CASTELLI, REGNO DI SICILIA, SISTEMA DEI
Federico II, dopo l'incoronazione imperiale celebrata a Roma il 22 novembre 1220, procedette a imporre con energia il suo dominio sul Regno facendosi consegnare alcuni castelli e città. Eduard Sthamer, a cui si devono ricerche fondamentali sull'amministrazione dei castelli federiciani, ha osservato che tutti questi castelli confiscati da Federico II si trovavano in posizioni eminentemente strategiche (1914, p. 5). L'abate di Montecassino, per esempio, dovette consegnare i castelli di Rocca d'Evandro e di Atina. Il primo, che dominava la valle del Garigliano, controllava il passaggio dalle montagne cassinesi alla pianura napoletana. Atina, invece, dominava la strada che, attraverso le montagne, portava da Cassino ad Avezzano negli Abruzzi. Chi possedeva quindi questi due castelli era in grado di controllare le due strade principali che partivano da Cassino. Anche i castelli consegnati dal conte di Fondi all'imperatore erano di grande importanza strategica. Si trattava di Sessa, Teano e Mondragone. Sessa controllava la strada da Gaeta per Capua; Mondragone dominava il passaggio da Gaeta alla pianura campana; Teano controllava il valico che portava da Cassino a Capua. Questi esempi dimostrano che Federico II scelse i castelli che dominavano le strade più importanti.
Nelle leggi emanate dall'imperatore nel 1220 a Capua si trova una disposizione, nella quale si ordinava che tutti i castelli costruiti dopo la morte di Guglielmo II (1189) sul territorio non appartenente al demanio fossero consegnati alla Corona, o per essere distrutti o per essere ridotti allo stato in cui si trovavano al tempo del sovrano normanno. Per i castelli costruiti sulla terra demaniale, invece, l'imperatore si riservava di decidere come voleva (Riccardo di San Germano, 1936-1938, p. 92; cf. Sthamer, 1914, p. 6). Sulla base di questa norma furono distrutti Rocca Ianula presso Cassino, il castello di Carpinone, presso Isernia, e altri castelli nel Molise. Nel corso degli anni Venti del sec. XIII Federico II riuscì a impadronirsi dei castelli più importanti.
L'imperatore avviò anche una frenetica attività edilizia, tanto che il giustiziere Tommaso da Gaeta, in una lettera indirizzata allo stesso Federico II, non poté risparmiargli un rimprovero: "È vero che l'imperatore non deve fidarsi così tanto della pace, da non prepararsi alla guerra. [...] Ma non è necessario che Vostra Maestà costruisca fortezze così in alto, fortifichi le cime di ripide colline, sbarri i pendii dei monti con mura e li circondi di torri: anche senza fortificazioni la salvezza del re sarà assicurata dalle opere benefiche e dalla mitezza" (Kehr, 1905, pp. 55 s.).
Negli anni Trenta, cioè dopo la pace di San Germano, Federico II organizzò l'amministrazione castellare in modo più efficiente. Le prime fonti sull'amministrazione dei castelli nel Regno di Sicilia risalgono infatti a questo periodo. Di particolare importanza è il cosiddetto 'statuto sulla riparazione dei castelli', edito nel 1880 da Eduard Winkelmann e, in modo più completo, nel 1914 da Sthamer (Acta Imperii inedita, pp. 769 ss.; Sthamer, 1914, pp. 94 s.) Lo 'statuto sulla riparazione dei castelli' costituisce, secondo la definizione di Sthamer, "l'accertamento giuridico delle comunità e delle persone tenute, secondo le consuetudini, alla riparazione di quei castelli regi, la cui manutenzione non era compito della curia" (Sthamer, 1914, p. 91). Quindi non è un elenco completo dei castelli regi, ma soltanto di quelli ‒ e si tratta della stragrande maggioranza ‒ il cui mantenimento era affidato ai sudditi. Secondo Gina Fasoli, il termine di 'statuto', attribuito al documento da Sthamer ‒ nei documenti si parla non di statuto ma di "quaterni de reparacione castrorum" ‒, non sarebbe molto felice, perché "non vi si statuisce niente di nuovo, ma si appura quali fossero i centri abitati, le signorie feudali e gli enti ecclesiastici che dovevano provvedere alla manutenzione dei singoli castelli e delle singole 'domus' regie" (1980, p. 34). Dato che con statuto spesso si intende anche la codificazione di norme consuetudinarie, questa critica sembra però eccessiva. L'inchiesta fu avviata nel 1230-1231, ma i risultati furono redatti in maniera organica soltanto tra il 1241 e il 1245 circa. Essa va inserita nel più ampio progetto federiciano di una raccolta e codificazione delle leggi e consuetudini dell'età normanna, di cui sono espressione le celebri Costituzioni di Melfi. Gli accertamenti (inquisiciones) sui castelli furono affidati ai giustizieri, i quali dovevano scegliere in ogni provincia quattro anziani che si ricordassero le leggi emanate da Ruggero II (m. 1154) e fossero a conoscenza delle norme consuetudinarie vigenti sotto Ruggero II e Guglielmo II (Acta Imperii inedita, nr. 761).
