CASSONE (dal lat. capsa)
Mobile ordinariamente di legno, di forma rettangolare, generalmente così basso da servire da sedile, chiuso da coperchio a cerniera, e usato per riporvi in special modo panni d'ogni sorta, abití e biancheria.
Le voci cassa (in particolare cassa da letto) e cassone sono già usate indifferentemente fino dal Trecento dai novellieri (Boccaccio e Sacchetti); la voce cassone diventa più frequente nella letteratura e nei documenti del Quattrocento, per diventare diffusissima, fino a escludere gli altri sinonimi, nel Cinquecento (Vasari). Ma ad indicare il medesimo oggetto ebbero varia fortuna altre voci: arca in uso specialmente nella Venezia e oggi adoperata particolarmente per l'arte paesana (arche sarde, abruzzesi, ecc.); cofano spesso vero e proprio sinonimo di cassone, ma che nel Trecento e Quattrocento sembra servire a designare i cassoni di forma più elegante e di decorazione più ricca, tanto che il Cennini, nel suo Libro dell'arte, insegna come decorare cofani (e forzieri), e "cofanai" sono detti a Firenze, fin dal Trecento, i decoratori di cassoni; forziere vero e proprio sinonimo di cofano, tanto che l'una voce è adoperata per l'altra, ma sinonimo anche di cassone, inteso nel senso più lato, per quanto almeno nel Cinquecento la voce forziere tenda ad assumere un significato speciale ed a riferirsi a una cassa o cassone destinato a custodire robe di maggior pregio o valore (denari, gioielli ed anche libri e oggetti d'arte) e quindi più robusto, meglio difeso, e assicurato da speciali chiusure. Accanto a queste vi sono altre voci usate regionalmente: come arca nella Venezia, così scrigno in Lombardia, e cofforo nella Lucchesia, almeno nel Quattrocento, hanno significato di cassa o cassone. Oggi, specie nella letteratura tecnica e artistica, come già nel Cinquecento fece il Vasari, nella voce cassone s'intendono compresi anche il cofano e il forziere; così qui ne tratteremo sotto questa unica voce.
Forse l'uso del cassone derivò dalla cassa da viaggio, che da arnese di mera utilità diventò mobile, anche eminentemente artistico; e sembra fosse oggetto particolarmente italiano per quanto imitato altrove, come in Germania almeno nel Cinquecento. Ma la Francia, dal sec. XII al XVII, ebbe un corrispondente nel bahut tanto per il tipo quanto per l'uso; sebbene spesso il bahut si avvicini al baule.
Almeno durante il Trecento e il Quattrocento, nella semplicità e scarsezza dell'ammobiliamento - anche signorile - il cassone fu uno degli oggetti di maggiore uso, e quindi diffusissimo. Generalmente uno o più cassoni erano collocati nella camera da letto, o al muro, o ai piedi e fianchi del letto, che spesso contornavano completamente; e servivano da armadio e da cassettone, e al tempo stesso da sedile e da tavola. Ma anche nelle altre stanze, e specialmente nella sala principale, si trovavano cassoni contenenti arazzi, tappeti, oggetti d'arte: molto di quello che si usò poi tenere esposto continuamente, e che almeno in quei due secoli si tirava fuori dai cassoni soltanto in occasioni eccezionali. I novellieri e i pittori, fino al Trecento, ci offrono precise testimonianze sull'ubicazione dei cassoni; e gl'inventarî ce ne indicano meticolosamente lo svariatissimo contenuto.
Anche quando, tra la fine del Quattrocento e la metà del Cinquecento, altri mobili per riporre le robe, quali l'armadio e il cassettone, si andarono aggiungendo al cassone, questo continuò a essere in gran favore; anzi proprio allora acquistò di sontuosità e di monumentalita; finché poi durante il Seicento scomparve, tanto che non è raro trovare negl'inventarî del tempo l'indicazione di "cassone all'antica", che denota ormai un oggetto disusato.
