Abstract
Con l’espressione “Casse previdenziali privatizzate” si intendono gli enti previdenziali di categoria trasformati da enti pubblici in soggetti di diritto privato ad opera del D.lgs. 509/1994 nonché gli enti previdenziali costituiti ex d.lgs. n. 103/1996 per i professionisti iscritti agli Albi ma privi di una cassa previdenziale di categoria.
Per espressa previsione legislativa, tali casse sono costituite come associazioni o fondazioni.
Nonostante la natura privata, che ha comportato l’impossibilità per le stesse di fruire di finanziamenti pubblici, tali casse hanno mantenuto la propria funzione pubblica derivante dall’erogazione della previdenza di base e dal conseguente obbligo di iscrizione e contribuzione.
Tali caratteristiche hanno sollevato alcune questioni – quali la configurabilità di tali casse come amministrazioni pubbliche o la sussistenza in capo alle medesime di autonomia normativa – che sono state affrontate a livello giurisprudenziale e legislativo ed oggetto di esame nel presente contributo.
Nell’ottica di razionalizzare il sistema previdenziale mediante interventi sugli “enti previdenziali minori” e di garantire la tutela previdenziale anche ai liberi professionisti privi di enti previdenziali di categoria, negli anni ’90 il legislatore è intervenuto per disciplinare i regimi professionali destinati a determinate categorie professionali.
In particolare, il d.lgs. 30.6.1994, n. 509 ha previsto che gli enti pubblici previdenziali già esistenti e destinati all’erogazione della previdenza di base a favore di determinate categorie di professionisti, fossero “privatizzati”.
Successivamente, al fine di garantire copertura previdenziale anche alle categorie di professionisti forniti di albo, ma privi di un’autonoma cassa e, dunque, privi di tutela previdenziale, il d.lgs. 10.2.1996, n. 103 ha stabilito che tali categorie potessero dotarsi di un proprio ente previdenziale di riferimento, partecipare all’ente pluricategoriale istituito ai sensi dell’art. 4 del medesimo d.lgs. n. 103/1996 ovvero confluire nella Gestione Separata dell’Inps.
Le casse previdenziali privatizzate svolgono una funzione pubblica, consistente nell’erogazione della previdenza obbligatoria a favore di determinate categorie professionali.
Esse sono, pertanto, assoggettate alla vigilanza del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, nonché al controllo generale della Corte dei conti.
Con d.l. 6.7.2011, n. 98, conv. con mod. dalla l. 15.7.2011, n. 111, è stato attribuito alla Covip il compito di vigilare sugli investimenti finanziari e sulla composizione del patrimonio delle casse professionali di previdenza.
Al fine di garantire una più efficiente e razionale Gestione della previdenza professionale, con l’art. 1, co. 32, l. 24.12.1993, n. 537, il Governo era stato delegato ad adottare «uno o più decreti legislativi diretti a riordinare o sopprimere enti pubblici di previdenza e assistenza».
La delega è stata attuata con il d.lgs. n. 509/1994, che ha previsto la trasformazione in associazioni o in fondazioni dotate di personalità giuridica tutti gli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza di cui all’allegato elenco A, elenco nel quale sono indicati i seguenti enti: Cassa nazionale di previdenza e assistenza avvocati e procuratori legali; Cassa di previdenza tra dottori commercialisti; Cassa nazionale previdenza e assistenza geometri; Cassa nazionale previdenza e assistenza ingegneri e architetti liberi professionisti; Cassa nazionale del notariato; Cassa nazionale previdenza e assistenza ragionieri e periti commerciali; Ente nazionale di assistenza per gli agenti e i rappresentanti di commercio (Enasarco); Ente nazionale di previdenza e assistenza consulenti del lavoro (Enpacl).; Ente nazionale di previdenza e assistenza medici (Enpam); Ente nazionale di previdenza e assistenza farmacisti (Enpaf); Ente nazionale di previdenza e assistenza veterinari (Enpav); Ente nazionale di previdenza e assistenza per gli impiegati dell'agricoltura (Enpaia); Fondo di previdenza per gli impiegati delle imprese di spedizione e agenzie marittime; Istituto nazionale di previdenza dirigenti aziende industriali (Inpdai), poi soppresso dall’art. 42 l. 27.12.2002, n. 289; Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani (Inpgi); Opera nazionale assistenza orfani sanitari italiani (Onaosi).