Interessante per la comprensione del sistema castellare federiciano è un mandato risalente probabilmente al 1230-1231 (ibid., nr. 764, pp. 606 s.; Sthamer, 1914, app. II, nr. 1, p. 129): nel nominare i due provisores castrorum per il Principato, la Terra di Lavoro e la Terra Beneventana, "Agneo de Matricio" e "Sanctono de Montefuscolo", Federico II indicò i loro compiti. Essi dovevano regolarmente ispezionare i castelli ("ut singula castra ipsa sepius diligenti sollicitudini peragretis"). Le ispezioni dovevano comprendere cinque aspetti: 1) si dovevano redigere, in triplice copia, verbali con l'elenco delle armi, degli animali, delle vettovaglie e di tutto ciò che gli ispettori trovavano nei singoli castelli; una copia di questo elenco andava spedita alla Curia, un'altra consegnata al castellano e la terza rimaneva agli ispettori; 2) si doveva provvedere alla custodia dei castelli, cioè i provisores potevano ridurre o aumentare, a seconda della necessità, il numero del personale della guarnigione; 3) occorreva pagare, attraverso i magistri camerari, gli stipendi e assicurare i fondi necessari per il mantenimento del personale; 4) i castelli che necessitavano di riparazioni dovevano essere ristrutturati nel modo usato sotto Guglielmo II; 5) i castellani dovevano essere sollecitati ad avere cura dei vigneti, degli arbusti, dei mulini, degli orti e delle terre assegnati ai castelli per garantire l'approvvigionamento delle persone che vi vivevano ("ut de vineis, arbustis, molendinis, ortis et terris, que ad municionem ipsorum castrorum fuerunt antiquitus deputata, curam habeant diligentem et ea faciant excoli laudabiliter, sicut decet, ut processu temporis in castris inveniantur singula necessaria habundanter").
Se Federico II, quindi, per quanto riguarda l'approvvigionamento dei castelli, mantenne le consuetudini normanne, introdusse però una novità importante creando la figura, fino ad allora sconosciuta, del provisor castrorum. A ogni distretto relativo all'amministrazione dei castelli soprintendevano originariamente due provisores. Ma sin dal 1239, nell'ambito di più ampie riforme amministrative realizzate da Federico II, ciascuno di questi distretti fu controllato da un unico provisor castrorum (cf. Sthamer, 1914, p. 25). Questi distretti rimasero invariati fino all'epoca angioina ed erano ripartiti come segue: 1) la provincia degli Abruzzi; 2) le province di Terra di Lavoro, del Molise, del Principato e della Terra Beneventana; 3) le province di Capitanata, Basilicata, Terra di Bari e Terra d'Otranto; 4) la Sicilia citra flumen Salsum e la Calabria (fino a porta Roseti); 5) la Sicilia ultra flumen Salsum. La riforma del 1239 riguardava anche le competenze dei provisores. Federico II si riservava per un certo numero di castelli la nomina e la deposizione dei castellani che sino ad allora erano spettate ai provisores castrorum. Questi castelli, ora esentati per quanto riguarda la nomina e la deposizione dei castellani dalla competenza dei provisores, furono chiamati castra exempta (cf. ibid., pp. 57 s., con l'elenco di questi castelli). Per una più efficace assistenza finanziaria dei castelli fu creato un nuovo funzionario, il collector.
