CASTEL DEL MONTE
È senz'altro il più affascinante dei castelli costruiti da Federico II. Sulla sua costruzione e sulla sua funzione le opinioni degli studiosi sono contrastanti. Il fascino della struttura castellare ottagonale ha dato anche adito a una serie di interpretazioni troppo fantasiose e non sempre suffragate da argomenti convincenti (come per esempio Milella-Chartroux, 1973; Vlora-Mongelli-Resta, 1988; Tavolaro, 1991; Sciannamea, 1996; cf. la critica di Ambruoso, 2001, pp. 77 ss.). L'unicità di Castel del Monte non è costituita dalla sua forma ottagonale, meno insolita di quanto spesso ritenuto (cf. Musca, 1981, ed. 2002, pp. 10 ss.), ma dal fatto che l'ottagono domina tutte le parti del monumento: si tratta quindi di una costruzione consapevolmente realizzata, anche nei dettagli, sulla base di una precisa forma geometrica, un esperimento artistico senza un modello concreto e realizzato ad altissimo livello (Leistikow, Gebäudestrukturen, 2001, p. 107). Infatti, intorno a un cortile ottagonale sono raggruppati otto saloni di piano terra e primo piano (tutti di forma trapezoidale) e otto torri ottagonali.
L'unico documento dell'epoca di Federico II in cui si parla di Castel del Monte risale al 29 gennaio 1240 (Dokumente, 1926, nr. 734). In questo mandato, tràdito nel frammento del registro della cancelleria di Federico II (Il Registro, 2002, p. 460), l'imperatore ordina da Gubbio al giustiziere di Capitanata, Riccardo de Montefuscolo, di fare immediatamente l'actractus: "Cum pro castro, quod apud Sanctam Mariam de Monte fieri volumus, per te, licet de tua iurisdictione non sit, instanter fieri velimus actractum, fidelitati tue precipiendo mandamus, quatenus actractum ipsum in calce, lapidibus et omnibus aliis oportunis fieri facias sine mora […]". Sul significato del termine actractus si è di-scusso a lungo tra gli studiosi: alcuni ritennero che significasse pavimento, altri lastrico (astracus), finché Dankwart Leistikow ha dimostrato (nel 1994) in modo convincente che significa materiale edilizio. Il documento si riferisce quindi all'inizio dei lavori per la costruzione di Castel del Monte, che iniziarono soltanto nel 1240.
Recentemente Raffaele Licinio ha però ipotizzato nuovamente che actractus significhi 'lastrico, copertura della terrazza' e che il documento si riferisca quindi alla conclusione dei lavori (2001, pp. 29-33; Id., 2002, pp. 68-71). Per questa ipotesi, secondo la quale la costruzione di Castel del Monte nel 1240 sarebbe stata già avviata al termine, sono stati addotti alcuni argomenti che vanno riconsiderati: il primo è la menzione di Castel del Monte nel cosiddetto Compasso da Navigare, un portolano datato da alcuni studiosi (Baldacci, 1961; Licinio, 2001, p. 52; Id., 2002, p. 86) intorno al 1250; il secondo argomento è che si ritiene che Castel del Monte sarebbe stato usato come prigione già nel 1246 (Licinio, 2001, p. 57; Id., 2002, p. 90). Per quanto riguarda il primo argomento, va detto che la datazione "verso il 1250" della redazione originaria del cosiddetto Compasso da Navigare, proposta dall'editore del manoscritto più antico, datato 1296 (Il compasso da Navigare, 1947, pp. XXVI s.), deve essere ridiscussa: la menzione di Petrolla, cioè Villanova di Ostuni, come borgo fortificato (ibid., p. 202: "La Petrulla castello") fa pensare piuttosto a una data non anteriore alla seconda metà degli anni Settanta del