Tale elenco è tassativo, riferendosi agli enti pubblici gestori di previdenza e assistenza obbligatoria esistenti alla data del decreto, per i quali è stata prevista la trasformazione in soggetti di diritto privato.
La trasformazione di tali enti in persone giuridiche private non ne ha pregiudicato la funzione pubblica.
In proposito, si è chiaramente espressa la Corte costituzionale che, con sentenza n. 248 del 18.7.1997, ha sottolineato come la trasformazione degli enti professionali in soggetti di diritto privato abbia lasciato «immutato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza e assistenza svolta dagli enti, articolandosi invece sul diverso piano di una modifica degli strumenti di gestione e della differente qualificazione giuridica dei soggetti stessi: l’obbligo contributivo costituisce un corollario, appunto, della rilevanza pubblicistica dell’inalterato fine previdenziale. L’esclusione di un intervento a carico della solidarietà generale consegue alla stessa scelta di trasformare gli enti, in quanto implicita nella premessa che nega il finanziamento pubblico o altri ausili pubblici di carattere finanziario».
Gli enti previdenziali privatizzati sono, dunque, enti di interesse pubblico, e cioè enti che esercitano in forma privatistica una funzione pubblicistica (così anche C. conti, sez. controllo gestione enti, 23.10.1995, n. 49).
In coerenza con la loro funzione pubblica, detti Enti hanno continuato a erogare la previdenza obbligatoria a favore dei professionisti per i quali sono stati originariamente istituiti.
La funzione pubblica svolta da tali enti comporta che gli stessi siano assoggettati alla vigilanza del Ministero del lavoro e della previdenza sociale e dal Ministero del tesoro.
Nell’esercizio della vigilanza, il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministero del tesoro, approva: a) lo statuto ed i regolamenti, nonché le relative integrazioni e modificazioni; b) le delibere in materia di contributi e prestazioni.
Inoltre, la Corte dei conti esercita il controllo generale sulla gestione delle assicurazioni obbligatorie, per assicurare la legalità e l’efficacia, e riferisce annualmente in Parlamento.
La natura privata conferita a tali enti comporta che agli stessi non siano consentiti finanziamenti pubblici diretti o indiretti e che essi godano di «autonomia gestionale, organizzativa e contabile».
Al fine di garantire la tutela previdenziale anche ai professionisti privi di un ente di categoria, l’art. 2, co. 25, l. 8.8.1995, n. 335 ha delegato il Governo ad emanare norme volte ad assicurare, a decorrere dal 1.1.1996, la tutela previdenziale in favore dei soggetti che svolgono attività autonoma di libera professione, senza vincolo di subordinazione, il cui esercizio è subordinato all'iscrizione ad appositi albi o elenchi, in conformità ai seguenti principi e criteri direttivi:
a) previsione, avuto riguardo all'entità numerica degli interessati, della costituzione di forme autonome di previdenza obbligatoria, con riferimento al modello delineato dal d.lgs. n. 509/1994 e s.m.i;
b) definizione del regime previdenziale in analogia a quelli degli enti per i liberi professionisti di cui al predetto decreto legislativo, sentito l'Ordine o l'Albo, con determinazione del sistema di calcolo delle prestazioni secondo il sistema contributivo ovvero l'inclusione, previa delibera dei competenti enti, in forme obbligatorie di previdenza già esistenti per categorie similari;
c) previsione, comunque, di meccanismi di finanziamento idonei a garantire l'equilibrio gestionale, anche con la partecipazione dei soggetti che si avvalgono delle predette attività;
d) assicurazione dei soggetti appartenenti a categorie per i quali non sia possibile procedere ai sensi della lett. a) alla gestione di cui ai co. 26 e seguenti.
La delega è stata attuata con il d.lgs. n. 103/1996, teso ad assicurare la tutela previdenziale obbligatoria ai soggetti che svolgono attività autonoma di libera professione senza vincolo di subordinazione, il cui esercizio è condizionato all’iscrizione in appositi albi ed elenchi, anche se contemporaneamente svolgono attività di lavoro dipendente.