La nomina dei provisores castrorum avveniva mediante un decreto regio, la commissio (ibid., p. 31). Al momento della nomina il provisor riceveva alcune istruzioni particolari: anzitutto un elenco dei castelli regi ubicati nel suo distretto contenente anche i nomi dei castellani, il numero dei soldati (servientes), l'importo degli stipendi da pagare. Inoltre gli si affidava quella parte dello 'statuto' sulla riparazione delle fortezze relativa al suo distretto, cioè l'elenco dei castelli con l'indicazione delle persone e delle comunità tenute alla loro manutenzione e riparazione. Come gli altri funzionari, anche il provisor castrorum riceveva inoltre un certo numero di patentes, cioè lettere con le nomine dei funzionari a lui subordinati come i castellani ed i servientes. Ogni provisor aveva al suo seguito tre scudieri, un notaio e un corriere (ibid., p. 34). La nomina dei provisores castrorum era a tempo indeterminato, cioè fino alla revoca da parte del re ("usque ad nostrum beneplacitum"). La prassi dimostra che normalmente i provisores castrorum rimanevano in carica per un periodo piuttosto lungo. Essi erano scelti sempre nel ceto dei milites. Sotto Federico II erano originari del Mezzogiorno, come dimostrano i loro nomi (per esempio "Sanctono de Montefuscolo"), mentre sotto Carlo I d'Angiò provenivano esclusivamente d'Oltralpe (ibid., p. 32).
Il numero dei castelli da ispezionare dai provveditori (ogni tre mesi!) variava molto: il provisor degli Abruzzi dovette ispezionarne soltanto trentuno, quello di Terra di Lavoro, Molise, Principato e Terra Beneventana ben ottantacinque, quello di Capitanata, Basilicata, Terra di Bari e Terra d'Otranto persino centonove (ibid., pp. 94-122). Da queste cifre emerge una considerazione pratica: se il provveditore dei castelli degli Abruzzi era in grado di ispezionare quattro volte l'anno i trentuno castelli di sua competenza, dedicandovi complessivamente, se non consideriamo il tempo necessario per spostarsi da un fortilizio all'altro e mettiamo in conto per ogni ispezione soltanto un giorno, centoventiquattro giorni, più difficile, anzi quasi impossibile, era il compito del suo collega competente per Molise e Campania che avrebbe impiegato così trecentoquaranta giorni, ma, come abbiamo già detto, senza contare il tempo degli spostamenti e del riposo. Del tutto impossibile sarebbe stato il compito del provveditore dei castelli lucani e pugliesi, perché per dedicare quattro volte l'anno soltanto un giorno a ognuno dei centonove castelli di sua competenza avrebbe avuto bisogno di un anno che contasse assai più di trecentosessantacinque giorni! Quindi in queste aree le ispezioni dovevano necessariamente essere delegate a funzionari subordinati.
Dal mandato di nomina dei nuovi provisores castrorum di Federico II nel 1239 (ibid., app. II, nr. 2, pp. 128-130) apprendiamo che l'imperatore cercava anche di evitare che gli ispettori venissero ingannati da castellani che, sapendo in anticipo il giorno dell'ispezione, erano in grado di nascondere facilmente eventuali abusi d'ufficio commessi. Federico II ordinò perciò ai nuovi provveditori di scegliere dalle località situate vicino ai castelli due uomini rispettabili degni di fede che, dopo aver prestato giuramento, dovevano fare ogni settimana a sorpresa una visita nel castello e riferire qualsiasi irregolarità al provveditore: "ut per singulas civitates et terras, in quibus castra sunt, duos de melioribus civibus earumdem fide dignos eligas, qui, iuramento prestito, teneantur qualibet ebdomada non certis et statutis diebus castrum semel et subito introire et tam castellani quam servientium mores scrutentur et actus, oculata etiam fide perspiciant, si statutus ibidem personarum numerus habeatur, et, si fiat ibidem aliquid, quod castellanus vellet forsitan te latere, plene tibi referatur veritas per eos-dem" (ibid., p. 129).
La riforma dell'amministrazione dei castelli realizzata da Federico II non fu una riforma radicale, perché fu conservata la partecipazione dei feudatari alla custodia dei castelli regi. Sthamer ha quindi giustamente caratterizzato l'amministrazione dei castelli nella seconda metà del regno di Federico II come un "sistema misto", nel quale la custodia dei castelli era in parte affidata a soldati (servientes) inviati e pagati dalla Curia, in parte a feudatari o a servientes stipendiati da feudatari (ibid., pp. 58 s., con riferimento a un documento del 1247: Acta Imperii inedita, nr. 918, pp. 691 s.).
