CASTEL DEL MONTE
Castello della Puglia, nel territorio del comune di Andria (prov. Bari).L'edificio sorge isolato su una bassa collina tondeggiante che domina l'ondulata campagna circostante, ma il nome deriva dalla localizzazione "apud Sanctam Mariam de Monte" con la quale esso è indicato nella più antica documentazione sveva e angioina (Historia diplomatica, 1852-1861; Sthamer, 1926). Si evince da essa che il castello fu cominciato a seguito di un ordine emanato da Federico II con una lettera da Gubbio in data 29 gennaio 1240 a Riccardo da Montefuscolo, giustiziere della Capitanata, perché provvedesse alla requisizione (actractum) dei materiali necessari per un avvio immediato della costruzione (Aceto, 1990). Nel 1246 questa era tanto progredita che Manfredi poteva rinchiudervi alcuni prigionieri. Come carcere C. fu usato anche da Carlo I d'Angiò, che nel febbraio 1269 donava due once d'oro per l'abbellimento della cappella di S. Maria del Monte. Se è questa ad avere dato il nome al castello, è dubbio che essa possa identificarsi con l'abbazia di S. Maria de Monte Balneoli, in diocesi di Andria, occupata nel 1258 dai Cistercensi di Arabona, comparendo in questa occasione retta da un cappellano. Tra il maggio dello stesso anno e l'ottobre 1271, e poi ancora tra il 1278 e il 1279, Carlo I disponeva riparazioni non meglio specificate al castello, da condursi a cura delle popolazioni di Monopoli, Bitonto e Bitetto, le stesse elencate allo scopo nello Statutum de reparatione castrorum di Federico II. Nel 1277 aveva invece fatto potenziare gli apparati di difesa con "bertesce et 4 guayatorole" alle torri e inferriate a tutte le finestre (Sthamer, 1926). Tracce di questo intervento sono state indicate (Avena, 1902) in rozze soprelevazioni di due delle torri, ancora visibili (e documentate da fotografie) prima dei restauri avviati nel 1879. In quella e in successive campagne, sono stati individuati nel terreno circostante il castello numerosi resti murari - che hanno indotto a ipotizzare che esso fosse circondato da cinte murarie, fino a un massimo di tre (Sarlo, 1885) - e i riferimenti archeologici per la ricostruzione della scala a doppia rampa a tenaglia avanti il portale d'ingresso.L'inizio dei restauri, conseguente all'acquisto di C. da parte dello Stato italiano nel 1876, segnava la fine (De Tommasi, 1978) di una lunga stagione di abbandono e di declino, durante la quale, dopo il regno dei primi Angioini (Molajoli, 1934a), la storia del castello sostanzialmente si perde (Marra, 1895).Tratto saliente di C. è il tracciato di pianta, rigorosamente impostato sull'ottagono regolare, che in alzato si traduce in perfetta stereometria di volumi. Due ottagoni concentrici disegnano il cortile interno e il perimetro esterno dei muri, ai cui vertici torri ottagone sono innestate in modo da lasciare interamente in vista sei lati. Completava questa sequenza di immagini ottagone esterne una grande vasca in marmo con sedili al centro del cortile, vista e descritta ancora nel sec. 18° (Troyli, 1749).La corona tra il cortile e il muro esterno è tagliata in vani trapezoidali che si ripetono uguali su due piani. Anche la struttura è la stessa. Ogni sala è coperta da una volta a botte acuta parallela alle basi del trapezio, intersecata nel quadrato mediano, corrispondente alla base minore, da una botte simile e normale che determina una crociera. Archi trasversi e costoloni diagonali, privi di legame con le murature di volta, sottendono la crociera centrale, ancorando su di essa il taglio sfuggente della sala.I collegamenti tra i piani sono assicurati da scale a chiocciola nella terza, quinta e settima torre (contando in senso antiorario a partire dall'ingresso), mentre le altre torri ospitano servizi igienici, originariamente riforniti d'acqua mediante serbatoi allogati nel tratto sommitale delle torri. Il sistema di approvvigionamento idrico, solo parzialmente esplorato e ormai