CASTEL DI DECIMA
Località a S di Roma all’altezza del km 18 c.a dell’attuale Via Pontina, corrispondente forse all’antica Via Laurentina di cui resta in situ al km 18,800 la XI pietra miliare di Tiberio. Il tracciato antico della via, visto agli inizi del secolo dal Lanciani, costeggiava in questo punto la tenuta di Castel Porziano il cui muro di cinta, demolito nel 1986, fu costruito intorno alla fine del secolo scorso in buona parte con gli antichi basoli. Il toponimo, forse riferibile a una statio, è attestato in documenti a partire dall’XI secolo. Nella zona, in epoca romana, si trovavano alcune ville, di cui una, a detta del Tomassetti e del Lanciani, occupava il sito dell’attuale castello di Decima; un’altra era situata nella valle, 900 m a S del castello, nella zona ove è stata rinvenuta una base marmorea con epigrafe che ricorda il console A. Pomponius Munatius Clodianus, presso il tracciato di una strada lastricata messa in luce nel 1988.
Il sito è diventato noto con gli scavi sistematici condotti a partire dal 1971 che hanno messo in luce 350 tombe di VIII e VII sec. a.C. e identificato con sicurezza un abitato coevo sull’altura a SE del castello. La presenza nella zona di un centro protostorico era già stata ipotizzata, peraltro, fin dal secolo scorso, con pareri non sempre concordi sull’ubicazione e sull’identificazione sia con Politorium sia con Tellenae. I dati di scavo hanno comunque rivelato una frequentazione del sito almeno a partire dagli inizi dell’VIlI sec. a.C., con una ragguardevole importanza raggiunta nel corso del periodo orientalizzante e una continuità di vita fino a tutto il VI sec. a.C. Non mancano presenze di epoca repubblicana, legate forse a un luogo di culto da ubicare ai piedi della collina di Monte Cicoriaro e probabilmente anche all’uso dell’area come cittadella fortificata. Questa doveva far parte del sistema difensivo organizzato da Roma nel IV sec. a.C., costituito da luoghi fortificati, realizzati in parte ex novo e in parte riutilizzando siti più antichi, come proverebbe la cinta muraria coeva di Ficana.
Su questa altura tufacea situata presso la confluenza di un fosso minore in quello che doveva essere l’antico Rivus Albanus (attuale Fosso di Malafede), sorgeva il nucleo più antico dell’abitato con un’estensione di c.a 6 ha, successivamente ampliato a S secondo uno schema comune anche ad altri insediamenti della vicina Etruria meridionale. Poco si sa finora dell’impianto urbanistico, caratterizzato forse da un asse viario centrale con andamento N-S, congiungente i due unici accessi, uno minore a N e quello principale a S presso la strozzatura naturale che separa l’acropoli dal successivo ampliamento. Il lato S era difeso da un fossato artificiale e da un poderoso terrapieno che creava un dislivello di oltre undici metri. Costruito all’inizio dell’VIlI sec. a.C., esso presenterebbe almeno due fasi costruttive; alla fine del VII sec. a.C. fu inoltre alzato, nella parte interna, un muro di contenimento a grandi blocchi di tufo conservato per due filari. Negli strati sottostanti sono stati rinvenuti numerosi frammenti di ceramica e reperti attribuibili a fasi di vita di VIII e VII sec. a.C. caratterizzate da abitazioni in capanne di cui sono state evidenziate dallo scavo solo tracce parziali. Ai muri di contenimento dell’aggere si sarebbero poi addossate abitazioni di VI sec. a.C. con fondazioni a scaglie di tufo, elevato in opus craticium e tetto di tegole. Lo scavo ha solo evidenziato una piccola parte di uno di questi edifici. Alla stessa epoca risalirebbe la cinta muraria in opera quadrata a grossi blocchi di tufo di cappellaccio posti di testa e di taglio, della quale sono stati messi in luce alcuni tratti lungo il ciglio E del pianoro. Tali testimonianze farebbero escludere l’identificazione del sito con Politorium, che le fonti dicono definitivamente rasa al suolo da Anco Marcio, e meglio si adatterebbero invece per Tellenae che secondo Dionigi di Alicarnasso (v, 61) partecipa ancora alla lega latina contro Roma agli inizi del V sec. a.C.