sec. XIII, periodo in cui Carlo I fece ripopolare questo insediamento, che nel 1269 risulta ancora di-sabitato (I registri della Cancelleria angioina, 1967, IV, pp. 60 s., nr. 387), e lo fece fortificare (Dokumente, 1926, nr. 951). Questa datazione non viene contraddetta dalla menzione di Siponto (Il compasso da Navigare, 1947, p. 205) invece di Manfredonia, perché in documenti del 1270 e del 1279 Manfredonia viene ancora indicata con il vecchio nome Siponto, oppure come "Siponto Novello" (Regesto, 1913, pp. 138 ss., nrr. 205, 206, 208, 209). Per quanto concerne il secondo argomento, va detto che il documento che proverebbe che Castel del Monte fungeva già nel 1246 come prigione (Historia diplomatica, IV, p. 918) è in verità più recente. Si tratta di un'inchiesta di Carlo I d'Angiò del 1269, da Huillard-Bréholles arbitrariamente collocata al 1246; vi si dice che fu Manfredi a incarcerare Marino da Eboli e suo figlio Riccardo a Castel del Monte. Questo fatto deve essere avvenuto durante la reggenza o il governo di Manfredi (1254-1266), forse già verso il 1256 quando Marino da Eboli fu fatto prigioniero da Manfredi (Regesta Imperii, V, 1-3, Die Regesten des Kaiserreiches […], a cura di J.F. Böhmer-J. Ficker-E. Winkelmann, Innsbruck 1881-1901: 1, nrr. 4656, 8978; cf. Schaller, Stauferzeit, 1993, p. 592 e n. 35). Infine non sembra convincente addurre come ulteriore argomento per la tesi secondo la quale Castel del Monte nel 1240 sarebbe stato già quasi terminato, la notizia riportata nei Diurnali di Matteo Spinelli, secondo cui Federico II avrebbe soggiornato il 28 ottobre 1250 a "Bellomonte" (Matteo da Spinelli, 1868, p. 722: "Lo dì de Santo Simone et Juda lo Imperatore venne a lo Castiello di Bellomonte"), identificato con Castel del Monte (Licinio, 2001, p. 55; Id., 2002, p. 87), dato che questa fonte è stata riconosciuta come un falso o almeno un rifacimento tre-quattrocentesco di un testo andato perduto. Nessuno degli argomenti addotti sembra dunque valido a suffragare la tesi che il 1240 non fosse l'anno dell'inizio bensì dell'avvio della conclusione della costruzione di Castel del Monte. Contro la tesi che vuole il castello quasi terminato nel 1240 parla anche il fatto, addotto recentemente da Leistikow (Castel del Monte, 2001, p. 209), che Castel del Monte non è menzionato tra i castra exempta di Terra di Bari, elencati in un documento del 5 ottobre 1239 (Sthamer, 1914, p. 129; Il Registro, 2002, p. 13). Analogo il caso del castello di Catania, di cui l'imperatore, il 17 novembre 1239, ordina di far preparare l'"attractum" (ibid., p. 174). Non è da escludere che il progetto di Castel del Monte fosse già maturato negli anni Trenta del sec. XIII, ma gli argomenti per sostenere che i lavori fossero già iniziati in questo periodo (così recentemente Antonow, 1999, pp. 229 s.) non sono convincenti. Va menzionato infine che nessun documento attesta che Castel del Monte fu usato da Federico II. Naturalmente ciò non significa che il maniero non sia stato mai frequentato dall'imperatore, ma soltanto che di tale fatto non è rimasta una traccia documentaria (cf. Schaller, Stauferzeit, 1993, pp. 592 s.). Priva di fondamento è la tesi che Federico II avesse fatto garantire la sicurezza della via conducente da Andria a Castel del Monte dall'Ordine teutonico, il quale avrebbe costruito lungo questa strada torri e masserie fortificate (von Holst, 1976).