compromesso nei terminali della distribuzione, è uno degli aspetti tecnologicamente più avanzati e nuovi di Castel del Monte. L'acqua piovana raccolta sulle terrazze a leggeri spioventi veniva convogliata da apposite canalizzazioni che portavano quella delle falde esterne ai serbatoi dotati di scolmatori delle torri e quella delle falde interne a tubature in pietra praticate in quattro angoli del cortile e quindi a una cisterna sotto il cortile medesimo. Insieme con i grandi camini di cui sono dotate cinque sale, l'impianto idrico è il tratto che indica con maggiore chiarezza la natura eminentemente residenziale di Castel del Monte.Tale natura è poi ribadita dal regime delle aperture e dalla facilità dei percorsi interni (Musca, 1981). Solo la sala in cui si apre il portale e l'adiacente a destra sono isolate come percorso obbligato. Da quest'ultima un portale dà accesso al cortile, dal quale altri due portali simili ad ampia arcata a sesto acuto permettono l'ingresso alle altre sale del piano inferiore, tutte comunicanti tra loro. Analogamente comunicanti sono le sale del piano superiore; unica parete chiusa è quella tra la sala sopra l'ingresso (c.d. sala del trono) e l'adiacente a destra. Mentre le sale a terreno sono scarsamente illuminate da monofore singole o in coppia aprentisi sia sul cortile sia sull'esterno, ma impostate molto alte, le superiori hanno sull'esterno bifore o trifore dalle quali è possibile affacciarsi sulla piana circostante e tre di esse hanno anche ampie portefinestre che davano su un ballatoio, forse in legno, che doveva costituire ulteriore anello di collegamento intorno al cortile, alla quota del pavimento delle sale ove - malgrado estesi rifacimenti delle cortine murarie operati tra il 1928 e il 1965 - sono ancora visibili le immorsature di alcune mensole di sostegno.In coerenza con l'irrilevanza strategica della posizione di C. e la scarsa difendibilità del sito, l'apparato difensivo dell'architettura appare assai ridotto: il portale, dalla luce piuttosto ampia, conserva in spessore di muro l'alloggiamento per la grata di chiusura a saracinesca manovrabile dalla sala soprastante; le feritoie, presenti solo nelle torri, pur mostrando un certo potenziale di fuoco anche laterale, sembrano collocate tenendo d'occhio le esigenze di illuminazione e di aerazione di scale e servizi. Niente resta di apparati difensivi eventualmente esistiti alla sommità delle torri e dei muri esterni, che sono la parte che più ha sofferto danneggiamenti e rifacimenti. Ma l'equipaggiamento con bertesche e guardiole disposto da Carlo I nel 1277 farebbe escludere che ve ne siano stati di particolarmente elaborati. Lo stesso camminamento merlato più volte ipotizzato appare scarsamente verosimile.Ciò che eleva la residenzalità di C. alla dimensione della grande rappresentanza e dell'esponenzialità simbolica è, dopo la forma, la qualità dell'esecuzione, la ricchezza e il tenore della decorazione. Caratteristiche e tecniche proprie delle dimore fortificate sono rifinite e talora ammorbidite da una raffinata sapienza costruttiva che si trova, di norma, solo nelle massime architetture religiose del tempo e che nel corpus conservato dell'architettura federiciana stessa ha il solo analogo di Castel Maniace a Siracusa. Domina il liscio apparecchio (purtroppo in gran parte sostituito) in modulo costante delle stesure murarie, costruttrici di tersi volumi, appena mossi dallo zoccolo e dalla cornice marcapiano del perimetro esterno o dalle arcate cieche giganti in leggerissimo aggetto del cortile. Si incastonano in essi il solenne portale ad arcata acuta che contiene il varco architravato, inquadrata da travata a timpano dell'ingresso, le polifore a trafori in lastra e intarsi di marmi decorati, i portali archiacuti di comunicazione interna a piatti sguanci accompagnati da colonnine, uno dei quali inquadrato da cornici salienti a gâbles, e le alte portefinestre