Di ben altra consistenza è il materiale proveniente dallo scavo della necropoli, grazie alla quantità di dati che già si sono potuti utilizzare per la ricostruzione delle strutture sociali ed economiche delle comunità latine, soprattutto per il periodo cruciale di trapasso all’Orientalizzante Antico e poi per tutto il VII sec. a.C. La necropoli si trova sul pianoro che fronteggia la collina dell’abitato, in gran parte occupato da una lottizzazione degli anni ‘60. E probabile che molte sepolture siano andate distrutte e che altre siano ancora conservate nelle aree sistemate a giardino intorno alle abitazioni. L’area esplorata sistematicamente negli anni 1971-1975 è stata interessata dal raddoppio della Via Pontina, in pratica una fascia che attraversa la necropoli approssimativamente da N a S per una lunghezza di oltre 1000 m e una larghezza variabile da 20 a 60 m. A cura della Soprintendenza Archeologica di Roma nel 1977, 1979, 1987 e 1990 sono state effettuate altre campagne di scavo in alcune proprietà private a E dell’attuale Via Pontina, senza tuttavia esaurire ancora l’esplorazione dell’area. I limiti N e S della necropoli si possono fissare con una certa sicurezza fra il km 18,200 c.a e il km 19,400 c.a della Pontina, poco oltre la località La Ventola, mentre il limite occidentale, all’interno della tenuta di Castel Porziano, dovrebbe coincidere, come a E, con quello del pianoro. Si ha pertanto un’estensione particolarmente vasta in rapporto a quella dell’abitato, determinata da una distribuzione delle sepolture non uniforme, ma con tendenza a concentrarsi in gruppi con aree intermedie non utilizzate. Approssimativamente può essere fissato a 3.000 il numero originario delle tombe da distribuire nell’arco di due secoli (VIII e VII a.C.). Più che di una stratigrafia orizzontale si può parlare di un’espansione a ventaglio, con le tombe più antiche dei periodi IIB e III (più di un centinaio) nella parte centrale del pianoro, in corrispondenza forse dello sbocco di un percorso di accesso dall’abitato nel punto più vicino a esso. Le tombe dell’Orientalizzante Antico si trovano per lo più spostate a N e a S, frammiste a quelle più recenti databili a tutto l’arco del VII sec. a.C.; in alcuni casi si può parlare di raggruppamenti voluti di alcune sepolture più recenti intorno a una più antica, anche se non si hanno disposizioni a circolo come nella necropoli coeva della Laurentina.
Le tombe sono tutte a fossa scavata in uno strato di terra argillosa che poggia su un banco di terra rossiccia ferrosa. L’acidità del terreno e la copertura a scaglie di tufo hanno provocato un particolare stato di degrado degli oggetti di corredo, soprattutto di quelli metallici. L’opera di restauro pertanto, lenta e onerosa, è stata attuata solo parzialmente. Il rito è quello dell’inumazione, spesso (soprattutto per l’VIII sec. a.C.) in tronco d’albero, con due sole eccezioni, entrambe riferibili a sepolture maschili. Nella tomba 322, databile alla metà dell’VIII sec. a.C., il morto è stato cremato e le ceneri, miste ai resti delle ossa, sono state deposte nella fossa con gli oggetti del corredo disposti come se si trattasse di una inumazione. Diverso è il caso del grande tumulo di 30 m di diametro, databile intorno al 730 a.C., già segnalato dal Lanciani, per l’aspetto monumentale della tomba e per il rito che, secondo l’usanza eroica, ha distrutto con il rogo tutti gli oggetti di prestigio che caratterizzano, a C. di D. e altrove, le tombe principesche dell’Orientalizzante Antico, come il carro, gli scudi, il vasellame di bronzo e le armi. Significativi al riguardo sono in particolare i tre corredi delle tombe 21, 15 e 101. La tomba 21, databile intorno al 730 a.C., è la sepoltura di un guerriero deposto in un tronco d’albero con piastra pettorale di bronzo, fibula d’argento, due spade, di cui una con fodero intarsiato d’ambra, e punte di lancia di ferro e di bronzo. Tre scudi ricoprivano il corpo e ai suoi piedi era deposto un frontale per cavallo. Presso la testa del defunto era il carro da combattimento. Sul fianco destro, in un loculo, era deposto il corredo caratterizzato da numerosi vasi di bronzo. La tomba 15, sempre maschile, dell’ultimo decennio dell’VIlI sec. a.C., costituisce un caposaldo cronologico per il periodo orientalizzante etrusco-laziale, grazie alla presenza di ceramica greca importata. La tomba 101 invece, femminile, si distingue per la ricchezza e l’elaborazione degli ornamenti personali con numerosi oggetti in oro e in ambra. La presenza di un carro e dell’anfora vinaria fenicia rivela significativamente, almeno a livello di rituale funebre, una posizione sociale della donna paritetica a quella dell’uomo. Nel corso del VII sec. a.C. i corredi principeschi sono caratterizzati, come sulla Laurentina, da un numero elevato di vasi di impasto che formano, con le anfore vinarie fenicie, i grandi hòlmoi e le tazze-cratere, ricchi servizi da vino a riprova dell’uso ormai affermato del banchetto. Come per altre necropoli laziali i corredi più tardi sono attribuibili all’ultimo trentennio del VII sec. a.C., quando ormai si è realizzata nel campo vascolare una koinè etrusco-laziale con la quasi esclusiva presenza di forme in bucchero e in argilla depurata acroma o dipinta a fasce e la scomparsa pressoché totale del vasellame di bronzo, con una limitazione anche degli ornamenti personali.