Tra i cassoni, particolar fortuna ebbe il cassone (o forziere) da nozze, decorato generalmente con le armi degli sposi, spesso anche con sculture e pitture di soggetto allusivo al matrimonio (v. sotto). In questo, la novella sposa portava il corredo alla casa del marito; e questo teneva poi nella camera nuziale come mobile di comodo e d'ornamento. Spesso anche la vedova che si ritirava in un convento o in uno spedale, portava con sé il cassone da nozze; e questo spiega il numero grande di cassoni - ricchezza purtroppo oggi alienata e dispersa - che ebbero fino a un secolo fa monasteri e ospizî specialmente toscani. Altri tipi poi furono quelli della cassa o cassone da campo, o da viaggio, più maneggevoli, più robusti e sicuri, tanto da identificarsi qualche volta coi veri e proprî forzieri, ma pur così ornati, da diventare abitualmente mobili domestici; mentre in inventarî genovesi si trovano rammentate casse e cassoni da navigare che di poco dovevano differire, salvo che nelle maggiori dimensioni, da quelli da viaggio.
Dalla cassa e dal cassone, che anche nei documenti figurati del Trecento vediamo forniti di spalliera, e che già nel Quattrocento alla spalliera aggiungono i braccioli, derivò la cassapanca, che nell'Italia settentrionale ebbe nome di "archibanco" (da arca e banco o panca).
Forma e decorazione. - Da prima, o almeno dal Trecento - che solo da allora ci rimangono rari esemplari e più copiose testimonianze figurate - il cassone ha generalmente la forma di un parallelepipedo basso e allungato; ma qualche volta la parete anteriore s'incurva e rientra, sia per avvicinarsi alla forma della cesta, sia per maggiore comodità di chi vi doveva sedere e trovava così un posto per i piedi. Nel Quattrocento poi le forme panciute si fanno più frequenti; e nel Cinquecento più varie, mentre diventa di moda il cassone a sepoltura, rammentato già in inventarî della metà del sec. XV e poi dal Vasari, e fatto a imitazione delle marmoree urne sepolcrali - d'imitazione classica - della tipica tomba fiorentina del Rinascimento. D'altra parte veri e proprî cassoni di legno servirono anche di sepoltura. Intanto il coperchio, prima piano ad uso di sedile (raro è il coperchio ricurvo a guisa di baule), si va modificando, e nei cassoni a sepoltura è costituito per lo più da una specie di tronco di piramide, che a poco a poco si sviluppa sempre più in altezza; finché col Cinquecento, da Roma a Venezia, assume forme sempre più ricche e sfoggiate, e fa del cassone, che non può ormai servire da sedile, quasi più un mobile d'ornamento che d'uso. E ugualmente si trasforma il piede del cassone, costituito prima da una specie di balza, che durante il Quattrocento appare qualche volta sostituita da una fila di denti o di archetti, e che verso il Cinquecento assume il carattere, sempre più architettonico, di vera e propria base. Ma fino dal Trecento la balza è sostituita anche da quattro o più piedi, prima semplicemente sagomati, e che si fanno più ricchi ed elevati nel Cinquecento, quando compaiono e diventano quasi d'uso comune - come in altri mobili contemporanei - i piedi a zampa leonina; mentre nei più fastosi tipi di cassoni romani o dell'Italia centrale le zampe leonine sono sostituite da animali accosciati.
Quasi più della forma, è svariatissima la decorazione dei cassoni. Tra i più antichi ancora ce ne rimangono di ricoperti di panno o di stoffa e con ferramenti che hanno anche scopo ornamentale; oppure di pelle; oppure, ma sono rarissimi, di cuoio impresso e dipinto. Come in questi l'opera del legnaiolo si riduce solo all'ossatura del cassone, così ne è limitata l'opera nei cassoni che i "cofanai" ricoprivano di stucco o pastiglia, oppure dipingevano totalmente. Ma alla perizia del legnaiolo erano riserbati i cassoni nei quali il legno rimaneva scoperto, fosse semplicemente sagomato, o fosse intarsiato o intagliato con sempre maggior ricchezza e rilievo, fino alla scultura di tutto tondo; mentre l'opera del legnaiolo è spesso integrata da quella del pittore, più raramente dello scultore, eccezionalmente del ceramista (un esempio rarissimo di cassone fiorentino della metà del Quattrocento, con tre formelle in terracotta a storie di Adamo ed Eva, si conserva nel South Kensington Museum a Londra).