Ai sensi dell’art. 3 d.lgs. 103/1996, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto, gli enti esponenziali a livello nazionale degli enti abilitati alla tenuta di albi od elenchi dovevano deliberare alternativamente:
a) la partecipazione all'ente pluricategoriale con natura di fondazione in cui convergano anche altre categorie, destinato ad operare per un numero di iscritti non inferiore a 5.000.
b) la costituzione di un ente di categoria con natura di fondazione, destinato ad operare per un numero di soggetti non inferiore a 8.000 iscritti.
c) l'inclusione della categoria professionale in una delle forme di previdenza obbligatorie già esistenti per altra categoria professionale similare, per analogia delle prestazioni e del settore professionale, compresa fra quelle di cui all'elenco allegato al d.lgs. n. 509/1994, a condizione che abbia conseguito la natura di persona giuridica privata;
d) l'inclusione della categoria nella Gestione Separata dell’Inps di cui all'art. 2, co. 26, l. 335/1995.
Nel caso di mancata adozione delle citate delibere, i soggetti appartenenti alle categorie professionali interessate sarebbero stati inseriti nella Gestione Separata dell’Inps.
L’art. 6 D.lgs. n. 103/1996 prevede che gli enti gestori di categoria assumano la natura di fondazione e che il relativo Statuto contenga, oltre agli elementi di cui all'art. 16 c.c.:
a) la determinazione delle modalità di iscrizione obbligatoria degli appartenenti alla categoria;
b) i criteri di composizione dell'organo di amministrazione dell'ente;
c) la costituzione di un organo di indirizzo generale, composto da un numero di membri elettivi corrispondente al rapporto di uno ogni mille iscritti all'ente gestore, con arrotondamenti all'unità intera per ogni frazione inferiore a mille. Nel caso dell'ente di cui all'art. 4 il predetto rapporto è riferito ad ogni singola categoria professionale interessata.
I componenti degli organi di amministrazione e dell’organo di indirizzo generale devono essere iscritti all'ente gestore.
Allo statuto deve essere allegato un regolamento che definisca:
a) le modalità di identificazione dei soggetti tenuti alla obbligatoria iscrizione;
b) la misura dei contributi in proporzione al reddito professionale fiscalmente dichiarato o accertato;
c) la fissazione di una misura minima del contributo annuale.
L'atto istitutivo degli enti gestori di categoria è adottato con atto pubblico ai sensi dell'art. 14 c.c. ad iniziativa, rispettivamente, del comitato fondatore e dell'ente esponenziale. A seguito dell'approvazione dello statuto e del regolamento l'ente consegue la personalità giuridica per effetto di apposito decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del tesoro.
Agli enti ex d.lgs. n. 103/1996 e alle relative forme di previdenza obbligatorie si applicano, per quanto non diversamente disposto dal medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 509/1994 e s.m.i, con particolare riferimento al divieto di finanziamenti pubblici diretti e indiretti ed alle disposizioni in materia di gestione e di vigilanza.
Come già rilevato e come emerge dall’esame della citata normativa, il d.lgs. n. 103/1996 si proponeva di estendere la tutela previdenziale obbligatoria a favore di quelle categorie di professionisti che ne erano ancora prive nell’ottica, implicitamente sancita nella l. delega n. 335/1995, di assoggettare a tutela previdenziale ogni forma di attività lavorativa, non solo subordinata ma anche autonoma.
Il d.lgs. n. 103/1996 era, dunque, rivolto gli enti abilitati alla tenuta di albi ed elenchi (ad es. ordini professionali) affinché si attivassero per la costituzione del proprio ente di categoria, o per l’inclusione in un ente già esistente.
Nel giugno del 1996 è stata costituita l’Adepp, l’Associazione degli enti previdenziali privatizzati.
L’Adepp si propone di tutelare l’autonomia degli enti previdenziali privatizzati nonché di coordinare le relazioni istituzionali e le politiche sociali, assistenziali e previdenziali da essi singolarmente perseguite.
L’Associazione si pone, altresì, l’obiettivo di ottenere uniformità di trattamento giuridico ed economico per i dipendenti degli enti stessi, destinatari del CCNL di categoria di cui l’Adepp è, appunto, dal lato datoriale, firmataria.