Un primo tentativo di creare un'istanza intermedia tra Corona e castelli, a livello provinciale, era stato fatto da Enrico VI quando aveva preso possesso del Regno di Sicilia. Nei pochi anni che regnò sul Mezzogiorno d'Italia, ed esattamente tra il 1195 e il 1197, egli affidò l'amministrazione dei castelli di Sicilia, Calabria, Puglia e Terra di Lavoro a cavalieri tedeschi chiamati magistri castellani (Houben, 2001, ed. 1996, pp. 167 s.). Sembra che questo ufficio fosse caduto in disuso dopo la prematura morte dell'imperatore, anche se viene ancora menzionato nelle Assise di Capua (1220; Riccardo di San Germano, 1936-1938, p. 204). Soltanto verso il 1228, quindi poco tempo prima della riforma del 1230-1231, troviamo figure simili in due personaggi appartenenti a ordini religioso-militari, un templare di nome "Burrellus" e un giovannita di nome Ruggero che operavano in Calabria come "magistri et provisores imperialium castrorum" (Pratesi, 1958, p. 399).
Il vero e proprio 'sistema castellare' con precisi distretti è opera di Federico II. I provisores castrorum da lui creati sono probabilmente identici ai "visitatores castrorum", menzionati al 1240 da Riccardo di San Germano, i quali delegavano le ispezioni settimanali dei castelli a persone di loro fiducia (1936-1938, p. 204). Essi sono probabilmente anche identici ai "provisores super castrorum nostrorum provisionibus statutis" menzionati nelle Costituzioni di Melfi (I, 86). In un altro articolo delle stesse Costituzioni vengono anche menzionati i "magistri castrorum" (I, 92.1; Die Konstitutionen, 1996, pp. 261, 271). Potrebbe trattarsi di una svista del redattore che non si era accorto che ormai questa carica era stata sostituita da quella del provisor castrorum, oppure un indizio del fatto che magister castrorum e provisor castrorum furono considerati termini equivalenti, come appunto si evince dalla lettura del citato documento del 1228.
Dati interessanti sul rapporto tra castelli e territorio emergono da un esame dello 'statuto sulla riparazione dei castelli'. Gina Fasoli, la quale per prima ha realizzato una collocazione, rimasta purtroppo incompleta, sulla carta topografica dei singoli castelli e degli insediamenti tenuti alla loro manutenzione, è arrivata a constatazioni definite da lei stessa "sorprendenti ed inesplicabili" (1980, p. 36). È infatti interessante notare che le comunità tenute alla manutenzione dei castelli non erano quelle situate nei dintorni immediati e quindi più vicine. Alcuni esempi: il castello di Bari doveva essere riparato dalle comunità di Rutigliano, Noia e Polignano, rispettivamente distanti dal centro, in linea d'aria, 16, 14 e 30 chilometri. Il castello di Canosa doveva essere riparato dagli abitanti di Minervino, a poco più di 15 chilometri dal centro, e da quelli di Giovinazzo, a più di 50 chilometri in linea d'aria. Ancora più eclatante era il caso di Castel del Monte, la cui manutenzione era compito degli abitanti di Bitetto e di Bitonto, entrambi a più di 40 chilometri, e di quelli di Monopoli, che era a oltre 85 chilometri (ibid., pp. 36 ss.). Va anche notato che il numero delle comunità tenute alla manutenzione dei castelli variava notevolmente, cioè da due a più di venti. Inoltre è stato osservato che le comunità in questione, nella maggior parte dei casi, erano "collocate in un fascio che si allarga a ventaglio in una sola direzione, che si estende a molti chilometri in linea d'aria ‒ venti e oltre ‒ distanza che sul terreno doveva aumentare notevolmente, superando dislivelli e attraversando fiumi". La spiegazione di questo fenomeno va senz'altro ricercata "attraverso una serie di ricerche sistematiche ‒ per quanto i documenti lo consentano ‒ sull'intersecarsi e sovrapporsi di terre e di diritti demaniali e feudali" (ibid., p. 36).
