CASSANI, Lorenzo Bartolomeo (noto anche con i nomi di Giuseppe e Pio), detto il Cassanino
Nacque a Pavia il 10 febbr. 1687 dal mercante Giacomo Antonio e da Giulia Burri.
Il primo documento attestante la sua attività di architetto è una perizia del 27 maggio 1729, relativa alle condizioni dei lavori della cattedrale di Pavia (Pavia, Bibl. univ., Miscellanea Belcredi, t. 27, n. 31). Sempre nel 1729 il C. stende un progetto di rifacimento del coro di S. Pietro in Ciel d'Oro di Pavia (Ibid., Manoscritti Ticinesi, cod. 428, ff. 104 s.) commissionatogli dai padri agostiniani che intendevano collocare meglio l'arca del santo. È questo il primo lavoro noto del C., sebbene sia presumibile che già dal 1726 lavorasse al progetto per il convento dei padri crociferi in Pavia, attuato nel 1736 e da lui completato nel 1760 con una scala ovale dai preziosi stucchi barocchetti (Arch. di Stato di Milano, Fondo Religione, parte moderna, cartt. 5863 e 1965, Convento S. Maria in Capella Crociferi).
In questo spazio di tempo si compie l'evoluzione del suo stile, grazie anche agli scambi di influenze con quadraturisti e decoratori attivi a Pavia verso la metà del secolo, quali il pittore C. A. Bianchi, i quadraturisti G. Baroffio da Varese e G. B. Longone da Monza, e soprattutto i costruttori e decoratori ticinesi Giuseppe e Pietro Andreazzi (A. Casali, P. Andreazzi..., in Arte lombarda, XII [1968], 2, pp. 77-84 passim, con bibl. prec.), che proprio su disegno del C. del 1752 realizzarono in Pavia, due anni dopo, l'altare di S. Giovanni Nepomuceno sul Ticino (Pavia, Arch. della parr. S. Maria in Betlem, Libro B).
Dopo il 1740 il C. svolse a Pavia una vasta attività, legata in particolare ai tre complessi per le Congregazioni dei gesuiti (1740-1760), degli eremitani e lateranensi (il S. Andrea "in Cittadella" del 1755-60) - per le quali appunto lavorava anche il Baroffio - e dei somaschi (la "Colombina" del 1760-67). Lo attesta la ricca serie di disegni nell'Archivio di Stato di Milano che, sebbene non tutti compiutamente realizzati, servono a chiarire il significato dell'arte del C., in un periodo in cui la sua fama gli faceva godere la fiducia dei marchesi Olevano. La chiesa dei gesuiti fu da lui eretta presso l'attuale piazza del Carmine e distrutta nel 1929; delle altre opere non è certo fino a che punto fosse stata condotta la realizzazione: l'edificio, oggi sede del comando del genio militare in piazza S. Pietro in Ciel d'Oro, è riconoscibile come sede della Congregazione dei lateranensi.
Per i marchesi Olevano il C. progettò verso il 1760 il palazzo. cittadino (oggi in via Mazzini, sede dell'istituto magistrale) e la villa di Cava (oggi Cava Manara), che il Thoenes (1956, p. 192) dice del 1760, ma che è forse posteriore per le analogie di gusto con l'ultima opera scoperta del C., l'oratorio di Casteggio (1766-1768; disegni autografi sono conservati nell'Archivio parrocchiale) di grande interesse biografico e stilistico (Casali, 1966, pp. 63 s.). Il 22 marzo 1763, il 5 apr. 1764 e il 12 luglio dello stesso anno il C., interpellato per un consulto sulle condizioni del duomo, esprimeva il rigoroso veto alla cupola che si voleva costruire sul tamburo, data la mancanza dell'appoggio dei due bracci laterali della chiesa (Pavia, Arch. della Fabbriceria del duomo, cart. VIII, lettera C, n. 3). La esattezza dei suoi,scrupolosi calcoli è confermata dall'esito incerto dei lavori compiuti un secolo dopo.
Non si sa quanta parte il C. abbia avuto nella progettazione del tamburo del duomo stesso, ma il priore Folperti, che ne presiedeva la fabbrica dal dicembre del 1762, lo chiama affettuosamente: "l'architetto nostro" e "l'Architetto" (Pavia, Bibl. civica, ms. A 47: B. A. Folperti, Memoria per la fabrica di S. Siro, 2 dic. 1762-10 luglio 1771, pp. non num.). Nel duomo sussiste un suo altare (attualmente nella navata a sinistra del presbiterio), non sicuramente databile.