Dall’esame della citata disciplina, emerge come le caratteristiche precipue delle casse previdenziali privatizzati sono:
l’erogazione della previdenza di base, con conseguente obbligo contributivo a carico degli iscritti;
l’assenza di finanziamento pubblico;
la costituzione come soggetti privati assoggettati alla vigilanza dei Ministeri del lavoro e dell’economia ed al controllo della Corte dei conti.
Il carattere ibrido di tali casse ha fatto sorgere alcune questioni:
a) le casse previdenziali privatizzate rientrano nel novero delle amministrazioni pubbliche?
b) le casse previdenziali privatizzate godono di autonomia normativa?
La prima questione trae origine dalla l. 30.12.2004, n. 311 (legge finanziaria 2005) che prevedeva un tetto alle spese per gli enti pubblici citati nell’elenco ISTAT, stilato e aggiornato annualmente. Elenco nel quale erano inserite tutte le casse previdenziali privatizzati di cui all’elenco A del d.lgs. n. 509/1994.
Successivamente, con la l. 31.12.2009, n. 196, si chiarisce che «per amministrazioni pubbliche tenute al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica si intendono gli enti e gli altri soggetti che costituiscono il settore istituzionali delle amministrazioni pubbliche individuati dall’Istituto nazionale di statistica sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti comunitari».
Sulla base di tale norma e del reg. UE 25.6.1996, n. 2223 – SEC 95 è confermata la presenza delle casse nel citato elenco.
Gli enti previdenziali privatizzati si sono opposti a tale normativa ricorrendo al giudice amministrativo.
Con sentenza del 28.11.2012 n. 6014, il Consiglio di Stato ha stabilito che l’attrazione degli enti previdenziali nella sfera privatistica operata dal d.lgs. n. 509/1994, riguarda il regime della loro personalità giuridica, ma lascia ferma l'obbligatorietà dell'iscrizione e della contribuzione (art. 1); la natura di pubblico servizio, in coerenza con l’art. 38 Cost., dell’attività da essi svolte (art. 2); il potere di ingerenza e di vigilanza ministeriale (art. 3, per il cui co. 2 tutte le deliberazioni in materia di contributi e di prestazioni, per essere efficaci, devono ottenere l’approvazione dei Ministeri vigilanti), e fa permanere il controllo della Corte dei conti sulla gestione per assicurarne la legalità e l'efficacia (art. 3).
Inoltre, il finanziamento connesso con gli sgravi e la fiscalizzazione degli oneri sociali, insieme alla obbligatorietà della iscrizione e della contribuzione, garantiti agli enti previdenziali privatizzati dall’art. 1, co. 3, del predetto decreto legislativo, valgono a configurare un sistema di finanziamento pubblico, sia pure indiretto e mediato attraverso risorse comunque distolte dal cumulo di quelle destinate a fini generali.
Tale conclusione è resa ancor più evidente dall’attrazione del settore della previdenza privata nella normativa dettata in tema di controllo del disavanzo del settore (si veda la l. 23.12.1996, n. 662, relativa a misure di razionalizzazione della finanza pubblica, e la l. 8.8.1995, n. 335 che – nel riformare il sistema pensionistico obbligatorio e complementare per l’esigenza di stabilizzazione della spesa nel settore – riguarda anche le forme garantite dagli Enti privatizzati).
La trasformazione operata dal d.lgs. n. 509/1994 ha lasciato, quindi, immutato il carattere pubblicistico dell'attività istituzionale di previdenza ed assistenza svolta dagli enti in esame, che conservano una funzione strettamente correlata all’interesse pubblico, costituendo la privatizzazione una innovazione di carattere essenzialmente organizzativo.
La configurazione degli enti previdenziali privatizzati come amministrazioni pubbliche, nonostante la loro natura privata, produce importanti conseguenze pratiche, quali l’assoggettamento alla normativa in materia di spending review e al Codice degli appalti (invero, già rivendicato dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture con delibera del 15.2.2011).
Su sollecitazione del Nucleo di valutazione della spesa previdenziale che, con le relazioni del 2003 e del 2007, ha evidenziato le problematiche connesse alla sostenibilità finanziaria delle Casse previdenziali privatizzate nel medio lungo periodo, alcune Casse hanno introdotto riforme al proprio regime previdenziale modificando la disciplina legislativa previgente in relazione al sistema di calcolo della pensione o introducendo una contribuzione di solidarietà anche a carico dei pensionati.