Discussa è anche la questione se Castel del Monte fosse stato costruito 'nel deserto', oppure presso o nella vicinanza di una precedente fortificazione (di età normanna) "per completare la maglia di un sistema castellare indebolito in quel punto dall'inefficienza o dal degrado di una precedente fortificazione" (Licinio, 2001, p. 65; Id., 2002, p. 95). Questa precedente fortificazione, di cui finora non si è trovata traccia, sarebbe stata ubicata, secondo tale ipotesi, nei pressi di S. Maria del Monte, il monastero da cui Castel del Monte, che per tutto il Due e Trecento non si chiamò con questo nome ‒ divenuto ufficiale soltanto nel 1463 ‒ ma 'castello di S. Maria del Monte', prese il nome (ibid.). Il "monasterium S. Marie de Monte" è attestato soltanto in un documento del 1120 (Prologo, 1877, nr. 28, p. 72) e, nel 1192, nel Liber Censuum della Chiesa Romana (Le "Liber Censuum", 1905, p. 32b); da un documento del 1258 (Vendola, 1940, nr. 346), in cui si parla della sua incorporazione al monastero cistercense di S. Maria dello Sterpeto presso Barletta e si dice espressamente che il monastero di S. Maria "de Monte Balneoli" era stato abbandonato dai suoi monaci a causa della "tirannica persecuzione" di Federico II, si può dedurre che l'imperatore, forse proprio a causa della costruzione di Castel del Monte, aveva costretto i monaci ad abbandonare la loro sede originaria.
Un accenno a eventuali fortificazioni precedenti (ma non sappiamo se fossero ubicate sullo stesso luogo) contiene un documento del 1269, in cui gli abitanti di Bitetto, secondo lo 'Statuto sulla riparazione dei castelli' tenuti alla manutenzione di Castel del Monte, ritennero di essere esentati da quest'obbligo da re Guglielmo (quindi da Guglielmo I o da Guglielmo II di Sicilia; Dokumente, 1926, nr. 737). Il testo del documento lascia però molte possibilità di interpretazione (cf. Licinio, 2001, pp. 59 ss.; Id., 2002, pp. 90 ss.) e non aiuta a risolvere la questione della 'continuità insediativa', che rimane comunque un problema importante da approfondire con indagini archeologiche nei dintorni del castello.
Un problema aperto è anche la vegetazione medievale del colle sul quale sorge il castello: era pieno di alberi, oppure con vegetazione scarsa come oggi (cf. Leistikow, 1993, pp. 17 s.). Sembra comunque probabile che il castello non fosse così isolato come appare oggi, ma risultasse circondato da una o più cinte murarie e che fossero ubicate nelle vicinanze altre costruzioni (stalle, forni, ecc.). Recentemente è stata richiamata l'attenzione sul fatto che il cronista-notaio Domenico da Gravina, "partecipe e spesso testimone oculare dei fatti che racconta", scrive che nel 1349 un prigioniero riesce ad arrampicarsi sul muro di cinta esterna, "ascendens clam murum ballii", a scavalcarlo, a ricadere giù senza troppi problemi e a fuggire (Licinio, 2001, p. 72; Id., 2002, p. 99; Domenico da Gravina, 1903-1909, p. 112).
Non conservatosi è anche il camminamento in legno, o forse in metallo (così l'ipotesi di Leistikow, Castel del Monte, 2001, pp. 216 s., con riferimento alla relativa notizia di Troyli, 1749, pp. 129 ss., che aveva visitato il castello nel 1743), intorno al primo piano, le cui mensole in pietra sono ancora presenti, e la cui esistenza viene indirettamente dimostrata dal fatto che le finestre del primo piano, che si affacciano sul cortile, sono a tutta altezza ma prive di qualsiasi traccia di ringhiera o balaustra.