Naturalmente anche nell'architettura e nella decorazione del cassone - come in quelle di ogni altro mobile - scorgiamo gl'influssi dominanti nelle cosiddette arti maggiori, pur col ritardo sempre constatato nelle minori. E particolarmente sono evidenti questi influssi nel Cinquecento quando per esempio in Toscana i più dei cassoni sagomati e intagliati hanno caratteri vasariani e nella Venezia sansovineschi; mentre specialmente a Roma cassoni fastosissimi s'ispirano per le sculture ai sarcofagi classici.
Tipi. - Per quanto necessariamente arbitraria, una classificazione dei cassoni può esser fatta in base alla decorazione, la quale permette almeno di distinguere certe preferenze, varie per tempi e per luoghi, in diretta corrispondenza con la fortuna di tecniche speciali (stucco o pastiglia e tarsia); finché col Cinquecento l'intaglio e la scultura in legno, non di rado uniti alla pittura, finiscono con il predominare in tutta l'Italia e riducono soltanto a sfumature di gusto decorativo le diversità regionali.
Come abbiamo accennato, sappiamo dai documenti e dal rammentato trattato del Cennini, e vediamo nei pezzi giunti fino a noi, che l'opera del legnaiolo fu da prima quasi generalmente completata da quella del "forzerinaio" che rivestiva le pareti del cassone (quasi sempre l'anteriore e le due laterali) di stoffa, di pelle o di cuoio, e le rafforzava di ferramenta; oppure dall'opera del "cofanaio", che le pareti ingessava e pitturava, prima con semplici motivi decorativi, pure ornando i cassoni da nozze con le armi gentilizie degli sposi, poi - almeno dal principio del Quattrocento - con figure, ripetute però con ritmo decorativo per tutta l'estensione della fronte. Ma il cofanaio usava pure applicare alle pareti del cassone rilievi di stagno dorato (Cennini) e più ancora una decorazione, pure a rilievo, in stucco o pastiglia, ottenuta con stampi che permettevano notevole economia di lavoro, e arricchita poi con la policromia e più spesso con la doratura. Questa decorazione plastica sembra fosse sul principio una specialità tutta toscana, forse con precedenza di Siena su Firenze e su Lucca; ma ben presto passò in Umbria ed ebbe particolare fortuna nella Venezia, ove persistette anche in pieno Cinquecento. In essa si rispecchiò necessariamente lo stile predominante: quindi da motivi gotici pseudogeometrici e araldici, ripetuti uniformemente, forse a imitazione di cuoi impressi e di stoffe orientalizzanti, si passò a più svariati e liberi motivi classici, proprî del Rinascimento, e anche a figurazioni, per giungere - almeno a Siena, a Lucca e a Firenze - a veri e proprî bassorilievi, occupanti anche l'intera fronte del cassone con scene cavalleresche o con storie bibliche e mitologiche. A Venezia invece si rimase piuttosto fedeli ai puri motivi ornamentali, passando dal gusto gotico al classicheggiante, e si fece sfoggio di virtuosismo nella finezza e delicatezza del rilievo. Intanto, così nell'Italia centrale come nella settentrionale, la pastiglia dorata si univa alla pittura decorativa, o serviva anche a incorniciare pannelli dipinti a variatissime storie.