La normativa di riferimento era data dall’art. 3, co. 12, l. n. 335/1995, ai sensi del quale, allo scopo di garantire l’equilibrio di bilancio, tali casse potevano adottare «provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento e di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto all’introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti».
La giurisprudenza di legittimità ha interpretato tale norma nel senso di considerare l’elenco come un numero chiuso di provvedimenti adottabili dalle casse ed escludendo, quindi, la possibilità per le stesse di introdurre modificazioni, anche peggiorative, ai trattamenti pensionistici ritenuti in violazione del principio del pro rata.
Il legislatore è successivamente intervenuto con la l. 27.12.2007, n. 296, il cui art. 1, co. 763, ha modificato l’art. 3, co.12, l. n. 335/1995.
In particolare, tale norma ha previsto che « (…) sono adottati dagli enti medesimi i provvedimenti necessari per la salvaguardia dell’equilibrio finanziario di lungo termine, avendo presente il principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto all’introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti e comunque tenuto conto dei criteri di gradualità e di equità tra generazioni. (…)».
La citata norma, per quel che qui interessa, ha, dunque, precisato che:
a) i provvedimenti adottabili dalle casse non costituiscono un “numero chiuso”, anche se devono comunque rispondere all’esigenza di salvaguardare l’equilibrio di bilancio di lungo termine;
b) il principio del pro rata non vincola in maniera rigida le scelte delle casse;
c) i criteri della gradualità ed equità tra generazioni costituiscono dei valori da salvaguardare.
L’ultimo periodo del sopracitato art. 1, co. 763 della l. n. 296/2007 ha, poi, inteso fare salvi i provvedimenti già adottati dalle casse prima dell’entrata in vigore della norma. Tale disposizione è stata tuttavia ritenuta illegittima dalla giurisprudenza della Corte di cassazione secondo la quale lo ius supervieniens non può tradursi in una sorta di sanatoria di provvedimenti assunti in violazione dell’originario art. 3, co. 12, della l. n. 335/1995.
A fronte del citato orientamento giurisprudenziale (v. per tutti Cass. 27.11.2009, n. 25029) il legislatore è intervenuto nuovamente con la legge di stabilità 2014 (l. 27.12.2013, n. 147) con una norma di interpretazione autentica ai sensi della quale “gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al … comma 763 ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della legge 27 dicembre 2006, n. 296, si intendono legittimi ed efficaci a condizione che siano finalizzati ad assicurare l'equilibrio finanziario di lungo termine”.
Anche la riforma delle pensioni attuata con il d.l. 6.12.2011, n. 201 conv. con l. 22.12.2011, n. 214 ha introdotto norme tese a chiarire la portata dell’autonomia normativa degli enti previdenziali privatizzati.
Il co. 24 dell’art. 24 d.l. n. 201/2011 stabilisce, infatti, quanto segue: «In considerazione dell'esigenza di assicurare l'equilibrio finanziario delle rispettive gestioni in conformità alle disposizioni di cui al decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 e al decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, gli enti e le forme gestorie di cui ai predetti decreti adottano, nell'esercizio della loro autonomia gestionale, entro e non oltre il 30 settembre 2012, misure volte ad assicurare l'equilibrio tra entrate contributive e spesa per prestazioni pensionistiche secondo bilanci tecnici riferiti ad un arco temporale di cinquanta anni. Le delibere in materia sono sottoposte all'approvazione dei Ministeri vigilanti secondo le disposizioni di cui ai predetti decreti; essi si esprimono in modo definitivo entro trenta giorni dalla ricezione di tali delibere. Decorso il termine del 30 settembre 2012 senza l'adozione dei previsti provvedimenti, ovvero nel caso di parere negativo dei Ministeri vigilanti, si applicano, con decorrenza dal 1° gennaio 2012:
a) le disposizioni di cui al comma 2 del presente articolo sull'applicazione del pro-rata agli iscritti alle relative gestioni;
b) un contributo di solidarietà, per gli anni 2012 e 2013, a carico dei pensionati nella misura dell'1 per cento».