I profondi mutamenti nell'organizzazione dei castelli del Regno, avvenuti tra l'età di Ruggero II e quella di Federico II, emergono bene dal caso del castello di Caiazzo. Mentre Ruggero II nel 1131 affidò la sua protezione ad alcuni nobili che egli aveva sollecitato a insediarsi intorno al castello, cento anni più tardi, sotto Federico II, le comunità che dovevano provvedere ai lavori di manutenzione di questo castello erano: la baronia di Ruviano, Campagnano, la baronia di Gioia Sannitica, la baronia di Guardia S. Framondo, la baronia di Dragoni, i casali del monastero di S. Salvatore di Telese (Sthamer, 1914, nr. 28, p. 98). Nel caso di Caiazzo, a differenza della maggior parte degli altri castelli, erano per lo più uomini di terre feudali che dovevano provvedere alla manutenzione, il che potrebbe essere il risultato di disposizioni di età normanna.
Un discorso a parte meritano i castelli costruiti nelle città, che nell'Italia meridionale avevano la precisa funzione di controllo degli abitanti e di manifestazione del potere della monarchia. Il castello in città era per Federico II, come ha sottolineato Francesca Bocchi, "il principale strumento in grado di esprimere la forza dello stato e la sua capacità di imporla ai cittadini" (1980, p. 73). Osserva, infatti, il frate Salimbene de Adam: "In qualibet civitate, in qua dominium habuit, voluit habere imperator palatium aut castrum" (1966, p. 647). Per gli abitanti delle città il castello "rappresentava il simbolo della repressione monarchica" (Bocchi, 1980, p. 58). Nelle non rare volte in cui le città si ribellarono alla monarchia, la distruzione del castello fu sempre una delle prime azioni della rivolta. Recentemente è stato osservato che nella pratica quotidiana le guarnigioni dei castelli federiciani erano troppo esigue (per esempio quella di Salerno soltanto nel 1239 fu aumentata a trenta soldati, quella di Trani a ottanta e quella di Bari a cento, mentre precedentemente vi erano stati soltanto piccoli contingenti militari) per essere usate come strumento per effettuare una politica repressiva nei confronti delle città (Stürner, 2000, pp. 241 s.).
Per l'età federiciana le fonti documentarie sono certamente molte più ricche che per l'età normanna, ma ci sono molti aspetti dell'amministrazione che rimangono oscuri. Non abbiamo, per esempio, per l'età sveva fonti documentarie sulla consistenza numerica delle guarnigioni di tutti i castelli regi. Queste lacune vengono colmate dalla ricca documentazione conservatasi dell'epoca angioina, soprattutto grazie ai registri della cancelleria. Dato che nell'amministrazione dei castelli i sovrani angioini seguirono in larga misura le orme dei loro predecessori svevi, possiamo presumere che il sistema castellare angioino rispecchi in larga misura quello svevo. La ricchezza delle informazioni fornite dai registri della cancelleria angioina è stata dimostrata da Sthamer nel suo volume sull'amministrazione dei castelli (1914) e dallo studio di Haseloff (1920) sull'architettura sveva, di cui una parte notevole è dedicata al castello di Lucera. Sthamer pubblicò, oltre al testo menzionato e ad alcuni saggi (1994), due volumi contenenti i documenti relativi alla costruzione dei castelli in Puglia e in Basilicata nell'età di Federico II e di Carlo I d'Angiò (Dokumente, I, 1912 e II, 1926). Era previsto un terzo e ultimo volume contenente i documenti relativi all'Abruzzo, alla Campania, alla Calabria e alla Sicilia, ma la prematura morte dello studioso, avvenuta nel 1938, non permise la pubblicazione del materiale raccolto. Tale materiale, proveniente in gran parte dai registri della cancelleria angioina, andati distrutti nel 1943, sembrava essere anch'esso disperso durante la seconda guerra mondiale. Recentemente (nel 1993) sono però state ritrovate a Berlino alcune casse contenenti gran parte del materiale raccolto da Sthamer prima della distruzione dei registri. L'Istituto Storico Germanico di Roma, nel cui archivio questo materiale è stato depositato, ha quindi voluto riprendere il progetto interrotto dopo la Grande Guerra (cf. Houben, 1996).