Recentemente è stata messa in discussione l'attendibilità della notizia riferita da alcuni studiosi, secondo la quale fino al sec. XVIII si sarebbe trovata al centro del cortile una grande vasca in marmo (Ambruoso, 2001, pp. 100 ss.; scettico anche De Tommasi, 1981, p. 101). Certamente le notizie non concordano perfettamente: Colavecchia parla nel 1772 del "gran cortile in cui si vede una Pila, o sia vaso di marmo bianco ottagono, di una grandezza che fa stupore, come siasi potuto trasportare sull'altezza di quel monte" (pp. 68 s.), mentre D'Urso, nel 1842, menziona che "venne rusticamente ridotta in brani una vasca di marmo, ch'io ricordo aver veduta nel cortile, la quale aveva de' sedili incavati nell'istesso masso, vasca mirabilmente intagliata per uso de' bagni" (p. 55). Entrambe le notizie vennero poi messe insieme, nel 1895, da Merra (p. 32). L'ipotesi di Leistikow, che si possa essere trattato di una fontana a getto (1993, p. 40) alimentata dalle cisterne pensili, ubicate nelle parti superiori di cinque torri del castello, può essere suffragata da una testimonianza finora sfuggita all'attenzione degli studiosi, cioè quella dell'abate Pacichelli, che visitò il castello nel 1686 e che parla di una "Sorgente di Acqua fredda, e leggiera" ubicata "nel mezzo" del "nobilissimo Atrio [...] confacevole ad un magnifico palazzo e ben munito castello", cioè al centro del cortile, una fontana che doveva essere di dimensioni notevoli, dato che l'abate la dice "in copia bastevole dissetare un'Esercito" (Pacichelli, 1695, p. 139). Al tempo del Pacichelli Castel del Monte era ancora fornito di una serie di strutture accessorie, di cui nei secoli successivi è stato spogliato: "Son novi [leggi: sono vi] larghissime Scuderie, e non pochi siti vasti, e nascosti, additati di fabbrica assai staccata: sendosi provveduto a qualsiasi militare occorrenza" (ibid., p. 140). Pacichelli menziona inoltre "porte di puro, e fino metallo" (ibid., p. 139).
Il castello, come lo vediamo oggi, per quanto riguarda l'interno è soltanto lo 'scheletro' di quello federiciano. Dei ricchi marmi e delle decorazioni delle pareti e del pavimento sono infatti rimaste soltanto tracce minime (Cadei, 1993, pp. 379, 381), così come del resto dell'arredo di sculture che un tempo ornava il monumento.
Di queste sculture sono rimasti, nelle pareti del cortile, soltanto i frammenti di un cavaliere e di un rilievo romano reimpiegato, mentre si trovano oggi nella Pinacoteca Provinciale di Bari il frammento di una testa, interpretata da alcuni come testa femminile (Molajoli, 1934), da altri come maschile (Schäfer-Schuchardt, 2001, p. 223), e il busto acefalo ammantato, visto ancora nel Settecento dal viaggiatore inglese Henry Swinburne nel timpano del portale d'ingresso e interpretato in genere come ritratto di Federico II, ma, come ha osservato Cadei, "i segni in costruzione sembrano indicare tre busti" (1993, p. 379). Secondo Claussen si sarebbe trattato dei "ritratti di Federico II e dei suoi figli Manfredi e Corrado, come pure dei logoteti Pietro de Vinea e Taddeo da Suessa", bassorilievo che "secondo la tradizione si sarebbe trovato nel timpano del portale di Castel del Monte" (1995, pp. 76 s., con riferimento ad Avena, 1902, pp. 12 ss.); secondo lo stesso studioso "si può ipotizzare che busto acefalo e testa frammentaria [...] facessero parte di un'autocelebrazione dell'imperatore, dei suoi figli e della sua corte" (Claussen, 1995, pp. 76 s.). Si tratta probabilmente dello stesso bassorilievo che Pacichelli vide "in una sala [...] scolpito l'Imperadore suddetto, con diversi de' suoi Soldati, e Ministri" (1695, p. 140). Già nel 1317 furono asportate due colonne tortili tardoantiche, scanalate e anulate da bassorilievi di pampini con putti vendemmianti, fatte portare da Roberto d'Angiò a S. Chiara di Napoli (Cadei, 1993, p. 379).