Gli enti e le casse, al fine assicurare l’equilibrio finanziario, sono spinte ad esercitare la loro “autonomia gestionale” producendo regolamentazioni dei regimi pensionistici rispondenti al predetto fine.
Pertanto, risulta ribadito, per la seconda volta dopo la l. n. 296/2007, che tali soggetti previdenziali sono muniti di un potere di regolazione dei regimi amministrati, finalisticamente vincolato all’equilibrio prospettico.
L’art. 18 d.l. 6.7.2011, n. 98 conv. con l. 15.7.2011, n. 111 reca, fra le disposizioni riguardanti la materia previdenziale, i co. 11 e 12 che si riferiscono agli enti ex d.lgs. n. 509/1994 ed ex d.lgs. n. 103/1996.
In particolare, ai sensi del co. 11 «per i soggetti già pensionati, gli enti previdenziali di diritto privato di cui ai decreti legislativi 30 giugno 1994 n. 509 e 10 febbraio 1996, n. 103, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge adeguano i propri statuti e regolamenti prevedendo l’obbligatorietà dell’iscrizione e della contribuzione a carico di tutti coloro che risultino aver percepito un reddito, derivante dallo svolgimento della relativa attività professionale. Per tali soggetti è previsto un contributo soggettivo minimo con aliquota non inferiore al cinquanta per cento di quella prevista in via ordinaria per gli iscritti a ciascun ente. Qualora entro il predetto termine gli enti non abbiamo provveduto ad adeguare i propri statuti e regolamenti, si applica in ogni caso quanto previsto al periodo precedente».
Il successivo co. 12 così stabilisce: «L’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335 si interpreta nel senso che i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo tenuti all’iscrizione presso apposita Gestione Separata Inps sono esclusivamente i soggetti che svolgono attività il cui esercizio non sia subordinato all’iscrizione ad appositi albi professionali, ovvero attività non soggette al versamento contributivo agli Enti di cui al comma 1, in base ai rispettivi statuti e ordinamenti, con esclusione dei soggetti di cui al comma 11. Resta ferma la disposizione di cui all’art. 3, comma 1, lett. d) del decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103. Sono fatti salvi i versamenti già effettuati ai sensi del citato articolo 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995».
La norma nasce dalla constatazione che alcune casse rimettevano ai professionisti, che continuano l’attività propria della categoria di appartenenza dopo la percezione di una pensione, la facoltà di versare la contribuzione agli stessi enti.
Nell’ambito di una più vasta operazione volta a contrastare l’elusione e l’evasione contributiva, l’Inps – dinanzi al vuoto di tutela previdenziale emerso – aveva ritenuto di considerare obbligatoriamente iscritti alla propria Gestione Separata i soggetti esercenti attività che richiedono l’iscrizione ad albi professionali ove la loro cassa non contempli l’obbligo contributivo per i periodi successivi al pensionamento.
Tale iniziativa aveva determinato la reazione degli enti previdenziali interessati, i quali avevano rivendicato di essere i naturali destinatari della contribuzione obbligatoria per l’attività professionale svolta dai propri iscritti, anche successivamente al pensionamento.
Al fine di dirimere le frizioni insorte, il legislatore ha ritenuto di sancire espressamente il principio per cui chi esercita una determinata attività professionale è tenuto a contribuire all’ente previdenziale di riferimento nonostante fruisca di una prestazione pensionistica.
A questo scopo è stato approvato il co. 11 del citato art. 18, ai sensi del quale gli enti previdenziali ex d.lgs. n. 509/1994 e d.lgs. n. 103/1996 devono prevedere, nei propri statuti e regolamenti, l’obbligo dei pensionati, che hanno percepito un reddito derivante dallo svolgimento della relativa attività professionale, di iscriversi al proprio ente professionale e di versare allo stesso la contribuzione dovuta.
Il co. 11, dunque, supera qualsiasi dubbio circa la collocazione previdenziale dei pensionati in attività. Questi, in quanto svolgono attività professionale che richiede l’iscrizione all’Albo, devono contribuire alla cassa previdenziale, senza che la Gestione Separata dell’Inps possa avanzare alcuna pretesa nei loro confronti.
Peraltro, la nuova normativa è concepita come inderogabile.