Fonti e Bibl.:Acta Imperii inedita, I, pp. 769 ss.; P. Kehr, Das Briefbuch des Thomas von Gaeta, Justitiars Friedrichs II., "Quellen und Forschungen aus Italienischen Archiven und Bibliotheken", 8, 1905, pp. 1-76, in partic. pp. 55 s.; Dokumente zur Geschichte der Kastellbauten Kaiser Friedrichs II. und Karls I. von Anjou, I, Capitinata (Capitanata), a cura di E. Sthamer, Leipzig 1912; II, Apulien und Basilicata, a cura di E. Sthamer, ivi 1926 (rist. in un unico vol. Tübingen 1997); Riccardo di San Germano, Chronica, in R.I.S.2, VII, 2, a cura di C.A. Garufi, 1936-1938, pp. 92, 204; A. Pratesi, Carte latine di abbazie calabresi provenienti dall'Archivio Aldobrandini, Città del Vaticano 1958, nr. 171, p. 399; Salimbene de Adam, Cronica, a cura di G. Scalia, Bari 1966, p. 647; Die Konstitutionen Friedrichs II. für das Königreich Sizilien, a cura di W. Stürner, in M.G.H, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, II, Supplementum, 1996, pp. 261, 271. E. Sthamer, Die Verwaltung der Kastelle im Königreich Sizilien unter Kaiser Friedrich II. und Karl I. von Anjou, Leipzig 1914 (trad. it. L'amministrazione dei castelli nel Regno di Sicilia sotto Federico II e Carlo I d'Angiò, a cura di H. Houben, Bari 1995); A. Haseloff, Die Bauten der Hohenstaufen in Unteritalien, Leipzig 1920 (trad. it. Architettura sveva nell'Italia meridionale, a cura di M.S. Calò Mariani, Bari 1992); F. Bocchi, Castelli urbani e città nel Regno di Sicilia all'epoca di Federico II, in Federico II e l'arte del Duecento italiano. Atti della III settimana di studi di storia dell'arte medievale dell'università di Roma (15-20 maggio 1978), a cura di A.M. Romanini, I, Galatina 1980, pp. 53-98; G. Fasoli, Castelli e strade nel 'Regnum Siciliae'. L'itinerario di Federico II, ibid., pp. 27-52; R. Licinio, Castelli medievali. Puglia e Basilicata: Dai Normanni a Federico II e Carlo I d'Angiò, Bari 1994; E. Sthamer, Beiträge zur Verfassungs- und Verwaltungsgeschichte des Königreichs Sizilien im Mittelalter, a cura di H. Houben, Aalen 1994; H. Houben, Le ricerche di Eduard Sthamer sulla storia del Regno, in Friedrich II. Tagung des Deutschen Historischen Instituts in Rom im Gedenkjahr 1994, a cura di A. Esch-N. Kamp, Tübingen 1996, pp. 109-127; R. Licinio, Le strutture castellari in Puglia, in Itinerari federiciani in Puglia. Viaggio nei castelli e nelle dimore di Federico II di Svevia, a cura di C.D. Fonseca, Bari 1997, pp. 49-53; F. Maurici, Federico II e la Sicilia. I castelli dell'imperatore, Catania 1997; 'Castra ipsa possunt et debent reparari'. Indagini conoscitive e metodologie di restauro delle strutture castellane normanno-sveve. Atti del Convegno internazionale di studio, Castello di Lagopesole, 16-19 ottobre 1997, a cura di C.D. Fonseca, Roma 1998; W. Stürner, Friedrich II., II, Darmstadt 2000, pp. 234-243; H. Houben, I castelli del Mezzogiorno normanno-svevo nelle fonti scritte, in Federico II, 'puer Apuliae'. Storia, arte, cultura. Atti del Convegno internazionale di studio (Lucera, 29 marzo-2 aprile 1995), a cura di Id.-O. Limone, Galatina 2001, pp. 37-55 (anche in Id., Mezzogiorno normanno-svevo. Monasteri e castelli, ebrei e musulmani, Napoli 1996, pp. 159-176); Id., L'amministrazione dei castelli, in Le eredità normanno-sveve nell'età angioina: persistenze e mutamenti nel Mezzogiorno. Atti delle quindicesime giornate normanno-sveve, Bari, 22-25 ottobre 2002, in corso di stampa.