Ma non sempre il legnaiolo passava ad alto artefice la decorazione del cassone. Di ogni tempo ci rimangono cassoni costruiti, come ogni altro mobile, con criterî che diremo essenzialmente architettonici: a semplici sagome e a scorniciature, che inquadrano pannelli lisci, senza ornamenti. In Toscana, e particolarmente a Firenze, ha fortuna questo tipo di cassone, nobilissimo nella sua semplicità, pur nel fastoso Cinquecento, quando si hanno bellissimi esemplari anche a Roma. Ma più spesso, a cominciare dalla seconda metà del Quattrocento, nella bottega stessa del legnaiolo i maestri di tarsia, d'intaglio e di scultura, attendevano all'ornamento del mobile. Tipici dell'Italia settentrionale e probabilmente della Venezia, sono alcuni rari cassoni con pannelli figurati a incavo o incisione, con una tecnica simile a quella della silografia, e un aspetto che ricorda quello del ricamo rilevato; appartengono alla metà del Quattrocento, e alcuni sono ancora di sapore orientalizzante, mentre altri si ispirano alle eleganze dell'arte internazionale. Ben più diffusi nello spazio e nel tempo sono invece i cassoni decorati a tarsia, in favore specialmente tra la fine del sec. XV e il principio del XVI, e resa celebre dalle scuole di Lendinara e di Verona, di Brescia, di Bergamo e di Firenze. Così abbiamo cassoni fiorentini adorni di semplici tarsie ove il motivo ornamentale di "silio" chiaro stacca dal cupo fondo di noce; e cassoni lombardi decorati invece con vistose tarsie "alla certosina", dove legno, osso e madreperla ripetono tardivamente motivi orientalizzanti. Ma ben presto la tarsia a prodigiose prospettive di legni policromi, interviene nella decorazione del cassone, e tra il Quattro e il Cinquecento, e specialmente, a Firenze, finisce con l'avere una parte preponderante. Ma ciò non toglie che, quasi umilmente, la tarsia eminentemente ornamentale continui a decorare solo qualche parte piana di cassoni, ornati d'intagli o di pitture.
Quasi contemporaneamente alla tarsia, l'intaglio comincia ad arricchire le membrature del cassone, ora limitandosi alle cornici, ora decorando gli specchi della fronte e dei fianchi (tipici dell'Italia settentrionale i pannelli a finto traforo, sul gusto dei Canozi da Lendinara), poi invadendo tutto quanto il corpo del cassone, fino a mascherarne la stessa architettura. Specialmente nel Cinquecento, da Firenze a Roma, nel cassone ligneo si imita anche nella decorazione l'urna marmorea, con più sobrietà ornamentale in Toscana, maggior affastellamento e pesantezza nell'Umbria e nel Lazio; mentre a Venezia, nell'intaglio delicatissimo, sembra si voglia gareggiare con le sottili ragnature della pastiglia. Ma nel Cinquecento e per una metà del Seicento l'intaglio assume generalmente un tal risalto, da diventare vera e propria scultura, anche di tutto tondo agli angoli del cassone; mentre o in formelle e medaglie, oppure all'intera fronte di esso si applicano bassorilievi e altorilievi figurati, che particolarmente a Roma sembrano ispirati ai sarcofagi classici; e ormai anche Venezia fa sfoggio di bassorilievi, di altorilievi e di figure di tutto tondo; mentre spesso il cassone è lavorato anche da tergo e diventa mobile di gran lusso da collocare isolato. Se nella decorazione figurata del cassone, la scultura tratta in parte temi che vedremo trattati dalla pittura, essa sembra preferire però quelli mitologici ed eroici, pagani e classici, per l'imitazione dei sarcofagi e in genere dei bassorilievi antichi; mentre sullo scorcio del Cinque e in pieno Seicento, intagliatori abruzzesi o trentini, pur rimanendo fedeli agli schemi architettonici del Rinascimento, trattavano con rustica vivacità scene agresti e venatorie.
Ma ben più svariato fu il repertorio dei pittori che, fino almeno dal principio del Quattrocento, eseguirono piacevolissime storiette da racchiudere entro decorazioni in pastiglia, in tarsia o in intaglio, nella fronte e nei fianchi dei cassoni; finché la pittura prese a poco a poco a predominare, fino a occupare con una sola composizione almeno tutta la parte anteriore del mobile, lasciando alla decorazione una funzione assolutamente secondaria.