Il C. morì dopo il 1768, data che si legge sui disegni di Casteggio, e non nel 1765, come dice Bartoli (1777, p. 44) che lo dichiara morto in Milano. È presumibile comunque che alla data di pubblicazione del Bartoli il C. fosse già morto.
La congenialità dell'arte del C. con il gusto pavese ha indotto a legare al suo nome molte opere non documentate della zona. Si attribuisce al C., fra le altre, il campanile barocchetto del duomo di Pavia (Gianani, Il duomo..., p. 85), prima dato a Benedetto Alfieri. Per sicuri confronti stilistici va citata l'attribuzione della chiesa di S. Michele (1733-1744) e della parte settecentesca del castello di Olevano (Casali, 1966, pp. 59, 60), luogo legato alla famiglia pavese di cui il C. era l'architetto. La tecnica strutturale-decorativa del C., nuova rispetto alla tradizione milanese cui si ispira il contemporaneo architetto pavese Veneroni, è basata su un'interpretazione settecentesca della pianta longitudinale che, presente già nel coro per S. Pietro, subisce un suggestivo alleggerimento nella linea perimetrale della Colombina, dei Gesù e del S. Andrea, fino a raggiungere, nell'oratorio di Casteggio, un significato puramente decorativo.
La sua tendenza all'accentramento prospettico lo induce a spostare la linea curva dall'esterno all'interno, dove i soffitti ovali si allargano sulle campate unificando l'ambiente; mentre nelle facciate, ispirate ad una sempre maggior linearità, il C. ottiene effetti di sfaldamento parietale col gioco delle riquadrature e la leggerezza degli stucchi. Responsabili di questa visione spaziale sono le arti minori, che il C. stesso coltivò, come rivela il suo altare per il duomo, e di cui sentì l'influsso specialmente attraverso le facciate degli Andreazzi ad Argine e a San Genesio; ma vanno ricordati anche i contatti documentati con l'arte del Piemonte e della Liguria e in particolare coi temi del Pellegrini, ripresi attraversr, le novità del linguaggio richiniano nel pavese palazzo Borromeo.
L'arte del C., così ricca di fermenti barocchetti, sa esprimersi con la tradizionale misura lombarda; per questo segna le linee di sviluppo del barocchetto locale, le cui estreme manifestazioni raggiungono in lui un alto equilibrio compositivo che fa prevedere il neoclassicismo.
Fonti e Bibl.: Pavia, Arch. di S. Michele, Status animarum, 1689, 1709, 1710; Registro dei battezzati in S. Marino dal 1668 al 1743, ad annum;Ibid., Arch. com., cartt. 459-460; Ibid., Bibl. univ., Mss. Ticin. 428: Bellagente L. A. Oleario, Manuale delle notizie spettanti alla fondaz. e conservazione di questo monastero di S. Agostino in Pavia, Pavia 1747-1748, ff. 106 s.; Arch. di Stato di Milano, Fondo Censo, Comuni, Pavia, cart. 1716; Fondo Religione, parte antica, regg. 431-429, cartt. 5714-5715-5702; cartt. 6117-6118 (reg. 374, n. 176); 6119; Fondo Gesuiti, parte antica, cart. 5817; F. Bartoli, Notizia delle pitture, sculture ed architetture, II, Venezia 1777, p. 44; L. Malaspina, Mem. stor. della Fabbrica della cattedrale di Pavia, Milano 1816, p. 16; C. Dell'Acqua, Ricordi storici-biogr. pavesi, Pavia 1870, p. 37; C. Giulietti, Chiesa e confraternita di S. Sebastiano di Casteggio, Casteggio 1887, pp. 25, 26; Id., Note stor. su Casteggio, Casteggio 1890, p. 152; G. Nocca, La chiesa del Gesù, in Ticinum, IX (1931), 5, pp. 3, s; C. Thoenes, Un architetto Pavese del 700, in Atti dell'VIII Congresso nazionale di storia dell'architettura (Caserta 1953), Roma 1956, p. 192; F. Gianani, La Cassina de la Scala, in Pavia, settembre-ottobre 1962, p. 10; Id., La basilica di S. Pietro in Ciel d'Oro, Pavia 1965, p. 12; Id., Il duomo di Pavia, Pavia 1965, pp. 84-91; A. Casali, L. C. architetto Pavese del '700, in Boll. d'arte, LI (1966), pp. 58-65; L. Grassi, Province del barocco e del rococò, Milano 1966, pp. 124-144 (numerose ill.); U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, p. 124.