provincie napoletane, XII (1887), pp. 699-704; F. Gabotto, Un'innamorata del Sannazaro, in Saggi critici di storia letteraria, Venezia 1888, pp. 136-143; M. Scherillo, Un vero amore del Sannazaro, in Giorn. stor. della letteratura italiana, XI (1888), pp. 131-155; G. Ceci - B. Croce, Lodi di dame napoletane del secolo decimosesto dall'"Amore prigioniero" di Mario Di Leo, Napoli 1894, pp. 52 s.; E. Percopo, Vita di Jacobo Sannazaro, a cura di G. Brognoligo, in Arch. stor. per le provincie napoletane, LVI (1931), pp. 159-165, 169-172; R. De Maio, Alfonso Carafa cardinale di Napoli (1540-1565), Città del Vaticano 1961, p. 167; I. Sannazaro, De Partu Virginis, a cura di C. Fantazzi - A. Perosa, Firenze 1988, pp. XXX s.