Bibl.: Per le notizie di carattere topografico e il problema dell’identificazione del sito: M. Guaitoli, Inquadramento storico topografico, in QuodTopAnt, VI, 1974, pp. 47-69, con bibl.prec.; B. Tilly, The Identification of Laurentum, in ArchCl, XXVIII, 1976, pp. 283-293. - Per l’abitato: M. Guaitoli, F. Piccarreta, Il centro arcaico, in QuadTopAnt, VI, 1974, pp. 71-100; M. Guaitoli, Considerozioni su alcune città ed insediamenti del Lazio in età protostorico ed arcaica, in RM, LXXXIV, 1977, pp. 5-25; id., L’abitato di Castel di Decima, in Archeologia Laziale Il (QuadAEI, 3), Roma 1979, pp. 37-40; id., Castel di Decima. Nuove osservazioni sullo topografia dell’abitato alla luce dei primi saggi di scavo, in QuadTopAnt, IX, 1981, pp. 117-150. - Per gli aspetti generali della necropoli, ideologia, rituale e strutture sociali: F. Zevi, A. Bedini, La necropoli arcaica di Castel di Decima, in StEtr, XLI, 1973, pp. 27-43; F. Zevi, Scoperta nella via Lavinate, in Atti dell’VIII Convegno Nozionale di Studi Etruschi e Italici, Orvieto 1972, Firenze 1974, pp. 293-296; id., Alcuni aspetti della necropoli di Castel di Decima, in PP, XXXIII, 1977, pp. 241-273; A. Bedini, L ‘ottavo secolo nel Lazio e l’inizio dell’orientalizzante antico alla luce di recenti scoperte nella necropoli di Castel di Decima, ibid., pp. 274-309; AA.VV., Lo formazione della città nel Lazio (seminario, Roma 1977, DArch, n.s., Il), Roma 1980, passim; G. Bartoloni, M. Cataldi Dini, F. Zevi, Aspetti dell’ideologia funeraria nella necropoli di Castel di Decima, in Gh. Gnoli, J.-P. Vernant (ed.), La mort, les morts dans les societés anciennes, Ischia 1977, Cambridge 1982, pp. 257-273. - Per l’edizione dei corredi tombali conservati presso la Soprintendenza Archeologica di Ostia (Museo dell’Alto Medioevo: tombe 1-100 e 151-200) e presso la Soprintendenza Archeologica di Roma (Museo Nazionale Romano: tumulo e tombe 101-150 e 201-369 con l’avvertenza che le tombe 113-116 e 123-129 sono state solo individuate ma non scavate): S. Quilici Gigli, in NSc, 1974, pp. 274-283; P. Sommella, Rinvenimenti occasionali nello zona dello necropoli arcaica, in QuadTopAnt, VI, 1974, pp. 101-124; in NSc, 5975, pp. 233-408; AA.VV., Civiltà del Lazio primitivo (est.), Roma 1976, pp. 252-290. - Per il finimento in bronzo della tomba 101: A. Bedini, art. cit., p. 297 ss.; O. Dumézil, Anchise foudroyé?, in L’oubli de l’homme et l’honneur des dieux, Parigi 1985, pp. 151-161. - Per le anfore vinarie fenicie: M. Gras, Trofics tirrhèniens archaïques (BEFAR, 258), Roma 1985, p. 291 ss.; F. Zevi, La situazione nel Lazio, in Il commercio etrusco arcaico. Atti dell’incontro di studio, Roma 1983 (QuadAEl, IX), Roma 1985, pp. 119-125.