architravate, sormontate da lunette a tutto sesto, ove il greve schema romanico si precisa in un alito di classicità anche in virtù dei fregi a ovuli e fuserole che qui arricchiscono il formulario gotico di modiglioni e capitelli a crochet, esili pilastrini scanalati di derivazione borgognona e rigonfie cornici a toro e a gola comuni alle altre aperture.Nelle sale, i grossi fusti colonnari su plinti ottagoni reggono archi a sezione rettangolare con spigoli smussati per la mediazione di capitelli a giri di crochet o grasse seghettate foglie 'a punte verso l'alto'. In corrispondenza di aggruppamenti di tre esili colonnine salienti da banchi che cingono le sale del piano superiore, i capitelli si scompongono in tre calici, con ornato analogo, ma più fine e variato di quelli del piano inferiore, e, tra archi di inquadramento a banda, i costoloni diagonali assumono la sezione di tori semiovoidi con cavetti di accompagnamento. In tutte le sale una cornice ritma la parete in proseguimento degli abachi e riquadra le aperture. Tra le chiavi di volta a formulazioni vegetali di corolle spiraliformi o stellate, una al piano terreno reca la celebre maschera con lunghe orecchie appuntite e pampini che incorniciano barba e capelli, prossima al tipo della testa-foglia; al piano superiore una è la testa di un vecchio barbuto, un'altra è composta da quattro mostri anguiformi che si mordono in disposizione a svastica, un'altra ancora è arricchita da protomi umane. Sopra la scala della terza torre, due costoloni della volta tripartita sono retti da teste di fauni (il terzo peduccio è perduto) e nella settima torre compaiono in analoga funzione sei telamoni ignudi a gambe incrociate. Complementi figurativi del genere dovevano essere più numerosi, come indicano un busto ammantato e oggi acefalo, visto ancora nel Settecento entro il timpano del portale d'ingresso (Swinburne, 1783) e interpretato, in genere, come ritratto dell'imperatore (ma i segni in costruzione sembrano indicare tre busti), o il frammento di testa femminile coronata d'alloro (Molajoli, 1934b), reperiti ambedue in scavi presso il castello e ora a Bari (Pinacoteca Prov.). Non mancavano decorazioni costituite, come a Castel Maniace e al castello di Lucera, da reperti antichi; tale è probabilmente il bassorilievo con cavalcata murato alla sommità di uno dei lati del cortile e pezzi sicuramente tardoantichi sono le due colonne tortili scanalate e anulate da bassorilievi di pampini con putti vendemmianti che nel 1317 Roberto d'Angiò fece trasportare da C. in S. Chiara a Napoli.Peso determinante nella compagine decorativa assume la policromia, ottenuta principalmente con l'accostamento al materiale costruttivo base, il biondo calcare delle Murge, di pietre e marmi di varia colorazione: con particolare profusione la rossa breccia locale e il marmo cipollino recuperato da prossimi centri monumentali antichi, usati soprattutto in aperture, sostegni e membrature di volta, ma anche in rivestimenti murari, secondo combinazioni già accuratamente ricostruite e descritte da Bertaux (1903). Solo un frammento di pavimento a tarsia in marmi policromi nell'ottava sala inferiore rende ancora un pallido riflesso della ricchezza dell'assetto cromatico definitivo che, come mostrano tracce di colore rosso nelle stilature delle bande a opus reticulatum, decoranti le lunette di volta delle sale superiori, dovette completarsi anche con coloriture artificiali.La mancanza di una monografia esaustiva e attendibile su C. rende particolarmente ampie e sensibili le incertezze su numerose questioni. Non si può dire nulla di sicuro sulla destinazione; all'insistente indicazione che si tratti di un castello di caccia è stato obiettato (Manzi, 1965) che la zona in cui si trova non è particolarmente favorevole ad attività venatorie ed è un fatto l'inesistenza, nella consistenza del castello sino a oggi verificata, di spazi a essa indispensabili come stalle, stabulari