Essa, infatti, prevede che gli enti ex d.lgs. n. 509/1994 e d.lgs. n. 103/1996 adeguino i propri statuti e regolamenti al suddetto principio di «obbligatorietà di iscrizione e contribuzione a carico di tutti coloro che risultino aver percepito un reddito derivanti dallo svolgimento della relativa attività professionale» entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore della norma stessa. In caso di mancato adeguamento, la medesima normativa è «in ogni caso» applicabile.
Per ciò che concerne la misura della contribuzione, la norma richiede il versamento di un contributo soggettivo minimo con aliquota non inferiore al 50 per cento di quella prevista in via ordinaria per gli iscritti a ciascun ente.
Il co. 11 del citato art. 18 presenta una formulazione che fa pensare ad una regola valevole solo per il futuro.
Con riferimento al periodo pregresso, va considerata l’incidenza di alcuni orientamenti giurisprudenziali che hanno sancito, da un lato, la legittimità delle disposizioni dei regolamenti di previdenza dei liberi professionisti che prevedevano la facoltà dei pensionati in attività di non versare i contributi previdenziali al proprio ente di previdenza e, dall’altro lato, l’inammissibilità dell’azione dell’Inps tesa al riconoscimento dell’iscrizione obbligatoria di tali professionisti presso la propria Gestione Separata.
In coordinamento con il co. 11 dell’art. 18 citato, si pone il successivo co. 12, il cui intento generale è evidente.
Esso punta a delimitare l’ambito soggettivo di riferimento della Gestione Separata Inps.
Ciò si ricava dell’utilizzo dell’avverbio «esclusivamente», che dà a vedere che alla Gestione Separata Inps sono da iscrivere solo le categorie di soggetti che lo stesso comma menziona.
Prendendo atto del fatto che il citato comma fa riferimento alle attività e non ai redditi (circostanza la cui rilevanza si sottolineerà in seguito), la prima delle due categorie da iscrivere alla Gestione Separata Inps è quella formata dai «soggetti che svolgono attività il cui esercizio non sia subordinato all’iscrizione ad appositi albi professionali».
La sottolineatura che tali soggetti sono da iscrivere all’Inps è sicuramente condivisibile e, per altro verso, scontata.
Dato l’ampio riferimento all’esercizio di attività professionale di lavoro autonomo effettuato dall’art. 2, co. 26, l. n. 335/1995, non ci si può certo meravigliare del fatto che gli esercenti attività di lavoro autonomo, non soggetti all’iscrizione ad un albo professionale, rientrino nel campo di applicazione del regime previdenziale gestito dall’Inps.
L’altra categoria di professionisti tenuti all’iscrizione alla Gestione Separata Inps – come risulta dalla seconda parte del primo periodo del co. 12 – è formata dai professionisti che svolgono «attività non soggette al versamento contributivo agli Enti di cui al comma 11, in base ai rispettivi statuti ed ordinamenti».
Il riferimento agli enti di cui al precedente co. 11 consente di affermare che la disposizione legislativa si riferisca agli enti ex d.lgs. n. 509/1994 e d.lgs. n. 103/1996.
Il necessario presupposto dell’obbligatorietà dell’iscrizione alla Gestione Separata Inps, chiaramente evidenziata dalla medesima parte del co. 12, consiste nella completa estraneità, sotto il profilo contributivo, delle attività in questione a detti enti.
Il co. 12, in altri termini, chiarisce indirettamente, ma in maniera incontrovertibile, che è esclusa la possibilità di iscrivere alla Gestione Separata Inps attività soggette al versamento contributivo agli enti di cui al d.lgs. n. 509/1994 ed al d.lgs. n. 103/1996.
d.lgs. 30.6.1994, n. 509; d.lgs. 10.2.1996, n. 103; art. 3, co. 12, l. n. 335/1995; art. 1, co. 763, l. 27.12.2006, n. 296; art. 18 d.l. 6.7.2011, n. 98 conv. con l. 15.7.2011, n. 111; art. 24, co. 24, d.l. 6.12.2011, n. 201 conv. con l. 22.12.2011, n. 214.
Cinelli, M., Diritto della Previdenza sociale, Torino, 2012, 51 ss.; Pessi, R., Lezioni di diritto della previdenza sociale, Padova, 2006.