Ma in fatto di cassoni a pitture bisogna osservare prima di tutto come forse i più di quelli - non numerosi - che abbiamo, non siano originali, ma siano stati contraffatti, spesso arbitrariamente, nel secolo passato per mettere in opera tavolette istoriate, isolate. In secondo luogo, come il gran numero di queste tavole e tavolette, ancora isolate, esistenti specialmente nelle private raccolte, mal si spiegherebbe, pensando a centinaia di preziosi cassoni distrutti, salvandosene solo le pitture; talché sembra più logico supporre che le tavole di maggiori dimensioni non abbiano mai appartenuto alla decorazione di cassoni, ma servito da "spalliere"; mentre è pur probabile che in quello che potremo chiamare "stile da cassoni" si eseguissero anche tavolette, che non erano affatto destinate alla ornamentazione di mobili, ma potevano stare a sé, come quadretti di genere.
Nei soggetti trattati dai pittori di cassoni abbiamo un chiarissimo specchio del gusto e della cultura delle classi più ricche del Rinascimento. Mitologia e storia antica soverchiano biblica e agiografia, mentre non sono rari i soggetti suggeriti dalla poesia e dalla novellistica moderna. Così accanto a Omero, a Virgilio, a Ovidio, a Tito Livio e a Plutarco, vediamo i pittori di cassoni ispirarsi a Dante, al Boccaccio, al Petrarca, i cui Trionfi offrono naturalmente un tema quasi inesauribile. Né mancano soggetti tratti dalla cronaca contemporanea, da scene di battaglie famose, o di cerimonie imperiali, da giostre e tornei, spettacoli e cacce. Ma poiché, come è stato accennato, molti di questi cassoni a pitture furono eseguiti in occasione di nozze, i soggetti sono di frequente allusivi alla fedeltà e alla felicità coniugale, o almeno all'amore: Amore e Psiche, Orfeo ed Euridice, Perseo e Andromeda, Teseo e Arianna, Paride ed Elena e altre coppie eroiche e ancora Giuseppe o Ester, Lucrezia o Virginia; fino a Griselda e a Nastagio degli Onesti, celebrati nel Decamerone. In queste pitture da cassoni la Toscana ebbe probabilmente la precedenza e la preminenza; in special modo a Firenze fiorirono botteghe di cofanai e cassonai, che con squisita piacevolezza trattarono i motivi accennati, tanto che alcuni studiosi e critici hanno creduto di poter distinguere la maniera di questa o di quella bottega, di questo o di quel pittore, chiamandoli con soprannomi: il maestro della Giostra di Santa Croce, il maestro di Paride, ecc. Ma oltre che nelle botteghe di questi pittori anonimi, anche in quelle dei più noti si dipinsero cassoni e spalliere, o tavole e tavolette nello "stile da cassoni": da Giovanni dal Ponte, con Paolo Uccello, il Pesellino e Benozzo Gozzoli, si arriva al Botticelli, a Filippino Lippi, al Ghirlandaio, tralasciando altri minori; e nel Cinquecento al Bachiacca, al Franciabigio, al Granacci, ad Andrea del Sarto. Né diversamente avviene a Siena, da Sano di Pietro, Giovanni di Paolo, Matteo di Giovanni e Stefano Sassetta, al Beccafumi e al Fungai. Fuori di Toscana la moda sembra in minor favore; ma la seguono gli umbri col Signorelli, gli emiliani col Tura, il Cossa, il Roberti, l'Aspertini, e più ancora i veneti, dal Mantegna al Cima e dal Carpaccio ai giorgioneschi, e specialmente i veronesi dal Morone a Liberale. Ma durante la prima metà del Cinquecento la pittura di cassoni o da cassoni va scomparendo; e per un secolo rimane ancora quasi soltanto il tipo di cassone riccamente intagliato e scolpito. (V. tavv. CIII-CVI).