I grandi camini e l'impianto idrico, alimentato dall'acqua piovana raccolta sulle terrazze e nelle cisterne pensili, indicano la natura residenziale dell'edificio. Tale natura emerge anche dal regime delle aperture e dalla facilità dei percorsi interni (cf. Musca, 1981). La ricchezza con cui Federico allestì il castello dimostra che esso aveva anche una funzione di 'rappresentanza', di simbolo del potere imperiale: "Ciò che eleva la residenzialità di Castel del Monte alla dimensione della grande rappresentanza e dell'esponenzialità simbolica, è, dopo la forma, la qualità dell'esecuzione, la ricchezza e il tenore della decorazione" (Cadei, 1993, p. 378). Ma la funzione di rappresentanza non esclude che il maniero fosse stato anche progettato come castello di caccia con i falconi (cf. Musca, 1981, ed. 2002, pp. 23 s.)
Ancora aperta tra gli studiosi è la discussione sulle influenze architettoniche, cioè se Castel del Monte sia ispirato più a modelli occidentali, particolarmente francesi (Cadei, Meckseper) o a modelli orientali (Sack, Schirmer). Evidente sembra comunque un influsso dell'architettura cistercense (Haseloff; cf. Cadei 1980), mentre recentemente è stato sostenuto che tra i modelli sarebbero da annoverare, oltre ai castelli francesi e all'idea della Doppelkapelle (cappella doppia, cioè di due piani), anche le costruzioni normanne della Sicilia (Antonow).
Sotto Carlo I d'Angiò il maniero, già al tempo di Manfredi usato occasionalmente come prigione, fu trasformato in carcere vero e proprio. Fu ordinato, infatti, nel 1277 il potenziamento degli apparati di difesa con "bertesce et 4 guayatorole" alle torri e inferriate a tutte le finestre (Dokumente, 1926, nr. 740). È molto dubbio se le sopraelevazioni di due torri visibili prima dei restauri, avviati nel 1879, contenessero tracce di questo intervento. Nel castello furono reclusi, dopo il 1266, i figli di Manfredi, Enrico, Federico e Enzo (Azzolino), che vi rimasero fino al 1299, nonché altri sostenitori degli Svevi, tra cui Enrico di Castiglia che vi fu detenuto dal 1277 al 1291. Al tempo di Carlo I d'Angiò (1266-1285) la guarnigione di Castel del Monte era costituita da un castellano e trenta soldati, il cui numero fu poi aumentato a quaranta (Sthamer, 1914, p. 63).
I rilievi effettuati tra il 1990 e il 1996 dall'équipe di Wulf Schirmer dell'Università di Karlsruhe, pubblicati nel 2000, hanno dimostrato l'infondatezza delle teorie basate su una presunta perfezione geometrica di Castel del Monte e hanno evidenziato gli errori compiuti dai suoi costruttori e gli sforzi profusi per porvi rimedio (v. in partic. Zick, 2000). Si è evidenziato che la costruzione del castello procedette con mezzi tecnologici piuttosto rudimentali e per piccoli passi, che non fu mai completamente compiuta e che nella direzione dei lavori ci fu almeno un cambio. È stato confermato che l'orientamento della costruzione è stato realizzato proprio in direzione della città di Andria, l'Andria fidelis, nella cui cattedrale furono sepolte due delle mogli dell'imperatore. Si è inoltre rilevato che le torri originariamente dovevano essere più alte (di circa 5 m) di quanto sono adesso, cioè si stagliavano con nettezza sul profilo dell'edificio (ricostruzione di C. Uricher, in Schirmer, 2000, p. 65, fig. 41). Inoltre, secondo Schirmer, sembra che la costruzione non sia stata completata totalmente, anzi non sarebbe da escludere, anche se non ci sono indizi sicuri che suffragano una tale ipotesi, che per le torri fosse stato progettato un terzo piano (Schirmer, 2000, p. 96; Id., 2001, p. 207). Lo stesso studioso ha poi sostenuto che il sistema delle stanze a labirinto indicherebbe che si tratta di una costruzione ideale ("Idealbau"), la costruzione di un sistema ("Systembau"), una rappresentazione del cosmo secondo modelli orientali (Schirmer, 2000, p. 97; Id., 2001, p. 208); l'ipotesi è stata però messa in discussione (Meckseper, 2001, pp. 262 s.).
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