o luoghi per l'intrattenimento e la cura dei rapaci. Mancano, invero, a rendere assolutamente certa la funzione residenziale, anche locali inequivocabilmente attrezzati a fungere da cucine.La poca chiarezza in merito alle funzioni non aiuta a sciogliere il preminente nodo critico sull'origine delle forme di Castel del Monte. Nell'opposizione dibattutissima tra derivazioni orientali e occidentali delle costruzioni federiciane impostate secondo figure geometriche regolari, C., il cui impianto ottagono ad ali è privo di paragoni nell'architettura residenziale o castrale sia bizantina sia islamica, è punto di forza della tesi occidentalistica, che ne vede l'origine nel mastio residenziale, laddove esso assume tracciati regolari basati sulla geometria del cerchio (Meckseper, 1970), con particolare riferimento sia alla frequenza di costruzioni del genere nell'area sveva settentrionale (Wilsdorf, 1970-1972) sia alla loro presenza nell'architettura federiciana stessa, accanto a monumenti che sembrano costituire fasi intermedie dello sviluppo nell'impianto ad ali regolari (Krönig, 1978; Cadei, 1989).Analisi del tracciamento geometrico della pianta (Götze, 1991) e del dimensionamento dell'alzato (Tavolaro, 1973) hanno però indicato una base di conoscenze geometriche le quali, più che alla geometria pratica dei cantieri delle cattedrali gotiche contemporanee, sembrano legarsi alle conoscenze matematiche e astronomiche che l'Occidente andava allora recuperando dalla civiltà araba, erede della tradizione scientifica ellenistica.Si ripropone così la presenza di componenti orientali in C. che, dal piano teorico e pratico dei metodi del tracciamento, possono facilmente allargarsi alla dimensione simbolica, in riferimento al valore cosmologico che ha l'ottagono nella civilità occidentale come in quelle orientali, venendo perciò spesso usato nel dar forma a edifici di particolare significato universalistico e cosmico. La tradizione di basiliche, martyria e battisteri, comune al mondo occidentale e bizantino dall'età tardoantica ai primi secoli del Medioevo, trova un primo approdo imperiale con la Cappella Palatina di Aquisgrana, dove Federico II era stato incoronato nel 1215 re di Germania. Riferimento è stato fatto anche al grande candelabro ottagono della Cappella, donato da Federico I Barbarossa, e persino alla forma ottagona della corona dell'impero (Staats, 1976). Ma anche il Vicino Oriente può accostare una tradizione simile e parallela di uso dell'ottagono come figura generatrice di edifici sepolcrali e celebrativi, che ha trovato espressione, tra l'altro, nella Qubbat al-Ṣakhra a Gerusalemme - più nota come moschea di Omar o Cupola della Roccia -, che Federico II visitò con grande interesse e attenzione durante il soggiorno nella Città Santa nel corso della sesta crociata.Della decorazione di C. è stata univocamente sottolineata la fondamentale base gotica, variando lo spettro dei riferimenti privilegiati dalla scultura delle cattedrali francesi (Bertaux, 1903), alla mediazione cistercense di forme protogotiche borgognone (Haseloff, 1920; Cadei, 1980), alla possibile assunzione di un linguaggio internazionale, ma con forti componenti gotiche, elaborato in Terra Santa, in particolare a Gerusalemme (Jacobs, 1968), benché su questo punto sia stata prospettata anche la tesi contraria ovvero la diffusione in Terra Santa di forme nate nell'Italia meridionale federiciana (Buschhausen, 1978). Analogamente, ipotesi e correnti critiche fortemente contrastanti nella valutazione della formazione della scultura figurativa e monumentale federiciana, nel caso dei pezzi di C., si riducono a dispareri sulla cronologia o sulla individuazione di singoli maestri, nel generale riconoscimento di predominanti ascendenze gotiche, dell'Ile-de-France o dei centri germanici dell'impero (Bologna, 1969; Mellini, 1978; Gnudi, 1980).
Bibl.:
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