Bibl.: C. Cennini, Il libro dell'arte, Firenze 1859, p. 120 seg.; G. Vasari, Vita di Dello Delli, in Le Vite, a cura di G. Milanesi, II, Firenze 1878, pp. 148-49; A. Schiaparelli, La casa fiorentina ed i suoi arredi, Firenze 1908, p. 231 segg.; P. Toesca, La casa artistica italiana, Milano 1918, pp. 15-16; W. v. Bode, Italienische Hausmöbel der Renaissance, Lipsia 1920; F. Schottmüller, I mobili e l'abitazione del Rinascimento in Italia (trad. ital.), Torino 1921, p. xi segg.; (2 ed., 1928); A. Pedrini, L'ambiente il mobilio e le decor. del Rinasc. in Italia, Torino 1923, tav. 73 segg.; M. Tinti, Il mobilio fiorentino, Milano, s. a., p. 54 segg.; P. Schubring, Cassoni, 2ª ed., Lipsia 1923.
Ingegneria. - In ingegneria si usano cassoni per fondazioni di opere in acque profonde. Essi consistono in grandi casse di legno munite o no di fondo, che, riempite di muratura o di pietre, vengono affondate nel luogo dove si vogliono costruire le fondazioni. Per grandi profondità si adoperano cassoni senza fondo ad aria compressa (v. fondazioni).
Malattia dei cassoni. - Si chiama così il complesso dei sintomi morbosi che talora presentano gli operai nei cassoni ad aria compressa in rapporto essenzialmente alle notevoli variazioni della pressione dell'aria che subiscono durante il lavoro.
La pressione atmosferica è un fattore di primissima importanza negli scambî gassosi fra l'ambiente esterno e il sangue, fra il sangue e i tessuti dell'organismo. Secondo Bohr e Henriques, alla temperatura normale del corpo e alla pressione atmosferica di 760 millimetri, 100 centimetri cubici di sangue assorbono centimetri cubici di azoto 1,5; alla pressione di quattro atmosfere, centimetri cubici 4,8. Supponendo (ciò che non è esatto) che i tessuti abbiano un potere assorbente uguale a quello del sangue, un corpo del peso di 70 chilogrammi terrà in soluzione alla pressione normale 840, a quattro atmosfere 3360 centimetri cubici di azoto. Però un liquido non può saturarsi di gas che lentamente; a pressione atmosferica alta la saturazione non è completa che dopo alcune ore. Con l'abbassarsi della pressione il liquido cede il gas che teneva disciolto, ma occorre un certo tempo perché si liberino tutte le bolle gassose. Dei gas dell'aria si è considerato solo l'azoto, perché l'ossigeno e l'acido carbonico, che in gran parte vengono subito legati chimicamente, non riescono praticamente di danno.
Il pericolo della decompressione sta dunque negli accumuli di gas che si liberano non solo dai liquidi circolanti, ma anche dai tessuti dell'organismo. Alcuni tessuti ricchi di grasso o, come il sistema nervoso centrale, di sostanze lipoidi, possono assorbire azoto in misura assai più grande del sangue. Bisogna inoltre considerare le variazioni fisiche dei gas che si trovano già liberi nell'organismo, indipendentemente dai liquidi e dai tessuti.
Nel sistema circolatorio, dalle vene, le bolle gassose, seguendo la corrente sanguigna, raggiungono il ventricolo destro; una parte dell'effetto utile della contrazione cardiaca va perduta perché, a differenza del sangue, la miscela sangue più gas è comprimibile. Ma il danno più grave sta nel fatto che se le bolle non possono essere eliminate con sufficiente rapidità, sono causa di embolie nel polmone dove ostacolano la circolazione (v. capillarità) e gli scambî gassosi fisiologici. Giunte nel ventricolo sinistro, ugualmente ne ostacolano la contrazione; da qui in tutte le arterie periferiche possono causare embolie che in alcune zone vascolari, come quelle che nutrono il sistema nervoso e il cuore, possono essere pericolosissime. Nello stesso tempo lo sviluppo dei gas nei tessuti, specialmente nella sostanza nervosa, non solo altera la circolazione dei succhi organici, ma è causa meccanica di lesioni locali da stiramento, da compressione, da rottura delle più piccole e più fragili ramificazioni vascolari.
I gas liberi cercano di raccogliersi nel sangue; quanto meglio l'organo è irrorato, tanto più facilmente cede i gas al sangue; per questa ragione le articolazioni, scarsamente vascolarizzate, presentano disturbi particolarmente gravi, e il midollo spinale, che ha un'irrorazione sanguigna meno ricca di quella del cervello, viene leso più facilmente di questo.
Nella fase di compressione, oltre a modificazioni d'importanza secondaria della respirazione e della circolazione (aumento del volume polmonare, abbassamento del diaframma, diminuzione della frequenza del respiro o bradipnea riflessa per l'aumento del volume d'aria nel polmone, diminuzione del numero delle pulsazioni) e ai disturbi derivati dalle condizioni disagiate del lavoro, sono specialmente notevoli il senso molesto o doloroso di pressione e di tensione e la sensazione di rumori nell'orecchio, finché non si raggiunga l'equilibrio di pressione sulle due faccie della membrana del timpano, cioè fra l'aria esterna e quella nel cavo timpanico. Ciò avviene facilmente quando la membrana è già perforata e, in ogni modo, quando le trombe di Eustachio sono bene pervie; e siccome queste ultime mettono in comunicazione il cavo del timpano con quello del faringe, si può facilitare l'equilibrio eseguendo ripetuti movimenti di deglutizione.
Molto più gravi, invece, sono i fenomeni che possono manifestarsi dopo la fase di decompressione. Da quanto sopra si è detto, più che dal grado dell'iperpressione, essi dipendono dalla durata della compressione e dalla rapidità della decompressione. La coscienza si obnubila, s'inizia un brusco accesso di soffocazione con cianosi e fenomeni acuti d'insufficienza cardiaca; l'attacco può essere rapidamente mortale. Insorgono acuti dolori epigastrici, vomito, tumefazione dell'addome prodotta dalla distensione dei gas nell'addome o dalla paresi dei muscoli delle pareti. Possono manifestarsi emorragie nelle mucose e nel fondo dell'occhio. Se l'attacco acuto di soffocazione è felicemente sorpassato, residuano notevoli disturbi a carico dell'orecchio e del sistema nervoso. Si possono avere emorragie nella cavità del timpano, sordità, attacchi di vertigine di Ménière per lesioni vestibolari. Si hanno lesioni spinali in forma di paraparesi, paraplegie, tetraplegie, disturbi vescico-rettali. Compaiono alterazioni della sensibilità, come parestesie (prurito, formicolio) designate con la parola puces, o dolori lancinanti a tipo mialgico o artralgico che i Francesi chiamano les moutans, e gl'Inglesi the bends. Le paralisi possono rimanere stazionarie, o regredire notevolmente, o scomparire.
L'azione utile che si può svolgere contro questa forma morbosa è essenzialmente profilattica. L'operaio deve essere cosciente del pericolo al quale viene esposto, deve essere fisicamente idoneo al lavoro che si compie in condizioni così speciali. La proposta dello Zuntz di sostituire all'aria un'atmosfera di ossigeno non è pratica né scevra di pericoli. Nei cassoni si deve avere una sufficiente ventilazione; la durata del lavoro entro lo spazio chiuso non deve superare le sei ore, comprendendo in queste la fase di compressione e di decompressione che si debbono svolgere assai gradatamente. Boykott, Damant, Yaldane, avendo notato che la decompressione rapida non è pericolosa se la pressione iniziale non superava le due atmosfere, praticano decompressioni rapide parziali alternate da decompressioni graduali con notevole vantaggio nell'economia del lavoro. Al manifestarsi dei sintomi si porterà il malato in apposito ambiente ad alta pressione praticando poi la decompressione assai più lentamente; nel resto la cura è del tutto sintomatica.
Bibl.: Per la ricca letteratura sull'argomento cfr. A. Smith, Paralisi da repentine variazioni della pressione atmosferica, in T. C. Albutt e L. Ferrio, Trattato delle malattie del sistema nervoso, Torino 1904; R. Staehelin, Malattie da pressione atmosferica, in L. Mohr e R. Staehelin, Trattato di medicina interna, Milano 1914.